E’ tempo di chiudere con il femminismo?

Navigando per internet, come in qualsiasi viaggio, capita di fare molti incontri, alcuni, rari, offrono stimoli per approfondimenti e riflessioni. Può anche capitare che questi stimoli giungano in modo così diretto al cuore di questioni su cui, in modo più o meno compiuto e più o meno consapevole, ti stavi occupando. Mi sono così imbattuta nel sito “Uomini Beta”, gruppo di autocoscienza maschile.
Già trovare un sito nel quale si parla di autocoscienza maschile, in questi anni, mi sembra una novità assoluta. Mossa dalla curiosità anche professionale vado a curiosare e scopro che quel mondo maschile molto spesso conosciuto nella stanza segreta che è il mio studio sta esternando pubblicamente la rabbia per le amarezze, i dolori, le aspettative, le disillusioni e le frustrazioni vissute privatamente e pubblicamente nei confronti delle donne.
Scopro un atto di accusa nei confronti della deriva femminista. Certo i modi e anche parte delle ipotesi su cui insistono rischiano, a mio parere di ripercorrere i sentieri sterili del femminismo stesso, ma un dato è certo, gli uomini, i maschi, che notoriamente non parlano se non per fare voli pindarici sulle più disparate teorie o sanno scrivere poesie sublimi su donne perfette e santificate, improvvisamente parlano dei loro dolori terreni, delle loro frustrazioni, disincanti e rabbie, con la forza di chi improvvisamente chiede conto alla società della propria dignità perduta.
Mentre provo un immediato arretramento difensivo di fronte a una certa aggressività espressa nel sito nei confronti delle donne, mi torna in mente un volumetto ed. “sole nero” di Annie Le Brun “MOLLATE TUTTO facciamola finita col femminismo”.
Era il 1977, libro intenso di critica radicale al femminismo. Secondo l’autrice infatti il femminismo stava diventando l’avamposto della stessa cultura dominante. Nonostante la critica partisse fondamentalmente dalla convinzione che la cultura occidentale borghese riproduce costantemente il proprio modello anche sotto mentite spoglie, per cui il post-femminismo tendeva a sottovalutare se non addirittura ad annullare la necessità del confronto radicale con l’alterità dell’Altro all’interno della relazione amorosa.

L’autrice scrive: “Mi interessa più Oscar Wilde che una qualsiasi borghese che ha accettato di sposarsi e di fare figli e che un bel giorno si sente repressa nella sua ipotetica creatività”. E ancora con grande acume e con lungimiranza continua: “Quando la ragione per trionfare diventa ragion di Stato, questo rifiuto per la “Alterità” che è anche e soprattutto disprezzo, panico e indifferenza criminale verso lo spirito, verso la ”oscura particolarità della materia”, non ha cessato di condurre ad un ripiegamento della vita sensibile degli uomini e delle donne sul punto più sotterraneo della sfera individuale… Il rifiuto dell’Altro comporta tragicamente la perdita d’identità di colui che lo esprime. In questo senso la ”affermazione della “femmellitude”, oscillante tra la negazione dell’individualità maschile e l’esaltazione della massa femminile, partecipa al più alto grado a questa violenza normalizzante che contrariamente a quanto ci si vorrebbe far credere, non è né maschile né femminile” [1].

La critica di Le Brun si colloca nell’universo culturalmente fecondo degli anni ‘70 e ‘80 ma come discorso discordante, all’interno delle élite femminili di quegli anni, tanto discordante da essere ripudiata da queste stesse élite con appellativi abbastanza duri e per certi versi ridicoli di cui “traditrice vaginale” è certamente il più emblematico visto che la vagina era il simbolo assolutizzato dell’essere donna. Nell’attualità non possiamo che prendere atto che il femminismo si è coeso talmente tanto con la Ragion di Stato da essere diventato parte integrante dell’ideologia dominante del neoliberismo.

Certamente questa è un’ipotesi che necessita di prove, di conferme inoppugnabili, per essere sostenuta. Ci provo, sapendo che ogni prova non è mai inoppugnabile e che la verità è solamente la verità del fatto compiuto al di là di qualsiasi interpretazione.

Emblematico, a questo proposito, il racconto di Ryūnosuke Akutagawa ripreso da Akira Kurosawa nel film Rashomhon, dove l’unico elemento certo è l’uccisione del marito della protagonista. Tutte le versioni di come sia accaduto il fatto risultano veritiere, eppure assolutamente inattendibili. Quindi ciò che conta sono i fatti, se ci si pone in maniera dialettica, e l’interpretazione dei fatti è vera purché chi la racconta dichiari apertamente il proprio pensiero e la propria weltanschauung; vera, quindi, per quella narrazione. Se invece al posto del fatto poniamo un postulato come proposizione che non si può dimostrare ma che si considera come vera, viene compiuto un inganno. L’inganno attuale risiede nel postulato che il patriarcato resista a tutt’oggi, come cultura che sostiene il neoliberismo, e che la violenza sulle donne sia l’espressione di questo dato acquisito una volta per tutte. Questa, a mio parere può essere considerata ancora un’ipotesi tutta da dimostrare, né più e né meno della mia.

Un primo fatto su cui posare l’attenzione è che “l’entrata nel mondo del lavoro delle donne ha tolto lavoro agli uomini, di fatto li ha costretti a condividere l’accudimento dei figli e della casa, li ha in fin dei conti costretti a condividere le loro stesse prigioni. I salari, infatti, si sono dimezzati, oggi in due si raggiunge a malapena lo stipendio che un tempo guadagnava l’uomo da solo. Uomini e donne sono legati dalla necessità del quotidiano, prigionieri dei bisogni reali di sopravvivenza e di quelli indotti[2].

Le ricaduta di questo dato incontrovertibile è che ci troviamo di fronte ad una truffa perché la grande maggioranza delle donne non ha conquistato proprio nulla sul piano sociale mentre si assiste ad un sempre maggiore ritiro degli uomini che non hanno posti di rilievo nella società, dalla sfera pubblica. La politica è diventata una professione e come sappiamo bene questo limita in modo ingravescente la partecipazione alla vita politica e culturale delle classi subalterne, quindi di tutti, uomini e donne, e non è un caso che vediamo un restringersi delle agibilità sindacali per legge. É ormai accertato dai fatti che l’insistenza dei media sui fatti di cronaca che riguardano le donne, in particolare la violenza fisica esercitata dagli uomini su di loro rappresenta una linea editoriale generale diffusa, funzionale in questo momento storico a riempire le prime pagine dei giornali con mostri più o meno accertati. Puntare su alcune tematiche, emotivamente assai coinvolgenti, permette di mantenere alta l’audience e distogliere l’opinione pubblica dai problemi che sottostanno, in questo momento storico, anche ad un’oggettiva difficoltà di relazione tra i sessi.

Difficoltà dovuta in primo luogo alle condizioni materiali che ormai costringono tutti, uomini e donne, a rincorrere affannosamente uno o più lavori precari per sopravvivere, ma anche e a mio parere non di minore importanza, al sempre maggiore scarto esistente tra i modelli proposti dalla “società dello spettacolo”, direbbe G. Debord, e la reale possibilità di una loro attuazione.

La capacità camaleontica di trasformazione e di adattamento del capitale rispetto a qualsiasi conquista sociale, asservendo ogni trasformazione culturale alla regola del profitto ha prodotto un’unica figura sociale: il consumatore[3].

Il consumatore non ha e non deve avere tempo né per la riflessione né tanto meno per gli affetti che invece hanno bisogno di tanto tempo per essere coltivati e condivisi senza stritolamenti. Il consumatore deve produrre e spendere e viceversa. Bulimia di beni e anoressia dell’affettività. A un osservatore attento non può sfuggire che le notizie riguardanti le donne e in particolare accoltellamenti o violenze domestiche, appaiono sulle testate giornalistiche di maggior rilievo con grande ricchezza di particolari, con grande compiacimento e con inaudita pervasività soprattutto quando nel paese e nel mondo accadono fatti che potrebbero far riflettere sulla criticità della realtà sociale ed economica attuale.

C’è stato un bombardamento mediatico sui femminicidi, sulla messa in opera della legge, sullo stalking che in verità altro non è se non un decreto sulla sicurezza. Nello stesso periodo andava in onda sulla RAI un indegno programma, “Amore Criminale”, che affondava le radici sull’immaginario arcaico dell’orco della porta accanto e nello stesso letto. Un altro esempio è quello del 16 di giugno, il giorno della grande rivelazione di Alfano: “Preso l’assassino di Yara Gambirasio”, con tutti i particolari in cronaca, dichiarazione che ha fatto saltare i nervi agli investigatori, in quanto comprometteva gravemente le indagini tuttora in corso.

Ma cosa stava succedendo di così importante per gli italiani il 16 di giugno? Era, guarda un po’, il giorno delle tasse. Giorno maledetto per gli italiani, che sono per lo più ricchi senza saperlo, tanto da avere difficoltà a pagare luce e gas, a dover chiudere attività o vedersi tassata oltremodo la casa di proprietà. Allora il femminismo che ha apportato alle donne se non altro una maggiore visibilità ed una maggiore partecipazione alla vita sociale ed economica, di fatto è stato inglobato.

Alcune donne hanno avuto ed hanno il potere. Ne ricordo alcune: Golda Meir, Condoleezza Rice, Hillary Clinton, Margaret Thatcher, fino all’attuale cancelliera tedesca Angela Merkel.

Insomma, a ben pensare sono proprio loro le regine del nuovo capitalismo globale e finanziario, che per un verso e al contempo sostiene con un effetto performante, attraverso la comunicazione mainstream, sempre più e con sempre maggiore determinazione la disgregazione delle relazioni per mantenere in maniera totale il controllo sulle nostre esistenze.

Tempo fa fui invitata ad intervenire in un gruppo di donne che avevano subito o subivano da parte dei propri partner violenza domestica o sessuale. Fu un’esperienza molto significativa. Una giovane donna raccontò di aver subito uno stupro di gruppo e raccontò il fatto. E raccontò dello smarrimento, della vergogna, della paura, del dolore morale e fisico ed infine, tra le lacrime e con grande rabbia concluse con queste parole: ”Ciò che mi addolora di più è non poter avere un rapporto sessuale senza che quel ricordo mi torni alla mente, per questo ho intrapreso una psicoterapia, voglio continuare a sorridere guardando negli occhi gli uomini che mi guardano“. Sempre in quel gruppo, una donna disse che trovava irrispettoso lo sguardo maschile, tanto da sentirsi violentata.

Questi esempi per dire della necessità di circoscrivere al fatto il trauma, che il trauma non diventi pervasivo e destabilizzante a tal punto da rendere impossibile qualsiasi rapporto con gli uomini. Bene, esiste un problema. Il problema non riguarda le singole persone da me conosciute nel gruppo, ma è un problema riguardante la relazione uomo-donna.

Cosa ci indicano questi due racconti emblematici? Il primo riguarda la violenza reale, nel secondo caso ci troviamo invece in un vissuto di violenza, assolutamente soggettivo, ma che fu accolto con assoluta comprensione dal gruppo, mentre la giovane violentata, dopo la dovuta commiserazione nel suo ruolo di vittima fu guardata con sospetto, per la sua affermazione sullo sguardo. Non era in linea nel considerare lo sguardo maschile come violento. Questo ricordo, riaffiorato in me dopo tanti anni, mi fa pensare che “Quando vedo le donne, da sempre ritagliate secondo il disegno cangiante delle ombre proiettate da un muro innalzato nel cuore stesso della vita, che tentano di passare senza armi, né bagagli, dallaltra parte di quel muro, invece di abbatterlo, mi convinco che il femminismo si è lasciato impercettibilmente sedurre dallordine delle cose[4].

E mentre leggevo gli articoli di Uomini Beta riguardanti l’espropriazione della paternità, la violenza non solamente psicologica esercitata dalle donne e la considerazione che le morti sul lavoro sono pressoché quasi tutte maschili e che di questo non si parla, immagini assolutamente e terribilmente incompatibili tra loro si sono materializzate nella mia mente: da una parte le torce umane dello “incidente” alla ThyssenKrupp, dall’altra l’immagine radiosa delle elette “quote rosa” del PD, di cui Renzi va tanto fiero.

Così ho cercato i dati sul sito dell’Inail e ad occhio e croce non mi tornavano i conti delle morti sul lavoro perché avevo letto di due incidenti sul lavoro solamente oggi, a Treviso un operaio muore folgorato e a Portovesme un altro operaio muore schiacciato da un camion, più il suicidio di un artigiano.

I conti non possono tornare perché le statistiche Inail sono le uniche considerate attendibili, se non fossero fasulle in partenza in quanto le percentuali considerano esclusivamente gli assicurati con l’ente. Su questo un approfondimento interessante sono gli articoli che si trovano di seguito, articoli che spiegano bene perché l’Inail ha dati poco attendibili.

Fermiamo la strage quotidiana

Nei primi 6 mesi del 2014 il 12% in più del 2013

Per concludere: come comunista, ma anche come donna abituata al confronto/scontro con gli uomini, e certamente anche come medico, forse un problema c’è davvero!

Ne possiamo parlare?


1 A. Le Brun “Mollate tutto” Ed. Sole Nero pag.57
2 Rita Chiavoni http://www.zeroviolenza.it/
3 Rita Chiavoni idem
4 A. Le Brun “Mollate tutto” Ed. Sole Nero pag. 20


90 commenti per “E’ tempo di chiudere con il femminismo?

  1. Roberto
    7 luglio 2014 at 17:17

    Ottimo articolo. Adesso mi sento come Fantozzi che dopo aver letto Il Capitale esclama: “Pina ma allora ci hanno sempre presi per il culo!”. Le sue intemperanze saranno presto sedate dall’intervento personale di un comprensivo megadirettore sedicente “progressista moderato” … tipo Renzi.

  2. 7 luglio 2014 at 18:03

    Come detto sopra , ottimo articolo
    L’ho ripetuto varie volte ,che ci siano uomini che esercitano violenza e che portano ai racconti di quelle donne è palese , quello che a me preme far capire e che, se per puro caso io e una donna ci troviamo ,quella donna in automatico non è che rischia la vita , spero di essere stato chiaro ….
    Ho fatto anche un piccolo articolo sul mio blog “Not men allowed” dove ci sono posti riservati alle sole donne ,per me questo ,anche il femminismo dovrebbe combattere ,non essere a favore ,ed infine senza contare la vera differenza che la fa la “classe sociale” e non il genere di appartenenza…
    Cosi, a grandi linee, il mio pensiero su questi argomenti ,

  3. Rita
    8 luglio 2014 at 9:49

    Ottimo articolo. A me quello che ha colpito di più è stata la narrazione della diversa accoglienza fra le due donne che hanno subito violenza.
    Si chiamerebbe istigazione alla misandria.
    Il termine sarà un po’ forte e magari sarà stato fatto in maniera più o meno consapevole, ma questo è quel che ho visto tentare di portare alla luce in questi anni in cui ho seguito scritti e parole degli “uomini della QM” 🙂
    Che poi beh.. no, non è forte. Sulla misoginia e sulla necessità di arginarla si sono versati fiumi d’inchiostro e ormai non si può muovere nessun appunto a specificità femminili che non siano più che elogiative senza incorrere nel rischio di essere accusati di misoginia. Eppure è lo stesso principio. Qui no, qui la donna che vuole, nonostante la violenza subita da uno o qualche uomo, continuare a fidarsi degli uomini e a guardarli negli occhi viene guardata con sospetto…

  4. 8 luglio 2014 at 11:54

    >Le ricaduta di questo dato incontrovertibile è che ci troviamo di fronte ad una truffa

    Certo che il femminismo è (in parte) una truffa.

    Rita, conosci questi passi?

    Mentre in tal modo si va impossessando di nuovi diritti … e scrive sulle sue bandiere e bandierine il «progresso» della donna – si realizza invece, con terribile precisione, l’opposto: “la retrocessione della donna”.

    http://anticristo.org/2014/01/25/la-morale-dei-deboli-e-lemancipazione-cristiana-della-donna/

    Nei tre o quattro paesi civilizzati d’Europa, con qualche secolo d’educazione si potrà fare delle donne tutto quel che si vorrà, persino uomini, non certamente dal punto di vista sessuale, ma comunque in ogni altro senso.
    Sarà questo il tempo in cui la collera costituirà la vera passione virile…

    http://anticristo.org/2014/01/27/lo-sturm-und-drang-delle-donne/

    Pensa uno è del ’78 e l’altro del ’86.
    Del 1878 e 1886.

    Era già stato (quasi) tutto previsto.

  5. Pingback: Anonimo
  6. Rino DV
    8 luglio 2014 at 20:45

    “Ne possiamo parlare?”
    .
    Certamente, ma è meglio evitare. Ne verrebbero fuori dei casini pazzeschi.
    Magari arriva qui una femminista leale (mi si passi l’ossimoro) a dire che la storia-esperienza dei maschi la dovrebbero raccontare i maschi stessi.
    Dovrei allora intervenire io a ricordare che non essendoci alcuna differenza naturale tra di Due (la bufala maschilista) quella storia-esperienza la possono benissimo raccontare le femmine.
    E che per lo stesso motivo compete alle medesime dire cosa e come devono essere i maschi.
    .
    Potrebbe arrivare qui un maschiloide sfigato a parlare di diritti riproduttivi maschili o di altre simili scempiaggini.
    .
    E così dovrei intervenire io a ricordargli il femminicidio, i roghi delle streghe, il sati indiano, il guojao cinese, il vlad arabo, gli stupri domestici, gli abusi paterni, la forclusione sociale universale, la somma storica delle violenze maschili.
    O magari piomba qui un padre separato a raccontarci la sua storia strappalacrime..
    Si dà la stura ai lavandini della c.d. “esperienza maschile”.
    Ne viene fuori un ginepraio ed io non ho tempo né energie da dedicare alla battaglia antimisogina e antimaschilista.
    Meglio lasciar perdere.
    .
    Rino DV

  7. Roberto
    9 luglio 2014 at 2:51

    “… Nell’attualità non possiamo che prendere atto che il femminismo si è coeso talmente tanto con la Ragion di Stato da essere diventato parte integrante dell’ideologia dominante del neoliberismo …”

    Il Gender Gap Report del World Economic Forum, è un’indagine su centinaia di paesi nel mondo per stilare la classifica del divario di genere tra uomini e donne. Il rapporto viene utilizzato dai media mainstream e dalle commissioni governative come riferimento autorevole sulla cui base impostare l’informazione e la politica sociale.
    Nel rapporto, come apertamente dichiarato a pagina 4, ogni evidenza di svantaggio maschile in tutti i paesi monitorati, viene deliberatamente cancellata, per dare risalto statistico solo allo svantaggio femminile.
    Le aree sociali monitorate sono selezionate in modo tale da indagare solo quei settori dove le donne sono tipicamente penalizzate. Non c’è per esempio nessun cenno al diritto riproduttivo e al diritto di famiglia, all’età pensionabile o agli infortuni sul lavoro, e l’aspettativa di vita viene normalizzata in modo tale che anche se gli uomini vivono di meno, questi sembrano alla fine godere di un privilegio.
    E ripeto. Una nazione dove ipoteticamente non vi fosse nessun uomo seduto in parlamento, restituirebbe, sulla base del metodo applicato, un coefficiente di assoluta parità tra i sessi.
    Su questa base vengono redatti gli articoli dei giornali, vengono scritti gli interventi parlamentari e vengono promulgate “discriminazioni positive” ai danni di cittadini di sesso maschile.
    Il femminismo, in particolare quello contemporaneo deprivato di ogni spinta filosofica umanista se non addirittura portatore di una nuova teoria dell’apartheid sessuale (superiorità morale e biologica femminile), rientra quindi nel novero delle menzogne progettuali del mainstream ed è oggi a tutti gli effetti un utensile per la manipolazione della coscienza di massa in funzione globalista. Un divide et impera planetario, in perfetto stile neo-machiavelliano, per proporre l’agenda politica mondialista come se fosse una domanda “dal basso”.
    Ma senza libera informazione non c’è democrazia. E senza democrazia non esiste, in termini legali, nessuna istanza popolare a cui appellarsi per l’esercizio del potere.
    Sostanzialmente una gigantesca truffa neo-conservatrice.

    • Roberto
      9 luglio 2014 at 3:13

      Ma fate attenzione a due cose: a) tanti compagnucci sono disposti ad abbandonare la lotta su uguaglianza e salari, per accogliere con entusiasmo l’invito sesso-razzista del potere e dare così libero sfogo alle proprie bestiali pulsioni; b) molte organizzazioni non governative femministe sono finanziate per fare lobby e imporre queste logiche ai governi. Ai più alti livelli. Quando parlate oggi con un/una fervente femminista c’è sempre il rischio che sia prezzolato/a, o in ogni caso che abbia un tornaconto personale anche di tipo politico, lavorativo o semplicemente di accettazione sociale.

  8. armando
    9 luglio 2014 at 10:32

    “L’inganno attuale risiede nel postulato che il patriarcato resista a tutt’oggi, come cultura che sostiene il neoliberismo, e che la violenza sulle donne sia l’espressione di questo dato acquisito una volta per tutte. Questa, a mio parere può essere considerata ancora un’ipotesi tutta da dimostrare, né più e né meno della mia.”
    Esatto, o quasi. Dipende da cosa si intende per patriarcato, concetto su cui esiste molta (interessata) confusione.
    Che il patriarcato non esista più o sia comunque al tramonto irreversibile, lo ammette anche il femminismo meno becero (Muraro, Dominijanni e altre). Non esiste più nessuna prevalenza giuridica del padre, nè sulla moglie nè sui figli, il cui “controllo” è anzi materno con larga esclusione del padre. Nessuna prevalenza giuridica del maschio anzi, nei fatti, il contrario. Ossia, non esiste più nulla che possa essere ricondotto al patriarcato come sistema per mezzo del quale i maschi si sono assicurati dei “vantaggi” (che poi sono tutti da verificare nella pratica, ma lasciamo stare) nei confronti delle femmine.
    Dunque non siamo alle ipotesi, ma a fatti.
    Il Patriarcato non esiste più! Ma il Capitalismo continua ad esistere eccome! Anzi si è così esteso da essere visto come l’orizzonte unico e immodificabile. Quindi il Capitalismo “dispiegato” e il Patriarcato non solo non sono la stessa cosa, ma sono incompatibili perchè il Patriarcato sarà anche stato quella cosa orribile di cui si dice, ma certamente non aveva come logica intrinseca l’accumulazione del capitale.
    Si può constatare anche un’altra cosa interessante. Il femminismo è cresciuto e si è amplificato contemporanemanete alla vittoria universale del Capitalismo, il che significa, almeno, che i due fenomeni non sono affatto incompatibili, anzi. Sul perchè ci tornerò.
    armando

    • Fabrizio Marchi
      9 luglio 2014 at 12:46

      “Si può constatare anche un’altra cosa interessante. Il femminismo è cresciuto e si è amplificato contemporaneamente alla vittoria universale del Capitalismo, il che significa, almeno, che i due fenomeni non sono affatto incompatibili, anzi. Sul perchè ci tornerò”. (Armando)
      Sottoscrivo in toto,naturalmente, perché è ciò che come Associazione degli Uomini Beta sosteniamo da sempre, e cioè che esista appunto una relazione strettissima, organica, fra l’ideologia femminista e il sistema capitalistico. Il fatto che il femminismo sia stato abilissimo nel camuffarsi come ideologia “progressista”, di “sinistra” (in questo caso può essere anche parzialmente vero, bisogna però mettersi d’accordo sul significato che questi termini hanno ormai assunto…), o addirittura “rivoluzionaria” non ne cambia la sostanza.
      Non entro nel merito perché chi vuole può approfondire l’argomento sul sito degli Uomini Beta: http://www.uominibeta.org che si occupa specificamente di questa (fondamentale) questione

      • Roberto Castelli
        12 luglio 2014 at 18:51
        • Fabrizio Marchi
          12 luglio 2014 at 22:49

          Io direi che ci si adopera per la distruzione del “paterno”, il patriarcato è un altro discorso che non va confuso né sovrapposto al primo. Fra i due non è affatto detto che ci sia sempre e comunque una correlazione diretta o indiretta.
          Non commettiamo anche noi questi errori, caro Roberto Castelli, altrimenti ci diamo la zappa sui piedi da soli…

          • Roberto
            13 luglio 2014 at 2:25

            Infatti il problema non sono leggi come questa bensì il fatto che abbiamo solo proposte selettive in una sola direzione.
            Sarebbe interessante discutere di uguaglianza anche sul diritto riproduttivo, oltre che sul cognome, cioè sul diritto di autodeterminazione dei ragazzi ad avere un figlio quando lo desiderano e lo programmano, come le ragazze, e non quando vengono incastrati.
            I diritti di autodeterminazione genitoriale post-coito maschili sono fermi all’anno zero e siamo ancora al “potevi pensarci prima”, al “ti sei divertito adesso paga”, cioè a concezioni proprie della società patriarcale che guarda caso gli stessi che si scagliano contro il patriarcato si guardano bene dallo stigmatizzare.
            Questo doppio-standard “progressista” è rivelatore di qualcosa che va ben al di là del fatto in sé. Questa è secondo me una delle osservazioni chiave del movimento maschile nel mondo, ed è secondo me uno dei motivi per cui il neo-femminismo si coniuga bene con tutte le altre pratiche doppio-standardiste dell’imperialismo occidentale versione 2.0.

  9. cesare
    11 luglio 2014 at 14:54

    “Stanno creando un cimitero e lo chiamano libertà”.

    Preso atto che:
    1) tutti, dicesi tutti gli studi demografici in Italia e in Europa, evidenziano l’invecchiamento della popolazione, che è un bene, ma anche la mancanza di giovani, che è un male, al punto che in prospettiva, forse ineludibile ormai, c’è persino l’estinzione di un popolo,per es. il nostro;
    2) i popoli cui corrisponde questo crollo demografico, e connessa prospettiva di estinzione, coincidono con le aree di diffusione del’ideologia femminista,
    preso atto di questo è corretto trarre queste conclusioni? ovvero che:
    a) una idelogia nata come riflesso nella coscienza femminile di una emancipazione femminile finalmente conquistata dallo sviluppo della civltà ( e non viceversa!), come ai tempi di Costantino per il cristianesimo, diventa la bandiera del potere imperiale (senza persecuzioni nè lotte), e perviene all’effetto paradossale, per nulla connesso alla condizione di emancipazione, anzi!, che proprio la donna, preposta ad oggi per natura e da millenni per cultura alla continuazione della vita e alla sua tutela, diventa, anche suo malgrado, interprete di un radicale, consapevole e culturale rifiuto della vita,
    b) l’attuale configurazione, di derivazione in buonaparte femminista, dei diritti riproduttivi e del diritto familiare porta alla fine fisica di un intero popolo,
    c) la libertà femminile, preziosissima conquista di tutti, per disumana ed irresponsabile pervertita declinazione ideologica finisce per essere sincronica e simpatetica con la fascinazione di morte di una intera civiltà.
    Se le conclusioni di cui sopra sono corrette, allora il primo errore è la mancata critica, in primis da parte delle donne, all’ideologia femminista ( e alle femministe in carne ed ossa) che l’ha portata a cedere alla lusinga di incarnarsi storicamente come ideologia imperiale dell’impero contemporaneo, alleandosi con esso e traendone l’irresistibile forza di imposizione giudiziaria e persino militare, e la diffusione vittoriosa. In cambio dell’appoggio femminile l’impero oggi nelle insegne dei suoi eserciti reca scritto:”in hac genere vinces”.
    Allora è forse davvero tempo di chiudere col femminismo storicamente incarnato che ha decretato nei suoi mali-frutti storici la sua sconfitta, morale ed etica, secondo cuore e e ragione.
    Dell’impero e delle sue incaute alleate oggi si potrebbe infatti scrivere: “stanno creando un cimitero e lo chiamano libertà”.

  10. rita chiavoni
    13 luglio 2014 at 1:55

    Non nascondo una certa perplessità nel constatare che i commenti allʼarticolo sono esclusivamenti maschili.
    É possibile che linterferenza sia un giornale frequentato solamente da uomini, su questo un invito alla riflessione è doveroso, o alle donne lʼargomento semplicemente non interessa. In ogni caso alcuni commenti mi hanno fatto pensare.
    Rino D.V. si sfila elegantemente dal discorso, forse per non affrontare la complessità dello stesso, proprio lui che scrive la complessità è ʻProspettiva mobile, plastica, sospettosa delle sue stesse conquiste, intese come stadi provvisori di una lettura che non può, né deve, finire di arricchirsi, di riarticolarsi, di problematizzarsi, ma anche, ove necessiti, di tornare a semplificarsi. E non è un paradossoʼ.
    Francamente non capisco e mi chiedo se non sia un modo per non ʻriarticolareʼ e non ʻproblematizzareʼ la semplificazione del Movimento Uomini Beta secondo cui, come sostiene più avanti Fabrizio Marchi il femminismo è stato abilissimo a camuffarsi come ideologia progressista, ribaltando completamente il discorso da me fatto.
    Questo ribaltamento del mio discorso potrebbe essere vissuto dalla sottoscritta come un artificio, una trappola per farmi assumere posizioni non mie
    Il nucleo centrale del mio discorso, infatti, e non credo di aver mancato di chiarezza, è che il soggetto del mio discorso non è neʼ la donna , neʼ lʼuomo oggettivati ontologicamente , il soggetto è il capitalismo che a seconda della via imboccata dalla cultura, dalla società dalla scienza, insomma dalla sovrastruttura marxianamente intesa, ha la capacità di digerire e fare proprie le conquiste ottenute da classi e ceti subalterni pur riproponendosi costantemente uguale a se stesso per quel che riguarda la struttura economica continuando ad applicare la regola del profitto con lo sfruttamento dellʼUomo/Donna su lʼuomo/donna.
    “La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura -… – esercitano pure la loro influenza nel corso delle lotte storiche ed in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante….Se non fosse così lʼapplicazione della teoria ad un periodo della storia sarebbe più facile che la soluzione di unʼequazione di primo grado.”1
    La cultura borghese ribadisco ha ʻinglobatoʼ e ha fatto propria la questione femminile nei termini proposti nellʼarticolo. Certamente il femminismo ha avuto una valenza progressista allʼinterno della cultura borghese stessa. Per cui non è il femminismo che si è camuffato, quanto lʼideologia capitalista che si è ʻmischiataʼ con il femminismo spingendo questo, di fatto, verso il separatismo.
    La questione femminile e la questione maschile però non troveranno pace allʼinterno di nessuna visione separatista. É proprio per lʼesigenza di tornare a semplificare che ho scritto lʼarticolo. Ma semplificare cosa? Certamente nessuna semplificazione è proponibile per la polarità inesauribile dellʼeros che sottende ogni relazione e che va solamente vissuta ed accettata nella sua complessità. Complessità che certamente include al suo interno anche la dimensione socio-economica, contesto imprescindibile dove tali rapporti si concretizzano, e dove il desiderio si manifesta, nel dispiegarsi di tutte le contraddizioni storicamente determinate.
    A mio parere vi è la necessità di ricomporre (ed è qui la mia semplificazione) il discorso sui generi che se per un verso va riconsegnato ad una dimensione privata, dallʼaltro, dopo le quanto mai necessarie riflessioni del secolo passato su unʼoggettiva esclusione delle donne dalla sfera pubblica e altrettanto reale repressione della sua sessualità, queste
    1 ʻIl marxismo volgareʼ in “Scritti sullʼarte” a cura di C. Salinari ed. LATERZA 1970 pag.63
    ʻconquisteʼ metabolizzate restano di fatto conquiste borghesi, perchè capitalismo ed imperialismo godono ancora di ottima salute. Forse dobbiamo chiederci allora se non sia tempo di riflettere che se la pseudolibertà femminile ʻfinisce per essere sincronica e simpateticaʼ al capitalismo è anche ora di finirla di porre la questione dei generi e tornare ad od occuparci di come riprendere una lotta comune per svelare lʼinganno che “stanno creando un cimitero e lo chiamano libertà” e questo sarà possibile solamente uscendo dalle gabbie psicologiche nelle quali veniamo spinti.

