Il declino del mondo (capitalista) occidentale

Il mio intuito – quindi una miscela di esperienza empirica, sensazioni, impressioni, modestissime conoscenze e informazioni sparse qua e là e capacità, presunta, di “odorare” gli eventi e di osservare lucidamente la realtà (ammesso che ne sia capace) – mi spinge a pensare che il mondo capitalista occidentale stia declinando.  E’ un declino ideologico, culturale e sociale, non tecnologico o militare. Lo è, in parte, economico, ma anche questo aspetto (che ha cause estremamente complesse che non possono essere affrontate in un breve post e non ne avrei neanche le competenze) non è, a mio modo di vedere, separabile dal primo.

Il mondo capitalista occidentale sta declinando perché non ha più un collante ideologico e culturale sul quale una società civile (come si suol dire) può fondarsi. Una società, infatti, non può affondare le proprie radici (solo) sul feticismo della merce, sul consumismo, sull’individualismo (e la corsa, il più delle volte la speranza, dell’arricchimento personale) e sull’edonismo sfrenati come unica fonte di senso.

Da tempo ormai l’equazione capitalismo=liberalismo è completamente saltata. La libertà (vera o presunta, ma questo è un altro discorso ancora…) è stato il vessillo del mondo occidentale per lungo tempo e soprattutto durante la seconda metà del secolo scorso, sbandierata nella sua guerra vittoriosa contro il l’Unione Sovietica e il “comunismo reale”. Certo, era un concetto di libertà che serviva a coprire altro (cioè, appunto, il dominio capitalista) però ha funzionato. E ha funzionato anche perché il capitalismo (sia pure falsificando la realtà) aveva buon gioco nel sostenere che la sua stessa esistenza coincideva con la libertà. Non era vero o era vero solo in parte (nella sua “cittadella” o “metropoli”, sia pure con tutte le contraddizioni che ben sappiamo…) ma oggi tutti sanno che non è così per la semplice ragione che tutto il pianeta è sottoposto alle leggi dell’economia capitalista.

Il mondo occidentale sta declinando perché ci sono altri mondi, comunque capitalisti, che dispongono di un collante ideologico e culturale molto più robusto. Mi riferisco ai capitalismi asiatici (che sono tanti, in parte simili e in parte diversi), naturalmente a quello russo (non il principale, al momento, e neanche il più potente) e anche a quelli musulmani (anch’essi diversi fra loro). Non che questo collante ideologico (comunque una falsa coscienza necessaria, dal mio punto di vista), diverso da paese a paese e da contesto a contesto, sia migliore o peggiore o “superiore” a quello occidentale. Non è questo il punto. Sto analizzando e non giudicando. E’ solo (molto) più robusto ideologicamente (in relazione al contesto…) e per questa ragione, è in grado di cementare la società, anche all’interno di dinamiche e gerarchie molto rigide e sicuramente più rigide di quelle occidentali. In parole ancora più povere, mentre le società “liquide” occidentali si stanno spappolando, quelle altre (non tutte e non in egual misura) sono molto più solide, proprio in virtù di quel collante ideologico e culturale che le ha cementate. Come ripeto, non vuole essere un giudizio di merito, anzi, ma solo una constatazione.

Voglio subito tranquillizzare i tanti già preoccupati. Né la Cina né la Russia hanno intenzione di invaderci. La Cina vuole “colonizzare” il mondo dal punto di vista economico e commerciale, ma non ha nessuna intenzione di imporre con la forza il suo modello di sviluppo e di società al resto del pianeta. La Russia è una grande potenza tecnologica e militare ma certamente non economica.  E l’India, oltre alle sue gravi problematiche e contraddizioni interne, è ancora troppo debole sotto tutti i punti di vista e tuttora molto legata all’Occidente.

Il mondo, quindi, va sicuramente verso il multipolarismo, e questo, da un punto di vista geopolitico, è sicuramente un fatto positivo. Ma, per quanto mi riguarda, qui ci fermiamo. Non ci sono considerazioni di altra natura che mi spingono a simpatizzare o a preferire l’una o l’altra ipotesi.

Le società capitaliste asiatiche (Giappone, Corea del Sud, Cina, Thailiandia, Filippine ecc.) presentano strutture politiche diverse ma il “modello” di sviluppo, di organizzazione sociale e soprattutto, di vita, è più o meno lo stesso.

E qui torno a quanto dicevo all’incipit. Le informazioni in mio possesso (oltre a quello che perviene a ciascuno di noi attraverso letture, televisione, reportage, documentari, articoli, libri, viaggi, vacanze ecc.) che mi giungono da diversi amici e amiche che hanno vissuto a lungo in quei paesi e che tuttora li “frequentano” per ragioni varie (per lo più di lavoro), mi parlano di contesti dove il lavoro, anzi, il superlavoro (e, ovviamente, la molla dell’arricchimento individuale), è la dimensione centrale e il più delle volte unica dell’esistenza, molto spesso in forme parossistiche, probabilmente se non sicuramente insopportabili per noi occidentali contemporanei. Ciò è possibile perché, appunto, la logica capitalistica si è sposata con la cultura, la storia, il contesto e la tradizione filosofica e religiosa di quei paesi. E’ questo che spiega l’avanzare travolgente dei capitalismi asiatici, vere e proprie locomotive del capitalismo del XXI secolo, la loro solidità complessiva, la loro capacità di costruire e ottenere il consenso.

