Presidenza della Repubblica: il femminismo ha già perso?

Si è aperta ieri la querelle istituzionale dell’elezione del Presidente della Repubblica. L’ ha preceduta, più che in altre tornate, una sostanziale nebbia sulle ipotesi di chi è “quirinabile”, in ossequio ad una prassi consolidata, la quale prevede che le candidature anticipate abbiano come effetto la loro consunzione. Un’indeterminatezza che ha però caratterizzato non solo i partiti politici, comprensibilmente poiché chiamati a svolgere quel compito, ma anche il mondo dell’informazione. Una dinamica che tradisce la sostanziale interdipendenza, intesa in senso detrivo, tra i due ambiti.

In questo “pantano“ è finita anche la questione della candidatura femminile che, per molti sedicenti autorevoli osservatori, sarebbe “grave e non più procrastinabile”. In forza anche di quel surplus di ricadute positive che questa svolta avrebbe sulla società italiana, rappresentata come arretrata in tema di parità di genere e che avrebbe perciò necessitá urgente di quotismo di vertice. Per non parlare delle ontologiche virtù femminili, rispetto a quelle maschili, che da tempo vengono propagandate all’interno di qualsiasi ambito della vita sociale in tutto l’occidente e che ne hanno oramai permeato lo spirito. Sintetizzabile in un progetto vasto di femminilizzazione (o de-mascolinizzazione) delle società occidentali. Un panegirico che applicato al tema in oggetto, finisce per restituire un senso di immanenza di tale ipotesi, giacché risulterebbe ai limiti della scandalosità che nessuna donna in Italia…a differenza di moltissimi paesi nel mondo, sia mai arrivata ad occupare quella prestigiosissima poltrona. Una semplice ratifica quindi. Sarà questa la volta buona? Vedremo…

Intanto però si osserva, riprendendo il dato di premessa, che tolto una potente scossa tellurica a ridosso della comunicazione di indisponibilità a “proseguire” da parte dell’attuale presidente Mattarella (una delle ipotesi in campo e mai del tutto abbandonata) il tema è stato opportunamente inabissato. Se si esclude qualche sparuta campagna di sostegno di gruppuscoli RadFem operanti sulla rete, acconciate a sostenere la cattolica Rosy Bindi e qualche altra candidatura di bandiera. Minuteria…

Da parte dai grandi media, da parte del sistema politico-partitico, da parte del sistema economico-finanziario, non è arrivato nessun appoggio convinto capace come in altri tempi (ricordo il caso di Emma Bonino) di costruire una campagna per attivare un sostegno “popolare” in grado di determinarne le sorti. Ciò non è avvenuto nè a sostegno di una precisa figura femminile (o un bouquet) nè sul tema generico di una donna alla presidenza della Repubblica, da accompagnare dall’oramai consunto ma sempre efficace mediaticamente “la prima volta di una donna”. Col passare dei giorni questa tematica, al pari di altre, è finita sbiadita sullo sfondo, incorporata nei temi di costume. Senza nessuna sostanza politica.

Va ricordato, in tal senso, che nei mesi scorsi il segretario del PD mise sotto stress il proprio partito per molto meno: la nomina di due donne alla testa dei gruppi parlamentari. E’ apparso evidente in queste ultime settimane che il sistema politico-parlamentare a cui è demandata questa delicatissima funzione…e che su altre materie ha costruito autostrade a otto corsie per implementare l’agenda femminista (cito tra i molti esempi la costituzione della Commissione parlamentare sul femminicidio a parlamento appena insediato) ha letto questo tema come disturbante, problematico, capace di creare indeterminatezza. Un’ipotesi potenzialmente in grado di rappresentare un fattore di disequilibrio in una trattativa già molto difficile. Ed il mondo femminista…nel suo complesso, nelle sue varie “intelligenti” articolazioni, s’è prontamente adeguato. Lo ha fatto, questa la mia tesi, per non compromettere un’opportunità che il sistema gli ha prospettato come possibile, ma a patto di abbandonare la metrica rivendicativa. Anche e soprattutto perché, a quanto è dato di capire, la partita del Quirinale è stata legata anche a quella della presidenza del consiglio.

Alla luce della retorica che da sempre accompagna le prospettazioni del movimento femminista (nella sua pluralità)…possiamo parlare di una debacle politica. Che a mio avviso disvela ancora una volta il suo carattere strumentale e sostanzialmente subalterno, abilissimo a creare bolle speculative in sinergia col sistema capitalistico assoluto tutt’ora dominante in occidente e con i sistemi politici, che sono una delle sue molteplici espressioni. Questa vicenda indica inoltre a mio avviso che il femminismo è entrato nella sua fase matura (discendente?) in cui non ha più necessità stretta dell’appoggio delle donne. Sia perchè, essendo un movimento interclassista, può svolgere un ruolo di contrattazione ed intermediazione direttamente coi vertici della piramide sociale, sia perché…sempre per le medesime ragioni (e come più volte constatato) sa di non poter far conto pienamente su un loro appoggio dal basso. Se alla fine di questa tornata elettorale quindi verrà eletta una donna alla presidenza della Repubblica Italiana, ipotesi probabile, questa vittoria a mio parere non sarà ascrivibile al femminismo. Certamente non quello delle magnifiche sorti e progressive.

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