Immigrati e lavoratori europei: un unico fronte di classe

Sabato 18 luglio si è svolta a Roma l’assemblea nazionale del CISPM, acronimo di Coalizione Internazionale Sans-Papiers e Migranti.
Diverse le iniziative messe in atto dalla CISPM, le più significative sono senz’altro quelle realizzate dalla “Carovana CIPSM” che ha visto attraversare simbolicamente nove frontiere europee con il primo appuntamento a Bruxelles del giugno 2014.
Fanno parte della coalizione numerosi collettivi e associazioni di migranti, rifugiati e sanspapier di diversi paesi: Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Polonia, Spagna, Grecia, Mali, Costa d’Avorio, Nigeria, Senegal, Mauritania, Marocco e Tunisia.
L’intento della CPSM è quello di portare all’attenzione sia delle istituzioni internazionali che dei popoli europei, l’inaccettabilità dell’attuale condizione sociale determinata dalla crisi economica che si traduce nello smantellamento dei più elementari diritti dell’uomo, come recitano le varie Carte dei diritti nei diversi continenti, con danno grave per i più poveri, per gli svantaggiati e i meno garantiti, in nome delle sicurezze nazionali e della necessaria austerità per fronteggiare la crisi.
L’analisi centra pienamente il fulcro delle contraddizioni delle classi lavoratrici, non solamente in Europa ma nell’intero mondo. Infatti possiamo leggere nel documento di presentazione della prima carovana CPSPM:
“A fronte dei dogmi imposti dalla Banca Centrale Europea e delle politiche dell’Unione Europea è importante la nostra consapevolezza di essere un popolo in lotta, fatto di disoccupati, precari, migranti, lavoratori, senza casa, studenti, sans-papier, rifugiati, richiedenti asilo che nessuna frontiera potrà mai separare.
Siamo convinti che l’unico strumento per imporre il cambiamento che vogliamo sia la convergenza e l’unità organizzata tra tutti coloro che sono vittime dell’attuale crisi, nella prospettiva di costruzione collettiva delle lotte e dell’alternativa al modello politico economico attuale, foriero di discriminazioni, disuguaglianze, sfruttamento, razzismo e xenofobia”(1)
La sala di via Giolitti si è riempita lentamente perchè molti relatori, provenienti da tutta Italia erano legati agli orari dei treni. Nell’attesa, man mano che arrivavano gli ospiti c’è stato modo di presentarci in maniera informale. La prima impressione, poi confermata, è stata di grande entusiasmo per i percorsi intrapresi e di grande condivisione.
Ha introdotto l’assemblea Aboubakar Soumahoro, portavoce della CISPM. Nel suo intervento ha ripreso il tema centrale della coalizione: la migrazione non è un problema che riguarda solamente le popolazioni che migrano in massa per le guerre, essendo strettamente legata alla progressiva perdita di diritti dei lavoratori europei i quali hanno un’esistenza sempre meno dignitosa a causa del dilagare del precariato, delle nuove regole sul lavoro, della disoccupazione e del drastico taglio al welfare. Questo nuovo assetto economico, proprio del neoliberismo, pone tutti i popoli nella stessa necessità di costituire un unico fronte di classe. Questo risulta particolarmente difficile per le derive xenofobe e razziste sostenute a livello mass-mediatico con la presenza sempre più pervasiva di partiti di estrema destra in tutti gli stati europei.
É’ seguito un interessante report di Ingrid, attivista del presidio permanente “no borders” di Ventimiglia, che ha descritto la situazione attualmente presente nella città.
Esistono due realtà che riescono difficilmente ad integrarsi: uno, il presidio sugli scogli tra Ventimiglia e Mentone , l’altro, alla stazione di Ventimiglia dove sostano diversi migranti richiedenti asilo. Mentre il presidio sugli scogli gode di una certa vivibilità, in quanto sono stati improntati dagli attivisti alcuni servizi essenziali, alla stazione di Ventimiglia sono presenti maggiori difficoltà in quanto non vi è possibilità di allontanarsi a causa degli stretti controlli della polizia italiana che impedisce in maniera non proprio legittima gli spostamenti dei migranti, fermandoli esclusivamente per il colore della pelle, contravvenendo, come sostenuto in precedenza, ai diritti fondamentali di ogni essere umano di non essere sottoposto a discriminazione razziale. Hanno tentato di portare un certo numero di persone bloccate alla stazione al presidio per fornire maggiore assistenza ma questo è stato impedito energicamente.
Come risulta anche dalla stampa mainstream, ogni tentativo dei migranti di oltrepassare la frontiera è pesantemente contrastato dalla polizia francese che presidia la frontiera in maniera capillare.
Diverse interventi hanno messo in luce gli aspetti più critici dell’accoglienza caratterizzata da dispositivi che ingabbiano i migranti in categorie sempre più differenziate che costituiscono un problema non indifferente.
Primo fra tutti l’ipocrita differenza tra i richiedenti asilo e migranti per motivi economici.
Questo dispositivo ha due aspetti: chi proviene da un paese non in guerra non può chiedere asilo politico anche se costretto a fuggire perche residente, per motivi di lavoro, in un paese che è entrato in guerra successivamente. Così come non essendo previsto il ricongiungimento familiare sono molte le donne e i giovani che arrivano senza poter chiedere asilo.
Quindi per tutti i migranti che non possono chiedere asilo scattano di fatto tutti i dispositivi del caso previsti dalla legge Bossi Fini, caratterizzati dal trattenimento presso i centri d’identificazione ed espulsione dove di fatto si è in condizioni di detenzione senza aver commesso alcun reato.
Per i richiedenti asilo politico le cose al momento risultano altrettanto complesse. Infatti, una volta effettuata la richiesta, il migrante è sospeso in un limbo in cui vive in condizioni di estremo disagio, e la differenza con i CIE, seppure per certi versi, amministrativamente dovrebbe essere sostanziale. Di fatto, pur avendo il riconoscimento di richiedente asilo, il migrante non può circolare liberamente finchè non ricevo l’assenso alla domanda presentata.
Questa distinzione provoca la proliferazione di livelli di accoglienza sempre più differenziati che permettono alle varie cooperative di accedere ai fondi UE che, come nel caso di Mafia Capitale, vengono sottratti all’assistenza.
Gli altri interventi hanno focalizzato gli aspetti più critici della colonizzazione dell’immaginario collettivo sia della popolazione italiana che dei migranti stessi.
Idrissa Idris Kane, attivista di Milano, ha messo in evidenza la necessità di trovare forme di controinformazione sulla gestione dei centri che rompano lo stereotipo del migrante ignorante e violento, attraverso un lavoro capillare sul territorio, anche al fine di ostacolare il lavoro di accattonaggio di voti da parte della Lega che specula politicamente su questa situazione.
Patrick, che viene invece da Torino ha sottolineato come anche i migranti abbiano miti e convinzioni privi di fondamento. Ad esempio quello della facilità di trovare un lavoro nei paesi dell’Europa del nord. Anche lì, infatti, il lavoro scarseggia e molti migranti si trovano in una condizione di estremo disagio per quanto riguarda la possibilità di trovare permessi di lavoro.
In Germania, ad esempio, il richiedente asilo resta legato alla regione nella quale è avvenuta l’identificazione e il permesso di asilo, senza possibilità di libera circolazione su tutto il territorio nazionale. Patrik ha quindi ricordato come sia importante per i migranti prendere coscienza del fatto che sono comunque manodopera a basso costo per destabilizzare ulteriormente il mercato del lavoro nei paesi della UE.
Altri interventi di esponenti di associazioni di Napoli hanno sottolineato la necessità di perseguire comunque un lavoro di consapevolezza sul territorio che tenda ad unire i migranti di etnie diverse e mettere al centro l’alleanza con i lavoratori italiani, tralasciando le sterili contrapposizioni su base xenofoba e razzista.
E’ intervenuta nuovamente Aboubakar Soumahoro, sulle vicende di Mafia Capitale, per ribadire come sia stato difficile e alla fine inutile l’intervento sindacale sui lavoratori delle cooperative coinvolte, tendente ad unire le lotte dei richiedenti asilo, per una maggiore dignità dell’accoglienza, con quelle dei lavoratori che sono rimasti senza stipendio. Ha infatti sottolineato come il timore di ritorsioni e di licenziamenti ha impedito il pieno sviluppo dell’azione sindacale.
Da tutti gli interventi emergono, infine, alcune considerazioni:
– la necessità di combattere con ogni mezzo i dispositivi repressivi della legge Bossi-Fini;
– proseguire il difficile percorso di organizzazione all’interno del quale è fondamentale la presenza dei migranti;
– la necessità di un collegamento con le organizzazioni sindacali che combattono realmente le regole del mercato del lavoro.
Le considerazioni a margine di questa giornata sarebbero tante ma scelgo di soffermarmi solo su alcuni aspetti a conclusione di questo report.
I fronti su cui è necessario intervenire per contrastare il neoliberismo sono molti e tra questi uno dei più importanti è il fronte della migrazione che vede migliaia di uomini e donne fuggire dalle guerre messe in atto nei paesi del Mediterraneo dalle forze imperialiste occidentali, cioè l’ Unione Europea e gli Stati Uniti.