  11. rita chiavoni
    13 luglio 2014 at 2:05

    vedo ora che si sono aggiunti altri commenti, sempre rigorosamente di uomini. Sì Fabrizio, è grave confondere patriarcato e paterno. eppure questa confusione ci dice molto soprattutto su come il paterno sia stato tanto mistificato e direi proprio per questo oscurato dal patriarcato. bell’argomento da approfondire!

  12. Rino DV
    13 luglio 2014 at 8:52

    Cortese Rita Chiavoni, il mio commento gioca sul paradosso e va in direzione opposta ad ogni ipotesi di mio sganciamento dal tema.
    L’equivoco è però fondato, giacché io stesso ne ho dato adito.
    .
    Non ti sfuggirà il fatto che il porre in discussione il femminismo può diventare esplosivo soprattutto a Sinistra, locus filosofico-politico che è oggi il suo nido.
    .
    E’ un big-bang possibile, non sicuro, dal momento che da decenni le femministe stesse ne discutono (se sia superato, se abbia esaurito il suo compito storico, se sia degenerato, se vada rigenerato etc.) Problematiche interne alla sua dinamica, pura accademia e/o processo autocorrettivo con finalità riproduttive, dal mio punto di vista, se non lo si mette in discussione radicalmente, ab imis fundamentis.
    Ma in questo caso è come giocherellare con la nitroglicerina
    .
    Solo uomini qui? Sì, a parte la tua omonima – ormai studiosa storica (e quasi attivista) dell’ignotissimo movimento maschile italiano.
    Solo uomini e solo vecchie conoscenze. Il che già di per sé la dice lunga. Non so cosa accada su FB a seguito del tuo intervento, ma non mi faccio illusioni.
    .
    RDV

    .

  13. Fabrizio Marchi
    13 luglio 2014 at 10:26

    No, un momento, un chiarimento doveroso, dopo di che tornerò successivamente nel merito del commento di Rita Chiavoni e anche quelli di Rino Della Vecchia e Roberto.
    Un conto è Uomini Beta e un altro L’Interferenza. Uomini Beta è il sito dell’Associazione degli Uomini Beta cioè di un’associazione di autocoscienza e non solo, maschile, ed è, per ovvie ragioni, seguito prevalentemente da uomini, né potrebbe essere altrimenti. Per lo meno quelli che intervengono sono quasi esclusivamente uomini, anche se abbiamo avuto nel corso degli anni diversi interventi da parte di donne, oltre al contributo sistematico della già citata da Rino, Rita (non Chiavoni). E’ probabile che ci siano anche delle donne che lo seguono ma non intervengono, anche se in passato, come ricordavo e come molti ricorderanno, sono intervenute spesso e anche numerose.
    L’Interferenza è un’altra cosa, è un giornale pensato e fondato dal sottoscritto (che vive , ovviamente, grazie al contributo fondamentale di chi ci scrive e di chi lo gestisce dal punto di vista tecnico), seguito da tutti e da tutte, cioè sia da uomini che da donne, come peraltro si evince anche dai commenti ad altri articoli.
    La questione che pone Rita Chiavoni, riguarda quindi questo articolo specifico. E vi assicuro che questo stesso articolo è stato diffuso su moltissime bacheche di Facebook, sia di uomini che di donne, ovviamente, ed è stato apprezzato da moltissimi uomini (fra cui moltissimi comunisti dichiarati o appartenenti ad aree della sinistra cosiddetta antagonista) e ha suscitato anche un certo dibattito – sempre su FB – in cui anche diverse donne hanno commentato (negativamente, devo dire, e qualcuna anche in modo abbastanza sconcertato) .
    Il problema dunque riguarda questo articolo specifico, non il giornale in se. Allora bisogna chiedersi perché solo alcuni uomini hanno saltato la “mediazione” di FB (ricordo a tutti che ormai, tranne i blog di alcuni grandi quotidiani o quello di Beppe Grillo, i social network hanno succhiato pressoché i lettori a tutti i siti e i blog) e sono intervenuti direttamente sul giornale per commentare questo articolo, e perché invece nessuna donna lo ha fatto. Solo poche, come dicevo si sono limitate a rispondere su facebook in modo abbastanza infastidito o contrariato, mentre come ripeto, i “mi piace” e le “condivisioni” (come si usa su FB, per quelli che qui, e ne conosco alcuni, non conoscono come funziona perché, a mio avviso, sbagliando, non si sono mai iscritti a quel social network) da parte degli uomini sono state moltissime, anche superiori alle mie aspettative. Relativamente agli apprezzamenti maschili la spiegazione ce l’ho. Un articolo di quel tipo scritto da una donna e non su un blog maschile ma su un giornale “generalista” (anche se L’Interferenza è un’altra cosa ancora ma ci siamo capiti…), sollecita gli uomini a farsi coraggio e a uscire dal guscio, anche con un semplice “mi piace”. E’ già molto, dati i tempi e dato il terrore che suscita la sola ipotesi di esporsi pubblicamente in modo critico nei confronti dell’ideologia femminista, intesa in senso lato (ricordo peraltro che su FB la stragrande maggioranza delle persone è presente con il proprio nome e cognome, luogo e data di nascita, generalità ecc. Insomma è una “piazza” pubblica, come “twitter” e infatti oggi anche tanti esponenti politici quando devono diffondere una dichiarazione la diffondono direttamente sui loro profili su twitter stesso o su FB…)
    Alla luce di tutto ciò, mi sento quindi da una parte di rimpallare la domanda a Rita Chiavoni e cioè:”Perché le donne non intervengono o sono reticenti su questo argomento o si chiudono a riccio nel loro fortilizio ideologico?” E dall’altra, senza nessuna enfasi, per carità, non è nel mio carattere, mi sento di trasmettere un pizzico di ottimismo a Rino che normalmente, siccome lo conosco, non ne sprizza da tutti i pori, come si suol dire…
    La situazione è certamente molto difficile per chi, come noi, mette radicalmente in discussione il femminismo, ma il terreno non è stato completamente bruciato, e di questo ne sono sicuro perché lo verifico con mano, perché, a differenza tua, caro Rino (è una critica bonaria che ti faccio), mi misuro pubblicamente e quotidianamente su queste questioni, a differenza tua (che hai avuto altri grandi meriti, sia chiaro, primo fra tutti l’aver scritto un libro straordinario in tema) che tendi invece ad isolarti e quindi non hai forse il polso delle cose. Certo la difficoltà degli uomini a uscire allo scoperto è ENORME (e anche il fatto che più o meno i soliti noti abbiano commentato direttamente sul giornale questo articolo, lo conferma), però, ribadisco, nonostante ormai 50 anni di lavaggio del cervello, di sensi di colpa scientemente instillati, non sono riusciti a fare terra bruciata.
    Tornerò presto sulle osservazioni fatte da Rita Chiavoni, molto interessanti, devo dire, anche se (e questo lei già lo sa, perché ne abbiamo parlato) ancora a mio parere interne ad una logica marxista tradizionale (struttura e sovrastruttura) che andrebbe a mio avviso quanto meno in parte rivisitata. E chi scrive non ha certo in antipatia il buon vecchio Marx, come noto…
    Anche se il suo discorso sull’intervento della sovrastruttura o delle di volta in volta diverse sovrastrutture va senz’altra nella mia stessa direzione. Si tratta di capire se quelle stesse, per il ruolo e la funzione che rivestono nell’attuale contesto, possano ancora essere considerate come tali, cioè come sovrastrutture. Il controllo della psiche, che abbiamo da tempo individuato e denominato come “psico-eto-sfera”, cioè non più e non solo la sfera privata del singolo ma una vera e propria dimensione psichica intersoggettiva che caratterizza la SIA (società industriale avanzata), dominata o caratterizzata dal binomio Capitale-Tecnica (non a caso ci stiamo occupando anche di queste materie, e abbiamo volutamente lasciato aperta la discussione, anche perché sarebbe impossibile, allo stato, chiuderla) può essere oggi considerato come una mera sovrastruttura? Ho i miei dubbi, in tutta sincerità. Poi posso senz’altro essere d’accordo sul fatto che i “padroni” o i controllori della “psicosfera” sono in larghissima parte anche i proprietari dei mezzi di produzione. Però allora in questo caso possiamo dire che siamo in presenza di una diversa “struttura”, o di una struttura che si è trasformata nel corso del tempo fino ad inglobare la sovrastruttura e a confondersi con essa.
    Proprio la vicenda del femminismo è un esempio perfetto di quanto sto dicendo. Il femminismo è sicuramente in parte nato come un’ideologia esogena al capitalismo (solo in parte, a mio parere, perché se il femminismo italiano e francese ha una sua origine autoctona e affonda le sue radici in una reinterpretazione della relazione fra i sessi sulla base di una ulteriore interpretazione e secondo me rivisitazione del pensiero marxiano, il famoso copia-incolla della dialettica hegelo-marxiana a cui spesso faccio riferimento), il femminismo made in USA ha poco o nulla a che vedere con la tradizione marxista e/o socialista ed è quello che alla fin fine è diventato egemone. I due si sono mescolati, commissionati, così come si sono commissionati i vari femminismi (della differenza e dell’eguaglianza ecc.) fino al punto che è di fatto impossibile distinguerli, per la semplice ragione che hanno subito delle profonde trasformazioni, fino a determinarsi nel modo in cui storicamente si sono determinati. Che è ciò che conta, come ben sappiamo e ciò che ripetiamo da sempre. Le intenzioni, anche laddove fossero le migliori (e secondo me non è questo il caso del femminismo) sono una cosa, i fatti un’altra. E ciò che conta sono i fatti, cioè ciò in cui storicamente un’ideologia si determina e si concretizza. Così come non esiste un comunismo ideale e uno reale (non parlo solo del socialismo reale), un capitalismo ideale e uno reale, ma solo un comunismo reale e un capitalismo reale, per le stesse ragioni non esiste un femminismo reale e uno ideale. Il femminismo è, come il capitalismo e come il comunismo, ciò che storicamente si è realizzato.
    Per questa ragione io affermo da molto tempo ormai che il femminismo è oggi una ideologia del tutto funzionale al sistema capitalistico e viceversa.
    Va bè, dicevo che ci sarei tornato per non farla troppo lunga ma, come al solito, mi sono fatto prendere la mano…
    Ci tornerò comunque, e a brevissimo, perché c’è da approfondire…

  14. Alessandro
    13 luglio 2014 at 12:08

    Il femminismo attuale, quello misandrico, quello dei privilegi per un genere e discriminatorio verso l’altro, quello delle ossessioni sul corpo, femminile, che diventano leggi dello Stato, è un prodotto delle nostre nevrosi che crescono e si sviluppano nella società capitalistico-consumistica, con l’invidia sociale e la volontà di potenza che ne sono il motore. Esso prospera perchè del tutto confacente ai suoi ingranaggi ed equilibri. Senza questo genere di società non ci sarebbe alcun femminismo di tal fattura, come d’altronde è testimoniato dalle esperienze storiche e da quelle attuali.

  15. patrizia
    13 luglio 2014 at 15:15

    Sarò marxista:
    Le origini del sessismo devono essere riconosciute nel conflitto di classe . Penso che la discriminazione nei confronti delle donne sia un epifenomeno all’interno di un fenomeno più complesso che si declina attraverso la dialettica oppressi/oppressori. Il fatto di aver spesso considerato il femminismo (sarebbe più corretto parlare di “femminismi”, considerando i “campi di trasformazione”) come qualcosa di separato rispetto ad un progetto globale, ha consentito al capitalismo, con la sua capacità mimetica e con il suo camaleontismo, di fagocitarlo e , dunque, di neutralizzarlo. Al di fuori di questa prospettiva, non sarà possibile effettuare nemmeno quel corto circuito linguistico-categoriale che ha permesso agli uomini, per secoli, direi dalla nascita del logos, di imporre il proprio ordine simbolico

    • Roberto
      13 luglio 2014 at 16:25

      Il capitalismo non ha neutralizzato il femminismo ma l’ha finanziato. Le ONG prendono i soldi dalla Ford Foundation, e la vostra sovrapposizione di lotta di classe con lotta di genere è quella che ha fatto fallire la lotta di classe. E nessuno di voi l’ha mai denunciato. Lavorate al servizio delle classi dominanti e non ve ne rendete nemmeno conto, e non ve ne renderete mai conto, perché l’odio che è stato introdotto nel racconto delle relazioni di genere dal potere, ve lo siete bevuto tutto come degli utili idioti.
      Siete dei falliti, i lavoratori in mano a questa sinistra ormonale possono rassegnarsi alla dismissione totale di ogni diritto acquisito. Il femminismo e tutto il suo racconto estremista rientra nelle pratiche di divide et impera dell’imperialismo neo-machiavelliano occidentale. Cosa c’è di meglio per mettere in conflitto non una regione bensì il mondo intero, che usare i sessi come se fossero una contrapposizione religiosa, e per poi proporsi, in quanto potere schierato da una parte, come soluzione?
      Guardatevi. Anche SEL sta convergendo nel PD. Non siete più capaci di interpretare la realtà e non vi resta che aderire alla sinistra liberal indistinguibile dal neoconservatorismo se non per piccoli insignificanti dettagli.

    • Roberto
      13 luglio 2014 at 16:51

      “Le origini del sessismo devono essere riconosciute nel conflitto di classe”

      Devono? Cos’è un ordine? Se non era per l’appoggio del mainstream, i vostri deliri non li stava a sentire nessuno. Non siete bravi, siete solo supportati.

      • patrizia
        13 luglio 2014 at 17:00

        Non è un ordine. mi spiace che sia stato interpretato così. Non sono affatto organica alle logiche mainstream. Non capisco neanche a chi ti stia riferendo, utilizzando il plurale. I deliri di chi?

    • 14 luglio 2014 at 9:26

      “Penso che la discriminazione nei confronti delle donne sia un epifenomeno all’interno di un fenomeno più complesso che si declina attraverso la dialettica oppressi/oppressori.”

      Un bel modo per riconosce l’alterità F/M : Il Bene e il Male.

      Adesso Patrizia, dimostrando di saper pensare con la sua testa e di aver superato la logica/morale manichea (di ordine religioso) ci illustrerà, rendendo omaggio allo splendido messaggio di Luce Irigaray che quel “ti riconosco diverso da me”, ti riconosco nel rispettivo bene/male, e non “ti riconosco diverso perché” tu sei il male ed io il bene.

      Dai Patrizia … famme sognà!

  16. Fabrizio Marchi
    13 luglio 2014 at 19:57

    Rita si chiede, giustamente, perché le donne non intervengono per commentare il suo articolo. E anche su FB, in effetti, la maggior parte dei commenti sono stati maschili. Quelle poche donne che sono intervenute lo hanno fatto per riproporre la solita polpetta (o polpettone) vetero marxiana engelsiana (più o meno quello che ha fatto anche Patrizia in cinque righe), riproposta tale e quale, decontestualizzata, destoricizzata, come se il marxismo fosse una scienza pura, perfetta, eterna, incorruttibile, buona e applicabile così com’è per ogni epoca. Non si rendono conto che è proprio interpretando il Marx pensiero in questo modo che lo indeboliscono, lo sviliscono, lo devitalizzano o meglio, ci provano ma fortunatamente non ci riescono perché la filosofia marxiana è stata anche e soprattutto altro.
    Come ho avuto modo di ribadire tante e tante volte, non qui sull’Interferenza ma su Uomini Beta,è la stessa operazione che fanno gli anticomunisti viscerali, come ad esempio i liberali popperiani di destra (ma anche di sinistra) che arrivano ad attribuire a Hegel e addirittura a Platone la responsabilità morale degli orrori del regime di Pol Pot o della dinastia dei monarchi assoluti nordcoreani dei Kim Il Sung, Ill, Unn e via discorrendo da padre in figlio in pronipote…
    Un’operazione che non esito a definire ridicola, dal punto di vista filosofico e teoretico. Il metodo accomuna paradossalmente, come dicevo, i comunisti ultraortodossi e gli anticomunisti altrettanto ultraortodossi; dovrebbero rifletterci entrambi. Degli anticomunisti viscerali me ne frego, dei comunisti ortodossi, tutto sommato, nonostante tutto, nonostante mettano a durissima prova la mia pazienza, ancora non riesco a fregarmene. Sarà un fatto sentimentale, che vi devo dire, c’è comunque odore di famiglia, diciamo così, in qualche modo sono anch’essi carne della mia carne (come i socialisti, come gli anarchici, come chiunque altro abbia camminato in quello stesso solco…) e allora faccio del mio meglio per provare a farli ragionare.
    Anche questa riproposizione dello schema marx-engelsiano (più engelsiano che marxiano; sanno tutti che Marx si è occupato assai marginalmente di queste questioni) è diventato francamente stucchevole. Marx stesso, proprio nel Manifesto, cioè nel testo più semplice e di più grande diffusione ma paradossalmente più importante di tutta la sua produzione filosofica, risponde alle critiche ipocrite che gli vengono mosse relativamente al suo proposito di voler distruggere l’istituzione familiare (e di conseguenza il patriarcato) sostenendo appunto che la famiglia (proletaria) è già stata distrutta dai rapporti di produzione capitalistici e che rimproverare ai comunisti di voler distruggere la famiglia è ipocrita e ridicolo. E’ ovvio che la struttura patriarcale a cui faceva riferimento Marx era la grande famiglia borghese che certo, all’epoca, era di natura patriarcale. Ma non è questo il punto. Il punto è che è proprio questo metodo, questo modo di procedere, che è strutturalmente errato. Nel corso dei miei modestissimi studi universitari (e anche dopo) ho sentito le più scombiccherate tesi sul cosiddetto “comunismo platonico” (da cui il germe del totalitarismo…). Dalla parte opposta ho invece ascoltato critiche altrettanto serrate che volevano Platone come un fervente aristocratico e antidemocratico. Altri che invece hanno visto in lui addirittura (ho sentito anche questo) covare il germe del liberismo (perchè Platone, nella sua concezione gerarchica derivante dalla sua dialettica, sosteneva che una determinata tipologia umana per sua natura dovesse essere preposta al libero commercio), altri ancora che Platone era un sostenitore della schiavitù e quindi giustificava la tirannia ecc. ecc. ecc. E il bello, si fa per dire, è che questa sequela di banalità non le ho sentite dire da qualche studentaccio scansafatiche come il sottoscritto, ma da illustri accademici che oggi sono l’orgoglio dei salotti mediatici e che sono pagati per celebrare l’ideologia della fine delle ideologie (cioè l’inevitabilità del Mercato e del Capitale, elevati a dimensione ontologica, e la resa incondizionata alla Tecnica).
    Nessuno, o quasi nessuno (quasi mai gli accademici), si interroga, con molta più semplicità, sul fatto che anche quel grande filosofo (come tutti gli altri) era un uomo (seppur di doti intellettive straordinarie, come gli altri suoi pari) figlio del suo tempo e del suo contesto, che le sue categorie interpretative erano, inevitabilmente, socialmente dedotte. Questo spiega le contraddizioni e i paradossi (per noi che leggiamo la sua filosofia a distanza di duemila e passa anni) del suo pensiero: il comunismo (dei beni) applicato agli uomini d’arme, la libertà di commercio per gli uomini il cui spirito, secondo P., era predisposto in tal senso (e quindi il mercato), il mantenimento della schiavitù (che allora era una fatto assolutamente normale), e infine il governo nelle mani dei saggi, cioè dei filosofi.
    Ebbene, lo stesso metodo viene applicato sia dai comunisti ortodossi che dagli anticomunisti ortodossi. Si prendono Marx o Engels e li si trasporta nel terzo millennio come se nulla fosse, come se la bomba atomica e gli uteri artificiali non fossero stati inventati, così come l’eugenetica, la clonazione, e via discorrendo…
    In particolare, nel caso specifico, si prende il “famigerato” testo engelsiano “Le origini della famiglia e della proprietà privata” e lo si catapulta nel terzo millennio. Eppure una delle critiche più serrate che vengono mosse ai marxisti ortodossi è proprio quella di “storicismo”. Pare proprio invece che in questo caso siano impermeabili a tale critica.
    Ma voglio essere chiaro fino in fondo. Per quanto mi riguarda, nella questione specifica, la ricostruzione engelsiana e anche marxiana è secondo me ormai in grandissima parte superata dai fatti e dalla realtà (per quanto riguarda questa questione, sia chiaro…). Non solo, pensare che prima della nascita del patriarcato contestualmente a quella della proprietà privata, il mondo si trovasse in una condizione di armonia e di pace universale garantiti dalla posizione di egemonia della donna e dal matriarcato, assomiglia, in tutta sincerità e con tutta l’ammirazione sconfinata che nutro per i padri del socialismo e del comunismo, più a una favola per bambini (della serie “C’era una volta…”) che non a una ricostruzione storica e scientifica dei fatti. Ma, ripeto, non gliene faccio affatto una colpa. Marx ed Engels erano figli del loro tempo e del loro contesto e sulla scorta della loro esperienza e in un contesto sociale che effettivamente vedeva il patriarcato dominante per lo meno sulla grande scena pubblica (e ricordo che allora il borghese, maschio, capitalista, proprietario, cioè lo 0.5%, forse, dell’intera popolazione maschile adulta, era in quella fase storica il soggetto sociale effettivamente dominante) non erano molto probabilmente nelle condizioni di intepretare diversamente da come hanno intepretato.
    Ora, catapultare quel testo di Engels ai giorni nostri, è come prendere (non vuole essere una metafora) la Repubblica di Platone e pretendere di realizzarla, qui ed ora. E’ ben altro il messaggio che dobbiamo prendere da Platone (per chi è platonico, io non lo sono..).
    Ma fin qui, (credo) di aver risposto a Patrizia, più che a Rita, la quale (Patrizia) si dichiara marxista e lo fa anche con una certo cipiglio assertivo (“Sarò marxista”, così esordisce…”Me cojoni”, si dice a Roma…). Peccato che anche il sottoscritto si definisca tale…
    E qual è la lettura che ci propone Patrizia, sia pure in poche righe? La vetero lettura veterocomunista. La discriminazione (data per scontata, come una Verità Assoluta, Incontrovertibile e Incontestabile, quando a mio parere è solo un’interpretazione, sia pure certamente con delle verità altrimenti non sarebbe credibile) delle donne è il portato del sistema capitalistico. Facciamo la rivoluzione e cambieremo anche la condizione delle donne. La discriminazione delle donne è l’epifenomeno (quindi la sovrastruttura) del fenomeno (cioè la struttura). Facciamo la lotta di classe, tutti uniti, uomini e donne (senza però dimenticare, sia chiaro, cari compagni, non pensiate di cavarvela così, che le donne vantano un credito millenario perché sono sempre state oppresse dal capitalismo che è anche patriarcale e dale precedenti società che erano anch’esse patriarcali), scordammoce ‘o passato (cioè 50 anni di pestaggio sistematico antimaschile sessista, razzista e interclassista), simme e napule paisà, facciamo la rivoluzione e cambieremo il mondo (sempre ricordando che le donne vantano un credito millenario) e quindi avrà termine anche la millenaria oppressione degli uomini sulle donne.
    A me pare anche questa una favola per bambini che si rifiuta di leggere la complessità della storia e della relazione fra i sessi nella storia, della divisione scoiale e sessuale del lavoro e tutto ciò che ne è derivato (come si spiegano ad esempio, in piena epoca di dominio patriarcale, nove milioni di maschi e poveri massacrati durante la prima guerra mondiale? E’ solo un esempio, ne potrei portare migliaia, non metaforicamente…Devo forse pensare che la condizione delle oppresse è migliore di quella degli oppressori?…Qui ci sono già due verità oggettive in un fatto: crepano maschi e maschi poveri. Ci sono già degli elementi sufficienti per trarre delle conclusioni…).
    Ma qui mi devo fermare perché altrimenti non la faccio più finita.
    Dicevo… Rita si chiede perché le donne non intervengano per commentare il suo articolo. Bè, cara Rita, dobbiamo guardare la realtà con gli occhi lucidi e senza infingimenti. La domanda è (purtroppo): chi glielo fa fare? Hanno a disposizione un’ideologia bell’e pronta e impacchetta, il femminismo, che nessuno, dicasi nessuno (tranne pochi maschilisti, brutti, sporchi e cattivi e che in quanto tali non fanno testo), osa contraddire. E grazie a questa ideologia sono in grado di vantare un credito inestinguibile, di mettere gli uomini nell’angolo, di trarre dei vantaggi a tutti i livelli. Perché mai dovrebbero mettere in discussione ciò che non è nel loro interesse mettere in discussione? Chi è che fa qualcosa contro i propri interessi con l’eccezione di qualche (lodevole) hegeliana “coscienza infelice”?
    E qui la questione si apre ancora di più ma mi fermo perché la riprenderò più avanti.

  17. patrizia
    13 luglio 2014 at 20:54

    Non pensavo, dopo aver letto l’articolo di Rita, di dover affrontare una querelle tra accademici. Il mio era un semplice commento che esprimeva un bisogno di interpretare il mondo attraverso un certo motore della storia, ben sapendo, per dirla con Braudel, che non esiste un unico motore della storia. Rimango tuttavia stupita per il tono generale dell’interlocuzione , specie quando si affronta un tema delicato come quello della differenza di genere. Forse un incipit essenziale potrebbe proprio essere il ri-conoscimento dell’altro , in una comunicazione tra individui in cui l’altro sia rispettato . Splendido il messaggio di Luce Irigaray quando dice: “Ti riconosco significa che sei differente da me, che non posso identificarmi, che non posso identificarti, identificarmi a te, né controllare il tuo divenire. E questo negativo è ciò che mi permette di andare verso di te”.

    • Fabrizio Marchi
      14 luglio 2014 at 0:26

      Cara Patrizia, io posso essere d’accordo con te, anzi, sono decisamente d’accordo. Dovresti però innanzitutto rivolgerti alle tue compagne (che poi dovrebbero essere anche le mie) e dirgli che forse è il caso di pensarci bene prima di ripetere sistematicamente in ogni dove che la violenza è maschile e che gli uomini sono sempre e comunque gli oppressori e i privilegiati.
      Anche perché non vedo proprio come possa essere possibile quel riconoscimento dell’Altro di cui tu stessa parli (e io sono d’accordo) nel momento in cui l’Altro viene considerato un violento, uno stupratore potenziale, un oppressore, privilegiato e un guerrafondaio. Quale riconoscimento reciproco può esserci in siffatte condizioni?
      E’ da quando ho 14 anni (sono nato e cresciuto in piena era femminista) che mi sento ripetere in tutte le salse che in quanto appartenente al genere maschile sarei tutte quelle schifezze di cui sopra.
      Quindi, ripeto, prima di rivolgere questo appello a noi, sarebbe meglio guardarsi allo specchio. E’ possibile che tutte quelle cose tu non le abbia mai dette né pensate però in molte le hanno pensate, le hanno dette, le hanno scritte e le hanno urlate ai quattro venti, e oggi si sono anche tradotte in leggi (repressive, sessiste e discriminatorie) dello stato.
      Fai tu.

  18. cesare
    13 luglio 2014 at 23:36

    La favola dell’oppressione maschile attuale e millenaria è imposta da tutti i media in maniera scientificamente pervasiva, in tutte le modalità in cui i media veicolano il messaggio. Di chi sono i grandi network mediatici?
    Per converso l’oppressione dell’uomo sull’uomo, una evidentissima realtà, è diventata una favola caduta nell’oblio: sentiti mai un minuto di tv o un rigo di giornale che presentino la narrazione di una famiglia che non arriva al venti del mese e si interroghino sul meccanismo di sfruttamento che ne è la causa? E non mi dilungo sulle infinite realtà di sofferenza e miseria fatte scomparire con la bacchetta magica della narrazione femminista e dalle donne organizzate nel movimento politico del femminismo reale. La soggettività femminile organizzata come tale, care amiche, una volta che la Storia, generosa fatica maschile, ha creato le condizioni materiali per la vostra emancipazione, si presenta con questa politica, il resto sono giaculatorie alle quali non credete nemmeno voi. Inutile riproporcele.
    Nel passato questo “spostamento” dalla realtà dello sfruttamento e sua rimozione l’abbiamo vista attuata con altre innumerevoli favole a costruire falsa coscienza. Quest’ultima recentissima favola da un lato fa diventare nella coscienza universale, ancorché falsa, tutti i proletari maschi del mondo degli sfruttatori e oppressori, cosi che scompaia la realtà dello sfruttamento e anzi se ne possa legittimare la prosecuzione e aggravamento (sangue proletario versato in nome delle ” povere donne” identificate con il Bene) dall’altro consente alla lobby delle “povere donne” di nascondere l’appartenenza alla elites che sfrutta le donne povere, sfruttandole come mai prima, come uteri di animali per le loro esigenze riproduttive e come serve maltrattate e sfruttate nelle proprie case, in aggiunta corrompendone e devastandone ogni tradizionale dignità e solidarietà nella comunità familiare e di appartenenza.
    Assistiamo alla marcia trionfale delle lobby “povere donne”, avvolte in un gigantesco apparato di propaganda menzognera imposto alla mente dei popoli con la medesima violenza dei totalitarismi del ‘900, le donne che appartengono alle elites che dominano il mondo preziosissime alleate ai maschi che dominano il mondo: tradizionale posizionamento femminile a fianco di chi ha potere e pronte a svolgere il ruolo di fedeli interpreti dei suoi interessi strategici. Svolgono il ruolo di filtro universale tra la realtà di universale miseria e sfruttamento e la sua universale falsa rappresentazione: sono loro che offrono il loro volto come avatar del potere. Oggi poi legittimano l’ingresso della produzione capitalistica nella produzione della stessa natura umana come un qualunque oggetto da utilizzare come merce. Tutto ormai è in vendita: ovuli, seme maschile, uteri, caratteristiche fisiche, psichiche e sessuali del nascituro. Come è potuto accadere questo? hanno appoggiato e ottenuto per legge la dichiarazione di nullità della persona al suo sorgere alla vita. La radicale mercificazione dell’umano ha come fondamento questo tremendo giudizio di nullità e addirittura disvalore. Esigenza più funzionale al capitalismo si può immaginare di quella secondo cui vita degna di tutela è quella definita da parametri da stabilire politicamente? Non l’abbiamo già sentita questa “nuova morale”?

