Colpa tua e dell’immigrazione

   “ …L’operaio comune inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che comprime lo standard of life.. Egli si sente di fronte a quest’ultimo come parte della nazione dominante e proprio per questo si trasforma in strumento dei suoi aristocratici e capitalisti contro l’Irlanda, consolidando in tal modo il loro dominio su se stesso. L’operaio inglese nutre pregiudizi religiosi, sociali e nazionali verso quello irlandese….L’irlandese lo ripaga con gli interessi. Egli vede nell’operaio inglese il corresponsabile e lo strumento idiota del dominio inglese sull’Irlanda. Questo antagonismo viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo…”. K. Marx, 1870, Lettera a SigfriedMeyer e August Vogt

 

 

Colpa tua e dell’immigrazione (1)

 

Non sappiamo dare alloggi dignitosi alla popolazione, la povertà, l’insicurezza, la disoccupazione e la precarietà, sono da anni in costante aumento, mentre passiamo gran parte delle nostre giornate di vita a lavorare per il profitto, alienandoci la possibilità di dare un senso alla nostra esistenza, priva di soddisfazioni reali, mai basata sulle proprie aspirazioni ed inclinazioni. Una esistenza funzionale all’accumulazione altrui. Nel frattempo, le statistiche ci aggiornano sulla disoccupazione giovanile, a fronte della permanenza degli anziani nei posti di lavoro. Non è solo un cortocircuito derivato dalla crisi, ma il naturale corso della storia, fondata su economie di rapina, sfruttamento umano e naturale. Chi, in altri tempi, era impegnato a rovesciare “lo stato di cose presenti”, si è trovato a cogestire quel potere che voleva smantellare, mentre c’è chi si è arricchito, contrariamente a coloro che hanno visto presentarsi il conto ( tasse, riduzione dei servizi pubblici, abolizione del welfare… ), dovuto a tanti “salvataggi” finanziari ed industriali, in previsione di una “razionalizzazione dell’economia” ed il “ ravvedimento etico” dei suoi gestori. Intanto, a droit et a gauche, si è favoleggiato di “rilanciare il sistema produttivo ed i consumi”. Ma come, se fino ad ora si è dissertato su una crisi dovuta alla sovrapproduzione ed all’eccesso di consumo ( spesso futile ed inutile ), finanziato con credito illimitato? Per rilanciare i consumi occorre operare in maniera opposta a quanto fino ad oggi attuato: aumentare il numero ed il valore delle buste paga, restituendo il maltolto dopo anni di politiche liberiste e restrittive. Già, ma in che modo, se il capitale tende a produrre di più e con meno addetti, magari, anche comprimendo i salari? Il capitalismo deve oggi risolvere il suo problema, non importa come, anche a costo di prostituirsi al vituperato intervento statale che per anni è stato la sua stampella: con le detassazioni, con le privatizzazioni, con lauti interventi assistenziali alle imprese e misere elemosine ai cittadini/consumatori, con politiche repressive e demolizioni delle conquiste sociali, imponendo “sacrifici, partecipazione e consenso” ai cittadini/sudditi.

 

Colpa tua e dell’immigrazione (2)

 