Il capitalismo occidentale non è più in grado di competere con quei modelli, e ne è in parte consapevole. Sa però, al contempo, di essere ancora il più potente dal punto di vista militare, logistico, del controllo degli oceani, degli stretti, delle principali vie di comunicazione e scambio (e quindi di controllare ancora la gran parte delle merci di tutto il mondo) e delle reti informatiche, e spinge su questo. Ma è meno consapevole del suo sbriciolamento ideologico (e psicologico), culturale e sociale, dell’allentarsi dei legami sociali, come sempre accade in tutte le società e le epoche in decadenza.

A questo punto sarebbe necessario aprire una riflessione sulle cause ideologiche e culturali di questo processo ma questo richiederebbe ben altro spazio. Così come lo richiederebbero le questioni poste nell’articolo. E però già questo è un post troppo lungo, anzi esageratamente lungo, per i livelli (bassissimi) di attenzione a cui ormai siamo abituati dai e sui social ai quali, mio malgrado, mi devo adeguare. Per lo meno se voglio che quello che scrivo sia letto da un pubblico un po’ più ampio di una ristretta cerchia di “addetti ai lavori”.

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4 commenti per “Il declino del mondo (capitalista) occidentale

  1. Federico Lovo
    2 giugno 2020 at 16:21

    sono nel complesso d’accordo, ma questo passaggio mi pare un po’ forzato “Le società capitaliste asiatiche (Giappone, Corea del Sud, Cina, Thailiandia, Filippine ecc.) presentano strutture politiche diverse ma il “modello” di sviluppo, di organizzazione sociale e soprattutto, di vita, è più o meno lo stesso.”
    Insomma se penso al ruolo dello Stato nell’economia in Thailandia e Filippine – dove le sacche di povertà sono ingenti e “cristallizzate”- le differenze con la Cina mi sembrano grosse.

  2. LP
    3 giugno 2020 at 7:53

    Come prologo di una discussione ci sto altrimenti restiamo alle premesse.

  3. LP
    3 giugno 2020 at 8:47

    L’occidente perché sta evidenziando un declino fino a pochi anni fa inimmaginabile. Le responsabilità sono molte la più importante secondo me è stata quella di aver distrutto la SCUOLA e tutto il sistema formativo dei paesi europei secondo i precetti di Milton Friedman che lo Stato si doveva solo occupare di difesa e giustizia. Senza scuola, invece, si perdono i fondamentali del vivere civile. Ci affanniamo, oggi, ad elencare i pregi della Costituzione ma una volta la Costituzione si viveva oggi si legge. Era la scuola che ci insegnava i diritti e i doveri di ognuno di noi sin dalle elementari. Le famiglie, oggi, mandano i figli a scuola e già a cinque anni vorrebbero che diventassero tutti degli Einstein anziché pensare a farli giocare. Consideriamo gli insegnanti e i professori delle macchine che riempiono i cervelli di formule e nozioni perché i nostri figli devono essere migliori dei padri ed aspirare ad uno stipendio a sette zeri, senza rendersi conto che così facendo tarpano le ali ai figli i quali possono andare incontro a fallimenti altro che stipendi a sette zeri. Lo sciagurato concetto dell’alunno cliente ha fatto perdere agli studenti il sapore amaro della sconfitta e il piacere della rivincita solo così si cresce e si diventa adulti. Oggi, infatti, siamo una massa informe di “ggente” che pretende, non si sa poi da chi, la bella vita come un diritto; richieste da giovani immaturi come i nostri ragazzi che alle difficoltà e ristrettezze magari ci sputano in faccia “tu mi hai messo al mondo ed è tua la responsabilità di mantenermi e di farmi fare la bella vita” il tutto condito da mamme imbevute delle sciocchezze sul “genere” emanate da giornaliste servette del sistema che tutto controlla e tutto esige purché i bilanci diano sempre utili.

  4. un lettore
    4 giugno 2020 at 20:32

    Gran pezzo Marchi, complimenti. Divergo sul “capitalismo cinese”. La rimando se non lo ha già fatto al Compagno Arrighi Adam Smith a Pechino, un capolavoro che va letto con grande attenzione e precisione statistico macroeconomica e che è attuale in pieno,e al caro Losurdo su lotte di classe in Occidente e la rivoluzione riformistica del compagno Deng. Direi anzi, sulla base di Losurdo, che socialismo in evoluzione era ed è quello asiatico molto più dell’ibrido keynesiano militarista sovietico. Cose che si sanno tra di noi, ma capitalismo cinese non è corretto nemmeno per autori americani come il Bell o l’italiano de il manifesto Pieranni oltre che per la scuola marxista odierna nelle sue componenti più attente e di sinologi. Inoltre le opere di Xi vanno lette se si parla di Cina e la direzione di Evoluzione pare chiara. Il nazionalismo dei giapponesi (che si stanno riarmando a tutto punto), dei coreani del Sud non mi pare omogeneo al modello lineare e evoluzionistico di Pechino ma realmente più integrabile in un tradzionalismo ancentrasle religioso. La Cina di oggi è comunque un prodotto della rivoluzione culturale anticonfucio degli anni sessanta. Il tempo ci darà la verità…vedremo, ma fiducia e ottimismo…ragionato e misurato ma ottimismo!

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