  19. rita chiavoni
    14 luglio 2014 at 1:20

    Penso di non dover essere io a rispondere alla domanda del perchè le donne si chiudono a riccio su questo argomento. Credo infatti che si debba solamente prendere atto di questo, considerarlo un fatto, certo mi sembra che i commenti di Fabrizio ed altri interventi hanno una spiegazione preconfezionata sulla questione, derivante dalla convinzione/postulato che il femminismo sia l’anima stessa del capitalismo e su questa convinzione viene messo ‘radicalmente’ in discussione, per cui ci sarebbe un sotrarsi al confronto per non mettere in discussione un privilegio. Ragionamento contorto e pregiudizievole!
    Colgo però una contraddizione e non riesco a capire le successive affermazioni di Fabrizio sia quando afferma che “nonostante ormai 50 anni di lavaggio del cervello, di sensi di colpa scientemente instillati, non sono riusciti a fare terra bruciata.” ma anche quando dichiarandosi marxista vorrebbe annullare la differenza tra struttura e sovrastruttura. Scusa Fabrizio ma mi sembra sterile riproporre il vecchio e assolutamente irrisolvibile quesito dell’uovo e della gallina! Oggi, cosa abbiamo di fronte? Di quale brodo ci nutriamo? Questo è il problema. Leggete questo articolo di denuncia che è apparso sulle notizie di f.b.
    http://abbattoimuri.wordpress.com/2014/07/13/gaza-femministe-silenti-e-marketing-militare-israeliano/
    Non credo comunque di aver interesse a proseguire questa conversazione visti i toni irrispettosi nei confronti di un pensiero che si pone criticamente al confronto. Forse dobbiamo guardarci tutti allo specchio! Se ne abbiamo il coraggio. Raccontiamoci i nostri dolori e le nostre contraddizioni. Poi, forse, dopo averli analizzati guardiamo oltre e anche guardiamo l’Atra/Altro. Grazie comunque per aver ospitato il mio articolo.
    Si, ho perso le staffe! Si dice così, no?

    • Fabrizio Marchi
      14 luglio 2014 at 10:32

      Cara Rita, finisce sempre così ogniqualvolta si comincia un confronto su questi temi con delle donne. A un certo momento l’Altra comincia a infastidirsi, a dire che si sente offesa, alza i tacchi e se ne va, sbattendo più o meno la porta, inventando toni più o meno irriverenti o irrispettosi.
      Bah…Francamente, però, devo essere onesto, da te proprio non me lo sarei aspettato…Voglio dire, ma dov’è che saremmo stati o sarei stato irrispettoso? Forse perché ho metaforicamente invitato Patrizia a guardarsi allo specchio (che poi non mi rivolgevo tanto a lei personalmente quanto ad un certo universo femminista, mi sembrava evidente…)? Se per te questo è un tono irrispettoso, allora mi sa tanto che non sei abituata a discutere e a confrontarti.
      Posso solo dirti che, a parti invertite, su un blog femminista, uno che la pensa come me non avrebbe neanche possibilità di accesso, sarebbe immediatamente bannato e ricoperto di insulti della peggior specie.
      Mi pare che qui ci siano stati (compresi i miei) dei commenti assolutamente interlocutori, anche articolati (il che dimostra la volontà di approfondire il tema), magari appassionati, ma senza nessun atteggiamento irrispettoso. Questa, lasciamelo dire, è la tua via d’uscita. E purtroppo non è solo la tua. E’ ciò che avviene pressoché sistematicamente. Tu dirai che la colpa è nostra che siamo irrispettosi, irruenti e violenti. Che ti devo dire. Vedi tu. Ciascuno di noi se la canta e se la suona come meglio crede e come più gli conviene.
      Nel merito. Io non ho affatto detto che i concetti di struttura e sovrastruttura siano superati, forse non ci siamo capiti o mi sono spiegato male, né tanto meno ho detto che l’interpretazione marxiana (di struttura e sovrastruttura) sia errata. Tutt’altro. Ho solo detto che (dal momento che la realtà si trasforma costantemente) questi concetti hanno subito e subiranno delle trasformazioni. L’intuizione marxiana, all’epoca, fu formidabile. Oggi mantiene senz’altro il suo valore ma deve tenere conto delle trasformazioni avvenute. Vorrei ricordarti che da Marx a oggi è successo qualcosa, e non a caso il Marx pensiero è stato rivisitato, rielaborato, proprio alla luce delle grandi trasformazioni avvenute. Ti dice qualcosa la Scuola di Francoforte? Adorno, Horkeimer, Marcuse? (solo per fare un esempio). Dovrebbe dirtelo, dal momento che sei una psicoanalista, nel momento in cui proprio quegli autori hanno cominciato ad analizzare alcuni aspetti della società capitalistica che Marx, con tutta la buona volontà e le migliori intenzioni, non poteva cogliere né poteva oggettivamente prevedere.
      L’esistenza della sfera psichica, come dimensione trans e intersoggettiva (cioè che va oltre la singola soggettività e diventa una sorta di dimensione psichica collettiva) e del controllo e del dominio di essa, non può non farci riflettere. Questa era una dimensione che al tempo e nel contesto in cui Marx operava non era ancora emersa, per ragioni oggettive. Marx elabora la sua teoria dell’alienazione contestualmente alla sua teoria del valore (entrambe ancora validissime, concettualmente parlando, anche se ovviamente sono cambiate moltissime cose anche da questo punto di vista, penso ovviamente alla relazione fra valore d’uso e valore di scambio, ma non solo, anche a come si è modificato il concetto di alienazione rispetto ai suoi tempi) e lo fa mentre osserva gli operai, i proletari, che sono inchiodati per 14 ore al giorno davanti ad una macchina di cui non sono proprietari, della quale sono una mera appendice, espropriati di tutto, del prodotto del loro lavoro, dei mezzi di produzione, del valore (plusvalore), del tempo, della vita. In parole ancora più povere, l’operaio mentre produce plusvalore (per il capitalista) vive contestualmente una condizione di alienazione. Per questo la teoria del valore e quella dell’alienazione marciano assieme in Marx. Né poteva essere altrimenti.
      Oggi la situazione è in parte simile (il lavoro salariato permane) ma i meccanismi che sottintendono alla produzione di alienazione sono in gran parte radicalmente mutati. E sono mutati contestualmente alla mutazione dei concetti di valore d’uso e di scambio. Ai tempi di Marx il valore d’uso era dato dalla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrre una merce, e il valore di scambio era sostanzialmente determinato dal valore d’uso. Oggi non è più così perché il valore d’uso ha subito delle modificazioni enormi nel momento in cui lo sviluppo tecnologico straordinario avvenuto in più di centocinquant’anni ha fatto sì che per produrre una determinata quantità di merce siano necessarie quantità di lavoro sempre più ridotte, fino addirittura ad arrivare allo zero (suggerisco la lettura del grande sociologo marxista francese, Andrè Gorz, a tal proposito). Questo ha fatto sì e fa sì che il valore di scambio sia in larga parte (non del tutto, ovviamente) diventato un fattore esogeno rispetto al valore d’uso. Ed è ovvio che tutto ciò non può non avere ripercussioni profonde su tutto il resto.
      Ora qui bisognerebbe scrivere per ore e non è possibile. Ciò che volevo dire è che anche la teoria dell’alienazione (grandissima intuizione di Marx, gliene saremo grati per sempre), proprio e anche in virtù di quelle trasformazioni di cui sopra, ha subito altrettante trasformazioni. Del resto è talmente evidente. La produzione di alienazione e la condizione di alienazione (prodotto fisiologico della società capitalista) in cui si vive oggi nelle società capitalistiche avanzate va ben oltre il tempo che ciascuno di noi trascorre al lavoro, va ben oltre la fabbrica (tralasciando per un momento le enormi trasformazioni avvenute anche sotto questo profilo, ma se tocchiamo tutti questi argomenti non la finiremmo veramente più), ed è una dimensione di alienazione complessiva che interessa ancor più il tempo libero (dal lavoro), la sfera privata, intima, il foro interiore delle persone. Anzi, rispetto ad una settantina di anni fa, è proprio attraverso il controllo della sfera psichica che il dominio sociale viene esercitato, molto più che non attraverso il controllo della sfera pubblica. Non entro nel merito anche in questo caso per le stesse ragioni di spazio e tempo, ma credo che ci siamo capiti cosa voglio intendere. Tu stessa in un tuo commento hai citato Debord e la sua società dello spettacolo, ma si potrebbero portare centinaia di esempi.
      E allora, se così è, non vedo perché ci si debba scandalizzare se qualcuno dice che anche i concetti di struttura e sovrastruttura sono suscettibili di una rielaborazione. Non ho mica detto che Marx abbia detto delle castronerie. Al contrario! Ha avuto delle intuizioni assolutamente geniali, ma non poteva prevedere (perché non era un Dio ma “solo” un uomo di straordinaria intelligenza a capacità analitica, un genio, diremmo noi, come lo erano Einstein o altri scienziati, filosofi o grandi uomini d’ingegno) le trasformazioni epocali che ci sarebbero state nel futuro. Non vedo quale sia la ragione dello scandalo. E mi meraviglia che questa critica provenga da una psichiatra.
      Per quanto riguarda il link che hai postato, quello è un articolo di Eretika (non dico il nome vero perché lei preferisce essere conosciuta e presentarsi al pubblico come tale) , che conosco molto bene, anche personalmente. Quindi non è una novità per me, te ne ho anche parlato. E’ una mosca bianca, nei confronti della quale l’Associazione degli Uomini Beta ha espresso anche pubblica solidarietà http://www.uominibeta.org/articoli/solidarieta-per-fikasicula/ in occasione di una serie di attacchi che aveva subito proprio per le sue posizioni dissonanti rispetto al mainstream ideologico femminista dominante.
      Solo che anche Eretika, con la quale ho avuto un relativamente approfondito confronto, non vuole (e secondo me non può) fuoriuscire dalla sempiterna logica del dominio patriarcale. Per cui anche per lei l’attuale sistema capitalistico sarebbe dominato dalla cultura patriarcale e maschilista. La qual cosa, per quanto mi riguarda è oggi assolutamente ridicola. E come sai ho scritto numerosi articoli per spiegare il perché, l’ultimo è quello che trovi sull’Interferenza https://www.linterferenza.info/editoriali/il-nuovo-orizzonte-del-capitalismo/ che tu hai già letto, ma ce ne sono tanti altri, te ne posto alcuni, questo http://www.uominibeta.org/articoli/perche-si-distrugge-il-paterno/ e quest’altro http://www.uominibeta.org/editoriali/ha-ancora-senso-considerare-il-patriarcato-come-larchitrave-delle-societa-capitalistiche-occidentali/
      Ma Eretika non ci sente da questo orecchio né può sentirci, è lo scoglio che non riesce e forse non può superare. Perché se lo superasse si porrebbe oggettivamente fuori dal femminismo. E allora non lo fa. Forse perché ha già messo tanto in discussione e non riesce ad arrivare tanto. Non se la sente. La capisco. I suoi articoli (li leggo molto spesso) sono tutti o quasi tutti più che condivisibili. Alcuni, addirittura, potrebbero essere stati scritti dal sottoscritto. Poi però lei alla fine della fiera ci sbatte sempre il patriarcato e il maschilismo che dominerebbero tuttora la scena e la società capitalistica, il cui caposaldo sarebbe appunto, sempre secondo lei, la struttura patriarcale…E qui secondo me c’è una vera e propria barriera ideologica/psicologica da abbattere. Non so, a questo punto, quanto il problema si più di natura ideologica e/o politica o psicologica. Questo lo sa solo lei. Io credo che lei stessa, nonostante abbia portato la sua critica a livelli acutissimi e sia stata violentemente attaccata, non voglia spezzare definitivamente il cordone ombelicale con il femminismo. Continuando a sostenere (anche contro ogni evidenza) che la società capitalistica attuale sia ancora dominata dal patriarcato, lei resta comunque nell’alveo femminista, anche se da reietta o da “eretica”, come infatti ha scelto di chiamarsi.
      Quel suo articolo che tu hai postato, lo condivido in toto. Dovrebbe trarne però le legittime e dovute conclusioni. Ma non lo fa. Non può, non se la sente, molto probabilmente non vuole. Forse perché anche lei “tiene famiglia”, lavora e orbita in un determinato ambito e in un determinato ambiente, e tagliare i ponti non è facile.
      Cara Rita, noi siamo sempre qui. Ti ringraziamo di cuore per il tuo contributo e speriamo di averne altri. Mi dispiace se ti sei sentita non rispettata, ma è una tua sensazione che io rispetto, ma sfido chiunque a trovare delle parole che siano state oggettivamente irrispettose nei tuoi riguardi. Io tratto tutti e tutte nello stesso modo, per me siamo tutti e tutte uguali, e mi relaziono con le donne né più e nè meno di come mi relaziono gli uomini. Sono un passionale, forse un po’ irruento (dovuto alla passionalità e alla convinzione con cui sostengono le mie tesi) , ma non manco di rispetto a nessuno.

  20. Roberto
    14 luglio 2014 at 10:14

    Il rapporto è tra femminismo e globalizzazione unipolare.
    Dopo il 1991 sinistra e destra hanno lavorato entrambe al progetto egemonista, pagato dai lavoratori con il livellamento globale verso il basso dei salari e il precariato, in nome della competitività.
    I popoli uniti sono difficili da sottomettere, e serviva quindi una strategia divide et impera capace: a) di creare conflittualità dirompente dei legami sociali; b) che fosse applicabile globalmente; c) che utilizzasse una contrapposizione già esistente e diffusa nell’umanità, tale per cui nessuna divisione etnica o religiosa poteva essere sfruttata all’uopo.
    E’ qui che entrano pesantemente in gioco le identità sessuali e il (neo)femminismo.
    Il potere passa dai governi democratici alle oligarchie finanziarie, che sono i primi sponsor del femminismo di oggi.
    Tutta l’informazione è diretta da centri di potere transnazionali. Ci sono tantissimi esempi, non ultimo l’inchiesta di amnesty sull’origine della famosa teoria della “prima causa di morte” che si è affermata per woozle-effect (evidenza per citazione) ma è partita dalla Banca Mondiale. Oppure il World Economic Forum che ospita il Gender Gap Report, una plateale manipolazione della realtà statistica, Oppure grandi fondazioni che distribuiscono a pioggia risorse a organizzazioni non governative che hanno il compito di imporre l’agenda anti-uomo a governi e sistemi di informazione, con attività di lobbying.
    Rivendicare la paternità di sinistra del femminismo, equivale a perseverare nel supporto a politiche di globalizzazione selvaggia. Nei fatti non a chiacchiere. Per questo considero chi lo fa un utile idiota. Dal mio punto di vista ovviamente, cioè partendo dalle mie convinzioni politiche e di giustizia sociale, che evidentemente non sono assolute.

  21. Roberto
    14 luglio 2014 at 10:59

    Gli argomenti dati alle masse per chiedere ai paesi o ai blocchi non allineati di allinearsi sono Femen, Pussy Riot, Vladimir Luxuria, Gay Pride. Un vero e proprio fronte populistico geopolitico-genitale. Per chi avesse dubbi sulla rilevanza dell’argomento, ricordo che sostanzialmente l’unico rimprovero morale che l’occidente può fare alla Russia (fondamentale per sopravvivere quell’eccezionalismo statunitense che giustifica l’egemonia), principale ostacolo all’unipolarismo insieme alla Cina, è sulla mancata implementazione sociale compiuta dell’ideologia gender. Questo è il principale motivo per cui molti occidentali (sinistra o quel ne resta inclusa) hanno difficoltà a schierarsi in favore dei civili bombardati nel Donbass. Ed è ancora una dinamica indotta dal divide et impera neo-femminista.

  22. armando
    14 luglio 2014 at 15:05

    A Rita: ma dov’è ormai quella che tu chiami “cultura borghese”? Io non la vedo più. Era cultura in senso alto, per quanto si potesse essere in disaccordo anche radicale. Si faceva domande, si interrogava su stessa, si interrogava sul concetto di limite. Tutto questo non esiste più. Esiste solo una pseudo cultura del progresso incessante, del nuovo buono solo perchè nuovo, una cultura dell’andare sempre oltre senza farsi domande che ha colonizzato tutte le classi sociali, e la destra e la sinistra, con poche eccezioni.
    Anche a Patrizia su Patriarcato e oppressione di genere.
    Il discorso è lungo, troppo lungo per poter essere svolto compiutamente. Se per P. si intende il fatto che le donne avevano minori diritti civili degli uomini, ok. Allora è esistito, ma attenzione. Ai maggiori diritti degli uomini (e quali poi? Tutti gli uomini? Ma la si conosce la storia?) hanno sempre corrisposto maggiori doveri che bilanciavano largamente i primi. L’abbiamo detto tante volte, ma occorre ripetersi. Chi crepava (e crepa tuttora) in guerra, in miniera, in tutti i lavori a rischio? Chi subiva (e subisce) il disprezzo sociale essere senza lavoro e per non essere in grado di mantenere la famiglia?
    Gli uomini oppressori. Ed anche nei rapporti personali uomo/donna non è che fossero rose e fiori. Una ragazza madre, ad esempio, subiva l’emarginazione e il disprezzo sociale, ma se il padre veniva beccato lo si obbligava a sposarla. No, se ci limitiamo a considerare il Patriarcato come fenomeno sociologico non se ne esce. Ma se lo leggiamo come una prevalenza dell’archetipo paterno su quello materno vedremmo la realtà con occhi diversi.
    Quì si pone la questione del simbolismo, ma anche quì occorre attenzione. 1)Il simbolismo maschile/patriarcale non ha mai escluso o eliminato quello femminile/patriarcale, come sostiene ad esempio Luisa Muraro. L’ha, semmai, assunto entro un equilibrio che si può considerare discutibile quanto si vuole, ma ha assicurato per millenni la civiltà. E quì dovremmo capire il perchè è avvenuto. Perchè i maschi sono cattivi e onotologicamente oppressori? Non scherziamo. I motivi sono ben altri, e non solo materiali ossia dovuti alle condizioni dell’esistenza che, affinchè il gruppo umano sopravivivesse, dovevano forzatamente dividere socialmente il lavoro in un certo modo. Non posso quì addentrarmi oltre, ma se assumiamo quanto ho detto sopra ci accorgeremmo che una dominanza sociale degli uomini è perfettamente compatibile (anche nel matrimonio così detto patriarcale) con un matriarcato psichico accentuato, come ad esempio ancora in certe zone del Sud Italia, dove il vero capo famiglia e Grande Madre mediterranea è la Suocera, matriarca che domina i maschi di famiglia.
    D’altronde esiste una controprova di quanto vado dicendo proprio in un luogo “impensabile”, la mafia. Associazione criminale maschile per eccellenza, certo. Ma dice nulla che i capi si usava chiamarli “mammasantissima”‘ Dice nulla il loro culto per la Madonna (che poverina non c’entra proprio nulla). Dice nulla che i riti d’iniziazione alla “famiglia” mafiosa erano (e forse sono ancora) riti che evocano quelli antichi della Grande Madre. Su questo ha scritto un libro bellissimo, purtroppo ormai introvabile, proprio una donna, Silvia di Lorenzo, “La Grande Madre mafia”.
    Mi fermo quì per brevità, ma l’argomento del patriarcato e del matriarcato ci dice moltissime cose anche sull’oggi.
    armando

  23. cesare
    14 luglio 2014 at 22:30

    Del patriarcato in compendio.
    Il pianeta Terra non è l’isola di Weigt e la Storia non è il festival di Woodstock e l’Umanità non è figlia dei fiori, per colpa del patriarcato. La “madre” Terra è da sempre ferocemente inospitale, la Storia è lotta per la sopravvivenza in regime di risorse insufficienti e l’Umanità sempre a rischio di estinzione, non per colpa del patriarcato. Bisogna farsene una ragione.
    I maschi hanno l’istinto paterno di protezione di donne e figli, illimitato spirito di sacrificio, grandi capacità di intrapresa e ad oggi sono risultati i vincenti a favore della specie. È la buona ragione per ringraziare di cuore il genere maschile.

  24. Animus
    15 luglio 2014 at 13:19

    Niente, eh, lo immaginavo: eccole qui le ns. “wonder women” , tutte chiacchiere e distintivo…

    Ma una volta che il “distintivo” glielo togli, che analizzi al microscopio la santa aurea protrettrice di candida innocenza (il distintivo, appunto) che ricopre l’eterno femminino (almeno qui ad occidente), che non ci trarrà mai in alto, vediamo che cosa rimane?
    Nulla, nemmeno le chiacchiere.

    La maggior parte rinuncia prima di iniziare – condizioni non favorevoli -e tra chi osa, le “aquile”, una camuffa una nuova (in realtà antica come la storia) volontà di sopraffazione come “distinzione tra i due”.

    L’altra, senza argomenti, non trova niente di meglio .
    che dirsi offesa: così posso giustificare quel nulla che ho da dire-

    Quanta mediocrità sotto questo cielo….

    • Fabrizio Marchi
      15 luglio 2014 at 15:52

      Spezzo sinceramente una lancia in favore di Rita Chiavoni che conosco personalmente e che sicuramente tutto è tranne che una donna mediocre o priva di argomenti e che comunque ha avuto il merito, non lo scordiamo, di aprire una riflessione coraggiosa con il suo assolutamente condivisibile articolo.
      Al contempo mi ha altrettanto sinceramente sorpreso il suo ritrarsi, infastidita, rispetto alla discussione in atto, dovuto sicuramente a delle sue “percezioni” tipicamente femminili (“la percezione è caratteristica prevalentemente femminile”, me lo spiegava proprio lei alcuni giorni fa…), perché,anche rileggendo i diversi commenti, mi pare proprio che di irriguardoso nei suoi confronti o nei confronti di Patrizia non ci sia stato proprio nulla. Al contrario, ci sono stati interventi assai articolati, penso a quello di Armando, a quelli di Cesare e di Rino, mi permetto di dire anche dei miei. Forse gli unici con toni un po’ più “aggressivi” (e nel caso di Animus, con una certa dose di sarcasmo) sono stati quelli di Roberto e appunto quelli di Animus (più che altro l’ultimo). Però, obiettivamente, non mi pare che anche loro si siano prodotti in chissà quali attacchi sfrenati alle singole persone che possano giustificare l’abbandono di un dibattito. Anche rimproverare, come ha fatto Rita Chiavoni, al sottoscritto, la seguente frase “Quindi, ripeto, prima di rivolgere questo appello a noi, sarebbe meglio guardarsi allo specchio. E’ possibile che tutte quelle cose tu non le abbia mai dette né pensate però in molte le hanno pensate, le hanno dette, le hanno scritte e le hanno urlate ai quattro venti, e oggi si sono anche tradotte in leggi (repressive, sessiste e discriminatorie) dello stato.” mi sembra francamente esagerato.
      Come ho avuto modo di spiegare a lei stessa in una missiva privata, se questi sono i parametri del sentirsi offese, che dire, evidentemente, e questo può essere vero, c’è un problema di “percezione”, o meglio di diversa percezione. Del resto se le nostre amiche leggessero quello che normalmente viene detto del sottoscritto sulla rete e fuori (evito di fare l’elenco perché francamente non voglio sporcare le pagine di questo giornale, ma qui in parecchi sanno a cosa mi riferisco), forse potrebbero ripensare un pochino le loro percezioni.
      Ora, voglio dire, chiunque abbia fatto attività politica (e so per certo che Rita Chiavoni l’ha fatta) e l’abbia fatto con un certo impegno e per un certo lasso di tempo, conosce perfettamente la passionalità e anche le asprezze del dibattito politico. Cara Rita, ma quante volte siamo arrivati a massacrarci di botte (non metaforiche, ma vere, hai voglia se vere..) fra compagni (e anche con le compagne) addirittura appartenenti ala stessa organizzazione o allo stesso partito? E in fondo, ci capiamo, quando si parla di botte, siamo comunque in un ambito di autenticità, di genuinità, perché ne sono accadute e ne accadono di ben peggiori…
      E ci stiamo a scandalizzare o avvertiamo come “aggressiva” una frase come quella del sottoscritto di cui sopra, nell’ambito di un intervento molto più complesso, oppure quella di Roberto che si rivolge a Patrizia, dicendo “voi” (è evidentissimo a chi vuol intendere che con quel plurale Roberto intendeva rivolgersi ad una certo ambiente di una certa “sinistra”).
      E tutto ciò viene percepito come aggressivo ed è sufficiente per abbandonare il dibattito?
      Bah…Allora è proprio vero ciò che mi ha spiegato a voce Rita alcuni giorni orsono, e cioè che le donne sono “percettive” mentre gli uomini sono razionali. Io non la vedo in modo così netto (neanche lei, per la verità). Il problema, aggiungo io, è quando questa “percezione” diventa Verità Assoluta o peggio ancora Legge dello Stato. Ma questo è un altro discorso ancora…
      Che dire, mi dispiace se Rita o Patrizia si sono sentite ferite nella loro sensibilità, però lo spazio dei commenti è libero ed è giusto che ciascuno, fermo restando le regole della civile convivenza, esprima liberamente le proprie opinioni. E ce n’erano di opinioni da commentare o da contro argomentare, volendo. Al limite anche ignorando quei commenti (compresi quelli del sottoscritto) che si ritenevano offensivi (boh…? ) o aggressivi (…). Invece si sceglie di abbandonare il campo. Ben sapendo, oltretutto, che un articolo di quel genere avrebbe inevitabilmente sollecitato una discussione, anche aspra, anche accesa, anche con toni un po’ sopra le righe. Non vedo quale sia il problema, anche alla luce della riflessione di cui sopra. Chi ha fatto un minimo (non un massimo…) di vita di partito (e il sottoscritto l’ha fatta, più di un minimo..) sa perfettamente che quanto è accaduto (per la verità nulla…) nell’ambito di questo dibattito è un NONNULLA in confronto a ciò che NORMALMENTE avviene nelle discussioni di partito.
      E mi sorprende assai che una donna di esperienza come Rita Chiavoni possa trovare intollerabile a tal punto il livello di questa discussione…
      Va bè, ne prendo atto, non saprei cos’altro dire…A meno di non essere costretto a dar ragione ad Animus. Ma, come ripeto, non è questo il caso. Non credo proprio, nel caso specifico, che il problema sia la mancanza di argomenti. Credo che il problema sia di altra natura (e non riguarda certo solo Rita Chiavoni) ed è dato secondo me dal fatto che per quanta buona volontà possa esserci, non si è ancora preparati (e soprattutto preparate) ad accettare l’assunzione di un punto di vista critico maschile, autorevole, argomentato, se volete anche assertivo, sul tema. Come dicevo ieri con alcuni amici, è stato costruito in questi anni un ordine psico-simbolico femminil-femminista, diciamo così, che oltre a essere dato per scontato è stato interiorizzato a livello profondo.
      Ecco perchè si considera del tutto naturale prendersi a parolacce quando non a sediate durante una riunione di partito ma si considera insopportabile anche solo un pizzico di aggressività o di sarcasmo quando si affrontano determinati temi (relazione fra i sessi e femminismo).
      Non c’è altra spiegazione logica. E voglio ribadirlo: logica

      • Animus
        15 luglio 2014 at 17:59

        >A meno di non essere costretto a dar ragione ad Animus…non si è ancora preparati (e soprattutto preparate) ad accettare l’assunzione di un punto di vista critico maschile.

        Ma così, stai dando ragione ad “Animus”…;-)

        Non ho forse detto che il vero problema è che viene intaccato quel “distintivo” (dal mio punto di vista è “tutta una morale” che deve essere rasa al suolo, ma cmq..) che fa della donna una creatura “senza macchia”? (immacolata, nel linguaggio religioso)

        Vedersi buttare giù dal piedistallo per finire tra gli uomini mortali, i “masculi” (interessante ancora l’etimo di maculato, cioè macchiato, e masculo, ma cmq..) è “lesa maestà”, è un affronto sufficiente per avvertirne “l’offesa” (non c’è bisogno di spiegare ad una psichiatra le dinamiche dell’Ego)
        Embè, sì…in effetti ….

        Per quanto concerne la mediocrità, per me significa che lo Spirito femminile – della maggior parte delle donne – non si dimostra all’altezza di riconoscere che questo manicheismo sessuale è per il genere femm.le fonte di grandi benefici, e che quindi non solo lo subiscono, come piace pensare a qualcuno, ma sono esse stesse che lo originano e lo alimentano.

        • Fabrizio Marchi
          15 luglio 2014 at 18:08

          Infatti quella mia frase voleva essere beffarda…So benissimo che c’è un rifiuto da parte della quasi pressoché totalità delle donne ad affrontare questo tema, anche per le ragioni che hai detto tu (e che ho sottolineato anche io in un precedente commento, e anche nel mio libello con un capitolo ad hoc intitolato “Chi me lo fa fare?”…).
          Non è però questo il caso di Rita Chiavoni, che, ripeto, è una donna che sicuramente non manca di argomenti e anche di punto di vista critico, tant’è che è l’autrice dell’articolo in oggetto…

  25. Rino DV
    15 luglio 2014 at 20:46

    Alle innumerevoli contraddizioni presenti nella narrazione femminista, le femministe marxiste ne aggiungono altre. Non le vedono o se le vedono se ne fregano. Eccone una:
    “La soggezione femminile è un prodotto del capitalismo” (visione marxista ortodossa).
    Ma la soggezione femminile è stata universale e millenaria, dunque ha preceduto il capitalismo (visione femminista doc e quindi condivisa dalle femm-marxiste).
    Il capitalismo dunque è la causa di una situazione che …lo precedette di millenni.
    E’ allora ragionevole supporre che quel che c’era prima e permane, potrebbe permanere ben oltre la durata del capitalismo.
    .
    Le contraddizioni sono bugie. Le bugie servono per manipolare il prossimo e per consolidare e immunizzare la propria visione.
    .
    La narrazione femminista è un coacervo di menzogne pure, di deformazioni e di verità: insieme costituiscono la grande manipolazione.
    .
    Altro tema: il femminismo reale (=femdominismo) garantisce alle DD il diritto di imporre agli UU paternità non volute, mentre ovviamente riserva alle DD stesse il diritto di scegliere.
    Perché mai una D media dovrebbe rinunciare al diritto di imporre questo ad ogni U? Perché dovrebbe rinunciare al diritto di incastrarlo?
    Per amor di giustizia?
    .
    Gli UU hanno rinunciato a questo (e ad altri diritti) a favore delle DD, come è vero che per esse davano e danno la vita.
    Il contrario non accade. Lo ha stabilito Darwin.
    La favola del reciproco amore però non l’ha fissata Darwin.
    Ce la siamo inventata noi UU dell’Occidente.
    E’ ora di smantellarla.

