I fatti di Liverpool, i media, i silenzi, i depistaggi e le menzogne

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Foto: Dagospia (da Google)

 

Nonostante le mie note posizioni politicamente s-corrette, qualche collega fra i giornalisti mi è rimasto ancora amico e ogni tanto, come è normale fra amici, ci si fa anche delle confidenze.

Ebbene, in seguito ai gravi fatti avvenuti a Liverpool prima della partita fra la locale squadra e l’A.S. Roma dove un gruppo di ultrà romanisti ha aggredito e mandato in fin di vita (è di fatto clinicamente morto) un tifoso del Liverpool, nelle redazioni di alcuni importanti network, in particolare televisivi, è arrivato l’ordine di scuderia di non enfatizzare quanto avvenuto. Non faccio nomi, trattandosi di uno scambio confidenziale, né dei colleghi che mi hanno fornito l’informazione né delle testate in questione. La scelta di “silenziare” il tutto sarebbe motivata da ragioni di ordine pubblico, per evitare cioè di far salire la tensione in vista della partita di ritorno che si terrà all’Olimpico mercoledì prossimo.

Ora, se da un certo punto di vista tale scelta può essere comprensibile, non può però impedirci dal fare alcune considerazioni.

Alcuni mesi fa, per un episodio che non esito a definire ridicolo, fu montata una vera e propria campagna politico-mediatica che giunse ad avere un’eco mondiale. Mi riferisco al fatto che una decina di idioti, tifosi della Lazio, appiccicarono su una vetrata della curva sud dello stadio Olimpico, in occasione della partita casalinga con il Cagliari, alcuni adesivi con il volto di Anna Frank che indossa la maglia della A.S. Roma (la stessa cosa viene fatta sistematicamente a parti invertite ma è emersa solo in questo caso…). Secondo le menti bacate di questi gruppi di ultrà nazifascisti mentecatti che occupano da almeno trent’anni le curve sia della Lazio che della Roma (così come di tante altre curve italiane), questo è uno sfottò come tanti altri. D’altronde, sempre da trent’anni a questa parte, non c’è una partita che è una dove non vengano intonati cori e slogan razzisti o esposti striscioni altrettanto razzisti.

Ora, se quel fatto specifico (uno fra i tantissimi che avvengono ogni domenica in tutti gli stadi ma anche fuori) non fosse stato notato da alcuni osservatori, diciamo così, molto zelanti, sarebbe passato del tutto inosservato. Del resto, i muri di tutta Roma sono imbrattati di croci celtiche, svastiche, scritte che inneggiano al nazismo, al razzismo, all’antisemitismo, molto spesso firmati da sigle che fanno riferimento a gruppi ultrà dell’una e dell’altra squadra della Capitale, e solo un cieco o uno in malafede può non accorgersene.

Ebbene, in quell’occasione si scatenò il finimondo, il gesto di quei quattro imbecilli (fra cui anche un ragazzino di tredici anni…) finì sulle prime pagine di tutti i giornali, scesero in campo il Presidente del Consiglio Gentiloni, il Presidente della Repubblica Mattarella, il segretario del PD Renzi, vari ministri e leader di altri partiti, la comunità ebraica romana, italiana e internazionale, il ministro dello sport e quello della cultura israeliani, diversi leader politici europei; ricordo che, fra gli altri, anche il New York Times fece un editoriale per stigmatizzare quanto avvenuto.  Per alcune settimane non si parlò d’altro, in tv, sui giornali, ovunque, e chi lo nega non è in buona fede. Il Presidente della Lazio, Claudio Lotito, si recò presso la Comunità ebraica per chiedere scusa e depositare una corona di fiori in memoria dell’Olocausto e chiarire che quanto accaduto era solo l’atto di un gruppo di esagitati e sconsiderati che nulla aveva a che vedere con la passione sportiva dei tifosi della Lazio. Fu cacciato, anche in malo modo e la corona di fiori fu gettata nel Tevere.