L’importanza di intervenire politicamente in maniera attiva sul fenomeno della moderna immigrazione sta nel fatto che si presenta non solo come aspetto collaterale e conseguenza delle guerre, ma anche e soprattutto come un fenomeno specificamente ricercato per la destabilizzazione di un assetto socio economico non solamente dei paesi a sud del Mediterraneo ma per l’intera Europa. La migrazione è necessaria al neoliberismo anche come strumento di distrazione di massa, per disorientare le coscienze dei popoli europei sul vero nemico da combattere. Non quindi le lobby finanziarie e gli stati imperialisti, ma i migranti “che rubano il lavoro”, ponendo in tal modo in essere una guerra tra poveri alimentata ad arte.
Questo i migranti lo sanno. Ma lo sanno i lavoratori europei?

(1)  http://www.oggibo.it/Eventi/Bologna/25-01-2015

12 commenti per “Immigrati e lavoratori europei: un unico fronte di classe

  1. Andrea
    20 luglio 2015 at 16:25

    L’ipotesi della “fusion” dei ceti popolari autoctoni e degli immigrati in unica classe mondiale, viene proposta alla luce dello stesso universalismo indotto dal capitalismo finanziario.
    Classe proletaria universale vs capitale universale. L’interesse di classe dovrebbe consentire la convergenza e la solidarietà internazionale, in una nuova narrazione anticapitalista marxista-universalista.
    Più immigrati, più alleati. Quindi facilitare l’accoglienza.
    Sparuti (almeno ora) neo rivouzionari occidentali dovrebbero tuttavia conglobare masse arabe asiatiche africane cinesi -spesso all’oggi, culturalmente incompatibili – in un un unico blocco solidale.
    Ma il processo verrebbe svolto inevitabimente sulla scia delle esigenze del capitale e ben gradito dallo stesso. Annientare le differenze culturali e nazionali.
    L’opera di Toni Negri Impero e Moltitudini, docet.
    Recensita non per caso ovunque. Il Marxismo sotto la specie della globalizzazione.
    Roba innocua.
    Disfare in via definitiva le coesioni nazionali per creare una classe proletaria indistinta ed improbabile, è esattamente quello che non vogliono i ceti popolari autoctoni. Su questo punto la ribellione è attiva. Sarà anche fascista. ma c’è.
    E questo fascismo delle masse è censurato sia dagli organi della globalizzazione sia dalla sinistra antagonista che delle masse dovrebbe essere la guida.
    Convergenza imbarazzante.
    Quanto ai migranti; ambiscono al loro pezzetto di consumismo, alla loro cultura e non certo alla rivoluzione.
    In assenza del reggimento disciplinare della fabbrica fordista, non si riuscirà mai a forgiare una massa coesa. Ne mancano le condizioni di possibilità.
    Noto anche, nell’articolo, l’adozione del linguaggio politicamente corretto creato ad hoc dalle agenzie internazionali del capitalismo.
    I migranti sono sempre presentati positivamente (nemmeno in maniera neutra) sulla scia della narrazione globalista.
    La globalizzazione assorbe tutto. I Marxisti ne sono tra le prime vittime.
    Insistere con il Marxismo che ha la stessa matrice intellettuale e concettuale del liberismo capitalista comporta queste conseguenze.
    Tipico della sinistra rosè è lo sposalizio con il liberismo culturale/economico. Tipico della sinistra antagonista, è non tenere conto che il capitale si è già appropriato di tutti i concetti della sinistra storica.
    Insomma la prassi anticapitalista ed antagonista assoluta, viene svolta nelle forme e nel liguaggio del capitale globalizzato e si rivolge contro le masse autoctone che praticano invece, sotto le bandiere della destra, un anticapitalismo parziale, ma comunque temuto dal capitalismo globalizzato. Vedi “Repubblica” che pubblica gli articoli di Soros contro la Russia sovranista.
    L’applicazione del Marxismo richiederebbe alle masse una prestazione “altissima” e per nulla spontanea. Da mantenere sempre.

