“Capitalismo inclusivo” e transgender

Capitalismo  super inclusivo

La settimana della Moda a New York ha visto sfilare bambini transgender con abiti ibridi o, secondo il linguaggio attuale, oltre gli stereotipi di genere. Moda inclusiva che ha avuto tra le protagoniste un bimbo trans gender, Noella, consapevole della sua transizione, al momento solo psicologica ed estetica, ma in attesa con la maturità fisica del salto di genere. Ha sfilato per invitare i giovani con problemi di identità a mostrarsi in pubblico e a manifestare la loro personalità. I genitori, giovani liberal trentenni, hanno rilasciato interviste, in cui accusano la società attuale di bigottismo, sono orgogliosi del loro figlio, invitano ad uscire dall’ombra coloro che soffrono di disforia di genere. I genitori affermano che loro figlio ha iniziato la transizione a quattro anni, e ora, mentre sfila ha solo dieci anni.

Ancora una volta il capitalismo si mostra nella sua nuova formula liberal e inclusiva, ma dietro le luci della sfilata e gli applausi scroscianti agli abiti transgender, non si possono non rilevare degli aspetti inquietanti.

Il capitalismo super inclusivo, come affermano i giornali liberal, elude la profondità del problema e il cinismo con cui la frontiera dello sfruttamento si è modificata per diventare pervasiva e seduttiva.

La liberazione dal bigottismo viene mostrata in passerella, l’emancipazione per il capitalismo denominato super inclusivo, non è relazione libera dai condizionamenti economici, ma spettacolo.

Il capitalismo super inclusivo invita a sfilare per poter usare la liberazione da ogni vincolo come fonte di guadagno. Se i transgender piccoli e grandi non producessero denaro e non inaugurassero un nuovo mercato,“probabilmente” il capitale non si accorgerebbe di loro. Sono un nuovo mercato da usare per far circolare un nuovo prodotto. Silenzio assoluto sul modo in cui vengono confezionati gli abiti e sui rapporti di produzione, conta solo lo spettacolo.

 

Insensibilità capitale

Inquieta, in modo angoscioso, che la super inclusione non abbia sensibilità alcuna per la psiche di un bambino in formazione, ma li trasformi in merce  da mostrare in passerella. Far sfilare bambini e adolescenti con problemi di identità di genere, e ben sappiamo quanto la psiche in evoluzione possa avere periodi di confusione e sofferenza, non può che condizionare l’esito finale. Bambini in una situazione di sofferenza psichica gratificati dalle luci della ribalta e dagli applausi, si può ipotizzare possano essere condizionati nella scelta verso la transizione definitiva. Non solo, l’applauso condizionante potrebbe indurli ad immaginare che l’unico modo per essere inclusi è il disporsi in vetrina alla ricerca del consenso generale. I trasgender devono obbedire alla legge della vetrina, devono svelare a tutti che il capitale include chi accetta di essere posto in vetrina come un manichino.

Il cambiamento di genere è una decisione gravosa  necessita di parole e di relazioni disinteressate per comprendere se stessi e decidere in quale direzione evolversi. Se la società fosse inclusiva avrebbe donato a bambini e bambine tanto tormentati la possibilità di crescere all’interno di una rete relazionale positiva e protettiva. Nella discrezione delle buoni relazioni i dubbi si sciolgono, la chiarezza sulla propria identità si chiarisce in libertà con processi graduali senza la pressione degli applausi.

La disforia di genere può essere vissuta e risolta in modo personale, i percorsi possono essere personali, invece con la super inclusione si traccia il percorso a priori.

Moda e medicina banchettano su tali drammi, l’industria della transizione è sempre attiva e unidirezionale. Si spingono bimbi e adolescenti a scelte sempre più precoci, in modo da far fiorire un immenso apparato ospedaliero che offre i suoi servizi ai giovanissimi in transizione. L’ossessione della  identità di genere consente a psicologi, medici e, specialmente, industrie farmaceutiche di produrre l’occorrente per la transizione anatomica. La clinica inglese pubblica di Tavistock è stata chiusa in quanto si spingevano i giovanissimi al cambio precoce di sesso, anche quando vi era solo uno stato di confusione sull’identità. La commissione d’inchiesta ha denunciato che con estrema facilità venivano somministrati i farmaci per bloccare la pubertà.