Nel sottovalutare che tali comportamenti, non sono stati altro che risposte alle crisi susseguitesi, non il loro riflesso, molti operano come se l’attuale società fosse migliorabile, ma non superabile ( non tenendo conto della capacità del capitale a mutare forma, ma non sostanza ), proponendo una serie di azioni, già fallimentari in altre epoche e contesti. Eccoci giunti al nocciolo della questione: chi accetta un sistema economico basato sullo sfruttamento e finalizzato al profitto di pochi? Chi approva una società dove viene garantita la sopravvivenza, attraverso salari minimi, spesso utilizzati per consumi inutili ed artificiali che ritornano al capitale ed utili alla sua sopravvivenza? E’ mai possibile che non ci si renda conto che “il rilancio dei consumi”, allo stato attuale, dovrà necessariamente passare attraverso nuove operazioni d’indebitamento, perché, per il capitale ( che può anche riconvertire la produzione ), non è importante cosa produrre, ma l’accrescimento della ricchezza, il plusvalore. Ma la ricchezza non viene creata dal nulla, per la sua reificazione necessita agire sulle leggi e le dinamiche del mercato del lavoro, che in quanto tale, abbisogna di una forza-lavoro ( non importa se manuale o cognitiva ) sempre disponibile, flessibilizzata e precarizzata, che si faccia essa stessa, date le condizioni, “esercito di riserva” ricattabile e pronta al “rilancio della produttività e dei consumi”. I governi succedutisi nel corso degli anni, hanno provveduto alla bisogna, ma spesso hanno dovuto tener conto di un piccolo fastidioso problema: la sopravvivenza fisica e mentale dei lavoratori e dei disoccupati, merce, purtroppo, deperibile e qualche volta irascibile. I dati statistici sulla disoccupazione servono a ben poco e facilmente manipolabili alle peculiari esigenze. Normalmente, in senso tecnico, sono definiti disoccupati coloro che si iscrivono negli elenchi anagrafici dei centri per l’impiego, ma nulla si sa di coloro i quali non danno “disponibilità alla ricerca di un lavoro”, come se cambiasse qualcosa, considerato, che il lavoro non c’è. L’adeguamento ai voleri comunitari liberisti, ha introdotto elementi di precarietà, che necessitano essere governati attraverso politiche di sostegno al reddito, possibilmente per non lunghi periodi: i servizi per l’impiego, dovrebbero divenire ulteriori strumenti per la governance delle politiche occupazionali, anche agevolando il passaggio dal welfare, al più liberista workfare. In poche parole: io Stato, ti assicuro qualche tutela, ma in cambio tu devi accettare qualsiasi lavoro anche a tot km dalla tua residenza, pure in un altro settore produttivo e con minore retribuzione, altrimenti, rifiutando, perderai ogni diritto. La disoccupazione trasmuta in colpa.

 

Colpa tua e dell’immigrazione (3)

 

Non dobbiamo dimenticare, che l’attuale crisi, ha dietro di sé un trentennio caratterizzato da altre crisi che hanno investito, oltre l’economia, la politica, la cultura e l’ambiente: un liberismo senza freni, dove deregulation e libera iniziativa, sono state le parole d’ordine prioritarie. La globalizzazione, la speculazione estrema, la maniacale finanziarizzazione del plusvalore, hanno fatto il resto, mentre gli apparati statali, sempre più soggetti al capitale, hanno sostenuto il castello di carta, finanziando con denaro pubblico le imprese, ed appaltando loro lavori pubblici. Ma quale liberismo!  Paradossalmente ( ma non tanto ), è il capitale il maggior fautore dell’intervento statale e proprio nei periodi di crisi, per evitare le possibili ripercussioni sociali, che chiede sostegno al consumo con piani d’intervento statali. Oggi, non sentiamo altro che parlare di regole e correttivi, ma il capitale o si fa sempre più capitale, o è destinato a perire. Una sua peculiarità è produrre continuamente, anche la povertà, alla quale, comunque, provvederà lo “stato sociale”, il “welfare state”, tramite la spesa pubblica garante della redistribuzione del reddito, atto a garantire i consumi: il welfare diviene così, per il capitalismo, elemento salvifico e fautore di nuova accumulazione. Perché? Perché il welfare non è solo sostegno al reddito attraverso le sue variegate forme ( sanità, trasporti, edilizia popolare …), ma anche incentivi all’industria e leggi a sostegno della produzione. Senza dimenticare, come la storia del nostro paese insegna, quell’ibrido consociativismo, che vede politica, sindacato e capitale creare organismi sussidiari ( cooperative, enti bilaterali, assicurazioni, banche, enti di formazione…), radicati nei territori e che equamente si spartiscono la torta. Propinare antiche ricette ritenute miracolose non aiuta, e mostra solo l’incapacità di certa politica a reagire ad un processo che si ritiene irreversibile, opponendo, al massimo, banali soluzioni temporanee, prima di ritornare nel dorato giaciglio da cui è stata svegliata, piuttosto che andare dove c’è il lavoro delle donne e degli uomini. Da una parte si salvano le imprese e le banche, dall’altra si elemosinano i lavoratori. Il resto è vuoto spinto, salvo pararsi dietro qualche legge elettorale per il reddito garantito, che nasce senza fondi certi. Per anni taluni sindacati e certa politica hanno concertato, mediato, tergiversato. Oggi, più che blaterare a difesa dello stato sociale, piagnucolare contro il “cattivo” capitalismo, la “perfida” finanza ed additare al pubblico ludibrio i manager marionetta, non sanno altro che proporre un’assordante afasia oppure “scavare buche, al solo scopo di riempirle”. Ed è in tale contesto, che viene in soccorso il cosiddetto mercato del lavoro, suk dove cervelli e braccia, vengono ammassati su bancarelle, pronti ad essere svenduti per pochi euro od utilizzati per incerte politiche sociali.