    Tuttavia mi complimento sinceramente per il sito, per gli articoli e per le analisi estremamente ben costruite e convincenti.
    Bravi!!!

    • Fabrizio Marchi
      20 luglio 2015 at 17:21

      Caro Andrea, ci segui da tempo ma fai finta di non capire, altrimenti non diresti quello che dici. Soprattutto non confonderesti il concetto di “fusion” tra popoli africani, asiatici e quant’altro e classi lavoratrici europee e occidentali, cioè di omologazione-omogeneizzazione culturale, queste si, portate avanti dal sistema capitalistico globale, con quello di eguaglianza, di unità e di solidarietà di classe, che sosteniamo noi (ho scritto un bel po’ di articoli nel merito, dovresti averli letti…).
      E siccome ci segui da un bel po’, e non sei affatto uno stupido, lo hai capito già ma fai finta di non capirlo.
      Perché? Perché sei di Destra, o forse sei uno di quelli che appartiene all’area che io definisco degli “oltristi”, quelli cioè che ritengono superata la dicotomia Destra/Sinistra, ma che certo non sono né marxisti né comunisti e neanche socialisti. A mio parere infatti sono prevalentemente dei “post-fascisti”, o “neodestristi” (anche se alcuni provengono da sinistra, sia chiaro…), diciamo così, e mi scuso per la necessaria semplificazione.
      Anche in questo caso, per l’ennesima volta, non posso che rinviare anche te alla lettura di questo mio editoriale https://www.linterferenza.info/editoriali/destra-e-sinistra/ direi che è la cosa migliore e così evito di ripetermi.
      Ciò detto, non posso farci nulla se il lavoro di ricostruzione della coscienza e dell’unità di classe è allo stato delle cose difficilissimo. Ciò non toglie che sia giusto. Che poi a te (che non sei marxista e non hai una visione di classe e a mio parere non sei neanche un anticapitalista e un antimperialista ma solo un sovranista nazionalista) non interessi, è altro discorso. Se nella storia gli uomini avessero dovuto fermarsi alle difficoltà incontrate sul loro cammino, l’umanità non avrebbe fatto un passo in avanti. Se è per questo il sottoscritto ed altri compagni e amici oggi portano avanti una critica strutturale e radicale al femminismo, cioè a quello che noi riteniamo essere uno dei mattoni dell’ideologia politicamente corretta dominante. Un’impresa non difficile, a dir poco difficilissima se non impossibile dato il contesto storico in cui ci troviamo. E allora? A stare a sentire te dovremmo mollare, perché tutto ci dice che oggi questa sia un’impresa impossibile da portare avanti. Ciò significa che sia sbagliata? Neanche per sogno. E noi infatti la portiamo avanti perché è giusto così. Tu invece cosa dici? Si, infondo avete ragione però non ci sono le condizioni, oggi i popoli europei sono sovranisti se non fascisti, l’ideale internazionalista marxista è un’utopia (lo erano anche l’abolizione della schiavitù e l’eliminazione della lebbra…), meglio essere pragmatici e volare più basso. E questo volare più basso cosa sarebbe? Un sovranismo politico venato di statalismo interclassista e corporativo (sai che novità…) senza nessun vero orizzonte ideale e culturale forte e che mantiene inalterata la struttura del dominio di classe e capitalista (i due aspetti sono inscindibili, per ovvie ragioni…).
      In tutta onestà, mi sembra una visione molto angusta e anche molto povera (oltre che di Destra…), di fatto un pensiero debole, anzi, debolissimo. E sappiamo che un pensiero debole non potrà mai avere gambe lunghe. E invece oggi è necessario esattamente il contrario. E’ necessario rimettere in campo un pensiero forte, in grado di costituire in linea potenziale una vera alternativa all’attuale ordine di cose. Potrei portarti tanti esempi, non solo quello del Comunismo. Perché, a suo tempo, il Cristianesimo non è stato forse un pensiero forte, anzi fortissimo? E oggi l’Islam, non è forse un pensiero forte? Il tuo, caro Andrea, al contrario, è un pensiero debolissimo, anche se tu sei convinto del contrario, che non sarà mai in grado di scalfire l’attuale sistema dominante, di non fargli neanche il solletico.
      Oggi è una fase di egemonia del Capitale, quindi di egemonia delle classi dominanti capitalistiche. Una egemonia non solo economica e politica ma anche e soprattutto ideologica e culturale. Lo dimostra il fatto che appunto le classi subalterne hanno smarrito la cosceinza di classe e in larga parte hanno interiorizzato l’ideologia delle classi dominanti. E proprio questo ci dimostra che abbiamo ragione. E se vogliamo avere ricostruire la possibilità di combattere effettivamente questo sistema dobbiamo andare in controtendenza proprio rispetto a quella che è la tendenza dominante. Non solo. Il fatto che il Capitale sia egemone è anche dimostrato dal fatto che ci sono tanti come te che sostengono certi tesi e credono anche in buona fede di combattere il sistema.
      Per non parlare poi della sovrapposizione del tutto artificiosa che tu fai del processo gi globalizzazione-omogeneizzazione capitalista con l’internazionalismo marxista. Due concetti completamente differenti che certa destra oggi sovrappone per portare acqua al suo mulino. Nessun comunista ha mai lavorato a processi di omologazione-omogeneizzazione, MAI, a partire dai bolscevichi e poi tutti gli altri, che hanno sempre sostenuto i movimenti di liberazione nazionale anche quando erano egemonizzati da soggetti nazionalisti e “borghesi”. Nessun comunista ha mai sostenuto la necessità di distruggere le culture locali. MAI. Mai è stato teorizzato e mai è stato praticato. Quindi sei in errore fondamentale.
      Su Tony Negri sfondi una porta aperta. Qui non scomunichiamo nessuno ma certamente non siamo “negriani” e la sua teoria delle moltitudini non ci affascina di certo, anche se per ragioni completamente diverse dalle tue.
      Per quanto riguarda l’articolo, si tratta solo di un report, un articolo di cronaca, che abbiamo ritenuto importante pubblicare in seguito all’ignobile tentativo di aggressione da parte di una squadraccia di fascisti a un gruppo di rifugiati (l’assemblea si è svolta il giorno seguente proprio in risposta a quell’aggressione). Ecco, quello, tradotto nella pratica, è l’anticapitalismo e l’”antimondialismo” della destra fascista. Per dirla con una battuta, se quella è l’alternativa, mi tengo la mia utopia. Un’utopia che per qualche tempo ha fatto cagare sotto i padroni del vapore. Non mi pare che altri ci siano riusciti, men che meno la Destra, in tutte le sue diverse declinazioni (né avrebbe potuto per ragioni oggettive e strutturali).
      Dopo di che ti ringrazio per gli apprezzamenti al nostro giornale e ti rinnovo l’invito a seguirci.