In virtù di ciò, ulteriori considerazioni sono d’obbligo e sono la logica e l’onestà intellettuale che ce lo impongono.

La prima. Appiccicare un adesivo, per quanto odioso e becero, non può essere considerato più grave che aggredire a martellate una persona e ucciderla o ridurla in fin di vita. Se dovessimo però misurare la gravità dei due gesti sulla base della risonanza mediatica che hanno ottenuto, ne dovremmo necessariamente dedurre che appiccicare un adesivo è infinitamente più grave che uccidere una persona. Il che è ovviamente assurdo, illogico e sbagliato. Un insulto, per quanto spregevole, resta un insulto, mentre un omicidio resta un omicidio (o anche un’ aggressione violenta) e “dalle mie parti” è considerato un po’ più grave, per usare un eufemismo.

Ora, se l’uccellino birichino mi dice che quando c’è di mezzo qualcosa che ha a che vedere con la comunità e con la questione ebraica – fosse anche uno starnuto di troppo di qualcuno che passeggia sul Lungotevere davanti alla Sinagoga – si scatena l’ira di Dio (anche se nello stesso giorno è scoppiata una guerra…), pensate che stia dicendo qualcosa di così scandalosamente indicibile, oppure che mi stia avvicinando al vero?

La seconda. La premessa è che alcuni amici replicheranno che parlo da tifoso e non da osservatore equilibrato. Non è così ma non è in mio potere fare nulla per convincerli del contrario.

La teoria del capro espiatorio non l’ho certo inventata io. Ricordo l’esame di sociologica politica come uno dei più interessanti da me sostenuti nel mio secondo corso universitario. E la parte monografica verteva proprio sul concetto del capro espiatorio. Furono portati molti esempi fra cui la tragedia dell’Heysel che vide l’espulsione per anni di tutte le squadre inglesi dalle competizioni internazionali (e relativa criminalizzazione di tutti i tifosi inglesi), la fucilazione di Ceaucescu in Romania avvenuta in fretta e furia e in seguito ad un processo farsa (non si potevano certo fucilare 50.000 burocrati compromessi fino al collo con quel regime, fra cui anche gli stessi che lo stavano processando…), la vicenda di Craxi nell’ambito di “Tangentopoli” (non si potevano mettere in galera decine di migliaia di politici e loro galoppini) e tanti altri ancora. Il capro espiatorio è una sorta di lavacro, di lavaggio purificatore con il quale la società e tutti noi ci mondiamo dei nostri peccati, per utilizzare un celebre modo di dire. Si individua il colpevole, vero o presunto che sia (non è poi così fondamentale…), e si scaricano su di esso tutti i “mali”  di cui tutti o in tanti sono corresponsabili.

E’ del tutto evidente – sempre che ci si armi di un pizzico di onestà intellettuale – che la tifoseria della Lazio è stata da tempo criminalizzata ed individuata da tutti i media come quella “fascista e razzista”. Poco conta che pressochè tutte o quasi le maggiori tifoserie di tutto il Belpaese siano dichiaratamente fasciste. Poco conta che i più gravi episodi di violenza da sempre avvenuti siano stati commessi da ultrà di altre squadre e non da quelli della Lazio (che non ho nessuna intenzione di difendere, sia chiaro, perché sono beceri quanto gli altri…). Quello che conta è che quelli della Lazio, a torto o a ragione (secondo me sia a torto che a ragione) si sono fatti la nomea dei fascisti e dei razzisti. E questa nomea che un po’ se la sono creata e un po’ (molto) gliel’hanno appiccicata i media, non se la scrolleranno più di dosso. Ricordo quello che mi disse mio padre prima di entrare al liceo:”Fabrì, sii furbo, fatti notare, studia e comportati bene nei primi mesi di scuola, perché dopo camperai di rendita, anche se farai casino, anche se studierai di meno, anche se sarai più distratto, anche se farai più scioperi e assemblee che ore di lezione, perché quello che conta è la nomea che ti sarai fatto nei primi mesi, e quella non te la leverai più di dosso. Guai a cominciare male, perché poi dovrai sudare sette camicie per ricostruire quella immagine che tu stesso ti sei cucito e che ti cuciranno sempre di più addosso, e per prendere una sufficienza dovrai studiare come se dovessi prendere il massimo dei voti”. Aveva ragione.