 

Colpa tua e dell’immigrazione (4)

A questo punto non possiamo dimenticare gli ultimi degli ultimi: gli immigrati. Sono oramai 30 anni che assistiamo alle solite diatribe su sanatorie, diritti di cittadinanza, regolarizzazioni, decreti flussi, lavoro nero immigrato e razzismo. Da 30 anni, leggiamo esimi opinionisti, sfogliamo giornali “progressisti”, ascoltiamo politici e sindacalisti democratici, esperti e consulenti, insomma, quelli che “contano” per e nelle istituzioni. Per 30 anni, abbiamo seguito voci “fuori dal coro”, movimenti e disobbedienti, “alternativi” e “progressivi”. In questi 30 anni sono nate, cresciute e decedute ( poche/i ) associazioni, cooperative, istituzioni, enti, istituti, organismi, consorzi, finalizzate/i all’assistenza, alla protezione, allo studio, al sostegno, al soccorso, alla cura degli immigrati e delle loro famiglie. Miliardi di lire prima e milioni di euro poi, investiti in azioni meritorie, ma anche inutili ed inefficaci ( spesso illiberali e predatori ) interventi. Fondi sociali europei, di Enti nazionali e locali, insomma denaro pubblico, non sempre adeguatamente investito, se non addirittura colpevolmente sperperato. Convegni, studi socio-economici, tavole rotonde, statistiche, ricerche psico-sociali, monitoraggi, moltiplicazione di siti web ed agenzie di transazione denaro. Oggi, comprendiamo cosa significhi “ investire sull’immigrazione”. Mentre la merce(-immigrato ) è rimasta tale, anzi più deteriorata, anche grazie ai nuovi assetti economici globali, le migrazioni(-flussi di merci ), sono sempre più reputate un pericolo da dover contrastare con qualsiasi mezzo: diritto internazionale marittimo invalidato ( leggi: proibito soccorrere ), accordi bilaterali con paesi antidemocratici, detenzioni amministrative. Per non parlare dei lucrosi vantaggi dovuti al perpetuarsi dello status d’irregolare, in un mercato del lavoro che esige la garanzia della precarietà, della flessibilità e del ricatto, affinché possa disporre di manodopera a basso costo e a termine. Le città puntano ad essere modelli di attrazione per interessi economico-finanziari, mentre lo stato di degrado ambientale persiste nelle periferie, sempre più private da infrastrutture adeguate, a cominciare dall’edilizia popolare.