  2. Andrea
    20 luglio 2015 at 23:38

    Gentile Fabrizio
    Per molto tempo ho letto la realtà con gli occhi del pensiero marxista; non sono mai stato di destra. Ma l’orientamento che ho assunto negli ultimi anni è conservatore, forse per reazione al “multicolorato” e fastidioso pseudo-progressismo globalizzato.
    Ho sempre preferito gli ultimi ai primi. Quando ascolto l’Internazionale, una certa commozione non la nascondo. E’ espressione di un’epoca e di un materiale umano coraggioso e solidale, che non c’è più.
    Mi sono spostato verso il terreno sovranista, perchè mi pare l’unico, al momento, che garantisca efficacia nei confronti della globalizzazione e possa moderare la diseguaglianza.
    Non saprei affermare se “ci faccio”, per usare la sua espressione, ma sono uno dei tanti soggetti in libera uscita che ritengono che il ciclo sia finito e che cercano un altrove.
    Comprendo la distinzione, fra omologazione culturale ed unità di classe, che significa – quest’ultima – assumere l’altro nell’intangibilità della sua identità storica culturale, ma nella condivisione di un interesse di classe oggettivo che deve essere mostrato ed esplicitato.
    Ammetto che nel mio commento i piani non vengano ben distinti, ma sono andato a rimorchio dell’articolo, il cui linguaggio politicamente corretto è speculare a quello di qualsiasi organo mediatico predefinito dalla narrazione globalista.
    Rileggendo l’articolo, la distinzione si intravvede, ma il linguaggio e la rettorica utilizzata non sono quelli della tradizione comunista.
    L’espressione “migrante” è inquietante. Come può un comunista/marxista adottare il linguaggio ideologico dell’avversario da schiacciare, senza legittimarlo.
    Non ho più fiducia nel concetto di classe, in un contesto di individualismo di massa. Credo che la coesione sia scomparsa anche ai piani superiori.
    Senza coesioni sociali di prossimità, non si può pervenire alla creazioni di solidarietà più vaste. Se non esiste classe nè tantomeno coscienza di classe, fra gli autoctoni, ancora meno potra prodursi fra autoctoni e stranieri.
    La coscienza di classe di un tempo riposava su substrati di coesioni sociali comunitarie ataviche, che costituivano la condizione della sua stessa formazione.
    L’operaio del nord faticava a digerire il terrone inurbato. Se lo rammenta? avveniva perchè i terroni erano moltissimi – formavano comunità separate – e l’integrazione era quasi impossibile.
    l problema non è un africano per 20 italiani. Il problema è quando hai 10 italiani e 10 stranieri. Puoi parlare di coscienza di classe? in un contesto, in cui l’italiano ha perduto il territorio e l’integrazione spontanea – per lo sfaldamento della comunità autoctona – è impossibile.
    Apprezzo la sua determinazione e la sua volonta di ricostruire dal basso un tessuto sociale di classe, ma mi creda non è più possibile.
    Un pensiero è debole o forte in relazione all’intensità dei suoi effetti politici e sociali. Il Cristianesimo era pensiero-forte perchè ha trasformato il mondo, in base ad un ventaglio di condizioni di possibilità che erano disponibili.
    Queste condizioni sono precluse al Marxismo che definirei – al contrario di quello che pensa Lei – debole perchè non solo privo di quelle condizioni di possibilità storiche perseguite coraggiosamente decenni fa, ma perchè per sua natura non proponendo istituzioni e progetti specifici si affida al processo oggettivo della storia.
    Che immagine di società propone la sinistra marxista ai ceti popolari?
    La folla di bianchi, neri asiatici marciante per le vie dell’europa chiedendo più eguaglianza e più accoglienza? Le tutele forti del lavoro presuppongono il protezionismo, i confini e perfino la leva obbligatoria, non certo la libera circolazione.
    Il suo soggettivismo è ammirevole e spesso portatore di analisi interessanti sul costume della globalizzazione e della falsa sinistra, ma come non notare che la sinistra era rossa e forte quando anche il capitalismo era in piena fioritura ed è scomparsa proprio quando il capitalismo è entrato in crisi e la diseguaglianza è diventata più profonda.
    La storia sfascerà la globalizzazione e forse anche il capitalismo, ma – credo – attraverso percorsi esterni alle previsioni del marxismo.
    Ritengo che lei non condividerà nessuna delle mie opinioni. Rispetto e considero ammirevoli le sue.
    Nel rinnovarLe i complimenti per le pregevoli analisi, la saluto cordialmente
    Andrea