Ecco, con la tifoseria della Lazio è successo e succede esattamente la stessa cosa. Poche settimane dopo quella vicenda degli adesivi, un gruppetto di tre ultrà fascisti romanisti ridusse in fin di vita un immigrato. La notizia sarà stata sì e no un giorno o due sulle cronache locali dei principali quotidiani. Solo che lì non c’era di mezzo la comunità ebraica ma un immigrato di non ricordo quale nazionalità, e non c’erano di mezzo gli ultrà laziali ma quelli romanisti (ma se fossero stati di altre squadre sarebbe stata la stessa cosa).

Chiariamo subito un punto fondamentale onde evitare banalizzazioni. Qui l’essere della Lazio o della Roma o di qualsiasi altra fede calcistica non c’entra assolutamente nulla. Quelli sono fascisti e razzisti e teppisti e criminali, a prescindere dalla loro collocazione nel panorama calcistico. Il problema è che le logiche mediatiche sono spietate.  E in virtù di quelle logiche ormai i tifosi della Lazio sono quelli che fanno notizia in questi casi. E ai media interessa fare notizia (e vendere), non raccontare la verità, che con il sistema mediatico ha ben poco a che vedere. Su tutto questo aggiungiamo doverosamente (è un fatto) che Juventus, Roma, Milan, Inter, Napoli sono società potenti, molto più potenti della Lazio, hanno grossi gruppi imprenditoriali e/o finanziari alle spalle, un grande bacino di utenti, di tifosi, molta più audience rispetto ad altre squadre e per questo sono pompate dai media che hanno tutto l’interesse (interesse reciproco) a sostenerle. E’ il sistema calcio, che ormai riguarda i media, le televisioni, gli sponsor, i gruppi finanziari e imprenditoriali, le banche, la politica. Chissà come mai i giornalisti di tutte le testate giornalistiche non si peritano di andare a dare una sbirciatina alle curve di quelle squadre. Avrebbero delle belle sorprese (si fa per dire, lo sanno tutti e loro in primis…), dalla penetrazione dei gruppi di estrema destra (Juventus, Inter, Roma, Verona, Torino, Milan, Udinese ecc.), a quella della criminalità organizzata (Napoli, Juventus ecc.). “Epperò” quelli “brutti, sporchi e kattivi” sono sempre quelli della Lazio che ovviamente “sò tutti fasci”.  Per le stesse ragioni, penso che espellere la A.S. Roma dalle coppe europee oppure farla giocare a porte chiuse per un tot periodo di tempo, come sembra stia paventando l’UEFA, sia un provvedimento ipocrita e del tutto inutile che finisce solo per penalizzare i tanti supporter romanisti che non sono certo responsabili per gli atti di violenza commessi dalle bande di ultrà di cui sopra.

Per concludere, una breve riflessione sui fatti incresciosi di Liverpool e su tutti i fatti di questo genere.

Puntualmente, in frangenti come questi, si scatena la solita orchestra di sociologi, psicologi (e cretini, come recitava una vecchia canzone di un cantautore degli anni ‘70, Gianfranco Manfredi…), opinionisti e salottieri vari. E ciascuno di questi ci racconta la sua versione. Chi parla di emarginazione sociale, chi di “sparuti gruppi di violenti e provocatori”, chi di mancanza di prospettive, chi di una società che educa alla violenza, chi di vuoto di senso e tante altre cose ancora. E in ciascuna di queste spiegazioni c’è anche sicuramente del vero o una parte di vero.