 

Colpa tua e dell’immigrazione (5)

Indubbiamente, e chi può negarlo, l’arrivo dell’altro, sconvolge una serie di certezze e sicurezze che ritenevamo ormai acquisite. Ritengo, comunque, che analizzare la materia in un’ottica meno viscerale, possa aiutare a comprendere alcune dinamiche che ci vedono protagonisti come cittadini. Il clandestino, prima rapinato nel suo habitat, rischia la vita per raggiungere i suoi predatori, che decideranno, come nei luoghi natii, della sua nuova esistenza. Il clandestino, reifica così, la cattiva coscienza di noi “fortunati” cittadini, sempre più alienati verso noi stessi ed il mondo. Cittadini elemosinanti diritti, ma attaccati ad effimeri privilegi, inconsapevoli di essere ingranaggio interscambiabile, qualora non fossimo più utili; un vecchio, duraturo, ma sempre valido giochetto: l’intenzione di costituire categorie privilegiate di lavoratori ( gli autoctoni ), avverso la massa di tutti gli altri, spingendoli persino a parteggiare per fazioni, “sinistre” o “destre”, della borghesia capitalista. Nel sistema capitalista, il razzismo è parte integrante, quantomeno, come strumento per la divisione di classe fra i lavoratori. Non dobbiamo farci fuorviare da certe prese di posizione di settori liberisti favorevoli ad una società multietnica: per loro, i rapporti di forza ed i poteri vigenti devono restare tali, ed è loro convenienza la discordia fra razze o religioni, affinché possano ottenere il maggior profitto da una forza lavoro divisa. Il capitale, oltre a depredare economicamente e devastare ecologicamente le terre dei migranti, li utilizza anche per sopprimere le conquiste dei lavoratori autoctoni, già depauperizzati attraverso la compressione salariale, la negazione dei servizi primari, l’elemosina di quello che viene definito “il welfare dei miserabili” e la deregolamentazione del mercato del lavoro. Dall’altra parte, si criminalizza lo straniero tramite l’implementazione di leggi securitarie, lo si ricatta con il permesso di soggiorno a termine e gli si rende la vita sempre più precaria. Non ci si illuda, non esiste una “borghesia illuminata”: il potere, quale esso sia, è ben consapevole della sua appartenenza di classe, più di coloro i quali aspirano ad emularla. E su queste aspirazioni, il capitale, per mantenere il suo dominio, ha sempre avuto facile gioco, provocando divisioni, contrapposizioni e spaccature fra stranieri ed autoctoni, rendendo il mercato del lavoro debole, frastagliato e precario. Non dobbiamo poi dimenticare l’altra faccia di questa “borghesia illuminata”, che si manifesta allorquando si percepisce in pericolo nei rapporti di forza. E’ in questi frangenti, e la storia ce lo insegna, che interviene il terrore dello Stato, attraverso campagne di sicurezza ed utilizzando i suoi alleati di sempre, i fascisti, braccio armato per spedizioni razziste e xenofobe, a cui, purtroppo, si accodano i cittadini e lavoratori, inconsapevoli della loro strumentalizzazione ed appagati nelle loro frustrazioni, per aver individuato il nemico dei loro malesseri sociali.

 

Colpa tua e dell’immigrazione (6)

 