  26. Rino DV
    15 luglio 2014 at 22:13

    P.S.: chi mi accusa di essere cinico e impietoso ha ragione.
    Ma quando si pensa, si pensa. Non si spera, non ci si dispera, non si calcola, non si teme, non ci si entusiasma. Si pensa e basta, a prescindere dalle conseguenze.
    Altrimenti non si pensa, si viene pensati.
    Tornando al tema, la funzione mistificatrice e soporifera del c.d. “amore” (mi riferisco alla citazione – qui postata – della Irigaray) è stata smascherata da Leopardi 200 anni fa.
    Chi ci crede ancora avvelena anche te, digli di smettere .

  27. armando
    15 luglio 2014 at 23:23

    Sulle contraddizioni logiche del femminismo, e sul loro uso mistificatorio, Rino vede lucidamente. Ne sto scrivendo per Il Covile.
    Sul Patriarcato esul significato del termine ci sarebbe da scrivere molto. Mi limito a una domanda, anzi due.
    Il sud italia è il regno, si dice, del maschilismo. Bene, cosa significa allora che spesso chi comanda in casa è la Suocera, Grande Madre mediterranea e Matriarca?
    La mafia è associazione maschilista per eccellenza, si dice. Bene, cosa significa allora che tutta la ritualità mafiosa a iniziare dal rito d’iniziazione per finire al fatto che i capimafia erano chiamati Mammasantissima, è di evidentissima derivazione matriarcale?
    Maschilismo e Patriarcato sono cose diverse, fino all’incompatibilità, mentre il così detto maschilismo può andare di buon accordo col matriarcato psichico. Dice nulla?

  28. cesare
    16 luglio 2014 at 2:15

    Voglio bene a Rita, per aver comunque manifestato interesse e voglia di dialogo. Non conosco Rita ma voglio bene alle persone che in qualche modo corrono i rischi del mettersi in discussione. E Rita su questa pericolosa strada ci si è messa per poi, comprensibilmente fermarsi. Capisco chi si ferma e vorrei rassicurare Rita che non solo io capisco chi si ferma su questa strada: tanti fra quelli che hanno dialogato con lei si sono infatti messi in discussione con la radicalità di lunghi percorsi analitici. E Rita da psicoanalista sa quali “resistenze”, quali terrori nascono solo al pensiero di guardarsi dentro. E come la “revisione” non risparmi nulla delle proprie precedenti convinzioni, politiche o religiose che siano: tutti i propri “idoli” crollano e si sa quanto sono cari i propri “idoli”.
    Questi suoi interlocutori, conoscendoli bene mi permetto di interpretarli, non parlano dunque solo in nome e per conto proprio ma in nome di autorevoli scuole psicoanalitiche. Si sono preoccupati insomma che la propria esperienza si emancipasse dal limite personalistico e raggiungesse la chiarezza di un discorso valido sul piano interpersonale.
    Perché dico questo? Perché il suo invito a mettersi in discussione, o davanti allo specchio scomodissimo dell’Altro, è cosa fatta da tanti di noi, da tanto tempo e per lunghissimo tempo e quello che questi interlocutori dicono è stato ed è pertanto molto, ma molto ponderato. E forse anche per questo motivo è cosi assertivo.
    Perché tutta questa fatica e questi (tanti) soldi spesi? perché siamo gente responsabile, che vuol bene alla gente, e quello che pubblicamente scrive vuole essere certa che sia più che controllato anche dalla psicoanalisi, una delle grandi correnti culturali e scientifiche che oggi può aiutare a leggere secondo verità la condizione dell’uomo contemporaneo occidentale. E di gente che cerca la verità e ,comunque sua, la dichiara e difende c’è bisogno sempre.

    Rita a quanto sopra aggiungo: come credi che si possa trovare la forza psicologica e morale, una volta convintisi, mettendosi in discussione, di ciò che è giusto e vero, per dirlo e scriverlo in pubblico invece di tenersi per sè la conquistata strada della salvezza e della liberazione? e finire invece nella rischiosa posizione di opporsi a ciò che oggi il potere impone di condividere, ovvero l’insieme di “idola fori” femministi? Non so infatti se sei al corrente di questa realtà soprattutto nel lavoro dipendente: o ti “allinei” o non ottieni nessun posto di lavoro e se per caso già ce l’hai, se dici quello che pensi, ti rendono la vita impossibile o addirittura lo perdi. Esagerazioni? Tu prova: supera la legittima paura maschile, e verifica tu stessa se i maschi tacciono o no come ai tempi del fascio. Fammi sapere.
    Cara Rita, ecco dunque da dove saltano fuori questi “marziani” che, a piazze piene di applausi per i nuovi “conducator maschiopentiti” della fantasy-land femminista occidentale, unici dicono pericolosamente l’indicibile; e cioè che nella fantasy-land femminista il mondo è rappresentato esattamente alla rovescia di com’è in realtà. E che le prime a pagare l’inganno sono le donne. E poi si industriano a spiegarlo a tutti, maschi e femmine.
    Ce ne viene in tasca qualcosa? Ci riguarda personalmente? Assolutamente no. Ecco, fermarsi è dunque più che comprensibile e non hai idea di quante volte ci è venuto il pensiero, o siamo stati premurosamente consigliati di smettere.
    Ma allora chi è che poi va avanti a dire la sua, a scontrarsi con la opinione maggioritaria? Va avanti chi non solo ha avuto il coraggio di mettersi in discussione e dice pubblicamente quanto ritiene di aver trovato di vero, giusto e bello, ma soprattutto chi è abituato alla battaglia senza avere a fianco come alleato il potere, senza il conforto del generale consenso, avendo accettato il sacrificio e il rischio di una lotta reale, di uno scontro reale.
    E arriviamo al tema della “percettività” al femminile e del ricorso ad essa. Ho questa convinzione in merito a tanta “percettività” femminile ed al suo uso pervasivo e sbandierato oltretutto come superiorità femminile. In caso di smentite alle proprie certezze, (non dico la tua), il ritrarsi sdegnati in nome di essa di fronte al confronto, a mio avviso nasce sai da che cosa? Dal fatto che la famosa lotta per l’emancipazione femminile non ha richiesto scontro reale perché di nemici le donne non ne hanno mai avuti. Al punto che hanno dovuto inventarseli. Senza il cuore abituato alla battaglia, si vive di una sensibilità diversa, abituata al consenso, al complimento. Vogliamo parlarci con sincerità? Una sensibilità di tipo infantile. E proprio questa percettività che io equiparo (sbaglio?) toutcourt alla sensibilità, come caratteristica femminile non ha pertanto nulla di specificamente naturale; è il portato storico e la prova evidente della protezione maschile di cui le donne hanno sempre goduto e anche oggi godono.
    L’emancipazione femminile infatti è stato ed è un bene per tutti. L’hanno voluta tutti. Infatti, ma chi è cosi disonesto intellettualmente da non capire che cosa ha significato per un maschio mantenere col suo solo lavoro la propria donna e i figli? Chi può non riconoscere la fatica maschile di lavori accettati per dovere e per forza nonostante fossero vere e proprie anticamere della morte, come del resto anche oggi? Il disonore sociale che si abbatteva su chi lo perdeva? i ricatti del datore di lavoro, la tragedia di chi non ce la faceva più per malattia, e molto spesso la persecuzione quotidiana della ingenerosa lagna muliebre mai contenta per i confronti con il tenore di vita degli altri? Chi non sa far memoria del dolore maschile che percorre tutta la Storia per la amarissima consapevolezza della fatica di vivere della propria madre, della propria moglie, della proprie figlie e sorelle, dovuta alla arretratezza dello sviluppo delle forze produttive e della produttività del lavoro? Da sempre ogni sforzo maschile è per liberare la donna dal male che è connesso al vivere, e i famosi “maschi oppressori” hanno di fatto costruito la Storia come processo finalizzato a questo. Come non vedere, non riconoscere questa che è una evidenza assoluta?
    Il mancato riconoscimento di questa realtà, la mancata riconoscenza, anzi il risentimento e l’invidia dimostrata dalle avanguardie della coscienza femminile, la paura di ammetterla che distruggerebbe in un lampo tutta la narrazione femminista, il ricatto politico del “risarcimento”, delegittimerebbe gli antichi privilegi del ” prima le donne e i bambini” e dell'” istituto della dote” riaggiornato nell’istituto delle “quote rosa”, mi fa interrogare seriamente sul “cuore” del genere femminile perlomeno quello “declinato al femminismo”. Ma, grazie al Cielo, un conto le donne ed un conto quelle la cui affettività è stata costruita col femminismo.
    Mi viene in mente una espressione popolaresca in merito alla lotta inventata e ai nemici inventati: nessuna “lott-attrice” ha mai riportato nemmeno “i segni di una pedata nel sedere” nella “lotta di liberazione” femminile: voglio con questo sottolineare con particolare e ritengo legittima forza espressiva che quando i “veri oppressori” si son trovati davanti i “veri oppositori”, quelli che si battevano non per gli opportunismi di genere ma universalmente per tutti, i ” veri oppressori”, non gli attualissimi poveracci tipo i milleottocento e più morti per lavoro, e i miliardi di maschi da sempre condannati allo sfruttamento planetario per fame, si sono dotati di truppe speciali per la repressione, hanno usato sciabole, mitra e pistole ad alzo zero, riempito di sangue maschile, alto una spanna, strade e piazze, massacrato e mutilato milioni di proletari in guerre imperialistiche.
    Ed ecco direttamente dalla nuovissima riflessione filosofica e dalla azione politica femminile la teoria dei “proletari oppressori”. Queste “lottatrici libertarie” il nemico l’hanno trovato servito su un piatto d’argento, un nemico sconfitto in partenza, un nemico a la carte dal ristorante che ha offerto loro il pranzo. Meritano senz’altro l’universale plauso che infatti ottengono, l’universale promozione in tutti i media. Però di nemici e sensibilità combattente nemmeno l’ombra.
    Non contenti (e non contente), scandalizzati come ai tempi delle accuse di “distruttori della morale e dell’ordine costituito” nonché “mangiatori di bambini”, i ” veri oppressori” precedono le ” povere donne” nel difendere la “sensiblery” di ” rivoluzionarie in carrozza e parasole”: urtare la ” sensiblery” femminile è diventato reato. Terribile a dirsi, ma i ” veri oppressori” si preoccupano persino che non vi si dica la verità: guai ad “urtare” la vostra sensibilità e alcune lo considerano addirittura una conquista.
    Penso Rita che come psicoanalista tu sappia che significa per un marito, un padre, un maschio, una persona sapere di poter perdere tutto, figli, affetti, dignità, lavoro, casa, futuro, perché la partner può impugnare la sua “percettività” come un arma riconosciuta dalla legge e ad arbitrio rovinarti. Introdurre questa minaccia di una supercastrazione, di annientamento personale, con percezione femminile eretta a prova di reato è di una violenza psicologica inaudita. Eppure eccoti inconsapevolmente a ricorrere alla “percettività” femminile, per segnalare appunto i nostri “urti” ad essa che legittimino il tuo tacere. Mi aspetto da te una forte denuncia di questa follia che distrugge ogni spontaneità nel rapporto tra maschi e femmine anche perchè, guarda come è imprevedibile l’agire umano, una dichiarazione di “urtata percettività”, ormai, tuo malgrado, nel nuovo contesto culturale e nei nuovi dispositivi giuridici e giurisprudenziali può assumere persino qui significati che vanno ben oltre ogni buon senso ed immaginazione.
    Rita, aspetto dalla persona di valore quale sei, di stare in partita ed affiancarti a noi. Dopotutto a ben pensarci il tuo tacere è un far tacere.

    • armando
      16 luglio 2014 at 11:43

      Cesare ” In caso di smentite alle proprie certezze, (non dico la tua), il ritrarsi sdegnati in nome di essa di fronte al confronto, a mio avviso nasce sai da che cosa? Dal fatto che la famosa lotta per l’emancipazione femminile non ha richiesto scontro reale perché di nemici le donne non ne hanno mai avuti. Al punto che hanno dovuto inventarseli”
      Parole sacrosante, riportano sulla terra una verità persa nell’ideologia.
      Sulla percettività femminile. E’ senza dubbio una dote importante,a patto di capire cosa sia. Percettività è qualcosa di semiconscio, non chiaramente decifrabile nemmeno dal “percettente”, uno stato d’animo in cui si sente con tutti se stessi e non solo con la mente. Per questo l’esperienza femminile della conoscenza, come ammettono anche alcune donne (Muraro, ad esempio) è difficilmente dicibile, tanto meno si può pretendere che sia capita dai maschi il cui modo di conoscere è del tutto diverso. Intendiamoci, non la disprezzo affatto. Può far afferrare verità altrimenti nascoste, ma ad un patto, però! Che sia messa a confronto, diciamo integrata e confrontata, con la logica, con la coscienza, con la ragione, coi fatti e con le cause dei fatti.
      Altrimenti rimane qualcosa di nebuloso, impalpabile, sospesa nell’aria. E non si può quindi pretendere che sia assunta a verità universale e riconosciuta sul piano culturale, men che mai che stia alla base di scelte e decisioni “politiche”. Anche perchè, dato il suo carattere, è estremamente soggettiva tanto che può differire di molto da donna a donna.
      Questo è invece quello che sta accadenso da anni, sui media e nei parlamenti. Ne risulta il caos e le contraddizioni più incredibili di cui o non ci si rende conto o si tace per interesse. E il caos, la carenza di un qualsiasi “ordine” è sempre nemico della verità, sempre!
      E’ per questo che, care amiche e cara Rita, il passaggio attraverso il Logos maschile, la coscienza, è imprescindibile anche per le donne, altrimenti invischiate nel soggettivismo delle percezioni che fa sostenere tutto e il contrario di tutto, appunto il caos nel quale il potere vero sguazza, giocando su più tavoli. O vi rendete conto di questo oppure siete destinate ad esserne lo strumento e lo sgabello. A voi la scelta. Vi può anche andar bene perchè vi assicura, almeno nell’immediato e all’apparenza, grandi vantaggi, ma ci sia almeno lo sforzo d’onestà intellettuale di ammetterlo. E’ una sfida la mia, che lancio senza sicumera, perchè so che anche il maschile è chiamato allo sforzo di non ridurre il suo Logos a semplice ragione calcolante, quando la vera razionalità è cosa diversa dal puro calcolo vantaggi/svantaggi (che anzi si coniuga benissimo col caos emotivo, rappresentandone un utile strumento pratico), come ben dicevano Aristotele ed anche, mi perdoni Animus, Benedetto XVI.
      E una sfida che inevitabilmente porterebbe all’unica conclusione possibile, cioè che voi diciate, come perora anche Cesare : “Cari amici maschi, vi dobbiamo ringraziare per averci protetto anche se ci avete considerate un po’ bimbe, e per aver creato le condizioni della nostra emancipazione. Vi ringraziamo, ma appunto perchè ci sentiamo emancipate, ora vogliamo camminare con le nostre gambe. Non contro di voi, ma per noi, assumendoci tutte le responsabilità di persone adulte, senza piagnistei e senza invocare, un giorno si e l’altro anche, vantaggi speciali, senza pretendere che si sia credute sulla parola solo perchè donne, senza pretendere che ci togliate ancora le castagne dal fuoco (in guerra, sul lavoro e dappertutto). E ci impegnamo a fare questo cercando di non perdere la nostra femminilità, di non trasformarci in similmaschi senza mai poterci trasformare pienamente e restando quindi a mezz’aria, ibridi mal riusciti che hanno rinnegato la propria natura femminile senza aver acquisito quella maschile. E a voi chiediamo a nostra volta di non trasformarvi in similfemmine. “

      • tiziana
        17 luglio 2014 at 1:42

        Armando, anche gli uomini hanno respirato e assorbito l’ordine simbolico materno da bambini ed anche la loro madre era una donna e hanno desiderato il suo profumo, la sua grazia, i toni suadenti della sua voce, le sue tenere carezze, talvolta rivendicandone il diritto esclusivo di possesso in conflitto con la stessa figura paterna.
        L’uomo guerriero che poi conquista gli spazi e Penelope che invece lo aspetta e che continua a tessere la tela per non subire il tempo e non soggiacere al dolore, tutto ci ha strutturati diversamente.
        Allora personalmente dico non solo grazie agli uomini che hanno saputo portare a casa quel salario che li espropriava della loro forza lavoro e della dignità, ma anche a quelle donne che hanno saputo costruire con quegli uomini, magari anche continuando a tessere, un domani più dignitoso per loro i figli. Ho avuto un nonno e una nonna così.
        Le donne sono più colorate ” mi diceva un mio amico quando ero molto giovane, facendomi arrabbiare moltissimo. Gli dicevo che era un maschilista e tenevamo dei confronti serratissimi, soprattutto davanti ad un bel bicchiere di vino, ma lui continuava imperterrito a farmi delle gentilezze con un sorriso e un fascino partenopeo che per me aveva un colore …. Non c’erano secondi fini in quel colore messo in campo, cercava solo di distrarmi perché sapeva che vivevo un brutto periodo. E adesso che sono un po’ meno giovane, o che perlomeno debbo fare attenzione a non superare quello che ritengo essere il buon gusto nel colorarmi, un ordine simbolico riveduto e corretto, mi sento colorata lo stesso. E’ una questione di opportunità, di limiti e non mi sento sminuita nel pormeli e penso che Lucio un po’ aveva ragione. Perché mi voleva bene e mi era amico lo asseriva solo come apprezzamento sincero, guardandomi con gli occhi dell’affetto, me lo diceva come dato di fatto positivo e non pensando all’uso strumentale che talvolta di questo colore le donne fanno. Allora lo percepivo così ed è per questo che mi arrabbiavo.
        Debbo dire insomma che oggi per me è molto piacevole cercare il colore e vederlo nella naturalezza degli esseri umani: nella paternità che è diversa dalla maternità, nel diverso approccio al corpo della madre del bambino rispetto a quello della bambina ( per lavoro, a parte i nipoti, ne vedo moltissimi da quando avevo vent’anni e ne ho quasi sessanta ), un approccio quello del bambino dove già traspare una maggiore fisicità. Forse è diversa la madre nei confronti del maschio e della femmina? Non mi interessa capire questo, mi interessa osservare la vita nella sua diversità.
        Credo che il nostro pensiero si strutturi nei diversi contesti culturali dove abbiamo la fortuna o la sfortuna di stare fin da quando siamo nel grembo materno e che in quei contesti si strutturano tutte le nostre rappresentazioni mentali, anche attraverso tutti i nostri sensi. Col tramite del nostro corpo, delle nostre sensazioni ed emozioni, con le relazioni vissute.
        Sono convinta che molti di noi hanno subito ingiustizie, ma questo non è qualcosa di legato al genere, è legato piuttosto a chi ci è capitato di incontrare.
        Concordo con Rita sulla strumentalizzazione fatta del femminismo e dal femminismo, ma vi sembra che l’Infanzia stia meglio delle donne o degli uomini nel nostro paese? O degli anziani? O delle persone più fragili?
        Io ho imparato col tempo che i bisogni e i diritti nostri vanno coniugati armonicamente coi bisogni e coi diritti altrui, che vanno ricercati con la stessa forza, altrimenti non si va da nessuna parte nella relazione con chiunque altro, maschio o femmina che sia.
        Io posso dire che mi è capitato anche di giocare un ruolo subalterno, scientemente, per amore, ma come libera scelta per rispetto della cultura di provenienza del mio compagno dove la sapienza e la cultura maschile era vista come qualcosa da rispettare, al punto che se a tavola, quando eravamo dai suoi, cercavo di interloquire mi arrivavano addosso le occhiatacce delle donne della sua famiglia, ma in altri contesti ci giocavamo tutto il confronto che desideravamo avere, alla pari e con tutto il rispetto. A volte va valutata l’opportunità ripeto, non ci declassa. Ma è capitato anche a me di avere altro in cambio. Quel gioco di ruolo tacitamente condiviso non mi comportava sofferenza, ne’ una sensazione di subalternità, perché il mio compagno mi rispettava e mi sapeva apprezzare e non perdeva occasione di dimostrarmelo.
        Spero di aver alleggerito la

  29. Roberto
    16 luglio 2014 at 13:33

    Divide et impera neo-femminista.
    Lite alle Nazioni Unite tra l’ambasciatore russo Vitaly Churkin e l’ambasciatrice statunitense Samantha Power. Argomento? Le Pussy Riot.
    http://rt.com/news/173080-churkin-power-scandal-response/

    Le Pussy Riot (letteralmente “Rivolta della Fica”) sono evidentemente un gruppo formatosi per passione della musica rock …
    Le loro istanze ribelli sono evidentemente autentiche.
    Le loro performance polemizzano sempre con la Russia, ma è solo un caso.
    Si deve dire così pena essere accusati di complottismo.

    • Roberto
      16 luglio 2014 at 13:59

      Erano talmente appassionate di musica rock che dopo il carcere, raggiunta la notorietà, si sono date all’attivismo politico. E pensare che Mick Jagger sono cinquant’anni che suona, è molto più famoso, e non ha mai sentito alcun bisogno di smettere di suonare per fare l’attivista. Eppure problemi con la legge nel periodo dell’esilio in Francia li hanno avuti pure i Rolling Stones …
      Se vi viene il dubbio che alle P.R. della musica non sia mai fregato niente, pensatelo ma non ditelo, sennò diventate gombloddisti.

  30. Fabrizio Marchi
    16 luglio 2014 at 14:25

    Sottoscrivo in toto gli ultimi due commenti di Cesare e Armando.

  31. rita chiavoni
    16 luglio 2014 at 18:15

    Agli uomini che hanno commentato con tanta passione il mio articolo non posso non rispondere se non altro perchè sarebbe un tradimento nei confronti proprio del mio scritto.
    Alcune premesse importanti vanno fatte però.
    Ringrazio coloro che hanno condiviso le mie constatazioni, non c’è in me alcun desiderio di schieramento sulla questione del genere perchè ritengo sia, una guerra fratricida ( e qui per favore non mettiamoci a fare le pulci all’etimo di ogni parola usata, perchè non ne verremmo fuori, se ne sta ottusamente occupando il Presidente della Camera), per cui è faticoso, soprattutto se alla fine ti rendi conto che l’interlocutore sta proiettando su di te in quanto donna l’immagine della femminista separatista,oppure l’immagine della Grande Madre Uroborica. Faticoso ed inutile ed anche un tantino disturbante se questo poi sollecita il tuo immaginario verso altri personaggi mitologici molto arcaici descritti da Esiodo nella Teogonia Saturno, Krono etc. . Non credo infatti sia di alcuna utilità perdersi nell’inconscio collettivo, che certamente può fornirci spunti, solamente spunti però, mantenendo comunque saldo il rapporto con la coscienza, personale e collettiva che parafrando Jaspers è ‘il tutto attuale’.

    Trovo interessante il commento di Armando del 14 luglio delle 15.05. Certamente la cultura borghese è tramontata nei principi che l’anno resa forte permettendo ‘per millenni la civiltà’. Cosa questa che è stata possibile proprio perchè conservava al suo interno e proteggeva il simbolismo arcaico della grande madre come femminile/patriarcale ponendo questo come necessario contrappeso al maschile / patriarcale. Allora se tutto ciò può essere considerato verosimile è proprio all’interno di quest’ordine simbolico, a mio parere che vi è stata una preclusione del maschio nei confronti dell’eros, come principio relazionante e profondamente relazionato alla sua affettività, che è stata così coartata per millenni. Allo stesso modo, in maniera ne’ simmetrica, ne’ complementare, ma propria, così come Lacan sostiene che la donna non esiste, in quanto esistono Le donne, nella singolarità di ciascuna, una volta che individualmente si sia distaccata dalla madre (in senso sia reale che simbolico) così l’uomo non esiste, ma esistono gli uomini che per certi versi dovranno compiere un percorso simile, distaccandosi dall’immaginario del Padre/padrone per accedere alla dimensione affettiva della paternità. Questo è un percorso personale e culturale molto doloroso perchè fino ad ora è stato loro precluso Questo discorso avrebbe necessità di una maggiore articolazione, lo lascio sospeso. Trovo assolutamente sterile fare il conto dei morti dell’umanità, e contare quanti appartengano ad un genere piuttosto che all’altro così come m’imbarazza fortemente essere interpretata come la portatrice di un vessillo, dietro cui, lo ribadisco, non mi sono mai schierata. Ciò non può impedirmi di cogliere i disagi che hanno caratterizzato e caratterizzano tutt’ora e in modo sempre più aspro la relazione uomo-donna.
    Non ho interrotto la comunicazione perchè mi sono sentita offesa nella mia sensibilità di genere, rispetto al quale non rivendico alcuna specificità di percezioni particolari. Certo avrei maggiore interesse riguardo la proposizione di narrazioni diverse e di tutte le implicazioni che queste differenze possono comportare.
    Di fronte all’orrore che dilaga nel mondo, in questi giorni i miei pensieri sono anche altrove e faccio fatica a concentrarmi su questo argomento, proprio in quanto lo ritengo ‘distrattivo‘ rispetto a problemi che, in questo inizio secolo, affliggono l’umanità.
    Volevo chiudere proprio perchè ho colto il rischio di scivolare nella ‘cagnara’ delle discussioni improbabili di molti blog che non è mio uso frequentare per una totale mancanza d’interesse.
    Molti di questi commenti insistono sul fatto che ho alzato i tacchi sdegnata, con cipiglio femminile dicendo che rifiuto le discussione accese. Mi dispiace non vedo molta discussione, un po’ si, il resto è sfogatoio sterile.
    Se sono tornata a commentare l’articolo è perchè non si abbandona alle intemperie un figlio.

    • Roberto
      17 luglio 2014 at 13:41

      La questione uomo-donna non è più un problema psicodinamico bensì politico. Il problema non è il femminismo, che è un racconto di parte, bensì l’adozione di questo racconto a ragion di stato, come da te sottolineato.
      Gli uomini e le donne sono due gruppi di interesse che le istituzioni dovrebbero avere il compito di mediare e non mettere l’uno contro l’altro.
      Senza l’intervento diretto e parziale dei sistemi politico-finanziari occidentali nella “guerra dei sessi” – per alimentarla -, il problema oggi non esisterebbe o quantomeno si porrebbe in termini totalmente diversi.

  32. cesare
    16 luglio 2014 at 22:27

    Ancora una volta in questi generosi tentativi di dialogo tra uomini e donne emerge l’evidenza che siamo soli nella responsabilità di ” accettare il lavoro in miniera” perché la “barca vada avanti”: le donne non ci vanno e forse non ci andranno mai se non, come oggi, “per controllare quante tonnellate di carbone vengono estratte”. Arrivare alla vena di carbone non è loro compito, nè interessa loro. Ci dobbiamo pensare noi “per natura”. Che ci debbano pensare anche loro è “innaturale”. Comunque si dirà: gli uomini e le donne in miniera. E a loro basta, cosi non c’è da dire grazie. Il citato Altro sono loro stesse. E dunque, caro Armando, anche se il tuo invito alle donne perché riconoscenti camminino in totale autonomia e al nostro fianco, è invito cui ogni maschio si associa, cadrà nel vuoto: i conti non si fanno con le donne, ma per le donne: per questo i conti non torneranno mai. IMPORTANTE CHE NON DIVENTINO LEGGI COATTIVE LE LORO PERCEZIONI: già abbiamo visto gli effetti delle prime, costruiscono e costruiranno un inferno per tutti. La sapienza maschile di ogni tempo ha presidiato questa frontiera come decisiva per evitare di finire come cani da pagliaio in fattorie devastate.
    I conti dunque non possiamo farli che con noi stessi e il nostro padre e la nostra paternità e la comunità dei maschi che è tutta da ricostruire. Abbiamo una miniera inestinguibile di valore e di bene nella memoria della loro tradizione che è la nostra stessa ricchissima identità maturata nei millenni. Tradizione ed identità rimossa per fare il cavalleresco inchino all’ideologia femminista, l’inchino come quello del comandante che ha fatto naufragare il suo transatlantico all’isola del Giglio. Rivolgiamoci a questi giganti sulle cui spalle ci troviamo. Ogni padre a ben vedere è l’incarnazione del sacrificio maschile lungo tutta la Storia. Per caso ho incontrato questa poesia in musica di Jannacci e ve la propongo Un momento di poesia struggente in memoria di tutti i maschi e della loro dolorosa ed esaltante paternità universale:
    http://www.youtube.com/watch?v=aiuq9DWX7pc

  33. rita chiavoni
    16 luglio 2014 at 23:51

    Durante la lettura della parte finale della risposta di Fabrizio a Patrizia che riporto di seguito:

    “Quindi, ripeto, prima di rivolgere questo appello a noi, sarebbe meglio guardarsi allo specchio. E’ possibile che tutte quelle cose tu non le abbia mai dette né pensate però in molte le hanno pensate, le hanno dette, le hanno scritte e le hanno urlate.”

    ho commesso un grave errore interpretativo, di cui mi sono accorta solamente oggi: ho aggiunto un punto interrogativo all’interno della frase che nella mia mente è risuonata così : “è possibile che tutte quelle cose tu non le abbia mai dette né pensate ?.
    bene, il misfatto è stato compiuto ed è su questo lapsus o allucinazione o semplicemente il frutto di una dislessia ancora non diagnosticata ( ci rifletterò), ho alzato i tacchi. certamente un’osservazione di questo tipo sarebbe stata assolutamente irrispettosa. Mi scuso con Fabrizio e con tutti.
    Comunque al di la lapsus, è anche vero che iniziare la frase con “quindi ripeto, prima di rivolgere questo appello a noi meglio guardarsi allo specchio”, nel momento che l’Altra sta ponendo una questione di reciprocità, lascia da pensare ed è qui che lo scivolone è servito ad aumentare la distanza da parte mia per un confronto molto più duro del previsto.
    Vorrei appena sfiorare il discorso sul Logos posto da Armando , approfondirlo richiederebbe molto tempo, ci vuole metodo nel discorso e soprattutto argomentazioni convincenti. Mi limito ad una domanda, siamo proprio certi che la Coscienza passi esclusivamente attraverso il logos maschile (come aggettivato da Armando : maschile) e non anche attraverso l’eros e, se esiste un logos maschile esiste quindi secondo Armando un logos femminile, che in quanto logos, che nelle accezioni più proprie significa discorso, ragione e parola, non può non sfociare in una coscienza non caratterizzata dall’assoluto soggettivismo che lui da per scontato?
    Sono assolutamente d’accordo con lui quando afferma che il potere vero sguazza nel caos, giocando su più tavoli.