Tuttavia, anche in questo caso, un paio di considerazioni.

La prima. La violenza è sempre esistita e sempre, purtroppo, esisterà. Per lo meno fin dove ci è possibile arrivare con la nostra mente e anche con la nostra immaginazione (che è comunque data dal fatto di vivere in questo mondo e non in un altro). Se poi in un futuro molto remoto si riuscirà a costruire un mondo senza violenza o comunque dove i conflitti verranno vissuti in modo infinitamente meno traumatico rispetto a come sono stati vissuti fino ad ora, non è dato saperlo.  Mi pare però una visione di tipo escatologico e anche un po’ (tanto) religioso, anche laddove un simile orizzonte venga sostenuto da posizioni filosofiche ultra laiche o atee.

Tutto sommato mi sento di dire che dai tempi in cui si andava nelle arene (che erano gli stadi dell’epoca) a vedere gli uomini che si scannavano fra loro nel vero senso della parola, oppure sbranati dai leoni, e che il pubblico decideva della vita o della morte dei malcapitati con un semplice gesto del pollice, qualche passo in avanti lo abbiamo fatto. Per cui affrontiamo il tema della violenza, come è doveroso che sia, ma sempre relativizzandolo e contestualizzandolo, onde evitare di cadere in errore, sia ridimensionandolo che ingigantendolo o peggio, trattandolo in modo strumentale per ragioni mediatiche e/o politiche.

In tal senso, credo che ci si debba interrogare su quali possano essere le ragioni che spingono dei giovani a forme di violenza così stupide, cieche, irrazionali, prive di ogni motivazione e logica, che li portano a gettare al vento la loro stessa vita per un “gioco” tanto stupido.

La prima (ma non in ordine di importanza) è la noia. La noia è una brutta bestia, Schopenhauer sosteneva che fosse addirittura peggiore del dolore. Io non arrivo a questo punto, però non c’è dubbio che sia un aspetto importante nel determinare certe scelte di vita. La noia gioca brutti scherzi, soprattutto su menti fragili e su persone che non hanno nulla da fare nel vero senso della parola. Perché è evidente che solo uno che non ha nulla da fare e che non ha risorse di nessun genere, può riempire la propria esistenza scegliendo una “vita da ultras”, cioè sostanzialmente prendersi a legnate con altri ultrà che fanno il tifo per dei divi che guadagnano miliardi e che se ne infischiano altamente di loro (se non fosse per il fatto che portano soldi…).

La seconda, è in parte già detta. E’ ovvio che certi comportamenti affondano le loro radici in un vuoto assoluto di ideali e valori positivi. E non c’è alcun dubbio che quella attuale sia una società ultracapitalistica fondata sul nulla (se non sul profitto e sulla esposizione mediatica a cui solo pochi possono accedere), su un vuoto assoluto di valori positivi. Una società che viaggia a velocità della luce verso la disintegrazione morale e psicologica. Una disintegrazione che forse genera danni ancora maggiori di quelli causati dalla disoccupazione, dal precariato come condizione esistenziale e in generale dalla mancanza di prospettive e dalle condizioni materiali di esistenza (comunque sicuramente migliori rispetto a quelle che hanno vissuto i nostri padri e i nostri nonni).

In questo vuoto assoluto, la logica del “branco”, di qualsiasi branco, viene in soccorso, o comunque può essere vista come una specie di scialuppa di salvataggio. E oggi, il mondo degli ultras, con le sue dinamiche psicologiche, le sue liturgie, i suoi miti (lo scontro con i nemici, il coraggio dimostrato, la forza, la spavalderia, l’essere più tosti degli altri ecc. ) condito all’armamentario ideologico fascista di sempre, può rappresentare una risposta a quel vuoto pneumatico di cui sopra a cui l’attuale ordine sociale e ideologico dominante non è in grado e non ha neanche interesse a dare una risposta.