    • Fabrizio Marchi
      21 luglio 2015 at 9:15

      Caro Andrea, mi dispiace utilizzare parole così dure, ma sono certo che apprezzerai la mia sincerità.
      Ciò che penso è che sei uno sconfitto che ha interiorizzato la sconfitta. Ed è così proprio perchè non provieni da Destra bensì da Sinistra e addirittura da una Sinistra marxista, come tu stesso ci hai spiegato. Non sei il solo. Ne ho conosciuti tanti come te, fra cui anche alcuni amici. Si lo so, il fallimento e il crollo del comunismo e la contestuale vittoria del capitalismo, con tutto ciò che ne consegue (anche a livello personale, psicologico, di prospettiva anche esistenziale ecc.), è dura da mandare giù. Un boccone amarissimo. Ma sai quanta gente nella storia ha dovuto mandare giù bocconi ben più amari dei nostri? Per millenni e millenni masse sterminate di esseri umani, schiavi, servi della gleba, servi, contadini, nullatenenti, poveracci di ogni genere, hanno vissuto senza speranze, e quando hanno provato ad alzare la testa sono stati ricacciati negli inferi della loro condizione di subumani (perché questo erano) con metodi a dir poco feroci. Le loro speranze di cambiamento venivano soffocate nel sangue, e dopo aver immaginato la possibilità di un diverso orizzonte di vita, questo gli veniva brutalmente sottratto, e tornavano a vivere da servi, da schiavi, per secoli e secoli amen, nell’oscurità abissale e terribile della loro condizione di oppressione totale, assoluta. O pensi forse che la nostra generazione sia stata la prima a subire una sconfitta? Se così fosse saresti molto ingenuo. O forse, come altri, sei solo molto debole. Nulla di male, sia chiaro, la debolezza è parte dell’essere umano. Però è bene saperla riconoscere e non costruire la propria ideologia su quella debolezza.
      Ti dico queste cose appunto perché mi hai detto che una volta eri uno di noi, un compagno, un comunista, se mi avessi detto che eri sempre stato di Destra, non mi rivolgerei a te con queste parole. Non avrebbe nessun senso.
      Che dirti. Non posso che ripeterti quello che già ti ho detto. Tu dici che la ricostruzione di una idea di unità e di solidarietà di classe è impossibile e utopico da realizzare in questo mondo dominato dal capitalismo iperindividualista. E perché allora dovrebbero essere percorribili altre strade se questo sistema capitalista (ed è vero) è così pervasivo e potente e in grado di controllare la psiche delle persone. E quali sarebbero queste altre strade in grado non dico di sgretolare ma di minare l’ideologia capitalista? Forse il “sovranismo”…
      Ahahahah…scusa, è una risata…mi viene veramente da ridere. Se ha fallito il Comunismo (quello storicamente manifestatosi e realizzatosi) che comunque era un’idea forte, questo lo possiamo riconoscere, figuriamoci se può riuscire il “sovranismo”. Ma dai, su, Andrea, per favore… Il sovranismo può essere tutt’al più uno strumento politico, come altri, ma nulla più. O pensiamo veramente che il ritorno agli stati nazionali (su quali basi, su quali contenuti, soprattutto…) possa essere la soluzione? Soluzione intesa come grimaldello per scardinare l’impianto economico, politico e ideologico del capitalismo. Ma non scherziamo neanche , dai…
      Dopo di che, dopo tutto questo sconfittismo che trasuda da ogni tua parola, te ne esci dicendo che prima o poi il capitalismo morirà “perché la storia (parole tue) lo sfascerà”. Si, certo, sono d’accordo, la storia non finisce e il capitalismo non è una condizione ontologica come vorrebbero farci credere ma solo una forma storica dell’agire umano. Per cui, come tutte le cose umane, prima o poi si trasformerà e forse (speriamo) ci verranno altre forme di convivenza umana e sociale. Resta il percorso che porterà a questo gigantesco processo ma questo nessuno di noi può prevederlo. Però ammetterai che c’è un bel fossato tra la tua previsione (e credo anche il tuo auspicio) e le tue scelte politiche, assai deboli, dal mio punto di vista.
      Poi dici che il Cristianesimo, a differenza del Comunismo, cito testualmente “era pensiero-forte perchè ha trasformato il mondo, in base ad un ventaglio di condizioni di possibilità che erano disponibili”. Condizioni ch erano disponibili? Andrea, ma de che? Ma hai voglia di scherzare? Ma sai quante generazioni di cristiani per secoli e secoli sono state crocifisse o massacrate in un’arena o hanno finito la loro vita su una galera incatenate a un remo? Ma su, per favore… Dopo di che, certo il Cristianesimo, diventato Cattolicesimo, ha trionfato, si è fatto anche stato. Ma era il Cristianesimo autentico o era già diventato un’altra forma del dominio sociale? Il Cristianesimo ha contributo a cambiare il mondo, certo, ma se è per questo anche il Comunismo ha contribuito a cambiarlo perché ciò che è stato rimane, per quanta immondizia gli si butterà ancora addosso. Il Comunismo è stato sconfitto, certo, ma possiamo dire che il Cristianesimo (quello autentico) abbia veramente vinto? Se così fosse, il Pianeta non sarebbe dominato dal Capitalismo assoluto. Perché i due (a di là del ruolo giocato dalla Chiesa cattolica, che si è schierata senza se e senza ma a fianco del Capitalismo contro il Comunismo) sono concettualmente e ideologicamente incompatibili, se siamo onesti.
      Dopo di che, perdonami, hai un’idea del Marxismo anch’essa molto angusta e ferma nel tempo, dire un po’ ingessata. Io per primo non penso che sia sufficiente la sola applicazione delle categorie marxiane per interpretare e possibilmente trasformare il mondo. Ma questo è un altro discorso che presuppone un arricchimento, un surplus del nostro bagaglio e della nostra capacità di sviluppare una critica sempre più efficace al dominio capitalistico (cioè l’attuale forma storica del dominio sociale).
      Tu invece hai mollato proprio, anche se presuntuosamente penso che non ne sei consapevole (o forse si, il che è pure peggio…).
      In ultimo, il mio non è affatto soggettivismo, penso quello penso e faccio quello che faccio perché ne sono convinto. E non mi spaventa il fatto che la realtà sia quella che è, che lo “spirito dei tempi” sia quello che sia.
      T ho fatto altri esempi per farti capire quanto me ne possa sbattere dello spirito dei tempi. Penso al femminismo, oggi elevato a Verità Rivelata, quando secondo me è soltanto una manipolazione ideologica della realtà. E allora? Siccome le condizioni storiche (perché è così) rendono pressoché impossibile una critica al femminismo, mi dovrei tappare la bocca?
      Non so se c’è la possibilità di un tuo ripensamento. Come ti ripeto conosco altri amici e compagni che hanno imboccato il tuo stesso percorso (per la verità stavo scrivendo di getto la tua stessa fine ma mi sembrava esagerato, però siccome l’ho pensato te lo dico…). Secondo state sbagliando, innanzitutto con voi stessi, non vi state facendo del bene… Però, arrivato a questo punto devo fermarmi, perché sarebbe veramente presuntuoso da parte mia insistere su questo argomento…
      Ti rngeazio comunque per gli apprezzamenti alle mie anlisi e al giornale nel suo complesso.
      P.S. ribadisco che l’articolo in oggetto voleva essere solo un report che abbiamo ritenuto importante pubblicare perché si trattava di una iniziativa promossa dalle organizzazioni degli immigrati (non farei troppo caso alle parole, immigrati, migranti, extracomunitari, ci capiamo…cerchiamo di vedere la sostanza delle cose…) in seguito all’ignobile gazzarra inscenata dai fascisti a difesa dello “spazio vitale”, cioè le ville con piscina di un quartiere residenziale della Capitale di relativamente recente costruzione.
      P.S. 2. Ieri , durante la trasmissione Piazza Pulita, oltre all’immancabile leader di Casa Pound, hanno intervistato una delle rappresentanti dei cittadini che si sono opposti alla presenza dei rifugiati che dopo aver fatto il suo pistolotto sulla sicurezza e sul fatto che quel quartiere non è adatto ad ospitarli perché sono tutte ville isolate (capito che sofferenza?…) ha detto (parole testuali) che “quei 19 rifugiati, peraltro, sono tutti maschi adulti…”, col capetto di Casa Pound che faceva di si con la testa come i pupazzetti simil cagnolini che si mettono sul parabrezza dell’automobile…
      Capito la finezza?…