    • Fabrizio Marchi
      17 luglio 2014 at 10:05

      Ovviamente accetto senz’altro le scuse – e penso di poter parlare anche per gli altri – figuriamoci.
      Ero in effetti rimasto molto sorpreso dal tuo dietrofront, e il fatto che sia stato dovuto a un fraintendimento mi solleva molto.
      Chiarito l’equivoco, ribadisco ciò che era mia intenzione riaffermare rispondendo a Patrizia. E cioè che accolgo senz’altro con piacere il suo invito al dialogo e al confronto (del resto, siamo qui per questo) e che in quella mia risposta non mi riferivo a lei ma appunto a tutte quelle donne, militanti delle più svariate correnti femministe, che hanno sostenuto ben altre posizioni.
      Del resto, come è possibile il dialogo con qualcuno che viene individuato come un oppressore, un privilegiato, un potenziale stupratore e/o un “femminicida”?
      E’ evidente che con l’oppressore, in quanto tale, non ci si dialoga né ci si può dialogare. L’oppressore deve essere distrutto, per definizione. Non può essere altrimenti.
      E anche questa – fra le tante – è una contraddizione in termini spaventosa in cui si trovano moltissime donne che da una parte continuano a sostenere l’ideologia femminista (ormai interiorizzata a livello profondo) e dall’altra ad invocare contestualmente il dialogo con gli uomini e il reciproco riconoscimento. E’ evidente che le due cose sono inconciliabili.
      Infatti, come posso ricercare il dialogo con colui che considero nello stesso tempo il mio persecutore e il mio carceriere?
      E’ ovvio che è una contraddizione in termini dalla quale non si esce né si potrà mai uscire se non fuoriuscendo dall’ideologia femminista. Per questa ragione ho invitato Patrizia a rivolgersi alle altre donne e a metterle metaforicamente davanti a uno specchio.
      Ed è ovvio che questa contraddizione emerga sistematicamente perché, come è già stato fatto notare, quella fra uomini e donne è una relazione complessa che comprende sia la sfera pubblica che, soprattutto, quella privata.
      Ora, credo che sia evidente a chiunque che una ideologia come quella femminista, fra le tante devastazioni che ha provocato, non può che distruggere inevitabilmente la relazione affettiva e sessuale – già estremamente difficile di per sè per tante ragioni nelle quali ora non entro ma che abbiamo trattato molte volte – fra gli uomini e le donne.
      E io credo che sia proprio questa la ragione che spinge alcune donne (non moltissime , per la verità) ad interrogarsi.
      Mi auguro naturalmente che questa riflessione possa continuare. Ma ciò che chiedo a quelle donne che hanno cominciato ad interrogarsi non è tanto di continuare il dialogo con quelli come noi (comunque benvenuto) ma di rivolgersi alle altre donne (era questo, appunto, il mio invito a Patrizia, male interpretato) e di provare a farle riflettere (il mettersi davanti allo specchio era questo..).
      Capisco che è un impresa ardua, faticosissima, che comporta dei prezzi molto alti da pagare (ostracismo, emarginazione, pubblica gogna, isolamento, derisione, chiusura degli spazi professionali e politici ecc.) . Però non c’è altra strada.

  34. cesare
    17 luglio 2014 at 10:38

    Rita pone due domande che fanno parte di questioni fondamentali. Non so rispondere se non con altre domande. Non sono un intellettuale, faccio altro per pagarmi di che vivere. Comunque mi auguro che contribuiranno a tenere aperto il campo di questo reciproco affettuoso impegno al confronto.
    La prima domanda di Rita è se la coscienza passi esclusivamente attraverso il Logos maschile e non anche attraverso l’Eros. A mia volta domando se esiste il Logos che non sia al tempo stesso Eros. Mi sembra infatti che allo Spirito, al Logos, è attribuita la capacità,(cito a memoria immagini bibliche x’ è in prevalenza la mia area di riferimento), di ” raccogliere le ossa disperse nel deserto e calcinate dal sole e ridar loro vita per sempre”. Il Vangelo di Giovanni nel suo straordinario solenne incipit (1Gv1.1-4) attribuisce al Verbo la generazione di tutto. Traslato in un contesto laico: non è forse al Logos che viene riconosciuta la specifica potenza di creatore delle “cose nuove”? E la Storia non è forse questo incredibile ” nuovo” della passione (nel significato di Eros e anche di Patos), alias Logos maschile? tra l’altro cosi immediatamente riferibile alle modalità in cui si esprime l’atto maschile di fecondazione. In conclusione: come si può creare senza Eros? E come può dunque il Logos creatore essere senza Eros, senza passione (che per inciso comporta ineludibilmente anche il significato della passione sul Golgota)?
    La seconda domanda di Rita, se ho inteso correttamente, è se esista un Logos femminile che esprima altro dalla radicale soggettività o autoreferenzialità attribuita ” naturalmente” al femminile. Io domando: esiste la parola senza parola? Esiste un Logos del non detto e del non dicibile perché c’è un “modo” di non dire tramite il quale vien detto tutto, in un istante, nel presente? E come può essere questo paradosso di un dire che non dice? A mio avviso esiste ed è avvicinabile al “silenzio accogliente” di psicoanalitica esperienza. Ma è infinitamente di più nel senso e quando è anche uno dei modi che l’esperienza religiosa riconosce alla manifestazione dell’Assoluto. “Tu sei il silenzio” è il titolo di un testo di Karl Rhaner che riconosce il silenzio come attributo di Dio. Ha a che fare anche col femminile questo dire tutto senza dire una parola? Che poi è il sussistere di assoluta particolarità nella assoluta generalità. Ecco a questo rispondo: credo che se i maschi fanno la Storia la fanno per le donne e la fanno per le donne perché intuiscono che nel non esserci, nel non parlare, in una parola nel parlare senza parole, nell’esserci senza esserci, della donna c’è l’esperienza dell’apertura all’Assoluto: il “setting” dove l’accadere maschile, il determinarsi maschile, ha la possibilità di darsi. È questo silenzio, non il silenzio ma “questo” silenzio, il Logos al femminile? l’altra modalità del Logos-Eros di costituire la coscienza? E ancora: ma “questo” silenzio non è forse stato travolto dal furore femminista contro “il” silenzio femminile, ovvero la presunta tacitazione attribuita invece che a se stesse, per default all’oppressione maschile (per inciso e per chiarezza, la Storia della coscienza umana è la Storia degli applausi per i maschi che non tacevano o è la Storia dei maschi torturati e uccisi da “Re e Regine” appunto perché parlavano?)? Se cosi fosse come è possibile perdere consapevolezza di essere ” setting”, condizione dell’esistente, e immediata appartenenza ad una dimensione dell’Assoluto? Buttare via ciò che costituisce la propria straordinaria specifica potenza nell’apparente impotenza? A mio avviso, questo è fra gli altri, lo specifico valore femminile per il quale l’Altro, il maschile, è disponibile a dare vita e donare la propria. Può una donna di oggi volgersi ancora al proprio interno, riconoscere “questo” silenzio, e in qualche nuovo modo tornare ad esprimerlo? Senza con questo ritornare alla tradizionale comodità e vizio di autotacitarsi? O l’uno esclude inesorabilmente l’altro e anche il femminile deve anch’esso buttarsi nel fiume di parole a rischio di totale insignificanza, (sia maschile che femminile), in base all’obbligo che tutto deve essere detto cosi che tutti sappiano niente e sappiano di niente?

  35. armando
    17 luglio 2014 at 14:38

    Discussione straordinaria. Mi ricorda quelle di un tempo nei MS. Passa il tempo, cambiano i soggetti, ma non la trama delle questioni quando c’è voglia e passione. Rita parla della necessità di una dimensione affettiva della paternità. Sono assolutamente d’accordo. Quella dimensione è stata “castrata”, ma non da sempre e non dal cosìdetto Patriarcato. Chi oserebbe negare la dimensione affettiva di Ulisse nei confronti di Telemaco? Nessuno, credo, anche se Ulisse era lontano, in guerra, a compiere il suo destino di uomo. E non esiste forse una dimensione affettiva della paternità in Giuseppe? Una dimensione affettiva nel padre cristiano rappresentante in terra del Padre Divino? Esiste, eccome. Purtuttavia è vero che ad un certo punto è stata, almeno in parte, rimossa. Basta leggersi le lettere di Kafka al padre per accorgersi dell’amore struggente che provava per il padre, e di come gli sarebbe bastato un segno da parte di lui, segno che non veniva e che il giovane Kafka ricercava disperatamente.
    Ma quello era già un padre “limitato”, un padre che aveva già perduto il senso della paternità trascendente (e quì le fedi religiose c’entrano ma solo come riferimenti a una dimensione psichica della religione piuttosto che a un corpo dottrinario), un padre l’autorità del quale, credendo di trovare ragione solo in se stessa, era già vacillante e con tendenza a mutarsi in autoritarismo. Insomma, il padre della borghesia espressione, allora, dell’affermarsi del capitalismo e della ragione utilitaria. Una breve parentesi: quando nella mia mail parlavo della borghesia non intendevo farne l’apologia, ma solo affermare che era portatrice di contraddizioni che, in quanto contraddizioni, presentavano lati emancipaticie e lati regressivi (e repressivi). Tornando a noi, è necessario dire subito che il recupero della dimensione affettiva della paternità non significa assolutamente la trasformazione del padre in mammo, e ha poco o nulla a che fare con pannolini e biberon e cacchette (per chiarire, lo dice uno che negli anni 70 quelle cose le faceva senza vergogna alcuna e delle quali non mi pento affatto). Non ha a che fare, se non per una normale organizzazione della vita domestica, perchè non è quello lo specifico paterno. Che è, invece, la rottura della simbiosi con la madre quindi il NO, la ferita dunque, e poi di conseguenza l’apertura al sociale, la proiezione del figlio (e ovviamente della figlia), nella dimensione adulta. E per adempiere a questi compiti occorrono sia autorevolezza che autorità, anche formale. Al padre sono state negate, culturalmente e legislativamente, tutte queste funzioni per incitarlo a diventare una vice mamma. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
    Logis ed Eros nel maschile. In gran parte ha già risposto Cesare nel suo bellissimo post e non mi ripeto. Aggiungo solo che la virilità è prima di tutto virilità interna, spirituale. Certo che questa non esclude Eros come base e fondamento, ma quando in un uomo prevale esclusivamente la dimensione puramente sessuale,pusionale, istintiva, fallica, quando quell’uomo non possiede virilità spirituale, egli è già (o meglio ancora) sotto il dominio dell’archetipo grandematerno. Può scopare tutte le donne che vuole, e loro lo possono ammirare e bramare quanto si vuole, ma siamo sempre sul terreno della Grande Madre e il maschile è perdente. Ed è quello che sta accadendo ora, fase di regressione psichica anzichè di emancipazione.(mi rendo conto che non c’è spazio, e sono costretto a fermarmi a queste affermazioni).
    Tiziana scrive due cose. La prima è che anche gli uomini devono essere riconoscenti alle donne. D’accordissimo, lo hanno sempre fatto tanto da angelicarle e rimuovere i lati più “oscuri” della femminilità. Basterebbe, come ho già scritto, si facesse anche il contrario invece che parlare ossessionatamente di oppressione. La seconda è che anche gli uomini hanno assorbito il simbolismo materno. Verissimo. Lo hanno assorbito e se ne sono cibati, per fortuna. E’ assolutamente necessario che nei primi tempi della vita del bambini si installi “il codice materno”, come sosteneva Franco Fornari. Ed è compito del padre (a proprosito di padri/maschi oppressori) favorire quel regno della madre, spostando su di sè e assumendolo, il carico angoscioso di violenza di cui sono intessuti gravidanza e parto (comprensibili, sia chiaro, quindi niente colpevolizzazione delle donne), perchè si possa affermare il lato d’amore.
    Sennonchè quel codice materno, quella necessaria simbiosi madre/figli, se perdura troppo diventa regressivo, mortifero, blocca lo sviluppo della coscienza del bambino, gli impedisce di distinguersi dalla madre di cui rimane innamorato (o identificato) per sempre. E quì, ancora l’oppressore all’opera, il padre deve intervenire di nuovo per “ferire”, per rompere la simbiosi, perchè da sola la madre non ci riesce, e non per sua “colpa”. Il padre libera così madre e bimbo. Compito difficile, anche ingrato, ma questo è (dovrebbe essere, era prima che il padre fosse relegato nella pattumiera della storia), il destino del padre.
    E quì veniamo all’ultima questione, il Logos femminile. Non ho scritto che non può esistere. Ho scritto però che, come l’inconscio viene identificato come simbolicamente femminile, così la coscienza viene identificata come simbolicamente maschile. Queste identificazioni simboliche sono prodotte naturalmente dalla psiche (per ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare) e si ritrovano sempre e ovunque in ogni cultura (maschile=coscienza=luminoso=solare=secco=cielo, e femminile=inconscio=oscuro=lunare=umido=terra). Naturalmenre la corrispondenza con i caratteri di uomini e donne concreti è relativa, seppure in linea di massima esista. Si possono trovare individui maschi con accentuati caratteri femminile e viceversa e comunque ogni individuo è sempre, per fortuna, un mix. Detto questo, un Logos femminile può esistere, certo, ma se e solo se riconosce in se stesso l’esistenza di tratti non “suoi” come femminili (l’Animus junghiano). E’ quindi la coscienza maschile che la donna deve sperimentare, senza farsi fagocitare per non diventare un similuomo, per diventare adulta e capace di assunzione piena di responsabilità come donna. Inutile dire che un percorso simile ma opposto deve fare l’uomo nei confronti dei caratteri non “suoi” (l’anima) per non cadere nella rigidità mentale e nella spietata razionalità del solo calcolo.
    Io credo che solo quando queste cose, un tempo praticate spontaneamente anche senza essere conosciute intellettualmente, saranno finalmente ri-conosciute reciprocamente, solo allora potrà cessare la guerra dei sessi, senza crisi mimetiche (a proposito delle quali l’instaurarsi del Patriarcato ha a che fare)che minacciano, come ora, la cultura e quindi la civiltà. ma perchè ciò possa accadere occorre smetterla di pensare il maschile come l’oppressore del femminile, e le donne come le eterne vittime degli uomini.
    armando

  36. tiziana.
    17 luglio 2014 at 21:06

    La mia nota sotto quella di Armando del 16 luglio vi è arrivata incompleta, non so perché, forse avevo troppo sonno e per rileggere se avessi scritto in maniera comprensibile, una volta rassicurata su questo, forse ho dimenticato di chiudere il discorso. Stavo dicendo che concordo con Rita.
    Scrivo di nuovo perché sul tema dell’ordine simbolico materno mi ha dato nuovi spunti Anna Nacci che ha pubblicato per Sensibili alle Foglie il libro “Suono chi sai”. Anna dice: ” A partire dal battito cardiaco udito dal feto al quinto-sesto mese di vita, per poi udire la sinfonia dell’orchestra materna prodotta dai suoni della circolazione sanguigna, dalla respirazione, dalle attività intestinali così come le frequenze della voce materna, nell’auditorium intrauterino si genera il suono primordiale di ogni genere vivente”
    La voce materna è uno dei suoni più articolati e costanti ascoltati dal feto, la stessa voce/musica che gli canterà le ninna nanne, melodie con andamenti cantilenanti, rassicuranti, in cui il ritmo e l sonorità hanno costantemente costantemente più efficaci del contenuto verbale”. Continua osservando che tutto questo ha che fare anche nell’età adulta col sistema limbico e con la produzione di endorfine, quelle che ci producono piacevolezza e benessere e ad ognuno con il suo originale gusto connesso a quell’antico conosciuto. E’ così per gli uomini e per le donne.
    Prosegue più avanti: “Quindi il neonato trasferisce il suono primordiale, appreso in uno spazio circoscritto e protetto, in un nuovo spazio corredato da un enorme spettro di relazioni, con nuovi suoni oltre che sfide, richieste di adattamento, crescita, acquisizioni di nuovi codici, nuove capacità percettive e sensoriali.
    Il neonato deve produrre dei suoni per comunicare i bisogni fondamentali, per la sopravvivenza quanto per la costruzione del Se’. E’ l’udito il primo senso che si sviluppa e connette la persona (dal latino per-sonare, risuonare attraverso) con il mondo circostante.”

    • armando
      17 luglio 2014 at 22:22

      Appunto, Tiziana. Il codice materno è fondamentale altrettanto quanto quello paterno, seppure con modalità e tempi non del tutto sovrapponibili. Ora il problema è che mentre il patriarcato non ha mai pensato di abolire l’ordine simbolico della madre, l’autrice dell’omonimo libro, Luisa Muraro, scrive a chiare lettere che l’ordine simbolico paterno è inutile.Per lei non c’è necessità della Legge del Padre, e l’altro dalla madre nel rapporto relazionale col figlio può essere chiunque, non è detto debba essere il padre. Così è evidente che è importante, per lei, solo il simbolismo materno. Per questo alla fine il femminismo, in tutte le sue versioni, è regressivo culturalmente, altro che emancipatorio. La madre da sola non si stacca e non riesce, neanche con la buona volontà massima, a far staccare il figlio da sè. L’ha o non l’ha tenuto dentro nove mesi? Il non capirlo è uno dei drammi del nostro tempo, perchè si è confuso il padre con l’autoritarismo e lo si è abbattuto. Ma abbattendolo viene meno l’argine al narcisismo onnipotente che si instaura nel rapporto simbiotico madre/figlio. Altro che matrimoni gay, uteri in affitto, procreazione senza padre e folli scemenze del genere. E attenzione, il narcisismo onnipotente, la mancanza del limite, l’insopportabilità della ferita, il desiderio che si trasforma subito in diritto, sono tutti, ma proprio tutti, caratteri perfettamente funzionali al capitalismo. Tutto ciò dovrebbe far riflettere, ma niente. Certa sinistra continua a identificarsi in rivendicazioni falsamente libertarie che vanno nella stessa direzione indicata dal capitalismo assoluto.
      Voglio dirti un’altra cosa, e proprio partendo dalla bellissima descrizione che fai nel tuo messaggio delle percezioni del bambino in corpo alla madre.
      E sarebbe un insignificante un grumo di cellule? Una “non persona” di cui potersi sbarazzare senza tante storie e/o rimpianti? No care amiche, pensateci e ripensateci. L’aborto non può essere un diritto. Può essere depenalizzato, d’accordo, ma non un diritto. E non esiste neanche che il padre sia completamente tagliato fuori.

    • tiziana
      17 luglio 2014 at 22:46

      Sono disperata, questi messaggi partono da soli quando decidono loro e non mi danno modo di finire ciò che cerco di dire. Ecco cosa dev’essere successo anche la notte scorsa! Va beh!
      Proseguo ciò che stavo dicendo:
      Insomma Il cervello limbico, dove avvengono tutti questi magici processi, trasforma in emozioni tutte le nostre stimolazioni esterne, questo accade accade a partire da quegli antichissimi rumori uditi fin dal grembo materno.
      Secondo lo psichiatra Sivadon dice la Nacci, nel cervello limbico l’immagine pulsionale, lo stimolo sonoro e il ritmo incidono solchi profondissimi. Il senso del ritmo è una funzione più vecchia del linguaggio parlato. Aggiunge a conferma che basta osservare soggetti autistici, chiusi alla relazione, almeno apparentemente, durante l’ascolto musicale, o soggetti che presentano processi degenerativi. E’ questo legame diretto della musica col centro talamico che spiega l’effetto che su di loro ha la musica insomma. La loro corteccia che non reagisce più agli stimoli come per un corto circuito a vantaggio del talamo ne trae giovamento. Una sorta di regressione possibile?, concessa?, agognata? direi io. La Nacci sostiene che a partire da questo si può sollecitare di nuovo la corteccia: si, proprio dalla musica e aggiunge: “Se la musica fosse un linguaggio analizzabile solo a livello dei centri nervosi, la ricettività sarebbe identica in tutti i soggetti provvisti di un sistema nervoso centrale integro. Ma i suoni si trasformano in emozioni, in un lavoro congiunto dei due emisferi cerebrali coinvolti nel processo. Sentire, ascoltare, capire permette ad ogni individuo di rispondere in maniera differente all’ascolto dello stesso messaggio musicale”.
      Non posso riportare qui tutto questo affascinante discorso, ma un’ultima cosa non posso tacerla: ” Durante un ascolto tratteniamo quello che vogliamo e ognuno di noi associa una musica, un suono una sequenza di note o un ritmo a un personale ricordo, una sensazione, un’immagine, un periodo”
      Udire è un fenomeno fisiologico, ascoltare è un atto psicologico dice la Nacci riportando il pensiero di Barthes e Franco Zuffi: le reazioni soggettive, qual quelle fisiologiche, affettive e culturali agli stimoli acustici sono il risultato tra condotto uditivo, sistema limbico, emozioni e immaginario, di conseguenza dobbiamo tenere in considerazione le dinamiche e le valenze dell’orecchio culturale insieme all’orecchio fisiologico.
      Penso in maniera convinta che anche tra donne e donne talvolta passano suoni che possono disturbare, così come tra uomo e uomo. Ognuno adora i suoi suoni antichi, quelli che ci riconnettono ad un ordine simbolico che è stato personalmente sperimentato, amato, desiderato, conosciuto, qualche volta anche un po’ subito forse.
      Eppoi basta fare un corso sulla comunicazione che ti viene detto subito che in genere le donne più spesso usano un linguaggio cinestesico e gli uomini un linguaggio visivo, che se vogliamo che gli uomini non scappino dobbiamo sforzarci di utilizzare il canale visivo quando tornano stanchi dal lavoro invece di torturarli con il nostro sentire triste. Ma il nostro modo di essere è legato anche ai ruoli che socialmente ci vengono affibbiati, al fatto che Ulisse poteva girare il mondo e vedere cose nuove ogni giorno e Penelope invece tesseva, tesseva, tesseva e si sarebbe rotta di stare a tessere se non avesse almeno rimuginato tra i ricordi. Qualche volta dover rimuginare potrebbe rendere perfide? Certo immaginare Ulisse in giro……
      Certo forse siamo diversi, ma a me è proprio questo fatto che mi intriga. Per lavoro sono obbligata a lavorare con molte donne e talvolta vi assicuro che è veramente pesante. Insomma per me la pulsione a conoscere è ciò che vitalizza, quella che mi ha concesso di continuare ad avere voglia di vivere nonostante il mio tutto.
      Vi lascio con una poesia che ho scritto parecchio tempo fa’ e che stasera sento con questa metrica. A proposito di ritmo.

      Ad un giovane amico

      Venni alla tua fonte e bevvi acqua pura
      m’inchinai al cospetto del tempo e persi la vita
      mi chiesi se fosse giusto o ingiusto
      non seppi rispondere,
      ora vorrei dirti tante cose
      ma non riesco a parlare

      .

      .

  37. cesare
    18 luglio 2014 at 0:11

    Non si tratta appunto di ninne nane, voci uterine, quelle che costituiscono nella libertà il soggetto emancipato dal sè come io libero ed autonomo, ma la voce del padre. È la sua voce la voce dell’io che chiama ad uscire dall’utero e dalle “voci dell’utero”. E’ la voce del padre e la sua presenza la garanzia che il mondo oscuro del simbiotico e dell’indifferenziato, primigenia illimitata potenza di illimitate possibilità, e mondo del caos, si “sanifichi” entrando nella luce del giorno, del suo ordine e del Logos. È ruolo maschile il manifestarsi nel mondo sotto la luce del sole pagando il prezzo del Golgota, il prezzo del limite, essere “questo qui” e mai più e per sempre “anche quello”, Golgota che solo gli uomini salgono liberamente e che le donne autentiche piangono e ammirano e sanno salvifico, le “denaturate” dall’ideologia irridono e sprezzano, male-dicendo non a caso la Storia. E’ la voce del padre che ascoltata ed “emozionata” dal concepito lo chiama alla libertà delle regole del Mondo e lo costituisce soggetto autonomo e capace di affrontare il dolore, prezzo della libertà. Questo è quanto simboleggiato dall’assumere il nome del padre che per l’ennesima follia di maschi storditi dalla sequela di femmine ancora più stolide di loro, viene giocato a dadi oggi nelle aule del parlamento italiano, assemblea inconsapevole delle grandi costitutive regole del gioco umano, perfetta interprete di una civiltà suicida.
    E adesso ditemi amiche se non abbiamo descritto poc’anzi nel concepito una persona a pieno titolo, in questo stupendo intreccio relazionale materno e paterno di cui il concepito è soggetto e protagonista. E ditemi se il padre ha o no a che fare con il figlio accudito nel ventre materno a sua volta accudito dalla protezione maschile. E ditemi se l’amore del padre per il concepito è una relazione nulla sia per il padre sia per il concepito. Perché anche queste domande amiche mie sono sul tavolo. E nessuna autorità mai sarà in grado di far passare in coscienza e in verità queste relazioni, questo amore, per relazioni ed amore per un “grumo di cellule”, per “non-relazione”, “non-amore”, macchia confusa e informe di “materiale biologico” sullo sfondo dell’immagine materna riflessa nello specchio. E a proposito della capacità di un eventuale Logos femminile di emanciparsi dall’autoreferenzialità mortifera: come è possibile riconoscere mai l’Altro se si nega la futura parola al concepito, se si nega che il suo silenzio sia parola, ogni possibile parola? Che ne verrà dal tradire l’antico monito del non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te?
    Amiche vi dico quanto penso. So che comunque in cuor vostro da sempre lo sapete: i maschi tacciono in merito a questo giudizio la cui responsabilità è attribuita ahimè ingiustamente a tutto il genere femminile, giudizio secondo cui il concepito è meno di nulla, scarto del corpo femminile, e l’amore paterno, la richiesta della salvezza del proprio figlio dalla distruzione, un arbitrio, persino un pensiero vietato, una protesta che è reato. Detto cosi com’è è terribile vero? E sapete anche che questo giudizio femminile per le disgraziate che lo formulano e lo attuano diventa giudizio su stesse, condanna di se stesse. Il giudizio maschile è taciuto, è durissimo, ed è giudizio di tutti i maschi che sperimentano consapevoli o no di essere atrocemente violati nel profondo di ciò che in buona parte li costituisce, la loro paternità. Magari meraviglierà il termine “tutti”, ma al dunque sono proprio tutti. I maschi, i più “buoni” fra loro per l’ennesima volta, “cavallerescamente” tacciono, si allineano prestando mille razionalizzazioni a cui non credono. E negano alle donne la verità di ciò che pensano: ritengono faccia loro male. Tacciono e tacciono anche il giudizio. Io li inviterei invece a formularlo ad alta voce come un dono prezioso, perché la verità rende liberi.

    • tiziana
      18 luglio 2014 at 8:36

      Personalmente non ho mai negato il ruolo paterno, anzi, più spesso l’ho cercato e sollecitato, agognato sentendo la mia incompiutezza e mutilazione, soprattutto nell’insegnamento da dare al figlio/a e ho avuto paura di sbagliare, tanta paura in sua assenza, soprattutto. Poter agire un patto solidale verso l’altro il mio desiderio profondo, dove il delirio solipsistico potesse scomparire, per far crescere, Questo permette di trovare posto alla parola, quella giusta, alla regola vera, giusta e alle parole giuste da poter dire.
      Quando non riuscivamo in questo io e il mio compagno dell’età matura, dal quale ho appreso molto e che purtroppo ho perso, sceglievamo di tacere, per avere il tempo di riflettere sulle ragioni dell’altro per non dire le parole della distruzione reciproca. La capacità di sospensione dal giudizio è un grande medicamento..
      L’ autoreferenza o l’assenza invece lasciano nella con-fusione anche il figlio o la figlia e ci obbligava ad agire mutilati, nonostante il desiderio di condivisione che ci resta frustrato e solo e che non trova le parole giuste da dire.
      Non tutti gli uomini possiedono consapevolezza del loro compito e del loro limite, così come non tutte le donne. Però ci sono donne e uomini di buona volontà, che vivono faticosamente proprio per essere capaci di discriminazione. Accompagnare i propri figli dall’uscita dal solo emozionale e permettergli di aprirsi sia ai bisogni dell’altro che alla regola è qualcosa che deve essere agito insieme per non mutilarli a loro volta, nei corpi umani c’è il bisogno di entrambi affinché loro possano imparare a muoversi armonici nel mondo, capaci si affrontarlo anche recuperando la sospensione senza sentirsi deboli per questo.
      Solo così si passa dall’empatia alla norma giusta sapendo agire e offrire “resilienza”.
      La sola norma resta un assunto vuoto e doloroso, narcisistica anch’essa, che isola e indurisce, che irrigidisce e che si gioca su un potere troppo distaccato dai bisogni di umanità degli individui, uomini e donne.
      Il pathos di Enea che ho amato non ne faceva un debole.
      Per me il maschile e il femminile debbono lavorare insieme anche quando la vita ci spiazza e con grande fatica d’autocritica. Solo riconoscendo l’altro come portatore di valori diversi possiamo instaurare relazioni serene, vere, rispettose del dolore di vivere reciproco, talvolta assai diverso ma che ha eguale diritto ad essere, ad esprimersi e ad essere compreso. Buona giornata Cesare

  38. Rino DV
    18 luglio 2014 at 20:36

    Tiziana” Personalmente non ho mai negato il ruolo paterno etc.”
    Al tempo: l’oggetto del contendere non sono le nostre personali opinioni, il nostro vissuto, le nostre valutazioni. E’ la realtà sociale oggettiva.
    Non è in questione il nostro rapporto con la pioggia, ma se stia diluviando o meno. Sta diluviando ma il diluvio porta il nome di siccità.
    L’oggetto del contendere è: c’è una guerra sociale contro i padri o no?
    Che origini ha, chi la conduce, che effetti produce etc.

    • tiziana
      19 luglio 2014 at 3:31

      Sulla guerra posso anche dire che è in atto, ma c’è un problema di tipo comunicativo tra generi, che viene acuito da una situazione sociale ed economica degenerata e che non giova ulteriormente alla comprensione e al rispetto.

      • 19 luglio 2014 at 8:23

        >c’è un problema di tipo comunicativo tra generi … acuito da una situazione sociale ed economica..

        E dove sarebbe la società “ricca” dove non si fa questa guerra.
        La Svezia o gli USA meglio dell’India o del Bangladesh?
        La realtà non dimostra invece che è vero proprio il contrario?

        Ricorda tanto quell’altro dogma (in realtà una bugia), che non si fanno figli perché mancano i soldi. (quando i figli sono stati sempre e dovunque più numerosi laddove i soldi sono/erano meno)

        Non so, la mia impressione è più ci si allontana da una “religione” (cioè un insieme di bugie), più ci si avvicina … ad un’altra (altre bugie).

        Sotto questi presupposti, questo sì, il dialogo/comunicazione, diventa difficile.