 

 

8 commenti per “I fatti di Liverpool, i media, i silenzi, i depistaggi e le menzogne

  1. Alessandro
    29 aprile 2018 at 13:08

    Condivido in buona parte l’articolo. Sulla diversa risonanza mediatica che hanno assunto i due diversi episodi, vignette e tifoso inglese, gioca, secondo me, anche la diversa notorietà di chi è stato coinvolto. Anna Frank è universalmente nota, giustamente, ed è un simbolo che credo vada al di là della sua appartenenza etnica. E’ il simbolo dell’infanzia oltraggiata al massimo grado e la sua immagine va difesa sempre e non può essere vilipesa da quattro idioti senza che questi la passino liscia o si derubrichi la cosa come goliardata.
    Sulla questione del tifo che sfocia in violenza ho e abbiamo riflettuto a lungo. Sono, purtroppo, tragedia annunciate, come d’altronde i casini a Roma tra qualche giorno. Viviamo in gabbie ideologiche da cui non riusciamo a uscire, secondo cui, tra le altre cose, prevenire questo genere di problemi con provvedimenti drastici, del tipo niente biglietti venduti alle tifoserie delle squadre in trasferta, è considerato parafascista, illiberale e via dicendo, per poi versare le lacrime di coccodrillo. A questo proposito ricordo ancora la tragedia di Torino, con il maxi schermo della finale della ex Coppa Campioni, quando nella medesima città convivono due tifoserie che si guardano in cagnesco, anche perchè una vince sempre, l’altra si barcamena da decenni nelle zone basse della classifica, quindi si è persa quella “tolleranza” per la vittoria altrui che caratterizza città come Roma o milano, dove le società si alternano nei successi. Il fatto che poi la tragedia sia maturata per questioni apparentemente diverse non toglie validità alla riflessione.
    Sul perchè si sia arrivati a a questo punto, aggiungo alle ottime riflessioni dell’articolo, il fatto che, limitatamente al caso italiano che conosco bene, siamo, mediamente, sprovvisti di cultura sportiva, da intendersi non solo nel senso decoubertiano del tipo bisogna accettare la sconfitta e così via, ma anche in riferimento alle competenze tecniche, ossia non riusciamo a “capire” ciò che vediamo, se non il significato della sfera che rotola dentro il sacco, e quando ci si limita a quest’ultimo aspetto si è inevitabilmente portati a dare a esso troppa importanza e a vivere l’insuccesso, vista l’identificazione con i colori sociali, in maniera frustrante, quando magari la sfida ha visto emergere valori tecnici e agonistici molto più interessanti del medesimo risultato. In questo caso la responsabilità ricade soprattutto sui media.
    Nel caso della partita in questione, per esempio, invece di ricordare la sfida per i suoi contenuti tecnici, per i protagonisti, per un calcio migliore di quello attuale sotto tutti i profili e così via , ci si è limitati a presentarla come una rivincita, come un “furto” subito; insomma la nostra mancanza di cultura sportiva si è di nuovo messa in azione finendo per “gasare” ancora di più la già predisposta marmaglia in partenza. Aggiungiamoci anche quella penosa fotografia che ha visto protagonisti Pruzzo e Conti e allora mi chiedo: dove vogliamo arrivare?
    Altro problema è rappresentato dall’accostare ai colori sociali delle varie squadre significati extra sportivi, ossia politici, “etnici”, sociali, finanche religiosi, ossia la partita tra squadre di differenti città, che rappresentano esclusivamente le rispettive tifoserie, diventa scontro tra partiti politici, nord e sud, bianchi e neri, ricchi e poveri, isole e penisole e chi più ne ha più ne metta. E’ evidente che questo finisce per “agitare” ancor di più gli animi di chi è già portato a vivere l’evento in modo irrazionale. Ma, come sappiamo tutti, ciò si spiega con il fatto che in tanti sul pallone ci campano e di consegueza pompare ancor di più l’evento significa far girare ancor più quattrini.