  3. Andrea
    21 luglio 2015 at 11:34

    Gentile Fabrizio
    Le rispondo in questi termini. Non è obbligato a replicare.
    Mi distanzio dal Marxismo proprio per evitare la sconfitta che mi pare nei fatti. Poi chiunque può preferire non vederli. Preferisco la ripartenza, ma su altri presupposti.
    Il passaggio al sovranismo a mio modesto parere è inevitabile. E’ un passaggio “laterale”.
    La sua necessità in una prospettiva di lungo periodo è legata al ripristino delle coesioni sociali e popolari, a quelle “decenze pubbliche” di cui parlava Orwell, Lash e direi in fondo anche Pasolini. Se si vuole ricostituire un orizzonte di classe è necessario riprodurre il substrato dell’appartenza comunitaria. Del resto Lei stesso avrà notato il sorgere di una macro-fauna politica sovranista (Russia Cina India Brasile ecc…) il cui consolidamento avrà effetti dirompenti sulla narrazione globalista iperindividualista anglo-sassone.
    Questi presupposti potranno . -forse – riattivare la solidarità internazionale di classe fra i dominati di tutto il mondo. E’ la società globale in marcia – che non è la globalizzazione attuale – strutturata da narrazioni concorrenti e spesso contrastanti, nella quale potrà farsi largo una narrazione dei dominati non necessariamente marxista, ma sicuramente erede di quella.
    La mia prospettiva rimane di sinistra. E mi pare più aderente alle condizioni di possibilità del momento storico.
    Da queste considerazioni comprenderà la mia diffidenza per l’immigrazionismo, non legata solo al fenomeno del crumiraggio, ma alla preservazione delle coesioni sociali residue. Non sono per la società multiculturale. Società debole ed insussistente, almeno al momento.
    Le sue analisi del femminismo e del genderismo sono impeccabili e coraggiose.
    Ma ancora di più destano la mia stima le considerazioni sulla distruzione del maschile e del paterno. Su questi punti la mia adesione è totale perchè convergono verso la ricostituzione di una società “normale”, che in virtù della persistenza del principio del maschile sia in grado di reagire con forza e temperamento ai ceti dominanti. Il materiale umano Fabrizio è importante; la generazione di figli abituati al sacrificio ed all’altruismo è parimenti importante.
    La famiglia va preservata. E quando constato che gli uomini vengono “all’essere” sulla base del principio che la vita è mia e solo mia, facendone un progetto individuale, allora solo le note del’Internazionale dei Popoli mi danno sollievo.
    Ultima nota. La demografia non esiste per il marxismo? Eppure è uno dei fattori principali con il quale analizzare il mondo.
    In sostanza sono per un passaggio laterale a destra e con destra intendo i valori tradizionali sempre coltivati dai ceti popolari. Del resto Costanzo Preve docet.
    Grazie per lo scambio di idee.
    Rinnovandole la mia stima ed il mio apprezzamento la saluto molto cordialmente
    Andrea