  39. Fabrizio Marchi
    19 luglio 2014 at 11:29

    Io direi che più che contro i padri, la guerra è contro il genere maschile nel suo complesso, contro gli uomini (quindi anche contro i padri, ovviamente), individuati come oppressori, privilegiati e violenti, sempre, comunque e dovunque.
    Questo è ciò che rende il femminismo una ideologia intrinsecamente sessista e interclassista. Il femminismo ha individuato nel padre di famiglia (cioè quello che nella gran parte dei casi tira la carretta a prezzo di pesanti sacrifici) , nel compagno, nel marito, il primo nemico da distruggere, e ha lucidamente insegnato alle donne ad odiarlo, spiegandogli che proprio quel compagno è il suo oppressore, ben prima del “padrone” (che è lo stesso che sfrutta il marito). E lo ha potuto fare, come abbiamo spiegato tante volte sul sito Uomini Beta, attraverso una filosoficamente e concettualmente ridicola rivisitazione (la definisco da molto tempo come un “copia-incolla”) o reinterpretazione della filosofia hegeliana e marxiana, sostituendo il conflitto fra i sessi a quello di classe. Grazie a questa reinterpretazione il proprio compagno viene trasformato in oppressore, anzi, nel primo fra gli oppressori, colui che “in piccolo”, cioè nella dimensione privata o nell’ambito familiare, riproduce e ricrea il rapporto di dominio che egli stesso vive (da subordinato) nei confronti del proprio “padrone”.
    E’ un copia-incolla ridicolo anche perché, come ho già avuto modo di spiegare, questo schema non poteva essere applicato alle grandi masse proletarie del tempo e del contesto in cui Marx viveva, per la semplice ragione che la famiglia proletaria (all’interno della quale si sarebbero dovuti ricreare quei rapporti) era già stata oggettivamente distrutta dal capitale. Cito testualmente dal secondo capitolo (“proletari e comunisti”) del Manifesto del Partito Comunista (l’opera di Marx di più facile lettura per tutti e forse anche la più importante per ciò che ha rappresentato):”Ma volete abolire la famiglia! Perfino i più avanzati fra i radicali si indignano per tale obbrobrioso proposito dei comunisti. Ma su che cosa riposa l’attuale famiglia borghese? Sul capitale, sul guadagno personale. Non esiste nel suo pieno sviluppo se non per la sola borghesia; ma essa trova il suo complemento nella forzata mancanza della vita di famiglia presso i proletari, e nella prostituzione pubblica…” E poco dopo:”Le educazioni borghesi sulla famiglia, sulle educazioni e sui dolci legami che uniscono i figliuoli ai genitori diventano sempre più nauseanti, quanto più, per effetto della grande industria, i legami di famiglia si van perdendo del tutto tra i proletari…”.
    La citazione riportata non vuole essere un riferimento a chissà quale “sacro testo”, ma ci serve per capire in che misura e in che dimensione le cose vengono piegate e manipolate pro domo propria. Questa non è certo una prerogativa del solo femminismo, ma non c’è dubbio che quest’ultimo eccelle da questo punto di vista. Ed eccelle soprattutto nel riproporre e nell’applicare pedissequamente determinati schemi interpretativi e ideologici (sia pur abilmente riformulati) elaborati in determinate epoche e contesti storici ormai lontani (penso ovviamente all’interpretazione engelsiana-marxiana dela storia della relazione fra i sessi, affrontata nell’opera “Le origini della famiglia e della proprietà privata”, interpretazione che personalmente non condivido o condivido solo in parte), nella realtà attuale, decontestualizzandoli e destoricizzandoli. Ed è la stessa operazione, come ho spiegato in altro commento, che accomuna una certa “sinistra” a una certa “destra”, anzi, alla gran parte della destra. Ora che sia questa a decontestualizzare e a destoricizzare posso anche capirlo (anzi, mi meraviglierei se non lo facesse), ma non posso capirlo per quanto riguarda la sinistra.
    Naturalmente mi sto riferendo nel caso specifico al femminismo europeo di matrice marxista (diciamo sessantottina e postsessantottina che mi sembra più appropriato, e come sapete chi scrive considera il ’68 un sostanziale processo di rinnovamento del sistema capitalistico che da borghese diventa postborghese, anche se spacciato per rivoluzionario e vissuto in buona fede come tale da moltissimi, compreso il sottoscritto) e in particolare quello italiano e francese. Esiste un altro femminismo, che è poi quello diventato egemone nel tempo, che è quello di derivazione “liberal” anglosassone fondamentalmente targato USA che ovviamente con la tradizione comunista e socialista non ha nulla a che vedere. Per la verità ne esistono diversi altri che testimoniano appunto la natura complessa del femminismo e la sua capacità di andare ben oltre gli steccati ideologici tradizionali per diventare appunto un’ ideologia complessa, figlia della modernità e della complessità capitalistica.
    Tornando a noi, la guerra è stata dichiarata e da quel dì, solo che si fa finta che non esista. Le bombe piovono, proprio come a Gaza, metaforicamente parlando, solo che si tratta di bombe psichiche (per la verità non solo psichiche perché la legislazione securitaria e repressiva antimaschile è in funzione ormai da tempo) e la maggior parte delle persone non se ne avvede. Ma da un certo punto di vista (appunto, psichico e psicologico) provocano più danni delle bombe scaricate sulla testa dei popoli dalle armate delle potenze imperialiste occupanti che certamente provocano morte, orrore e distruzione, ma sotto un certo profilo non fanno altro che aumentare la coscienza e la consapevolezza di quei popoli che le subiscono.
    Nel nostro caso, siamo in presenza di un altro genere di bombardamento che purtroppo provoca un altro genere di danni, comunque devastanti. In fondo si tratta di due diverse strategie riconducibili entrambe allo stesso “manovratore”, cioè il sistema capitalistico dominante in tutta la sua complessità (quindi non riducibile ai soli rapporti di produzione…).
    Mi fermo altrimenti, come al solito, non la finisco più…

    • armando
      20 luglio 2014 at 16:08

      Sono d’accordo, Fabrizio, ma ci sono evidenti implicazioni, anche nella frase del Manifesto di Marx che citi. Se la società capitalistico/borghese aveva già distrutto la famiglia o almeno aveva già in sè i germi della sua distruzione, rimangono da capire due cose: 1)quella distruzione è stata oggettivamente emancipativa oppure no? 2)E con cosa dovrebbe essere sostituita nella regolazione sociale dei rapporti fra i sessi, ,che credo necessaria in ogni tipo di società perchè tali rapporti investono lo statuto simbolico (e concreto) della mascolinità, della femminilità, e della filialità?

      • Fabrizio Marchi
        22 luglio 2014 at 9:49

        Armando, ciò che mi interessava nel caso specifico era sottolineare la manipolazione ideologica effettuata dal femminismo.
        Ciò detto, rispondo per ciò che concerne i due quesiti che hai posto.
        So, perché ti conosco, dove vuoi arrivare 🙂
        Come anche tu ben sai, sono un critico radicale del sistema capitalistico e ne auspico il suo superamento, però guardando avanti e non indietro, come mi pare tu faccia. E guardo avanti non per enfasi “progressista” ma per due ragioni fondamentali seppur di diversa natura.
        La prima (oggettiva) è che nella Storia non si torna mai indietro. La Storia è soggetta, è vero, a corsi e ricorsi, però alla fine di un ciclo (di corsi e ricorsi) ci si assesta sempre su equilibri che non possono oggettivamente essere gli stessi o quelli precedenti a quel ciclo stesso. In parole ancora più povere, è impossibile ripercorrere gli stessi passi a ritroso. Vale per tutto, sia chiaro. Tutte le esperienze storiche sono irrepetibili sul lungo e lunghissimo periodo, non foss’altro perché la realtà muta costantemente.
        La seconda (soggettiva) è che non penso affatto che i sistemi sociali che si sono affermati e succeduti prima dell’avvento del capitalismo possano essere presi in alcun modo come modello. So che qui inevitabilmente ci dividiamo ma, come ho già avuto modo di dire, pur con tutte le critiche necessarie, tra i “lumi” e l’ “ancient regime” (per non parlare di quello che c’è stato ancora prima, con la meravigliosa (per l’epoca) eccezione della Grecia classica, mi tengo stretti i “lumi”. Su questo non ho dubbi.
        Tornando al tuo primo quesito, non ha quindi molto senso chiedersi se la distruzione di quella famiglia (quella antecedente all’avvento del capitalismo) sia stato un fattore emancipativo o meno. Da questo punto di vista sono un “marxista classico”, nel senso che credo che la famiglia sia una sorta di microcosmo costruito sulla copia del macrocosmo sociale. Non avendo nessuna nostalgia per l’ordine sociale pre borghese e pre capitalistico, non ho di conseguenza nessuna nostalgia neanche per le istituzioni, gli usi e costumi di quell’ordine sociale. Naturalmente, come sai, la mia critica di quel mondo, sotto questo profilo, è lontana anni luce dall’interpretazione femminista, perché non credo affatto che quel mondo, sia pure dominato dalla cultura patriarcale (e qui ci sarebbe da aprire un lunghissimo discorso a cui in parte hai già fatto cenno, e io lo condivido, sui diritti e soprattutto i doveri e gli obblighi che comportava per tutti gli uomini, non certo solo per le donne, quella cultura, e io aggiungo anche sulla divisione sociale e sessuale del lavoro data dalle condizioni oggettive, ambientali, tecnologiche, fisiche, naturali, che hanno determinato anche quella cultura…) fosse il paradiso per gli uomini e l’inferno per le donne. In ogni caso ho affrontato l’argomento in un articolo che tu già conosci (ma non altre/i): http://www.uominibeta.org/editoriali/il-dover-essere-e-i-maschi-beta/
        Proprio per queste ragioni sono contrario ad ogni forma di demonizzazione come di celebrazione ideologica. E quindi, per tornare ancora una volta a noi, se la famiglia “borghese” ottocentesca e novecentesca era in effetti la rappresentazione dell’ordine sociale borghese (schema marxiano classico che io condivido) , ne dovremmo necessariamente concludere (e io concludo…) che la famiglia allargata, oppure gay, lesbica (oppure ancora di una single che si fa inseminare artificialmente), con figli adottati o peggio comprati da qualche povera disgraziata in un paese del terzo mondo (o grazie ad uteri artificiali dove si potrà acquistare un figlio scegliendo magari anche il colore della pelle; visto che si paga e il cliente ha sempre ragione e va accontentato…) è la rappresentazione dell’ordine sociale attuale, cioè quello ultracapitalistico.
        La contraddizione dove sta? Sta nel fatto che le fanfare ultraideologiche “progressiste, laiciste e di sinistra” ci presentano questa “nuova” famiglia come il risultato di chissà quale processo di trasformazione democratica, rivoluzionaria e progressista quando in realtà, come dicevo, null’altro è se non la rappresentazione dell’ordine sociale dominante, che è appunto quello ultracapitalistico.
        La distruzione di quella famiglia borghese (di cui non ho nessuna nostalgia) era propedeutica ai fini della costruzione del nuovo ordine sociale ultracapitalistico.
        In ogni caso ho già affrontato anche questo aspetto in un altro articolo:
        http://www.uominibeta.org/editoriali/i-veri-progressisti/
        Ci tengo a sottolineare che questa mia posizione non contiene nessuna pregiudiziale nei confronti dei gay o delle lesbiche che hanno tutto il diritto di vivere in assoluta libertà la loro sessualità nonchè di amarsi e di formare una famiglia (l’unione di due gay o di due lesbiche è oggettivamente una famiglia).
        Ciò che a me interessa disvelare è il carattere ideologico e strumentale che ha assunto tutto ciò. Per cui si criminalizza la famiglia “tradizionale” come se quella di per se fosse la madre di tutte le nevrosi e di tutte le brutture del mondo, e si celebra la famiglia gay o lesbica che sarebbe invece l’espressione della libertà, del progresso, della “liberazione” da ogni forma di repressione.
        Cazzate ideologiche, come dicevo. La famiglia, di qualsiasi natura essa sia, è e sarà sempre la rappresentazione dell’ordine sociale dominante.

  40. rita chiavoni
    21 luglio 2014 at 3:58

    Una volta appurato che la famiglia, e qui penso che siamo tutti d’accordo, che parlando di famiglia ci riferiamo alla famiglia borghese, come nucleo sociale composto da un uomo/padre, una donna/femmina e figli, il problema si sposta su il versante psicosociale e sulla definizione, a questo punto estremamente articolata che diventa uomo, donna, padre, madre. è evidente che ci troviamo in diversi ordini simbolici o se vogliamo in un unico ordine simbolico composto da sottoinsiemi dove uomo, donna, padre, madre non hanno modo di ricomporsi e il problema si pone proprio per gli aspetti simbolici che riguardano le specifiche identità di genere sganciate comunque dalla funzione genitoriale, questo è un fatto non del tutto negativo se si considera la possibilità, certo come desideranda, di liberare il rapporto di coppia da legami necessari alla sopravvivenza, sganciato quindi da vincoli economici che implicano l’attivarsi di troppi sentimenti negativi di possesso e di rivendicazione su questioni materiali, pur sapendo bene che molto spesso le questioni economiche nascondono altro: disillusione, rivalsa, ambivalenza patologica e quant’altro. Il punto veramente critico è che una conquista siffatta rischia e forse siamo su quella strada, di oscurare la funzione genitoriale sia degli uomini, ma anche delle donne. ed è qui la necessità di poter immaginare che le funzioni materna e paterna trovino un altro modo di ricomporsi all’interno di una visione forte di comunità dove ci sia la possibilità vera di riconoscimento di ruoli completamente da ridefinire.
    Detto questo, ciò che nell’attualità ci è dato osservare è la distruzione della famiglia, senza una reale consapevolezza dell’accaduto. Si è creato un vuoto immane dove prevale, la disintegrazione delle relazioni parentali e spesso la famiglia sopravvive a se stessa con un rovesciamento dei ruoli tradizionali, travolta da un’immaginario obsoleto che ha perso la sua forza simbolica. Tutto questo è accaduto all’interno della cultura neoliberista, ora, a mio parere è difficile preconizzare quale potrà essere l’ordine simbolico in fieri, penso solamente che ciò che sta accadendo nel mondo comporterà mutamenti radicali, non solamente geopolitici, ma anche sociali e psicosociali e a seconda delle forze in campo e quali saranno egemoni ci potranno essere implicazioni assai differenti.
    Credo poi che sia veramente importante ricondurre il discorso sui generi verso una ricerca che punti all’analisi delle differenze biologiche, culturali e certamente a tutte le implicazioni socioeconomiche.

    • tiziana
      21 luglio 2014 at 13:32

      Rita, Fabrizio, tutti, io che ho avuto come Bibbia fin dalla prima metà degli anni ’70 “Psicologia di massa del Fascismo” e “La rivoluzione sessuale” di W. Reich sono molto arrabbiata del fatto che non ci è riuscito di ricostruire qualcosa che potesse impedire ulteriori manipolazioni. Concordo con Rita sul fatto che che “sia veramente importante ricondurre il discorso sui generi verso una ricerca che punti all’analisi delle differenze biologiche, culturali e certamente a tutte le implicazioni socioeconomiche”. Per questo continuo ad aprire questa pagina curiosa di vedere chi altri si è unito al nostro confronto. Posso dire che per me le solite lobby borghesi o le nuove sono state assai brave a manipolare e ancora una volta a loro favore il cambiamento e che ci continuiamo a cascare con tutte le scarpe, ogni volta, immersi nei nostri individualismi e in mancanza di analisi collettive critiche e adeguate. Ognuno è solo sulla faccia della terra diceva qualcuno, no?!. Ma ci pensate che all’inizio degli anni ’70 è stato proprio il Welfare a fare la legge 1044, peraltro secondo me una delle più belle di quel periodo insieme alla legge Basaglia, successiva e di qualche anno: 6 o 7 se non sbaglio?! Quel Welfare però non era così emancipato alla fine, piuttosto forse era spinto dal bisogno di immettere le donne, per le loro mani più piccole e più adatte a maneggiare “componenti” micro, nel sistema della catena di montaggio. Quelle donne allora venivano scientemente emancipate, perché questo rispondeva all’utile in quel momento. E nel frattempo gli uomini come si sono messi a supportare le loro donne nel doppio lavoro? Come si comportarono nella divisione del lavoro, dentro quei nuclei famigliari che si andavano evolvendo e dei quali Reich ci aveva parlato anni prima quando questo passaggio era ancora mancante? Forse la fatica può aver creato risentimenti? E’ sempre la fatica che poi spinge ad ottimizzare le risorse, a tagliare corto. Chissà!, ognuno si è gestito nel suo privato, a qualcuna/o è andata bene, ad altre/i meno, ma alla fine è sempre così che funziona, dipende dal cuore e dall’intelligenza di chi abbiamo la fortuna o la sfortuna di avere al nostro fianco. Certo siamo noi a scegliere e le motivazioni sono sempre un po’ ingarbugliate, Rita lo sa bene. Allora vogliamo fare un’analisi collettiva seria? Magari! Ci darebbero spazio? Chissà! Servirebbe? Boh! Ma qui almeno possiamo parlarci ed uscire dai nostri isolamenti, è già una cosa in questo mare di disorientamento e dramma che ci circonda. Ne vedo tutti i giorni la ricaduta sui bambini, nei Servizi Educativi e Scolastici nei quali ho avuto la fortuna di lavorare fin dagli anni ’70. Voglio farvi un dono, un articolo che ho scritto tempo addietro per la rivista “Bambini” dal titolo “C’era un vento, ma un vento…….” che a mio parere in qualche modo si riconnette a tutta questa analisi che andiamo facendo, certo ognuno con i suoi strumenti, quelli che più sono tornati e tornano congeniali a ciascuno di noi e che sempre sono connessi alle nostre dolorose e no prassi di vita.

      La legge 1044, del 2 dicembre 1971, nacque in un contesto storico-sociale
      e politico-culturale totalmente diverso dall’attuale e il vento del cambiamento
      ci spingeva a ricercare significati più veri e a produrre “discontinuità” col
      passato. Chiedevamo una società “più giusta e libera” e nei quartieri di periferia
      (brulicanti di conflitti coi padri, ai quali imputavamo un moralismo di
      facciata, di molteplici narrazioni fatte soprattutto dalla generazione dei nostri
      nonni sulle atrocità di una guerra ancora recente di cui volevamo capire il
      senso) ci confrontavamo con quegli intellettuali più illuminati e impegnati socialmente.
      Nei “centri culturali”, allestiti
      con semplici panche di legno e un palco
      ,ci interrogavamo per capire “che fare” e
      loro, insieme a noi cercavano di dar voce
      ai bisogni di un popolo sulla lezione
      gramsciana dell’“intellettuale organico”.
      Rappresentazioni teatrali, forme artistiche
      di vario genere, proiezioni di film,
      sostanziavano i nostri dibattiti in quei
      giorni e la fruizione non era mai scissa
      dal confronto collettivo.
      Al Centro Culturale Centocelle, in un
      quartiere della periferia Sud di Roma,
      venivano a dialogare con noi giovani
      Volonté, Schiano, Moravia, Gregoretti,
      Nanny Loy, Maraini, Cirino, che nel
      1972 dopo aver rappresentato proprio
      lì con la cooperativa “Teatroggi” due testi
      della Maraini: Gli anni del fascismo
      nel 1971 e Viva l’Italia nel 1972, lavorò
      nello sceneggiato Diario di un maestro
      trasmesso dalla RAI nel 1973, su un soggetto
      tratto dal libro autobiografico. Un
      anno a Pietralata, del maestro elementare
      Albino Bernardini. Pasolini scriveva
      delle periferie e delle “madri false e
      bugiarde” che educano i figli ai disvalori
      e, nei territori, in un Paese ad alto tasso
      di analfabetismo, nascevano le scuole
      popolari.
      Da poco era passato il Sessantotto e la mia bibbia, che nel 1973
      concordai di portare all’esame di Psicologia sociale era Psicologia di massa del
      fascismo di W. Reich, centrato sull’analisi della famiglia come riproduttrice del
      modello e del consenso sociale. “Tutto il potere all’immaginazione” era auspicio
      e indicazione, un “imperativo categorico”, assai utile a stimolare il “pensiero
      critico”. Così il sistema era obbligato a venire a patti, a rinnovarsi.
      Come il pensiero nel bambino cresce via via su nuovi “adattamenti” e “risposte”,
      come ci insegnava fin da allora Piaget, così in quell’“età dell’oro” cresceva e si
      sviluppava la nostra coscienza collettiva.
      Gli studenti scendevano in piazza con gli operai, accomunati da uno stesso
      desiderio di “giustizia sociale”.In quegli anni a Roma, le lotte riuscirono
      a far chiudere il settimo reparto del S. Maria della Pietà, dove venivano
      ancora ricoverati i bambini down, incredibile ripensare oggi a quel “delitto”!
      E solo sette anni più tardi dalla legge istitutiva degli asili nido: la 1044, il 13
      maggio 1978 fu approvata un’altra legge, anch’essa volta al rispetto della vita,
      la legge Basaglia: la 180, sicuramente più conosciuta ancora oggi dall’opinione
      pubblica rispetto alla 1044: i “matti” slegati fanno più paura dei bambini da
      accudire in un paese che da sempre tende a risolvere in maniera “familistica” il problema dei figli e che nei periodi più bui è abituato a riscoprire
      l’arte di arrangiarsi. Ma la “vita nuova”
      non dovrebbe essere considerata il più
      importante “bene comune”?!
      Per gli asili nido la manipolazione delle
      notizie, quasi da subito, fu legata ai costi
      del servizio, e ciò permise che di lì a poco
      il nido, da pubblico, fosse trasformato in
      “servizio a domanda individuale”, facendone
      saltare la gratuità. I nidi non erano
      una priorità per tutti, l’informazione di
      massa non ne descriveva, proprio come
      oggi, l’importanza per la socializzazione
      dei bambini e la possibilità di fare esperienze
      determinanti nella fascia d’età
      0-3 anni.
      Nonostante tutto, in quegli anni ventosi,
      la legge istitutiva degli “asili nido”
      fece da apripista al rivoluzionario modo
      di pensare al bambino e fece sì che
      finalmente si puntasse una lente di ingrandimento
      sui bisogni dell’infanzia.
      Una nuova filosofia di vita si prendeva
      il diritto a essere, seppure quel pensiero
      non riusciva a diventare “coscienza collettiva”.
      Negli anni Settanta, tante di noi erano
      universitarie, politicizzate, femministe,
      ma soprattutto eravamo donne, consapevoli
      della “differenza di genere” e
      anche dei nostri “diritti”, avevo appena
      vent’anni nel 1975, quando aprii con le
      mie colleghe nella periferia Sud di Roma,
      in Via Pirotta al Quarticciolo, uno
      dei primi tredici nidi comunali. Qualche
      tempo dopo chiesi con altre “assistenti
      asilo nido”, così ci chiamavamo allora,
      un incontro con Elena Gianini Belotti,
      che nel 1973 aveva scritto Dalla parte
      delle bambine, dove si evidenziava come
      la differenza di carattere tra maschio e
      femmina non fosse un fattore innato,
      bensì “un portato dei condizionamenti
      culturali subiti dall’individuo fin dalle
      prime fasi dello sviluppo”. Sentivamo
      di dover riflettere anche su questo tema,
      in un ruolo professionale da “educatrici”,
      come ci sentimmo invece da subito
      nelle prassi giornaliere con bambine/i.
      Sapevamo che potevamo contribuire a
      definire la qualità di quel novello servizio
      per l’infanzia e volevamo formarci,
      confrontarci, crescere.
      Neuropsichiatre, terapiste, terapeuti erano con noi a supportarci. Ricordo con
      affetto e gratitudine la Neuropsichiatra Giovanna Mazzoncini, sorella dell’altra
      Mazzoncini che lavorava all’Istituto di Neuropsichiatria “da Bollea”, che veniva
      frequentemente al nido con le terapiste e che si intratteneva con noi per
      spiegarci “come lavorare” con E., una bambina down ipotonica, i cui genitori
      erano stati sollecitati come altri all’integrazione precoce nel servizio. Ricordo
      tutti i bambini dei quali mi sono presa
      cura nel tempo, i loro nomi, più di tutti
      quelli con maggiori difficoltà, perché mi
      hanno permesso di capire meglio “che
      fare” anche con tutti gli altri.
      Fondammo il sindacato del settore e cominciammo
      a incontraci in molte in Via
      del Velabro alla CGIL, vicino al Campidoglio,
      per crescere insieme sulla definizione
      del nostro “ruolo professionale”.
      Ci coordinava un “vespillone”, un cimiteriale,
      un vecchio socialista, un gigante
      buono che facevamo impazzire nel vero
      senso della parola, così giovani e chiassose,
      totalmente diverse dagli impiegati
      comunali di quei tempi. L’Istituzione
      volente o nolente dovette adattarsi a noi
      e alla nostra voglia di rinnovamento dei
      “protocolli”. All’inizio eravamo state assegnate
      allo stesso Dipartimento dei Vigili
      urbani, non sapevano proprio dove
      collocarci, di lì a poco fummo assegnate
      al Dipartimento dell’Ufficio d’Igiene,
      perché i fondi per gli “asili nido” li stanziava,
      come dettava la legge, il Ministero
      della Sanità.
      Lavoravamo alacremente nei servizi e
      da subito cominciammo a viaggiare a
      nostre spese, per andare ai Convegni in
      Regioni più emancipate dal punto di vista
      dei servizi per l’Infanzia, come Emilia Romagna e Toscana, per riportare
      a Roma, prima città del profondo Sud,
      spunti di lavoro e idee di rinnovamento.
      Noi che eravamo entrate a lavorare
      nel 1975, ci eravamo ritrovate a fare il
      tirocinio nei nidi dell’ex ONMI, non
      era quello il modello al quale aspiravamo,
      seppure anche lì ci era capitato di
      incontrare delle operatrici materne che
      sapevano voler bene ai bambini grazie
      alle nostre prerogative di genere.
      La mia generazione usciva dalla sottomissione
      ad un modello maschilista
      centrato sulla famiglia patriarcale e si
      trovava a vivere finalmente uno spazio
      dove potersi confrontare, educatrici e
      madri, sui problemi della maternità e
      del bambino. I padri ci affiancarono da
      subito e il servizio si trasformò presto in
      un servizio per le famiglie. Tutto il simbolico
      legato all’idea di rinnovamento
      si sposava bene con la nostra giovane
      età e con le nostre idee, marciavamo
      lucide e col vento in poppa, solerti. Ricordo
      con tenerezza le domeniche del
      mio primo anno di lavoro, il 1975-76,
      quando preoccupate per la delicatezza
      dell’impegno, ci riunivamo con altre a
      casa di una collega a S. Lorenzo per studiare
      Margaret Mead e i comportamenti
      nell’allevamento dei bambini nei diversi
      gruppi umani. Per noi “la centralità” da
      subito è stata del bambino.
      Le donne che avevano bisogno di nido e che arrivarono da noi nel 1975, parecchie, venivano dalla catena di montaggio, servivano mani più piccole di quelle degli uomini in quel momento storico per maneggiare con cura piccoli componenti elettronici, dunque non fu solo la generosità del Welfare a far costruire i nidi per le donne. Sia noi che loro servivamo al Welfare!
      A Via Pirotta tra le prime mamme arrivarono
      le operaie del Consiglio di fabbrica
      della Voxon, ricordo perfettamente
      i nomi di alcune e tutti i loro volti, la
      grinta che ci mettevano nelle lotte e la
      consapevolezza dei diritti che avevano,
      più di noi. Da subito cominciammo a
      lottare insieme, anche coi padri, così
      come facevano nelle piazze studenti e
      operai.
      Incredibilmente nella normativa, i bambini
      avrebbero dovuto uscire dal servizio
      appena compiuti i tre anni, senza
      avere alcuna garanzia di essere accolti
      da qualche altra parte fino al settembre
      successivo. Questa assurdità ci portò
      più volte a restare fino a notte inoltrata
      sotto la sede del Consiglio Comunale a
      protestare, per vincere la battaglia che
      doveva modificarla. La spuntammo insieme,
      per soddisfare la loro necessità di
      servizio e per tutelare i diritti del bambino,
      non spezzando il suo percorso in
      maniera così insensata.
      Rosetta è il nome di un’altra donna che
      mi è capitato di incontrare più tardi nella
      mia lunga carriera di educatrice. Lei è
      stata una “collaboratrice” della sezione
      “Ponte” di una delle due scuole dell’infanzia
      che sono andata a coordinare,
      veniva dalla catena di montaggio della
      Erickson e come tante altre, estromessa
      nel tempo dal sistema industriale per
      obsolescenza del modello produttivo,
      dopo la cassa integrazione e i lavori socialmente
      utili, era approdata alla Multiservizi.
      Al mio fianco ne ho ritrovate tante di queste donne come “collaboratrici” che avevano fatto l’esperienza della catena di montaggio negli anni Settanta,
      una generazione che ho amato profondamente, capace di “cura” verso il bambino
      anche grazie ai confronti fatti tutte insieme, “assistenti” e madri, in quegli
      anni di lotte per i servizi.
      Grazia, Bruna,
      Silvana, come Rosetta hanno saputo
      restituire al servizio e ad altre bambine
      e bambini tutto quello che il servizio e
      l’attuazione di quella legge, la 1044, avevano
      saputo dare loro molti anni prima.
      Inserite a lavorare nei nidi e nelle scuole
      dell’infanzia hanno contribuito insieme
      a noi a costruire “protocolli” più attenti
      e più adeguati ai bisogni delle bambine
      e dei bambini. I significati del servizio,
      l’importanza della loro funzione, relativamente
      all’acquisizione di “autonomia”
      nel bambino e alla “cura”, era loro chiarissima.
      Di questa generazione che è andata
      in pensione non posso che sentire
      la mancanza.
      Siamo riuscite tutte insieme a produrre significati nuovi e collettivi, abbiamo
      aperto varchi, ribaltato un sistema di stare col bambino, siamo migliorate nel
      modo di dare affetto e nelle nostre capacità empatiche e relazionali, lo siamo
      nelle nostre vite, come madri e come nonne. Tutto questo grazie alla legge
      1044. Quando si dice una buona legge!
      È migliorata così pian piano con le nostre
      “buone prassi” e grazie alle riflessioni
      individuali e collettive anche la “qualità
      dei servizi per l’infanzia”. È nato un
      pensiero sui servizi non solo attraverso
      la lettura dei testi, o la partecipazione ai
      convegni, che abbiamo comunque continuato
      a cercare come affamate, perché
      ai bambini bisogna saper dare il prima
      possibile risposte buone per evitare i
      danni. Le donne conoscono bene il peso
      dei sensi di colpa provocati dalla consapevolezza
      di aver sbagliato e tendono a
      ricercare, per restituire con gratitudine
      alla vita nuova, per i piaceri che sa donare
      loro, prima che possa prendere il volo
      libera e vitale.
      E proprio con la “ricerca collettiva di significati” ad un certo punto abbiamo saputo tutte che se fossimo rimaste ancorate alle nostre “rappresentazioni” individuali, a significanti vuoti, non avremmo potuto che far subire alle bambine e ai bambini affidatici con ansia da donne come noi, la nostra insulsa, autoreferente, individualista, sciocca e nociva “empatia egocentrica”.
      “Liberare dall’ansia le madri”, “accogliere ognuna col suo bambino/a” e “capire” sono stati per noi da sempre “imperativi categorici” pressanti, imprescindibili come educatrici.
      Voglio elencare e condividere la sequenza
      delle mie e nostre parole chiave,
      quelle sulle quali abbiamo ragionato
      collettivamente, per ricercare “condivisione”,
      senza la quale non ci può essere
      “qualità dei servizi”, ricercatrici fino allo
      sfinimento da allora, come allora, più di
      allora, soprattutto da quando abbiamo
      compreso anche la “ricchezza del conflitto”
      senza più temerlo. Le prime furono
      “gestione sociale”, “socializzazione”,
      “psicomotricità”, “corpo-mente-emozioni”,
      “cura”, “prevenzione”, “diagnosi
      precoce”, per “limitare il danno”, per
      “favorire integrazione”, come ci insegnavano
      il professor Bollea, il professor
      Ottaviano e tanti altri che hanno arricchito
      le nostre conoscenze. Hanno saputo
      spiegarci, emozionati come noi e con
      semplicità, che da 0 a 3 anni è ancora
      possibile creare “sinapsi”, “gettare ponti”,
      “riattivare da input esterni zone lese
      del cervello”. Poi “pulsione a conoscere”,
      “osservazione”, “feedback”, “indicatori
      di qualità” sull’insegnamento di Loris
      Malaguzzi e del Gruppo Nazionale Nidi
      e Infanzia. Fin dal 1981, qui a Roma ne
      siamo entrate a far parte, ci incontravamo
      al CIDI a piazza Sonnino che accettò
      di ospitarci.
      Queste e molte altre parole ci hanno agito e abbiamo agito nel tempo in questi
      quarant’anni.
      I significati che forse non avremmo mai saputo vedere e capire, chiuse tra le
      mura delle nostre case, all’interno delle nostre limitate dinamiche familiari,
      siamo riuscite a vederli nei servizi per l’infanzia, potendoci rispecchiare nell’esperienza altrui, nei comportamenti dei bambini e dei loro genitori, negli
      sguardi e posture. E siamo uscite rafforzate dalle “isole” dei singoli servizi sulla
      spinta di voler “risolvere sempre”, anche i problemi più difficili.
      Sul vento della 1044 ancora sto viaggiando
      e viaggerò fino a che avrò vita,
      non solo fino a quando vorranno continuare
      a tenermi nel mondo del lavoro,
      oggi che per me, ancora troppo giovane,
      si allontana sempre di più anche il mio
      e il nostro diritto alla pensione, ma mi
      sento fortunata nonostante al sistema
      non serva che io stia coi miei nipoti e
      che per mia figlia è difficile trovare lavoro.
      Questo è il vero problema e di ciò dobbiamo avere consapevolezza per non
      sentirci “complici” e per continuare come folli ad andare controcorrente per
      difendere e garantire la vita nuova, che come donne abbiamo partorito o anche
      solo curato e che continuiamo, con sempre maggiore difficoltà, a partorire.
      Sparpagliando semi dovremo pure cambiar rotta! Il vento non si sa mai come può soffiare.