Le inchieste hanno mostrato il capitalismo inclusivo nella sua verità: la clinica era una azienda che aveva organizzato e pianificato i guadagni. Bambini e adolescenti erano un mezzo per avere finanziamenti dallo Stato per la transizione: finanziamenti pubblici con forma mentis rigorosamente capitalistica. I bambini e gli adolescenti erano sotto pressione per la scelta, erano condizionati  e imbeccati a scegliere precocemente, per condurli all’operazione.  Secondo alcune testimonianze, si diceva loro che l’operazione era reversibile, ora la clinica è stata chiusa.

La passerella e la clinica sono due forme di condizionamento sulla carne viva dei più deboli con il consenso acefalo del mondo liberal.

La sensibilità verso certi temi, se è reale, non si gioca in passerella, ma in relazioni sane e sicure che il capitalismo non può donare.

I giovani e le giovani in transizione potrebbero vivere la loro condizione, anche, coltivando il loro maschile e femminile interiore, tale possibilità è esclusa a priori, perché non porta denaro.

Favorire la scelta precoce in processi irreversibili è l’immagine autentica del capitalismo super  inclusivo, il quale col sorriso liberal e seducente è capace di rappresentare nuove forme di sfruttamento come emancipazione.

 

Capitalismo e verità

Non esiste un capitalismo buono, la verità del capitale è lo sfruttamento, è la trasformazione di ogni esperienza in plusvalore da astrarre per nuovi investimenti. Il capitalismo è mosso dall’accumulo crematistico, pertanto non esiste un capitalismo inclusivo e rispettoso delle differenze, ma si è inclusi sin quando si è disponibili a sfruttare e a essere sfruttati.

Lo sfruttamento si evolve, cambia forma, ma nella sostanza è sempre eguale, è un atto di negazione dell’altro.

Il bigottismo cui alludevano i genitori della fotomodella transgender non è riferito al mondo religioso, suppongo, ormai al traino del capitale, ma alle voci dissenzienti di coloro che indicano la complessità del problema e la sua organicità ad usare persone dall’identità non ancora consolidata per una rivoluzione antropologica.

Il capitale necessita di personalità liquide, caratterizzate dall’illimitato, senza forma e dunque adattabili. Le persone transgender, sono in primis persone, il sistema le classifica come transgender, la tassonomia delle differenze è già un implicito razzismo,  esse sono per il capitalismo il modello della natura liquida e metamorfica dell’ essere umano adattabile al modo di produzione neoliberista.

Il capitalismo buono in cui crede tanta parte della sinistra radical chic è semplicemente mostruoso come lo era ai suoi esordi. Dobbiamo imparare a riconoscere il male dello sfruttamento nelle sue evoluzioni e smascherarlo, è il compito che attende la sinistra memore di se stessa e che non si lascia includere. L’inferno in Terra muta, ma è sempre lo stesso, le parole di Benjamin illuminano il nostro presente :

“Il ‘moderno’: l’epoca dell’inferno. Le pene dell’inferno sono ciò che più di nuovo di volta in volta si dà in questo ambito. Non si tratta del fatto che accada ‘sempre lo stesso’, ancora meno si può qui parlare di eterno ritorno. Si tratta, piuttosto,
del fatto che il volto del mondo non muta mai proprio in ciò che costituisce il nuovo, che il nuovo, anzi, resta sotto ogni riguardo sempre lo stesso. – In questo consiste l’eternità dell’inferno. Determinare la totalità dei tratti, in cui il ‘moderno’ si configura, significherebbe rappresentare l’inferno”.

Emanciparsi è pensare le parole: transgender, inclusione e super inclusione sono parte del nuovo lessico capitalistico dietro cui si cela l’ideologia dello sfruttamento. Le parole attendono interpreti che possano svelarne il valore effettuale al di là della propaganda ideologica.

10-Year-Old Girl Becomes Youngest Trans Model to Walk NY Fashion Week

 

1 commento per ““Capitalismo inclusivo” e transgender

  1. renato
    21 agosto 2022 at 8:44

    Un tempo, per molto meno, psicologi e simil insorgevano. Senza successo ma almeno protestavano. Contrapponevano agli interessi del mondo degli affari e dello spettacolo le esigenze dei minori. Oggi non possono più farlo perché sarebbero contro “l’inclusività”. Ottimo sistema per tappare la bocca.

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