  4. Rita Chiavoni
    21 luglio 2015 at 13:28

    Sig. Andrea,
    mi sembra che lei appartenga a quel nutrito gruppo di ‘sedicenti marxisti’, che oggi inquinano l’immaginario collettivo che seminano tristezza con discorsi che minano le coscienze di fronte ad un possibile cambiamento
    Una sottile e pervasiva arma utilizzata in maniera disinvolta dai cosiddetti delusi.
    delusi di cosa? di constatare che una società non si cambia con le buone intenzioni?le società possono sperare in un cambiamento solamente con una costante lotta per la difesa dei diritti acquisiti e la conquista di nuovi. Purtroppo il suo è il tentativo di mantenere viva una falsa coscienza che ha dominato i partiti di sinistra di tutta Europa. Di sinistra, non marxisti.Quindi Lei Sig. Andrea non può considerarsi marxista, non lo è mai stato se parla di comunità e comunitarismo, se non pone al centro della sua analisi la lotta di classe.
    Anzitutto mai come ora l’internazionalismo proletario ha una sua ragion d’essere, il neoliberismo distruggendo le economie degli stati e delocalizzando i luoghi di lavoro, ha posto in essere esso stesso, suo malgrado, le basi per una ricomposizione internazionale della classe lavoratrice, ne danno conferma anche le strette relazioni esistenti tra i sindacati di classe in diversi paesi del mondo, ne sono un esempio.
    (TUI, Public Service and Allied) e (WFTU/FSM).Federazione Sindacale Mondiale.
    quindi nonostante le sconfitte da mettere sempre in conto, in ogni battaglia resta un punto fermo; l’analisi marxista del conflitto capitale lavoro resta valida. Le forme che prenderanno le lotte e l’eventuale trasformazione della società dipende dalle contingenze sociali economiche e geopolitiche.
    Il depistaggio ideologico deve essere energicamente combattuto.

    • Andrea
      21 luglio 2015 at 14:05

      Gentile Rita
      Grazie per il “sig.,” ma ormai con un malcelato piacere sono asceso al rango dei proletari e sto abbandonando lo sterminato ceto indifferenziato dei consumatori.
      Sto rompendo le catene!!
      Qualche giorno fa rientrando dal lavoro in motorino, ho immaginato l’incontro fra i
      “Greci” di Syriza e le elite d’Europa, come sarebbe dovuto accadere se avessimo un materiale umano diverso dall’attuale.
      Un soggetto con il volto di Tspipras ma l’anima di Trozkij si rivolgeva con violenza e scherno ai politici europei – inabituati alla “violenza fisica” – e minacciandoli, gettava platelamente una pistola sul tavolo. Mi sono cullato a lungo in quell’immagine.
      Come può constatare dal vissuto che le riporto il mio immaginario non è del tutto propenso alle “buone intenzioni”.
      Ma perdoni lo scherzo.
      In effetti attualmente non mi sento Marxista -ma considero il Marxismo un punto di riferimento, ma al quale affianco anche altri autori – e quindi non sono sedicente.
      La mia personale convinzione, che ribadisco, consiste nel ritenere che l’unità di classe richieda un substrato comunitario, senza il quale l’identità di classe è labile e malferma.
      Perchè ravvisare in una opinione discutibile ma comunque espressa pubblicamente, un depistaggio ideologico o una grave lesione all’immaginario collettivo?
      con viva cordialità
      Andrea

  5. Rita Chiavoni
    21 luglio 2015 at 18:33

    Vede Sig. Andrea,
    le sue parole confermano la mia diffidenza. Perchè parlare di violenza fisica, di pistole puntate sul tavolo degli avvoltoi della UE, perchè sostenere discorsi così ‘fumosi senza arrosto’, per parafrasare il famoso proverbio? Perchè insistere sull’anima ‘violenta’ deile posizioni radicali e rivoluzionarie come rovescio della medaglia dell’inettitudine dei governanti europei che si presentano piene di buone intenzioni?
    Questi governanti che innocenti non sono affatto,nè tantomeno ‘Inabituati alla violenza fisica’ direi piuttosto assetati di sangue nella programmazione delle guerre imperialiste a sud del mediterraneo. Insomma il suo è l’immaginario di uomo di destra.
    Sig Andrea le vorrei ricordare a proposito della violenza che la rivoluzione Russa dell’ottobre del 1917 fu caratterizzata da un’insurrezione popolare in alleanza con l’esercito che si concluse senza spargimento di sangue.
    Ben diversamente andarono le cose nella repubblica di Weimar con l’ascesa del nazismo e in Italia con il fascismo. Mi scusi poi, lei insiste sul marxismo come suo punto di riferimento, non ne capisco il senso.
    la Classe ha unito i popoli d’interi continenti: ad est dell’europa con l’Unione Sovietica in Oriente in Cina. Enormi territori con etnie e comunità diverse. Insomma questa storia del comunitarismo sta diventando la foglia di fico di una visione arcaica e interclassista. Il capitalismo per una certa fase storica si è nutrito delle comunità, il neocapitalismo liberista le ha succwssivamente distrutte. Dovremmo impegnarci alla ricostruzione dell’ assetto sociale che ci portati a questo punto? No grazie, andiamo oltre.