  41. cesare
    21 luglio 2014 at 11:07

    Rita rileva ” il vuoto” che si è venuto a creare in riferimento alla famiglia, ai ruoli in famiglia di ciascun genere, alle funzioni nella società, alla identità di genere, a ogni aspetto del sistema simbolico nel quale ad oggi in tutto o in parte comunque ci si riferiva. Condivido ed aggiungo la considerazione che il “vuoto” poi è anche “spazio da occupare” e che la via più semplice (da sempre) per immaginarsi una soluzione è invertire i termini in cui la complessità di cui sopra è costituita. A suscitare angoscia a mio avviso non è solo ” il vuoto” ma ” il pieno” che irriflessivamente lo sta riempiendo secondo la logica infantile che se non va bene il Bianco allora va bene il Nero, ovvero la logica della inversione o del rovesciamento automatico dei significati e dei valori. Quale è questo contenuto che come una colata di materia psichica primigenia, materia oscura, un “blob” irrazionale tendenzialmente demente, sta come ” pieno” riempiendo il “vuoto”? A mio parere è la “barbarie” intendendo con questo il “lasciar fare” istintuale come criterio di autenticità e in definitiva di verità e giustizia (il nesso con il “lasciar fare” del mercato lo coglie lucidamente Armando Ermini nei suoi scritti ed interventi). Con l’aggravante che un criterio a indirizzare il “blob” c’è ed è appunto la logica che l'”opposto in quanto tale è buono”. Come se la nostra specie proprio nell’istinto non avesse il suo più impegnativo “interlocutore” col quale avere problematicamente a che fare.
    Saul Bellow ne “Il pianeta di mister Sammler” riflettendo sulla vita newyorkese della giovane nipote e dei coetanei di lei giunge alla conclusione che la civiltà moderna è percorsa e strutturata nei suoi costumi e nel suo pensare secondo un unico desiderio, una pulsione irresistibile: il desiderio di vivere la presunta “libertà” della barbarie, quindi come barbari, ma con le comodità della tecnologia moderna. La vita dis-soluta e al tempo stesso sanissima della nipote stava li a dimostrarlo.
    Marx indicava la barbarie di tutta la società come esito di una mancata rivoluzione proletaria.
    In questo scenario attuale sembra mancare totalmente l’argine e l’agire della coscienza, intesa come “cuore” e “ragione” a tutela della Umanità. Anzi questa funzione di “depurazione”, “controllo” e “regolazione” è additata come il nemico, l’unico nemico perché identificata immediatamente come “funzione di oppressione”.
    E forse è appunto la funzione paterna di una paternità familiare e sociale a poter e dover svolgere la funzione di liberare il potenziale positivo del ” blob” che è tuttavia anche il ” nuovo”.
    Nell’ambito del simbolico che abbiamo imparato essere altrettanto strutturale della “struttura delle Fp e dei Rp”, mi viene adesso in mente la figura di Enea citata da Tiziana di contro all’irruenza barbarica ed irriflessiva di Achille e la dipendenza irresponsabile di Elena: distrutto Enea, distrutto il presidio, la città è distrutta in balia di un “nuovo” senza cuore e ragione che non siano le passioni appunto “scatenate” di Achille, Elena e il suo amato.
    Ma quel che davvero apre scenari apocalittici è che questo tipo di “pieno” riempie il “vuoto” nel momento in cui la tecnica umana entra nel sancta sanctorum dell’ “albero della vita”. E può rigenerare all’ennesima potenza le atrocità “scientifiche” praticate dalle ideologie del secolo scorso: il nuovissimo del tempo, la concezione della nuova “immacolata ed onnipotente” Umanità; in realtà il demoniaco ” blob” che ha riempito il ” vuoto” del suo tempo.
    Ho conosciuto per grazia l’amore del padre nella persona di mio padre Alberto, e ho conosciuto il suo venir meno per una improvvisa imprevedibile malattia. Da questo vissuto confermato da quanto in merito ho letto e discusso e successivamente sperimentato ho tratto la convinzione che la funzione salvifica di consapevolezza, controllo e regolamentazione del “pieno” che va a riempire il “vuoto” sia compito di una paternità rinnovata ed estesa come paternità sociale.
    Esattamente il contrario di quel “pieno” che vuol riempire il “vuoto” togliendo di mezzo una volta per tutte il padre e quello specifico amore paterno che esercita la giustizia secondo misericordia e per questo motivo è l’amore, (l’unico? a mio avviso si), in grado di ri-generare il Mondo nella libertà. E noi maschi che scrivono di queste cose non siamo forse i nuovi padri, i padri sociali a rigenerare la paternità? Non siamo forse una prima risposta al “vuoto” indicato da Rita? I nuovi Enea a fronteggiare maschi irriflessivi e femmine irresponsabili compiaciute degli applausi e dei complimenti di maschi narcisi ed opportunisti? E speriamo che questa volta sia Enea a buttare in acqua Achille, barbari e femmine senza regole.
    E non posso non domandare: Rita e Tiziana, le donne che con noi ragionano o volessero ragionare, chi sono? quale funzione simbolica svolgono in questo tempo e in questo nostro ragionare? In questo stare oggi reciprocamente di fronte?

    • tiziana
      21 luglio 2014 at 13:42

      Cesare, non avevo ancora visto il tuo intervento, ero impegnata a postare il mio sotto a quello di Rita, forse scrivevamo nello stesso momento e tu hai fatto prima di me.
      Ci terrei che tu lo leggessi, è proprio collocato sopra al tuo che ancora non c’era quando stamane ho aperto curiosa di vedere gli sviluppi di questo nostro sentito confronto .

    • armando
      21 luglio 2014 at 14:10

      Cesare ha giustamente affermato che ogni vuoto viene riempito. E’ una legge fisica. Tramontato insieme al patriarcato l’ordine simbolico del padre, da cosa viene riempito? Secondo la Sartori Gherardini (filosofa di Diotima), inizialmente da quello della “fratria senza regole”, per superare il quale occorrerebbe superare anche la così detta madre patriarcale da lei definita spettrale. La madre matriarcale sarebbe quella che il patriarcato ha costruito. Quindi occorrerebbe un integrale ritorno alle origini, a ciò che Luisa Muraro definisce l’ordine simbolico della madre, principio e veicolo della conoscenza.
      Quì non c’è spazio per argomentare compiutamente, ma ciò che Fornari definiva il codice materno, è quello della totalità indistinta, dell’in-differenza, dell’assenza di limite, della soddisfazione istantanea del bisogno, che contrassegnano il rapporto inconscio madre/bambino.
      Direi che sono proprio gli aspetti che vediamo all’opera nella vita sociale e in molte vite individuali.
      Ma è anche e s a t t a m e n t e il “programma” che il capitale sta attuando sotto la totalità della forma merce.
      Non c’è da elucubrare molto sui possibili nuovi e avveniristici ordini simbolici, perchè gli ordini simbolici si riducono fondamentalmente a due, essendo gli altri inscrivibili sempre in uno di essi.
      Quello paterno/maschile e quello materno/femminile, perchè solo questi due sono i principi archetipici che fondano la psiche dell’umanità. Su questi si fonda il rapporto con l’alterità che attira e intriga, e la continuazione della specie nella filiazione.
      Entrambi sono necessari insieme perchè l’uno limita e definisce l’altro. Tutto ciò che invece tende all’uniformità, alla reductio ad unicum, all’indifferenziazione, è profondamente regressivo e indica una crisi di civiltà. E’ la perdita della differenza, (equivalente del considerare uguali, cioè in-differenti, tutte le differenze) che mette in crisi l’ordine culturale e scatena la guerra “mimetica” in cui ognuno desidera desiderare ciò che desidera l’altro (Girard). Ma ancora una volta è ciò che sta accadendo dopo il venire meno dell’ordine simbolico del padre, che la differenza la istituisce. Non si scappa, care amiche e amici. Da queste (per qualcuno) “forche caudine”, occorre passare, ricordandoci che le strutture sociologiche sono ineluttabilmente destinate ad adeguarsi a quelle psichiche, non immediatamente certo, ma con certezza.

  42. armando
    21 luglio 2014 at 23:04

    Cara Tiziana,
    nel tuo articolo, a parte, diciamo, l’accenno alla Belotti ed alla sciagurata teoria del Gender, alla base di così tante distorsioni, noto una grande nostalgia per anni di grande vitalità e di grandi speranze. La nostalgia è sentimento rispettabilissimo, anzi ci deve essere nella vita che inesorabilmente passa per ciascuno di noi, ma può essere mortifera e immobilizzante se non c’è la riflessione sulla realtà dei fatti.
    Cosa pensare, oggi, delle teorie di Reich, alla luce del fatto che non una, una sola, delle sue idee ha retto alla prova di realtà, mentre invece quì in Toscana si è consumata la tragedia del Forteto proprio in virtù dell’ideologia della distruzione della famiglia “normale” formata da padre, madre e figli? Solo colpa della bravura manipolatrice del capitale? Questa esiste, è vero ed è grandissima. Ma poichè si applica costantemente e ineluttabilmente a tutte quelle idee che sembravano porsi come diametralmente opposte ad esso, allora s’impone una riflessione. Vale per Reich, vale per il 68, per il femminismo, per i movimenti omosessuali, vale (prima ancora) per “i figli dei fiori” e tutti quei movimenti giovanili fioriti negli anni sessanta. Ma vale anche anteriormente, perchè già nei primi anni del 900 c’erano stati movimenti giovanili di contestazione alla borghesia, per esempio in Germania coi Wandervogel. Tutti, ma proprio, tutti i così detti “movimenti moderni”, sono stati riassorbiti e ingurcitati nel capace ventre del capitale. E’ dunque così mostruosamente bravo? E la via d’uscita è quella di accellerare ulteriormente per trovare il punto di rottura che non verrà mai, oppure fermarsi a riflettere un attimo? Perchè vedi, è troppo facile attribuire al capitalismo cattivo la causa di tutta quella manipolazione. E se invece in quelle idee, indubbiamente generose, ci fosse già stato in germe ciò che è poi accaduto? E se,dunque, in quelle idee (che sono state anche le mie), ci fossero già stati fin dall’origine gli appigli per poterle distorcere, oppure, viste da altra angolazione, per portarle alle estreme conseguenze? E se la distruzione di tutto il passato “oscurantista” che si è consumata in quegli anni fosse servita, come io credo, a permettere l’edificazione di un mondo il cui unico riferimento certo e inoppugnabile sia proprio la merce? E se, invece,idee e progetti davvero antitetici e incompatibili con l’antropologia del capitale, fossero stati altrove, laddove per la loro forza sarebbero state non manipolabili? E se la riflessione ci portasse a dire che per rimanere fedeli a noi stessi e a quell’ansia di cambiamento che ci aveva pervaso, oggi occorre “tradire” proprio quelle idee? Non per riproporre un passato che non tornerà certamente negli stessi termini, ma per recuperare qualcosa che troppo leggermente abbiamo gettato, e proprio con lo sopo di dare senso e direzione al futuro? Direzione e futuro che abbiano radici solide, quelle che l’eterno presente del mondo del godimento effimero e delle merci ha reciso?

    • Fabrizio Marchi
      22 luglio 2014 at 12:39

      Leggo solo ora l’ultimo (interessante) commento di Tiziana e l’inevitabile (perché lo conosco…:-) ) risposta di Armando.
      Intanto saluto con grande affetto Tiziana, intanto perché apparteniamo alla stessa storia (ma qui in parecchi hanno appartenuto a quella storia, e poi ciascuno ha preso altre strade o comunque le su strade…) e poi perché dimostra (come Rita) un grande spirito di apertura e di voglia di confrontarsi con chi, come alcuni di noi, ha da tempo recitato il de profundis per il femminismo.
      Brevemente. Sul ’68 mi sono già espresso (riporto i miei articoli pubblicati su UB per quelli/e che non li hanno mai letti così mi risparmio molto fatica…) http://www.uominibeta.org/articoli/68-e-dintorni-brevissima-riflessione-da-continuare/
      Fatta questa premessa, passo alle considerazioni di Armando. Non si tratta di capitalismo “cattivo” o “buono”, Armando, si tratta di capire che il sistema capitalistico (e le ideologie che lo hanno rappresentato nel corso della storia e che si sono di volta in volta avvicendate) è effettivamente dotato di una grandissima capacità di manipolazione, condizionamento e soprattutto di assorbimento di tutte le ideologie e le correnti di pensiero, anche di quelle nate per contrastarlo.
      Voglio ricordare che il capitalismo si è innanzitutto servito delle religioni che ha piegato e assimilato pro domo propria. Penso innanzitutto al Calvinismo e al Protestantesimo. Naturalmente qui si potrebbe aprire una interessantissima e lunghissima riflessione (manna dal cielo per qualche nostra vecchia conoscenza…:-) perché si potrebbe sostenere che il processo sia stato esattamente l’inverso. Se vale però la legge in base alla quale ciò che conta sono i fatti e cioè nel caso specifico il trionfo e il dominio, a tutt’oggi incontrastato, del Capitalismo (e non mi riferisco solo al dominio esercitato nella sfera economica e sociale ma ancor prima e ancor di più a quello esercitato a livello psichico profondo), ne dobbiamo necessariamente dedurre che è stato il primo ad utilizzare le seconde. Oppure che sono entrambi facce di una stessa medaglia, comunque funzionali, come in effetti è storicamente e oggettivamente stato, l’uno alle altre.
      Ma il discorso vale anche per il Cattolicesimo. Per secoli il Capitalismo “borghese” con il suo sistema di valori (che naturalmente varia in parte o del tutto a seconda del contesto in cui il capitalismo si afferma) ha convissuto con il sistema di valori che si ispiravano alla religione cattolica. Il famoso ormai dismesso o in via di dismissione definitiva, “Dio, Patria e famiglia”, era figlio di quel contesto e di quel “compromesso”.
      Ora, come abbiamo detto, siamo entrati da tempo in una fase nuova (anche se i “sinistri” progressisti e politicamente corretti non se ne sono accorti…),e il capitalismo, diventato post-borghese e ultracapitalistico, si è disfatto di quel vecchio sistema di valori che non gli serve più a nulla e si è dotato del nuovo, cioè di tutto l’armamentario ideologico liberal-radical di sessantottina memoria, proprio grazie alla sua enorme capacità di assimilazione, di assorbimento, come una sorta di gigantesco blob che riesce a fagocitare tutto, a pervadere tutto e a diventare tutt’uno con tutto ciò che assorbe e ingurgita in quel pozzo senza fine che è appunto la sua stessa capacità di assorbimento.
      Oggi il Capitalismo convive non alla grande, ma alla grandissima con il Confucianesimo, e anche con l’Islam o con un a parte dell’Islam (non con tutto…), così come ha più che allegramente convissuto con il Cattolicesimo (e con il Calvinismo e il Pretestantesimo).
      Questa è, fra le altre, la sua grandissima peculiarità che lo rende un sistema di dominio così sofisticato. Nessun altro sistema di dominio ha avuto questa capacità.
      Quindi non mi meraviglia affatto che il capitalismo abbia assorbito la cultura sessantottina. Non però, guarda caso, quella marxista (intesa come pensiero di Marx e dei suoi più autorevoli interpreti, sia filosofici che politici, che nulla hanno a che fare con il “sessantottismo”) e guarda caso neanche quella hegeliana che pure nella fase “borghese” del capitalismo è stata in auge; oggi non più, per le stesse ragioni per cui non ha più bisogno del Cattolicesimo ( sempre che la Chiesa cattolica non scelga di continuare ad essergli funzionale dal punto di vista ideologico e dottrinale, questo ce lo diranno appunto solo i fatti…).
      Quindi attenzione, intanto perché qui è nessuno è al riparo da quella critica che tu muovi (giustamente) al “sessantottismo”. E poi perché, è bene ribadirlo, guarda caso (si fa per dire perché non è affatto un caso) il capitalismo si guarda ben dal fare proprie, cioè dall’assimilare, quelle filosofie che egli stesso percepisce (giustamente ) come antitetiche e sovversive. E per una semplice ragione, e cioè perché quelle filosofie sono impermeabili alla penetrazione dell’ideologia capitalistica, a differenza appunto della cultura sessantottina, che per sua natura lo è, soprattutto dal capitalismo attualmente dominante. E infatti non è affatto casuale che la nuova ideologia del sistema capitalistico sia appunto una derivazione, naturalmente rivisitata, corretta e depurata dei suoi aspetti più estremi e scomodi, del “sessantottismo”.
      La cultura del desiderio illimitato (sia pur rivisitata e corretta), come abbiamo detto molte volte, fa “pendant”, come si suol dire, con il concetto di accumulazione illimitata del capitale. Quella che è una sostanziale manifestazione della volontà di potenza viene abilmente camuffata come espressione e desiderio di libertà. Nulla di più falso. Libertà e concetto del “limite”, inteso non in senso repressivo, penitente o colpevolizzante, ma come ambito e possibilità di sviluppo, crescita e libera valorizzazione (in senso lato) della propria personalità, sono intimamente interconnessi.
      Quindi, in conclusione, attenzione ancora a non buttare il bambino insieme all’acqua sporca, tendenza che purtroppo è sempre molto diffusa (parlo in generale, sia chiaro…).

  43. tiziana
    22 luglio 2014 at 12:59

    Armando, ma se tutto invece dipendesse solo dal bisogno di proteggere lobby economiche, quelle più forti, il loro bisogno di accaparrarsi manodopera a basso costo, dunque economicamente più utile e facilmente a disposizione nell’ingranaggio mercantile, nei diversi momenti storici? Se fosse solo per questo che il capitale vince sempre, perché sa crearsi anche scientemente le condizioni per prenderci per la gola, avendo in mano denaro e strumenti di produzione? E purtroppo c’è qualcuno disposto sempre a fare l’operazione per lui, per il puparo di turno? Questo il capitale ha imparato bene a farlo se osserviamo il patto recente e l’operato dei giudici, oggi meglio di sempre.
    Se fosse solo questa squallida e drammatica cosa ad agirci? E se il puparo di turno agisse tutto questo imbroglio nel quale siamo obbligati a muoverci volente o nolente anche noi, come delle marionette, in una maniera schizofrenica perché questo attualmente fa gioco, che sorte avrebbe qualunque idea di progetto di vita? L’intercambiabilità totale è il nostro regno oggi.
    Avrebbe dalla sua tutto il vantaggio della nostra perdita di identità il puparo. La perdita dell’identità non fa rivendicare nulla, o può fa correre dietro ad immagini aleatorie, a merci che si bruciano da sole appena possedute. Non c’è logica nell’impianto ed è l’impianto senza logica a produrre il massimo del lucro. E quando molleranno mai?
    Oggi tocca al terzo settore sottopagato ad essere favorito nella creazione di posti di lavoro, un settore che nasce per lavorare sugli anziani, su chi è nato con un danno o che l’ha acquisito vivendo, e fanno comodo per questo lavoro poco valorizzato ad arte i soggetti sfruttati dalle cooperative, quelle che proprio noi ci siamo inventate. L’ho detto già, sono bravi a soffiarci le idee, a trovare chi si presta a vendersi.
    Non potrebbe essere solo questo il problema che ci fa perdere di vista i nodi?
    Non è forse in mano al Terzo settore anche la “riduzione del danno”? Non è per questo tipo di lavoro sottopagato che è stato inventato il termine? Oppure vogliamo parlare della concretizzazione della fasulla scelta internazionalista dei commerci di ogni tipo che su questa si impiantano? E anche qui ci siamo dentro.
    E’ un’idea comoda quella della “riduzione del danno” per fare impresa. Ma conta di più l’impresa o la la pelle delle persone mi chiedo?, se contemporaneamente si molla anche la logica della “prevenzione” che ci contraddistingueva ancora negli anni ’70,
    E non creerebbe lavoro un sistema basato sulla prevenzione? Più centrato sulla qualità della vita? Un risparmio a lungo termine e gente capace di costruire davvero un sistema democratico?! Ma forse quel sistema sarebbe capace di denunciare lo sfruttamento ed è proprio questo che teme il Puparo.
    Certo comporterebbe scelte che potrebbero anche far saltare competenze non più utili nella spartizione e dovremmo saperci rinnovare. E non è forse uno dei nostri nodi più grossi il “chi controlla chi”? Ci costringerebbe a riaffrontare il tutto in termini di benessere umano.
    Noi di sinistra un tempo teorizzavamo la “Prevenzione”, io la teorizzo e la pratico ancora ogni giorno della mia vita, come quando ero giovanissima e piena di speranze ed energie, seppure oggi mi viene da vomitare anche solo se mi metto ad elaborare documenti per cercare di far capire alla parte politica attuale, quella che mi dovrebbe rappresentare culturalmente e non è più così, ciò che so bene che non potrà mai più capire.
    La “discontinuità” che un tempo mi è capito di amare in questo caso diventa devastante. Dov’è finito il rispetto che noi avevamo per la memoria gloriosa di quei saggi vecchi che ci raccontavano della guerra e delle sue atrocità? Per i saperi costruiti a partire dai bisogni umani veri, gli unici capaci di garantire diritti altrettanto veri? Siamo diventati dei mostri. Altrimenti la Memoria avrebbe ancora la capacità di sostenere la cultura che ci dovrebbe contraddistinguere e che non sarebbe mai stata svenduta solo per collocare le persone a lavorare sottopagate per garantirsi i voti, che mancando la tensione emotiva non arriverebbero mai.
    Sottopagare per garantirsi il bisogno e garantirsi i voti rende di più in tempi di passioni tristi. Anche il sindacato in tutto questo ha fatto la sua bella parte, perché non ha mai valorizzato i saperi, più preoccupato di rincorrere gli accordi e le convenienze delle sue lobby interne.
    Cultura e Valori da tramandare, con la C e la V maiuscola, quali sono oggi? Per Tutelare, per Amare veramente i nostri Posteri. per Proteggere ancora la Paternità e la Maternità, dove potremmo volgerci (a guardare)? Non dico ri-volgerci perché ormai anche questa parola puzza di mafia, dal momento che anche la rappresentanza ormai inesorabilmente è diventata manipolazione.
    Come non potremmo non essere in crisi allora, uomini e donne, in questo caos comodo e soprattutto voluto?
    Non siamo più in grado di obbligarli a fare scelte meno scellerate, capaci di rispettare ciò che davvero andrebbe rispettato: i valori umani, la dignità delle persone, la vita stessa che pur nel dramma continuiamo a mettere al mondo.
    Si potrebbe dire che anche qui Armando, a spingerci al confronto è una cultura vetero, ormai la distruzione della Memoria si porta inesorabilmente dietro anche la distruzione della Logica.
    Non ci ingarbugliamo nel confronto teorico e frustrante sul chi viene prima: i bisogni o i diritti; la gallina o l’uovo, che a guardar bene sono la stessa cosa; la donna o l’uomo presenti entrambi in noi.
    Che fare? Me lo chiedo e non so andare oltre l’impegno in controtendenza giornaliero che ormai occupa gran parte del mio tempo, come forse gran parte del tempo di ciascuno di voi.
    Nel mio settore lavorativo ho imparato molte cose: dai bambini, dalle famiglie, dalle donne e dagli uomini, ma se ti dicessi come Marino oggi si appresta a stravolgerlo a Roma, a svalutarlo, a favorire la distruzione della qualità conquistata dal pubblico (checché ne possa dire Brunetta per i suoi scopi) non ci crederesti. Ripeto; ormai mi viene da vomitare anche solo a scrivere documenti per cercare di far capire a chi dovrebbe sapermi rappresentare qualcosa della cultura che mi appartiene, che ci appartiene come categoria e come esseri umani che hanno agito un “campo” acquisendone culture, sperando di non distruggere quello che faticosamente abbiamo cercato di costruire, anche sopra le nostre forze, in quarant’anni di vita. Sei toscano, forse mi puoi capire Armando. Nella tua Regione nel mio settore ci sono delle vere eccellenze che in tempi buoni sono state un grosso riferimento anche per altre Regioni italiane, anche per la mia.
    L’Italia caro amico purtroppo ormai è un paese di mafia, dobbiamo imparare a dircelo e a vederne i meccanismi, oggi molto più di ieri, perché almeno ieri i distinguo li potevamo ancora fare, questo è il problema vero.
    In un paese di mafia globale anche le discontinuità positive si trasformano in negative, tutto viene inglobato, stravolte e modificato nei significati, nell’identità, con una terribile ricaduta sulla qualità della vita, delle relazioni, sulla pelle di noi tutti: bambini, uomini e donne. Che divorando almeno, possano strozzarsi!

    • Roberto
      25 luglio 2014 at 23:32

      Per usare la guerra di aggressione come metafora, c’è un modo maschile di farla, caratterizzato dallo sciovinismo della forza, dalla dichiarazione aperta e dal dispiegamento distruttivo di forze sul campo; c’è poi un modo femminile, quello contemporaneo, caratterizzato dal non chiamarla col suo vero nome bensì aggiungendo appellativi e motivazioni buoniste umanitarie. Alla fine il tragico risultato è lo stesso.
      Quello che divide uomini e donne non sono le intenzioni ma i modi, i linguaggi. Che esista un sesso meglio intenzionato dell’altro per natura, quindi moralmente superiore, è confutato proprio dalla storia recente.
      Sì. Credo che il femminismo sia stato cooptato per ingannare la gente e tra le cose da te citate anche per proporre un nuovo neo-colonialismo “materno”. Che annette regioni per salvare bambini da dittatori cattivi, quando poi a valle di tutto veniamo a sapere che ha fatto strage di bambini come il vecchio colonialismo.

  44. tiziana
    22 luglio 2014 at 13:23

    Accidenti Fabrizio, mi è successa la stessa cosa che mi è capitata ieri. Appena ho terminato di scrivere mi sono accorta che mentre scrivevo, contemporaneamente qualcuno mi stava rispondendo. Ho già letto comunque ciò che hai scritto e questa volta lo condivido pienamente, anzi mi sembra quasi che ci siamo parlati mentre scrivevamo e che scrivendo ognuno abbia trattato gli aspetti che più gli sono congeniali nella questione. Bene!, mi fa molto piacere e sorrido, davvero un buon segno. Comunicare e condividere è cosa rara oggi e questo mi rallegra sempre.

  45. Fabrizio Marchi
    22 luglio 2014 at 18:50

    Scusate, non ha nulla a che vedere con il dibattito (estremamente interessante) in corso, ma questo commento (per quanto mi riguarda esilarante) di Cesare al racconto della Zanardo (che definire scontato e banale è un atto di carità) merita di essere evidenziato…(serve anche ad alleggerire…:-) )
    http://www.uominibeta.org/editoriali/second-life-la-fantasia-della-storia-e-lo-yogurt/

  46. rita chiavoni
    22 luglio 2014 at 21:06

    Caro Cesare,
    Enea, per restare nella metafora, porta sulle spalle il vecchio Anchise, ma Anchise è un uomo vecchio che sta finendo la sua vita. Enea non può salvarlo, può solamente sollevarlo dalla fatica e accompagnarlo alla morte. Questo, per rispondervi cari amici, che continuate a riproporre i codici affettivi di Fornari o l’archetipo junghiano.