    • Roberta
      1 maggio 2018 at 10:24

      Mi scusi ma Anne Frank e’ un personaggio ben piu’ noto solo quando 13 “ingiudicabili” postano 20 adesivi, ma nessuno si e’ mai accorto che questa povera ragazza indossave la maglia della Lazio gia’ da molti anni? Mi scusi lo sdegno arriva solo per qualche”ingiudicabile” e non per altri? MI SCUSI LA VITA UMANA E’ IMPORTANTE SOLO SE UN UOMO E’ PIU’ POPOLARE DI UN ALTRO? La VERGOGNA NON FINISCE!!

      • Alessandro
        1 maggio 2018 at 15:41

        Evidentemente non hai capito. Facevo riferimento al diverso trattamento che i media hanno riservato ai due fatti. Ogni giorno muoiono centinaia di persone al mondo di morte violenta, eppure solo una minima percentuale viene ricordata. Questo è il comportamento dei media, talvolta giusto, talvolta sbagliato. Nel caso in questione, ritengo giusto che ci si indigni per gli adesivi, anche se la Frank è morta da parecchi anni, così come per il povero tifoso inglese, anche se costui è noto soltanto ai suoi parenti.
        Cosa hanno fatto altri prima non lo so, ma se fosse così, estendo la mia condanna ai tifosi romanisti, perchè per me Roma e Lazio pari sono in quanto a maglie; al limite posso differenziarle per ciò che esprimono in campo, ma non è questo il momento per entrare in questi dettagli tecnici.
        Per quanto mi riguarda poi, sono uno che si premura di evitare qualsiasi forma di violenza fisica e psicologica, quindi figuriamoci se per me il valore di una persona si misura in base alla sua popolarità. Infatti nel mio intervento ho scritto che bisogna iniziare a indignarsi meno e a prevenire un po’ di più, tenendo i potenziali scalmanati a casa loro e dal momento che questo non è sempre possibile, si eviti di mandarli in trasferta almeno con il biglietto in mano.
        Questi giorni a Roma sembra ci sarà una sorta di “coprifuoco”: mi chiedo se non si potesse evitare una cosa del genere.

  2. Alessandro
    29 aprile 2018 at 13:12

    Chiaramente facevo riferimento alla finale della Coppa Campioni 1984 tra Roma e Liverpool del 1984.

  3. Dino Grenga
    1 maggio 2018 at 17:35

    Apprendiamo tutti che il tifoso del liverpool è cerebralmente morto.
    Se invece la notizia non dovesse essere vera penso che questo articolo si qualificherebbe da solo

    • Fabrizio Marchi
      1 maggio 2018 at 19:49

      Perché, se anche dovesse uscire dal coma – cosa che gli auguriamo di cuore – che cosa cambierebbe rispetto a quanto accaduto e a quanto scritto nell’articolo?

  4. 2 maggio 2018 at 8:08

    Cari “indignati a comando, dove siete?
    di Stefano Greco
    26.4.2018
    http://www.sslaziofans.it/contenuto.php?idContenuto=32214

    Premessa fondamentale per evitare qualsiasi equivoco. Non sto qui a giudicare le modalità di quello che è avvenuto martedì ad Anfield, non sto qui a stabilire se sia stato rispettato o no il “codice Ultras” in quello scontro dietro la Kop e non sto neanche qui a chiedere pene esemplari per gli arrestati: perché non sono uno stinco di santo o una mammoletta e sono stato Ultras da ragazzo, quindi tutti questi discorsi sono esclusi da questo articolo che è rivolto, solo ed esclusivamente, alla mia categoria. Quella dei giornalisti, dei comunicatori (romani e non) e, soprattutto degli “indignati a comando” (soprattutto a telecomando…), quelli che scrivono twitter o editoriali di fuoco in certi casi mentre in altri brillano per la loro assenza. A seconda dei colori della squadra coinvolta nella notizia di cronaca. Fatta questa dovuta premessa, entro nel merito della questione.