Ma l’analisi sarebbe incompleta se non tenesse conto degli errori, delle complicità, delle inanità di certi settori del sindacato concertativo ( anzi, cogestente ) e di certa “sinistra” trasformati in strumenti del “pensiero unico”, confondendo, artatamente, gli interessi dei lavoratori, con quello dei padroni. Per anni, sfruttando lo spettro della destra e la logica del male minore, hanno castrato le lotte dei lavoratori, imponendo una sorta di “fronte popolare”, che ha provocato l’arretramento delle conquiste avute con decenni di lotte. Non possiamo dimenticare certi accordi sindacato-governo, la partecipazione a compagini governative, la condivisione, la collusione, la compromissione con governi che hanno attaccato le pensioni, hanno privatizzato, esternalizzato e liberalizzato il mercato del lavoro…. E qui mi fermo. L’immigrato “clandestino”, figlio del capitale imperialista, è utile all’economia ( ed ai profitti privati dovuti all’evasione fiscale ), quanto quello regolare: basti considerare l’enorme massa di merci immessa sul mercato ambulante, che viene garantita dall’approvvigionamento di piccoli e medi imprenditori e da commercianti, un mercato, spesso controllato dalla criminalità organizzata, che in alcune zone, diviene unico datore di lavoro; oppure il lavoro nei campi, dove la fuga del lavoratore agricolo italiano è stata massicciamente compensata dal lavoratore in nero immigrato; o il lavoro delle “badanti”, che sopperisce alla carenza dello stato. Non potremmo mai comprendere i processi migratori, se non li considerassimo parte integrante della storia della lotta di classe e della difesa dei diritti sociali e lavorativi; non tener conto che l’immigrazione è la connessione fra imperialismo ( rapinatore ) e capitalismo ( sfruttatore ) potrebbe diventare un limite, ma occorre comunque sottolineare, che la scelta fra partire o perire, ha provocato un nuovo assetto nelle società di arrivo, dove una sostanziale fetta di lavoratori si è insediata in tutti i settori produttivi, in un mercato del lavoro già precario, e dove i diritti sono ridotti al lumicino. Difficile confrontarsi con le difficoltà insite nel “concetto” stesso di immigrazione ( che indubbiamente scompiglia i paesi di approdo ) come scelta di vita. Ma questo bisogno, occorre tenerlo a mente, è prodotto da quello stesso sistema, che rende precarie le esistenze, nella “nostra” terra; è un fenomeno dovuto alle condizioni di vita, sociali e climatiche, attivate dallo stesso, nei paesi di provenienza. Il torpore delle coscienze, la mancanza di strumenti critici, la deriva culturale e politica di certi settori della società, l’esasperante individualismo, dovuto all’accentuarsi dell’atomizzazione sociale, la sempre più marcata perdita dei diritti, non fanno altro che coagulare il consenso intorno ai venditori di sogni, ai padroni delle nostre esistenze, divenuti nell’immaginario collettivo, figure salvifiche. La società “liquida”, non vuole sottintendere solo il progressivo indebolimento delle istituzioni, ma anche quello dei legami sociali, esacerbato dalla continua diffusione della sensazione di paura, che diviene capitale nelle mani dei politici e dei loro sodali. Oggi l’atteggiamento popolar-razzista ha preso tanto il sopravvento, che quasi non necessita più del supporto di quello statale, ben surrogato dagli onnipresenti “opinionisti” mass-mediatici. Oggi, come l’altro ieri, i governi non hanno altro che da lavorare sull’irrigidimento dei diritti dei cittadini immigrati e della popolazione autoctona meno garantita, frammentando e dividendo gli uni dagli altri. Raccogliere il disagio sociale, significa ri-conquistare quel ruolo che consentiva di dare risposte ai bisogni e sostegno ai diritti di tutti indistintamente e per questo essere riconosciuti; rendere predominante l’affermazione, che se si “colpisce” l’immigrato, lo si fa affinché il cittadino intenda; far prevalere la ragione, che il degrado delle città non dipende dagli immigrati, ma da incapacità amministrative ed ingordigia del capitale e della finanza; far risaltare come, se prospera la criminalità con manovalanza immigrata, è perché chi controlla il territorio, può rivendicare la sua italianità. Occorrerebbe poter legare e ri-unificare esperienze di lotta diverse, come la tutela dei territori, la lotta contro le privatizzazioni,  la sicurezza sul/del lavoro, le battaglie sull’ecosistema e la qualità della vita….. e ri-appropriarsi dello spazio politico/culturale, aldilà delle pretestuose diversità di una sinistra sempre più autolesionista.

Risultati immagini per immigrati nei campi

Foto: Stranieri in Italia (da Google)

 

 

 

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