    Per Archetipo Jung intende “forme esistenti a priori, ossia congenite, dell’intuizione, cioè gli archetipo di percezione e comprensione, che sono una condizione ineliminabile e determinante a priori di tutti i processi psichici.”
    Questa prima definizione di archetipo, proposta da Jung in ‘istinto e inconscio’; se da un lato può apparire cruda, per il determinismo che lascia intravedere e che sarà poi smorzato nelle definizioni successive, è comunque la più chiara e significativa se intendiamo gli archetipi come le forme specificamente umane che rendono l’uomo psicologico. Senza dare alcunché di più di questo alla definizione, possiamo accostare a questo ‘istinto’, prettamente umano ciò che in seguito verrà da Jung chiamato “Funzione trascendente”.
    Attraverso l’attività simbolica, la funzione trascendente permette di trasformare l’istinto stesso in un ‘istinto’ specificamente umano ‘psicologizzato’ e ‘culturalizzato’.( perdonate i neologismi).
    E quando E. Neumann, in ‘Storia delle origini della coscienza’ scrive: “A livello archetipico l’Io e la Coscienza si presentano sempre con la simbologia maschile…” C’invita anche a problematizzare questo assunto quando afferma: “Questo significa che l’individuo maschile perviene ad una identificazione del proprio Io con la Coscienza (e con il ruolo archetipico maschile) e identifica se stesso con lo sviluppo storico della coscienza”.
    Vediamo quindi come vi sia una generizzazione (nel senso di genere maschile) della Coscienza e dell’Io, e dall’altra come possa succedere un’identificazione e sovrapposizione (per l’individuo maschile) della personalità con l’Io e la Coscienza.”
    Questo per dire che il maschio, l’uomo, poco si è posto come altro polo di un pensare e di un sentire da cui scaturisce una coscienza altra, dividendo e separando il Pensare dal Sentire, occultando così il logos femminile e l’eros maschile .
    Proprio per questo condivido la riflessione di Armando sulla necessità di tornare ad una polarizzazione quando scrive:

    ‘E’ la perdita della differenza, (equivalente del considerare uguali, cioè in-differenti, tutte le differenze) che mette in crisi l’ordine culturale e scatena la guerra “mimetica” in cui ognuno desidera desiderare ciò che desidera l’altro (Girard). ‘
    Non era affatto mia intenzione proporre l’Uguale, quando sostengo che le immagini archetipiche di uomo,padre,donna,madre dovranno accedere ad un altro ordine simbolico. Intendo dire che quel blob che ha riempito il vuoto, prima o poi troverà una nuova polarizzazione, una narrazione nuova , di cui forse noi siamo i testimoni, quando l’Uguale verrà spazzato via, con il neoliberismo, speriamo presto!
    Dopo aver letto i commenti di Tiziana e Fabrizio, che condivido in toto, che apprezzo soprattutto per la chiarezza con cui sono stati esposti, e che sembrano concordare con il mio pensiero non mi sento di dover aggiungere altro, per il momento s’intende.

    Esilarante il commento di Cesare, lo scritto della Zanardo è a dir poco stantio come il latte andato a male. Non conoscevo Franco La Cecla, persona interessante.

    http://video.corriere.it/rapporto-uomo-donna-terzo-millennio/7610cb32-65a7-11e0-860c-f8f35d8ce484

  47. cesare
    22 luglio 2014 at 22:58

    Tiziana ho letto il tuo di racconto e posso dirti che mi ci trovo nella realtà di quei desideri che si trasformavano in impegno con una dedizione totale. E soprattutto mi ricordo la capacità di costruire comunità nell’impegno. La comunità che condivideva la straordinaria esperienza di avere titolo sulla edificazione della vita propria e degli altri e la certezza che l’aver titolo ci conferiva l’opportunità e il compito di costruire una vita felice. Una vita felice, per tutti, niente di meno! Questo è stato il nucleo della moralità rivoluzionaria di allora: il desiderio eversivo della gioia e di lottare per essa. E ti dirò che a distanza di tanto tempo scopro che l’obiettivo non era poi cosi lontano perché un suo anticipo davvero esauriente era proprio la vita scoperta o riscoperta nella dimensione comunitaria. Anche nella tua appassionata memoria che mi rievoca il volto di tante giovani donne impegnate come te e che all’epoca mi furono amiche ed alleate, colgo quello che a ben guardare era negli occhi di tutti noi: la gioia di una vita condivisa e la speranza della gioia per tutti. La confidenza, la vicinanza, l’affettività, la forza, la creatività, che si esprimeva nella dimensione della comunità autentica mi appare oggi lontanissimo, il desiderio vietato e proibito: l’urlio dei diritti oggi non riconduce al desiderio della gioia ma alla contrapposizione aggressiva e impotente. Alla solitudine depressiva. La comunità di uomini e donne in lotta per la gioia è diventata, nella strutturale individualistica guerra di ciascuno per sè contro tutti, anche la miserabile guerra del femminismo reale contro i maschi. Il “raccontino” compiaciuto della Zanardo di una cronachetta di ripicche tra moglie e marito al supermarket, riportato in un post di Ubeta, è il miserabile approdo che il potere ha concesso al desiderio di gioia. Questa è la trasformazione che abbiamo subito. E mi tornano sempre in mente i polli di Renzo Tramaglino legati a testa in giù, oggi capponi unisex, per finire nella pentola degli azzeccagarbugli che in realtà le hanno azzeccate tutte. Infatti loro la comunità l’hanno costruita, e al dunque, quando si tratta della loro felicità, l’obiettivo strategico della politica di sempre e di ogni elites, si tengono per mano e non ci passa uno spillo tra privilegiato e privilegiato, tra mano e mano, tra spalla e spalla. Sono proprietari dei beni del mondo e delle nostre vite. Lo sanno e fanno cerchio con le carovane. E cercano ed hanno trovato e costruito Ascari ed oggi soprattutto Ascare che tengano a bada la “fazenda” e che i lavoranti non si rivolgano la parola, anzi si combattano tra loro, in nome dei loro inesistenti diritti. Dunque che fare? Rispondo fare comunità dove può rivivere questo antico desiderio del cuore umano e può rinascere fiducia e forza e resistenza alla oppressione e un orizzonte di felicità. Fare comunità ovunque sia possibile. Condivido a tal proposito la visione storica di Macinthire (forse non è scritto correttamente) in un suo libro (cito liberamente e a memoria): quando le strutture dell’impero romano non furono più in grado di accogliere il desiderio di moralità, giustizia e felicità delle persone, alcuni di loro cominciarono a revocare il loro appoggio alle strutture imperiali e cominciarono a riunirsi in comunità nell’ambito delle quali potevano esprimere in pienezza il loro desiderio di piena autenticità umana.

    • armando
      23 luglio 2014 at 12:24

      fabrizio: L’aggettivo cattivo non era per distingurlo da un cap. buono. Era invece rivolto a far capire che dire sempre che è colpa di qualcun’altro o qualcosa d’altro non ci porta lontano. Non perchè quelle colpe non esistano, ma perchè occorre sempre, prima di tutto, guardare in se stessi ed a ciò che di noi ha, anche inconsapevolmente, favorito il cattivo di turno. Questo è ciò che mi hanno insegnato otto anni di analisi. Per il resto, sul C. borghese etc. etc. sono d’accordo, ci mancherebbe, ma il punto è che femminismo, genderismo, ed anche il 68, filosoficamente sono diventati affini alla concezione del capitale. Questo è ciò su cui invitavo a riflettere. Durante gli anni post sessantotto c’era sempre qualcuno che si vantava d’essere un po’ più a sinistra, facendo apparire la “più sinistra” precedente come di destra o quasi. L’esito di tutto ciò è stato il favorire il movimento del capitale, e su questo credo ci sia abbastanza accordo.
      Alla fine, le seguenti parole di Tiziana rispecchiano abbastanza bene quello che intendevo dire:
      “La “discontinuità” che un tempo mi è capito di amare in questo caso diventa devastante. Dov’è finito il rispetto che noi avevamo per la memoria gloriosa di quei saggi vecchi che ci raccontavano della guerra e delle sue atrocità? Per i saperi costruiti a partire dai bisogni umani veri, gli unici capaci di garantire diritti altrettanto veri? Siamo diventati dei mostri.”
      Il mio disaccordo con lei è quando sembra attribuire tutto a fattori economici, funzionali al capitale. Il che è certo vero ma non basta. Pensiamoci un po’. Fosse così il Capitale, sarebbe capace di intepretare perfettamente la psiche umana e sarebbe per definizione invincibile e quindi destinato all’eternità. E’ proprio perchè non ci credo che invitavo a individuare o ricercare modi di essere, di ragionare, di sentire, di vivere, che siano incompatibili con quelli del capitale e quindi non manipolabili. Non ho offerto soluzioni, anche se ho qualche idea personale che tuttavia non pretendo sia anche di altri, ho invitato a pensarci.
      A Rita, infine, rispondo che non credo a nuovi ordini simbolici (che potremmo definire nuovi archetipi, per capirci), ma nell’armonizzazione e nella convivenza dei vecchi nella loro meravigliosa e feconda diversità
      armando

  48. tiziana
    24 luglio 2014 at 10:35

    Miei cari tutti,
    di Cesare stavolta mi è piaciuto l’intervento e lo condivido, anche riuscendo a sentire il dolore del suo dire; di Armando condivido il fatto che non è solo l’economia a fregarci e che qualcosina ce lo mette di suo anche chi adotta comportamenti dipendenti e assuefatti alla logica del sistema, che solo con una grandissima benevolenza può definirsi prepotente; a Fabrizio invece lo ringrazio soprattutto per l’ultima riflessione che mi ha permesso di allargare il mio orizzonte scoprendo piacevolmente delle convergenze che non mi aspettavo e comprensioni tra linguaggi costruiti in pratiche e ruoli diversi. E lo ringrazio anche per l’invio del materiale su Gaza, che mi ha fatto acquisire nuovi dati sulla questione palestinese, che mi fanno meglio discernere le miserabili motivazioni che stanno dietro al conflitto attuale e alle atrocità che continuano ad essere perpetrate nei confronti del popolo palestinese, e dei suoi bambini soprattutto, quello che ci devasta! Non solo non si smentiscono mai, ma addirittura il rapporto numerico della rappresaglia supera di gran lunga quello per Via Rasella dei nazisti
    A Rita, dico che le voglio bene, perché mi offre sempre stimoli per uscire dalle pareti troppo anguste, rispetto al mondo …all’universo, della riflessione sulla mia “comunità di pratica”, dove dopotutto l’impegno rischia di ingabbiarti se non fai attenzione. Dalla riflessione ossessiva e personale che rischierebbe di trasformarsi in soliloquio, in una musica per pochi adepti e anche per questo asfittica, con poco respiro.
    Le sue riflessioni e gli scambi mi fanno aprire a bisogni diversi di altre donne e altri uomini, spinti anch’esse/i,perché esseri sociali, dal bisogno della relazione e del confronto aperto, della comprensione di motivazioni altre, senza pre-giudizi, timori, anche nella speranza di riuscire ad incidere nello sfacelo, palude, deserto, nel quale ci stiamo aggirando, increduli, soprattutto se c’è stato impegno, per cercare di resistere, per produrre un piccolo contributo nella speranza di una pur che minima controtendenza.
    Dopotutto ripeto siamo esseri sociali, seppure oggi è sempre più difficile rammentarlo, rendersene conto per chi è più giovane e si è trovato catapultato, con un atto che avrebbe dovuto essere d’amore forse, nelle intenzioni, in questa “società liquida” di grandi masse che si muovono in balia dell’impossibilità di recuperare una comunicazione vera.
    Comprenderlo è più difficile soprattutto per le giovani generazioni ripeto, vista la prospettiva futura che gli lasciamo in eredità e che già vediamo sviscerarsi.
    Forse anche questo potrebbe giustificare il considerare l’altro un oggetto? Questa prospettiva di futuro che non esiste? Per la rabbia che ne scaturisce?, per ritornare al nostro tema.
    Certo andare al supermercato per guardare come hobby, o meglio per esercitare la propria “pratica”: scrivere di uomini e donne che non si conoscono, osservati per un poco, superficialmente con un canale percettivo, visivo, qualche frase arrivata, mi da l’impressione di una dipendenza vayeristica e di un bisogno proiettivo che mi rattrista alquanto.
    Il problema però c’è, anche questa cosa me lo evidenzia, questo sentirsi autorizzati a dire, velocemente, questo ritenere di aver detto qualcosa di importante, da pubblicare, da condividere. Un pensiero deviato, superficiale che si struttura attraverso un importante mezzo di comunicazione.
    Cos’è di fronte a questo impegno così evanescente allora invece l’impegno negli specifici?, quello che era stato utile a costruire passo passo e a far avanzare lentamente una cultura, attraverso l’esercizio della critica e dell’autocritica, dalla quale seppure lentamente poteva scaturire consequenzialmente la norma? Che poteva essere rivista. L’attenzione alla qualità della vita sociale perlopiù è partita, se ne sta andando e con essa la consapevolezza del diritto e dei bisogni reali, dei valori. Comodo! Chiede chi ha, chi non ha non chiede, perché non conosce, non sa, non può vedere, immaginare diritti possibili ed essi non divengono bisogni collettivi e non offuscano quelli fasulli proclamati da chi detiene il potere della comunicazione. Quelli divengono bisogni e ci snaturano. Ma la rabbia cresce nello snaturarsi.
    Oggi, quand’anche avessimo trovato tutti gli indicatori necessari, con tanta fatica di critica, autocritica ed impegno personale e collettivo, se non fossero riusciti e non riuscissero ad intorbidirci le acque con le infinite operazioni distrattive che mettono in campo, cercano di toglierci tutto, anche l’aria che respiriamo con le nuove ristrutturazioni dei settori. Con esse stanno proprio eliminando la possibilità di definire mai più un quadro di valori capace di discernere le priorità. E inficiando, distruggendo le garanzie minime della qualità della vita umana, quelle per le quali e sulle quali ci siamo interrogati per anni ed abbiamo lottato, sventolando nuovi slogan, ristrutturazioni come indispensabili appunto, ottengono l’effetto che chi non sta dentro i contesti diversi e molteplici dei settori del lavoro, non può neppure capire come realmente vengono spesi malamente i soldi, il denaro pubblico investito. Ciò aggrava ulteriormente la separazione tra la prassi e la norma, le scelte possono essere fatte in maniera totalmente mafiosa, più di sempre utilizzando a proprio piacimento i codicilli inventati ad hoc e norme paventate terroristicamente come necessarie, con la scusa dei soldi che mancano. Una cantilena continua, infinita che riempie il silenzio assordante ed impedisce il pensiero logico.
    Asserzione bombardata di continuo tendente a dirottare l’attenzione da come i soldi comunque investiti vengano spesi e male. L’esca è nella speranza della creazione di nuovi posti di lavoro.
    Ormai cercano di toglierci anche l’aria che respiriamo, succede nella scuola, nei servizi per la prima infanzia, nelle fabbriche, dappertutto. Così una volta che lo Stato avrà ceduto tutto e non avrà più cultura di se stesso, ognuno dei piragna che sopravviveranno potrà accaparrarsi ciò che vuole facendo il prezzo. .
    Alla faccia della sussidiarietà con cui la storiella era cominciata e anche il terzo settore ci ha messo la sua parte!. Adesso stanno giocando a chi ci mangia di più. Forse per questo che deve sparire dalle menti anche l’idea del bene della collettività che contraddistingueva l’idea della sinistra un tempo. A me quando vedo il video dove Berlinguer si sente male parlando con la sua amorevolezza al popolo, scusate, ma ancora mi viene da piangere.
    Niente più quadri di valori, priorità, garanzie minime, più niente di niente! La qualità per la quale abbiamo lottato?, sparita quasi tutta!
    Forse cercano di farci cadere in depressione, così molliamo e tanti saluti, visto che non gli è riuscito di cuocerci tutti con le sostanze, la new age, il buddismo, il veganesimo o altro, chi più ne ha più ne metta.
    Per ora continuo a resistere nella mia comunità di pratica” e cercando disperatamente di tutelare i bisogni e i diritti della categoria “infanzia” che è assai diversa da quella adulta, con bisogni specifici propri. Ma questa volta è davvero tosta! il rischio per il mio importante servizio alla collettività è di non farcela a garantire quegli indicatori di qualità, quei parametri che la cultura della sinistra un tempo aveva chiari e che sapeva così bene quanto meno esaltare. Neppure più questo. Ma chi sono questi zombi mi chiedo?, questa gente senza memoria?
    Ci siamo giocati proprio tutto?, anche la nostra cultura vi domando? E allora come la mettiamo anche con gli archetipi?

  49. armando
    25 luglio 2014 at 11:08

    Mi permetto di segnalare il n. 804 de il covile, http://www.il covile.it . , dedicato a” femminismo e capitale”, con mio articolo. Armando

    • tiziana
      27 luglio 2014 at 13:45

      Caro Amando,
      ho letto il tuo articolo e voglio rispondere ancora, stamane me ne è venuta di nuovo la voglia, perché frugando tra le infinite carte con le mie riflessioni e i miei appunti, quelli che sono andata spargendo per casa prima di possedere questo mezzo e che non mi decido ancora a gettare, nella speranza di avere il tempo prima o poi di trasferirli sul mezzo grafico più moderno, il computer, ho trovato un appunto del 21 febbraio 2004 che mi ha suggerito una risposta possibile a ciò che tu hai scritto.
      Sai, mi sembrava inutile continuare il nostro confronto, poiché le tue certezze un po’ mi ferivano e non per autoreferenza, piuttosto perché se tutto è così certo, mi chiedevo, a cosa ci serve continuare a dialogare?
      Invece no, sono resuscitata dal melanconico senso di inutilità del confronto che mi era preso e dopo aver letto il mio appunto, mi è tornata anche subito in mente la frase di Marcel Proust de “Il tempo ritrovato” che avevo scovato piacevolmente, tempo addietro, su un sito di Luciano Lodoli, “Ogni lettore quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. Lodoli come me, sebbene uomo, crede nello scetticismo metodologico, nel dubbio sistemico un po’ cartesiano e dice che “dovrà essere sempre alla base e guidare il nostro operare senza paralizzarci, ma stimolandoci a formulare i problemi”, tutti quelli che andremo a tentare di risolvere. Allora ho deciso di ritornare ancora una volta a scrivere, per cercare di continuare il nostro confronto, stimolata dall’idea che ne valga la pena e della molteplicità dei pensieri umani, tutti degni di rispetto, perché legati alle diverse esperienze fatte da ciascuno di noi: uomini e donne che sempre ci segnano.
      Penso insomma che ci sia un’impellenza al confronto soprattutto oggi per non mandare a rotoli il dolore di cui è intrisa la storia umana già trascorsa: degli uomini e delle donne. Il dolore per me ha un enorme valore, è una forte spinta. .
      Vengo all’appunto ritrovato che a mio parere potrebbe offrire nuove suggestioni al nostro confronto. E’ relativo ad un dibattito televisivo, mandato in onda da Rai 2, il 21 febbraio 2004, tra la sessuologa Baldaro- Verde e il giornalista Luigi Galluzzo che trovai interessante.
      Baldaro-Verde in quell’occasione sosteneva che esiste uno sviluppo psico- sessuale diverso della femmina e del maschio e che il tema dell’eroticità riguarda la specie umana, poiché nel mondo animale il piacere non è prioritario come per l’uomo e la donna.
      Questa sessuologa citando Adamo ed Eva proseguiva dicendo che il piacere è un dono che la donna ha fatto dai tempi dei tempi al maschio e che oggi, il potere procreativo e lavorativo, assolti entrambi nella società attuale dalla donna, produce nell’uomo un’ansia di prestazione sessuale dal momento che nel sistema lavorativo la donna ha la possibilità di confrontarsi con altri maschi. Peraltro il lavoro fuori casa ha amplificato la soddisfazione della donna, non c’è più Penelope che aspettava passiva Ulisse, ma una donna che può scegliere su un ventaglio vasto di uomini che all’esterno gli capita di incontrare e ai quali può richiedere oggi, differentemente da ieri, la capacità di soddisfarla sessualmente.
      Il potere lavorativo e procreativo insomma è ampliato dal potere della soddisfazione resa.
      Il maschio si ritrova così, proseguiva la sessuologa, in preda ad un’ansia di prestazione, poiché spodestato dall’antica sicurezza. La donna è diventata troppo potente per lui e Galluzzo nel confronto televisivo aggiunge degli esempi sugli uomini di mezza età che oggi lasciano le mogli e che se ne vanno, in preda ad una “febbre dell’est, con le belle ragazze bionde che non se la tirano” aggiungendo che all’opposto “le donne occidentali, riversano la concorrenza col maschio proprio sul lavoro, vendicandosi in questo modo.
      Certo è che la riconciliazione di tutto questo, non può che passare da un’analisi dialettica a due voci, da un’elaborazione finalmente matura e corretta che ponga sul piatto tutte le sfumature, le connessioni, la possibilità del vaglio di tutti quei meccanismi che agiscono i due componenti della specie umana: gli uomini e le donne, per riassestare pacificamente il tiro su ciò che veniva dato per scontato. La necessità fa virtù diceva mia nonna, in una logica contadina pragmatica e poco condizionata, perché non ne aveva il tempo, dalle riflessioni sull’ “ordine simbolico della madre”. .

      • armando
        9 agosto 2014 at 0:48

        Tiziana, ma anche Penelope avrebbe potuto scegliere fra i Proci, e invece non l’ha fatto. Qualcosa vorrà dire. Avrebbe introiettato l’ordine patriarcale? Può essere, ma quell’ordine si rivelava come capace di evitare che la società dell’epoca cadesse nel Caos, che questo e non altro avrebbe significato la vittoria dei Proci. A parte questo, tu dici una cosa significativa che credo necessiti di una precisazione da parte tua. Le donne hanno donato il piacere agli uomini, affermi, o perlomeno afferma la sessuologa. Il reciproco non vale?
        Perchè, se vale, allora può instaurarsi un dialogo e un confronto che sia aperto benchè almeno in parte conflittuale.

        Ma se non vale, vuol dire allora che le donne sarebbero autosufficienti riguardo al piacere, o che per loro il piacere sarebbe poco importante? La questione non è da poco, e dalla risposta dipendono molte cose, anche relativamente all’oggi. Perchè nel femminismo c’è stato tutta una discussione, filosofica, sul godimento femminile inafferabile al maschio che se lo raffigurerebbe come specchio del proprio (vedi la Irigary) ,che non è chiaro dove sfoci. Nella separatezza dell’autosufficienza saffica o nel potere sessuale femminile che sfrutta il bisogno sessuale maschile? Nel primo caso l’implicazione è evidente. Ove tale separatezza fosse agita, la specie si estinguerebbe, salvo farla proseguire coi mezzi artificiali che oggi la tecnica (maschile) consente. E’ questo che molte femministe vogliono?
        Nel secondo caso, la non importanza per le donne del piacere sessuale (cosa di cui personalmente dubito) è evidente che esisterebbe, oggi, quello squilibrio di cui parla la sessuologa. Squilibrio dovuto al fatto che, con l’accesso delle donne al mondo del lavoro (favorito dalla tecnica e dal capitale, le due cose vanno insieme), mentre rimarrebbe intatto il bisogno maschile di sesso, sarebbe venuto meno quello femminile di sicurezza, come sostiene l’amico Rino. Ammettiamo sia così, anche se secondo me le cose sono più complesse. Ma questo scenario, non disegna forse un destino di predominio femminile dato dal fatto che le donne avrebbero tutte le carte in mano? Sarebbe solo questione di tempo, ma le condizioni ci sarebbero tutte, basterebbe da parte femminile solo un po’ di pazienza. Eppure serpeggia l’inquietudine e proprio anche da parte femminile. “Non ci sono più i maschi di una volta” è frase ascoltata, inopinatamente, anche da parte di femministe convinte. Segno che qualcosa non quadra. Cosa? Non è che, alla fine, le donne si trovino a rimpiangere qualcosa (non tutto, preciso) del passato, posto che la psiche non si modifica in poco tempo (ammesso che si modifichi) e che non è vero che tutto ciò che si considera femminile è “invenzione” maschile pro domo propria?
        Ma allora, di che meravigliarsi o scandalizzarsi se gli uomini si rivolgono, per non sottostare al potere sessuale femminile non più bilanciato altrove, al sesso a pagamento con le donne che hanno deciso di farne una professione? E perchè dare a questa pratica una connotazione morale negativa, posto che sarebbe solo un modo per soddisfare (si fa per dire, viste le modalità spesso squallide in cui quei rapporti si consumano e posto che anche per gli uomini non si tratta solo di trovare un orifizio) un bisogno naturale senza pagare dazi di altro tipo?
        Vedi, non è che gli uomini hanno paura delle donne perchè ormai fanno loro concorrenza sul proprio terreno (il lavoro, ma anche lo sport). E’ che sono sconcertati, e per un motivo semplice. 1) I maschi non hanno alcun interesse a mettersi in concorrenza con le donne perchè non gli importa nulla, Riconoscono che esistono luoghi fisici e psichici propri delle donne e sui quali si astengono dall’intervenire perchè li rispettano e li considerano cose vostre. Vorrebbero, semplicemente che esistesse reciprocità in questo. Quando le donne scendono (o salgono) sul terreno maschile, gli uomini non provano paura, provano sconcerto. E sai perchè? Perchè esiste un codice di comunicazione fra maschi che, ove necessario, non esclude lo scontro anche fisico, anche simbolicamente , ma nono solo, mortale. E nello stesso tempo i maschi “oppressori” hanno elaborato anche un codice d’onore cavalleresco che inibisce un simile scontro con la donna. E così il maschio si ritrova paralizzato, disarmato, di fronte al rampantismo femminile che, intelligentemente sfrutta il vantaggio di posizione ma che poi, alla fin fine lascia le stesse donne insoddisfatte, E’ anche in questo la storia delle leggi votate dai maschi su pressione del vittimismo femminile che avvantaggiano le donne senza ragioni razionali e logiche. Eppure non basta mai. Ecco allora il continuo rilancio, la sfida che si allunga ancora e ancora e non finirà mai. E’ come se le donne percepissero che le loro vittorie non sono davvero autentiche perchè l’avversario si è ritirato senza combattere. Oppure che ci sia quasi la volontà di protrarre la sfida fino a trovare, finalmente, una vera resistenza, che è poi il senso vero della frase sui maschi di una volta.
        E allora, femminismo o no, tre sono le possibilità future.
        a) Le donne assumono la loro nuova posizione sociale smettendo di sentirsi vittime e sfruttare a proprio vantaggio la cavalleria maschile, con tutto ciò che consegue.
        b) Gli uomini compressi (tipici quelli così detti femministi) alla fine esplodono tracimando in posizioni vendicative. Sarà la guerra senza prigionieri, ma è anch’esso uno scenario possibile.
        c) gli uomini riprendono in mano se stessi, smettono di dare sempre ragione alle donne, virilmente ma senza isterie pronunciano assertivamente i loro si e i loro no. Fanno insomma ciò che sapevano fare,e che forse è anche ciò che le donne vorrebbero da loro ma che non confesserebbero mai. E soprattutto prendono coscienza del fatto che i loro territori sono la storia e lo spirito (alias la Cultura come trascendimento ma non tradimento del puro dato naturale) mentre se si pongono esclusivamente su questo sono destinati a soccombere.

  50. 29 luglio 2014 at 10:06

    Certo, è un bel articolo, ma… c’è sempre un ma.

    Ed il mio è il seguente. Non è che è la deriva del femminismo ad essere marcio, il femminismo stesso già dalle radici puzza di suprematismo.

    Capisco che bisogna esser accettati in un qualche modo nella società e quindi avere un linguaggio conforme a ciò che la massa vuol leggere, ma anche buttare la verità in faccia di tanto in tanto non farebbe male.

    Jan

  51. Ethans
    29 luglio 2014 at 12:47

    Sottoscrivo l’intervento di Jan…

  52. Alessandro
    29 luglio 2014 at 17:56

    “Ogni lettore quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.”Lodoli-Tiziana
    Bellissima considerazione.
    Il femminismo occidentale ha conosciuto un po’ la parabola che è stata propria del comunismo in Unione Sovietica. Nato per affermare l’uguaglianza tra i suoi cittadini e per combattere le ingiustizie, anche attraverso metodi violenti, e il femminismo da sempre è violento verbalmente, piano piano si è trasformato nel dominio oscurantista di un’élite su tutti gli altri. Oggi il femminismo pretende, e ottiene, di determinare che cosa è giusto o sbagliato in tantissimi ambiti della società, mettendo all’indice chiunque non si adegui, siano questi uomini o donne( interessante a questo proposito leggere la critica interna al femminismo da parte di Eretica o il caso Bacchiddu o le varie crociate neomoraliste a guida femminista che percorrono l’occidente e che trovano ampio consenso a livello governativo). Ho semplificato all’inverosimile la similitudine, ma credo di aver reso l’idea. Quindi fatto questo preambolo, rispondo alla domanda che dà il titolo all’articolo. No, non abbiamo bisogno di un movimento politico-culturale impregnato di autoritarismo, che diffonde l’oscurantismo, che crea incomprensione e odio, che è tutto interno alla logica capitalistica della “competitività”, con il suo arraffare posti di comando, dimenticandosi delle sorti degli uomini e delle donne qualunque, strumentalizzate per puro tornaconto personale o poco più. Abbiamo invece bisogno di reale parità, di tolleranza, di libertà, di solidarietà, di giustizia sociale. Ben venga un femminismo che faccia propri questi valori e li metta in pratica nella condotta quotidiana. Ma devono essere principalmente le donne a rompere con il femminismo oggi imperante,delle Zanardo, delle Terragni, di chi più ne ha più ne metta, che nei fatti e nelle parole continuamente contraddice quei valori. Gli uomini sono per il momento troppo inconsapevoli o pavidi per invitarle con convinzione a far ciò, tranne ovviamente una sparuta minoranza.

    • 29 luglio 2014 at 22:53

      Non dire però, Alessandro, che la NATO lotta contro le ingiustizie 😀

      • Alessandro
        30 luglio 2014 at 9:12

        Certo che no Jan, me ne guarderei bene 🙂 Ritengo che ogni Stato debba risolvere al proprio interno le proprie controversie e che un intervento esterno sia possibile solo in casi particolari, e in quel caso debba essere attuato da una forza sovranazionale-internazionale. I confini saranno quel che saranno, ma non rispettarli porta sempre guai. Quanto succede in Palestina è la tragica testimonianza degli esiti a cui si va incontro quando non si definiscono confini tra gli Stati e/o non si rispettano, come nel caso di Israele rispetto ai palestinesi. Non posso quindi che essere fortemente critico con chi, come la NATO, attua un’ingerenza negli affari interni degli altri Stati, ma non sono neanche così ingenuo dal considerare sempre come i buoni o le vittime coloro che, in un determinato frangente storico, vi si contrappongono. La realtà è sempre piuttosto complessa e le scorciatoie del manicheismo saranno anche comode, ma non aiutano a farsi un’idea più precisa degli eventi.

  53. Fabrizio Marchi
    8 settembre 2014 at 17:59

    Lidia Ravera, ovvero l’intellettuale in esilio (dorato) a Stromboli, cioè “l’isola – come spiega lei stessa – in cui mi sono relegata da sola, per molti mesi l’anno, dato che l’attuale regime ha abolito il confino politico per i suoi fieri oppositori, sostituendolo con più sottili forme di discriminazione”.
    Lo stesso regime da cui, come noto, è da sempre stata emarginata e perseguitata (oltre che discriminata in quanto donna e femminista) e che per farsi perdonare l’ha nominata assessore alla cultura della Regione Lazio (dopo decenni di persecuzioni era il minimo che si potesse fare…).
    http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=62322&typeb=0

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