    Ho aspettato un giorno e mezzo prima di intervenire in questa vicenda che mi vede solo spettatore. Ho aspettato di vedere la reazione dei miei colleghi ad una notizia di cronaca che ha fatto il giro del mondo in un amen e che ha dato una dura mazzata all’immagine non solo della Roma, ma dell’intero calcio italiano. Ieri, in tutti i TG nazionali, la notizia del tifoso del Liverpool in coma dopo gli incidenti di martedì (con tanto di filmati dell’aggressione) è stata relegata in fondo al Telegiornale, poco prima della pagina sportiva collegata al fatto. Nulla o quasi nei titoli di testa, nessun editoriale da parte di qualche direttore, nessun comunicato da parte del Coni o del Ministro dello Sport Lotti (tra l’altro presente in tribuna ad Anfield Road), nessuna presa di posizione da parte del Commissario Straordinario della Federcalcio, Fabbricini. Nulla di nulla. Eppure c’è un uomo di 53 anni in coma, la notizia di questo fatto di cronaca e dell’arresto di una decina di tifosi romanisti (due dei quali con l’accusa di tentato omicidio) è sulle prime pagine di tutti i giornali inglesi.

    Normale che sia così, dice qualcuno. Il problema è che a dirlo sono gli stessi che hanno fatto fuoco e fiamme per una decina di adesivi con l’immagine di Anna Frank con la maglia della Roma attaccati alle vetrate dell’Olimpico identici a quelli che girano da anni (anche in versione Anna Frank con la maglia della Lazio) in città o alle scritte che campeggiano sui muri di Roma in cui Anna Frank una volta è laziale e una è romanista, a seconda della mano dello scrivente. I direttori dei TG e dei vari notiziari, sono gli stessi che hanno aperto i TG con le immagini di 4 manichini appesi ad un ponte vista Collosseo dopo un derby e che dopo aver preso una cantonata pazzesca (all’inizio hanno pensato a minacce dei tifosi della Roma ai giocatori colpevoli di aver perso il derby…) hanno cambiato rotta con nonchalance puntando dritti sui tifosi della Lazio, fino a chiedere l’apertura di un’inchiesta della magistratura. Inchiesta, per la cronaca, aperta e chiusa in un amen, perché il fatto non sussisteva proprio, perché la “cantonata” l’aveva presa chi faceva comunicazione prendendo fischi per fiaschi.

    Ora, mi chiedo io, che fine hanno fatto tutti questi “idignati a comando” (o a telecomando…) che ieri hanno brillato per la loro assenza? Forse erano troppo presi dalla gita fuori porta per andare a mangiare fave e pecorino con gli amici o per andare (da bravi piacioni) a spalmarsi su un lettino a Fregene per catturare il primo sole o per andare a giocare a beach volley con gli amici sulla spiaggia? No, perché non ne ho visto uno indignarsi per i fatti di Anfield. Non ho visto nessun censore puntare il dito per il fatto che un padre di famiglia di 53 anni (non un hooligans…) sta in coma in un letto di un ospedale di Liverpool.

    Quindi, dovrei pensare che per tutti i bravi direttori, gli ex conduttori della “Domenica Sportiva” e tutti quelli che fanno giornalismo nascondendo abilmente la sciarpetta della Roma quando vanno in diretta, qualche adesivo o due manichini fanno più notizia di un uomo che lotta tra la vita e la morte? Non faccio nomi, perché tanto i nomi li sappiamo bene tutti, ma vi chiedo: dove state? Come giustificate la vostra assenza e il vostro silenzio? Ma, soprattutto, dove sta quella deontologia professionale tanto sbandierata quando nascondendovi dietro il diritto di cronaca e di informare avete scatenato quella tempesta mediatica contro la Lazio e i suoi tifosi sul “nulla” o quasi? Forse perché il tifoso in coma non è ebreo e quindi non c’è da dare la guazza alla comunità ebraica? No, perché erano ebrei anche i tifosi del Tottenham che furono pestati a sangue qualche anno fa in un altro agguato in un pub di Roma, con un blitz che voi accollaste immediatamente ai tifosi della Lazio (visto che era la vigilia di Lazio-Tottenham, lo avete dato per scontato…), salvo poi scoprire che i tifosi della Lazio non c’entravano nulla con quell’aggressione.

