Generazione “aperitivo”

Sono stati denunciati a Roma una decina di gestori di locali pubblici ad uso della movida del fine settimana. A quanto pare, tanti giovani contemporanei non smettono di vivere nell’unico ambiente nel quale una certa generazione sa vivere (ma per fortuna conosco tanti ragazzi impegnati nell’attivismo socio-politico, nel volontariato o nella crescita culturale e professionale), ossia davanti ai baretti o nei pub (con i soldi di papà). Il COVID-19, sembrerebbe, per tanti di loro non è che una festa non programmata. Che dire? Per valutare nella giusta misura queste cose dobbiamo tener conto del fatto che stiamo parlando della generazione del disimpegno e della società maternalistica. Una generazione che ha radicalizzato ancor di più il disimpegno della generazione precedente, quella nata negli anni sessanta, settanta. Tale ultimissima generazione appare totalmente succube di una (non) cultura che spinge a soddisfare senza discussione qualsiasi proprio bisogno, inventandone peraltro sempre di nuovi, imponendo un incessante ritmo di consumo. Il femminil-capitalismo, divenuto oggi globalitarismo consumistico, tecno-finanziario e sradicante, deresponsabilizza i giovani, in modo particolare quelli appartenenti alle classi agiate, spingendoli in branchi consacrati nelle braccia dell’iperedonismo: Erasmus, movimenti continui senza approfondimento di nulla, droghe, pornocultura, abbattimento della civiltà del libro e partecipazione agli spettacoli finto-ecologisti (Greta Thumberg) e pseudo culturali (e vari festival connessi) – occasioni di sballo, più che di vera e propria partecipazione. Si dà il caso, però, che un giorno arrivi un flagello ma è noto a tutti che gli uomini non credono ai flagelli fino a quando non tocca a loro. E se non ci credono gli uomini come possono crederci i giovani o i giovanissimi di cui stiamo parlando? Magari qualcuno di loro può anche pensare che il cosiddetto COVID-19 è una malattia che colpisce i vecchi e quindi dai… sono vecchi, che importa se muoiono? Il risultato dunque è uno solo: tutto continua come prima e allora magari debbono intervenire addirittura le forze dell’ordine per impedire gli “aperitivi non autorizzati”. Davanti alle normative pubbliche “liberticide” alcuni, anche adulti, anzi, alzano gli scudi. Non parliamo di che cosa possono pensarne i giovani. “Ma come”, dicono, “noi dobbiamo essere liberi, noi non sappiamo che cosa significhi un limite oggettivo alla nostra azione, mai nessun papà ha osato dirci no ed ora qualcuno ci impedisce l’aperitivo?” È ovvio, in espressioni di questo tipo non c’è traccia alcuna di senso etico-sociale e, del resto, una generazione costruita a colpi di selfie dove avrebbe mai potuto assumere l’etica? Eppure l’etica esiste. Non soltanto. Esiste anche la realtà. Di quest’ultima, non esiste soltanto la sua rappresentazione spettacolarizzata in onda costantemente in tempo reale. La realtà esiste davvero e oggi si presenta in forma visibile anche se, per fortuna, non ancora estrema. La realtà esiste così come esiste la morte. I rampolli del benessere occidentale, soggettivati dalla tecnologia ed infantilizzati dal sistema di negazione del pensiero e del senso critico, costretti a crescere privi di distanza da se stessi, magari reinfetati da un maternalismo sociale devastante, suppongono di possedere il controllo perfetto sulla realtà. È, ovviamente, una mera illusione: è la realtà che controlla loro, come controlla me e controlla tutti. Davanti a questa insorgente quanto inaspettata scoperta (la realtà) la generazione degli aperitivi non può che rispondere con superficialità ed incoscienza: “la morte non esiste, così come non esiste la società. È quello che hanno insegnato padri inesistenti e madri iperprotettive”. Davanti a tutto ciò, però, inconcusso, un solo problema persiste: la morte esiste!

4 commenti per “Generazione “aperitivo”

  1. armando
    9 marzo 2020 at 18:26

    É così. Non riesco a perdonare alla mia generazione, una delle peggiori mai esistite, e parlo di uomini e donne, lo sfacelo totale di cui é stata causa.

  2. Rita Fadda
    9 marzo 2020 at 21:00

    Assurdo non si riesca a responsabilizzare i giovani.
    Senza morale,senza freni inibitori,portati all’eccesso con droghe e alcol,non hanno mai lavorato figli di una Roma bene viziata e inutile alla società !

  3. Marco Pancheri
    10 marzo 2020 at 4:30

    Un saggio come sempre straordinario, caro Antonio, pregno e denso di quelle qualità morali che sempre sai comunicare senza ostentarle affatto, con lucida e sincera obiettività, nell’interesse di chi ha orecchie per ascoltare. Divinazione del Cielo.

  4. Alessandro
    10 marzo 2020 at 17:08

    Poco da aggiungere all’impietoso e veritiero quadro tratteggiato finemente dall’articolista.
    L’idiosincrasia alle regole, la carenza di senso dello Stato ( fermo restando la necessità di mantenersi sempre vigili criticamente), di senso civico di una parte purtroppo non minoritaria del popolo italiano sono di vecchia data. Purtroppo però questi difetti si sono amplificati nell’ultimo trentennio, per le ragioni esposte nell’articolo. Tutti i settori, da quello politico, a quello economico, a quello scolastico, sportivo, ecc., hanno conosciuto un’involuzione. Dopo trent’anni di “deregulation” i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
    Commentando il comportamento dei più giovani non possiamo non far riferimento al “tramonto” della figura paterna come autorevole figura educativa, come già evidenziato nell’articolo, ridotta a mammo o a coetaneo di giochi dei figli, che s’inscrive nella più ampia svalorizzazione della figura maschile, e al fallimento dell’istituzione scolastica, causato da una disastrosa autonomia e da un vuoto pedagogico che ha sostituito regole non sempre perfette, ma meglio di niente, con un laissez faire e chiacchiere vuote che producono risultati davvero infelici. Questo combinato disposto spiega questa miseria umana ed è certamente un atto d’accusa per una generazione adulta che ha creduto alle balle della felice globalizzazione, diventando in parte o comunque tirando su spesso e volentieri la, appunto, “generazione dell’aperitivo”.

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