    O non sarà perché c’è di mezzo la Roma che, non per colpa della società (che si è fatta subito sentire con un comunicato di scuse e in cui ha preso le distanze…), ora rischia sanzioni pesantissime da parte dell’Uefa e, quindi, è meglio gettare acqua sul fuoco (come ha fatto il neo presidente della Lega di Serie A parlando di episodio da dimenticare al più presto…) invece di attizzare un vero e proprio incendio mediatico come avete fatto con la storia dei manichini e ancora più con quella degli adesivi, quando avete fatto talmente tanto casino da tirare in ballo addirittura il presidente della Repubblica e il Papa, con puntate speciali di “Porta a porta” dedicate alla non notizia?

    Ora, qui nessuno si augura il pugno di ferro dell’Uefa e nessuno invoca sanzioni esemplari, perché certe infamità (almeno io) le lascio ad altri, a quelli che fino a poche settimane fa hanno tifato per la Procura Federale della Federcalcio che chiedeva la chiusura dello Stadio Olimpico al pubblico in occasione delle partite della Lazio per la questione degli adesivi. Qui c’è solo da capire che fine hanno fatto i vostri principi, il vostro difendere lo sport e il calcio dalle “frange violente” (come le chiamavate voi) che “dovevano essere allontanate dagli stadi e colpite con punizioni esemplari perché rovinavano l’immagine di Roma e del calcio italiano”.

    Puff, come d’incanto siete spariti tutti. In un amen tutta l’indignazione, il falso perbenismo e la vostra sete di giustizia sono finiti in un cassetto, chiusi a doppia mandata. Eppure, la situazione è chiara, ci sono le immagini per giudicare (o da utilizzare per i servizi dei TG) e la polizia di Liverpool in poche ore ha arrestato una decina di persone, quindi non ci sono dubbi su chi sia stato e su cosa abbia fatto. Ma niente messaggi di fuoco su Twitter per raccogliere facili like o un po’ di visibilità, niente aperture di TG e niente speciali. Nulla di nulla, perché di mezzo non ci sono né la Lazio né i suoi tifosi, ma quelli dell’altra sponda del Tevere, quelli da tutelare sempre e comunque. È questa la vostra deontologia professionale, è questo il vostro senso di giustizia e il vostro spirito civico. Si accende e si spegne con un semplice click, a seconda di chi è coinvolto.

    Non avevamo bisogno di questa vicenda per scoprirlo, perché lo sappiamo da anni chi siete e come agite. Noi vi abbiamo sgamati da tempo, anche quando per giustificare il vostro accanimento e il vostro indice puntato vi nascondevate dietro al diritto di cronaca. Ma ora, è chiaro a tutti. E vale per tutti, da chi fa comunicazione a chi occupa posizioni di prestigio nelle stanze della politica vera o di quella sportiva. Il vostro silenzio è talmente assordante da aver svegliato anche quelli che per anni hanno dormito o vi hanno dato un minimo di credibilità quando vi indignavate e puntavate l’indice. Sempre e solo contro una parte. Perché andare contro l’altra, anche quando i fatti sono chiari, è scomodo. E non vi conviene…

  5. Paolo
    17 giugno 2018 at 20:46

    Disintegrazione morale e psicologica.

    Un concetto che tristemente condivido. E che spiega molte cose di questi tempi difficili. Quasi da incubo.

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