    • Andrea
      21 luglio 2015 at 19:55

      Un certo Mao (credo) dichiarò che “le rivoluzioni non sono pranzi di gala”.
      E’ vero che la presa del Palazzo a San Pietroburgo non comportò rilevanti versamenti di sangue, ma certo chi ha assaltato il palazzo era pronto a versarlo, il proprio e quello degli altri.
      Il sangue è stato versato invece nella fase successiva ed in quantità immani. Stessa periodizzazione per la rivoluzione francese. Quando la rivoluzione scoppia, scoppia perchè il potere tradizionale è scomparso. Poi viene la guerra civile e spesso viene dalle province. Ma è un’altra cosa.
      Quanto alle prese del potere fasciste o naziste; non avvennero come Lei sa attraverso rivoluzioni, ma attraverso compromessi con i poteri tradizionali.
      Prescindendo dalla precoce rottura fra Cina e URSS, l’unità di classe è intervenuta in un breve periodo, postcoloniale. Vedi guerra in Vietnam, Corea ecc..e interventi cubani e sovietici in Africa, forse intermediati da necessità geopolitiche, in quanto anche gli stati classe sono Stati e i cittadini proletari sono nazioni e popoli.
      Le ricordo come le logiche geopolitiche – le competizioni strategiche fra le elite comuniste o capitaliste – prevalgano facilmente su quelle di classe.
      Rammenti la guerra fra Cina e Vietnam e gli scontri russo-cinesi sul fiume Ussuri.
      Rimane l’alternativa Trozkista.
      Quanto all’accusa di comunitarismo. Non ne comprendo la ragione. L’uomo è un essere sociale, o non lo è? Quindi sta bene in comunità e la comunità non è la somma degli individui è un soggetto verso il quale si prova un legame di appartenenza e di senso. La comunità è soccorso, prossimità e mutua solidarietà fra soggetti della stessa classe sociale, ma non esclude a priori apporti dalle altre classi (altrimenti il comunismo non avrebbe avuto elite borghesi che ha avuto).
      Le rammento la convincente analisi di Costanzo Preve sulla borghesia come classe dialettica dotata di coscienza infelice.
      A mio parere la distruzione della comunità è un grave danno e plaudire il capitalismo per averla soppressa, mi pare poco convincente.
      Infine sindare capillarmente – sulla base di poche righe – il livello “borghese” o addirittura “destrorso” di una persona, mi pare la strategia più idonea per praticare la solitudine politica
      i miei cordiali saluti
      Andrea

  6. armando
    21 luglio 2015 at 18:47

    Chiaramente, e l’amico Fabrizio lo sa, mi sento parte in causa in questa discussione essendo stato il mio un percorso (o la mia “fine”, secondo preferenza) analogo per certi aspetti a quello di Andrea. La prima cosa che mi viene da dire è che è interessante che un giornale dichiaratamente e orgogliosamente di sinistra sia frequentato da persone ormai ideologicamente orientate diversamente ma che, tuttavia, trovano buone ragioni (e analisi) nel pensiero espresso su queste colonne. Significa, semplicemente ma significativamente, che il pensiero di Marx conserva, nonostante quello che per me è stato il suo peccato “capitale”, ossia il materialismo filosofico, un nucleo forte di verità con cui debbono fare i conti tutti, o meglio tutti coloro che non hanno venduto anima e corpo al capitale. Dico di più, credo che col pensiero di Marx debbano fate i conti gli stessi marxisti alla luce degli accadimenti storici, se non lo vogliono ossificare in un corpo dottrinario chiuso, ma lo considerano invece un pensiero in necessario divenire che si confronta, usando il suo proprio metodo d’analisi, colle trasformazioni del capitalismo, ossia con la prassi. . Con uno scopo, ovviamente: quello di rintracciare le condizioni e prefigurare una via in positivo per il comunismo. Cioè a dire, affrontare finalmente , per dirlo con Augusto Del Noce, la “pars costruens” del marxismo, dopo che ha già impietosamente e acutamente messo a nudo tutte le contraddizioni del capitalismo (all’epoca) borghese. Compito e impresa in cui il marxismo, o meglio i partiti e i movimenti, che ad esso si richiamano, hanno finora mancato, nonostante l’immensa speranza e le immense energie che hanno suscitato nel popolo e nei popoli.
    Questo, credo, sia lo stato dell’arte, e per questo, credo, ci sia oggi uno spazio di discussione possibile. Non con l’intento di fare diventare “sovranisti” gli “internazionalisti” o viceversa, ossia di convincere gli altri delle proprie buone ragioni teoriche. Facessimo questo sarebbe un sicuro fallimento perchè, al di là dei buoni argomenti di ciascuno, solo la storia distribuirà ragioni e torti, se si avrà l’onestà intellettuale di accettarla, la storia.
    Per questo volerei basso, nel senso di attenersi all’oggi, ferme
    alcune condizioni irrinunciabili e tenendo ciascuno le proprie idee
    “strategiche” e teoriche.
    Le condizioni, parlo per me, sono semplici, alla fine: nessuno spazio,
    e nemmeno pertugi, ad ogni concezione razzista, di superiorità di un
    gruppo etnico su un’altro; rispetto, anzi curiosità, per le culture
    diverse dalla nostra, e, radicati ovviamente nelle propie convinzioni,
    nessuna voglia tuttavia di affermare la superiorità ontologica di una
    sulle altre; riconoscimento della loro legittimità e della legittimità
    per ogni popolo di rispettare se stesso e le proprie tradizioni;
    quindi nessun preconcetto verso nessuno in virtù di un’appartenenza
    culturale o etnica o razziale. In ciò occorre dire che l’Universalismo cristiano è stata una forza dirompente rispetto ai modi di produzione antichi, di cui anche il marxismo è necessariamente tributario, oltre ogni altra considerazione, perchè per la prima volta fu posta al centro la persona, non un concetto astratto. Da quì l’assoluta inaccettabilità di ogni forma di discriminazione di gruppi sociali o altro, ed anche l’inaccettabilità di ogni forma di violenza gratuita verso il più debole.
    E’ poco, è tanto? Non so, forse sono ingenuo ma a me sembra basti.
    Basti per cosa, però? Per discutere, dicevo, sull’oggi e sulla
    questione internazionalismo versus sovranismo non come ipotesi
    teoriche ma considerazioni pratiche.
    Fabrizio, ma anche altri, insistono spesso sulla necessità di appoggiare tatticamente alcune borghesie nazionali contro altre, in funzione della situazione contingente e della strategia complessiva, come d’altra parte il movimento operaio ha sempre fatto. Non è poco, in confronto ai “puristi” che disdegnano ogni alleanza in nome della purezza dottrinaria che però, oggi, farebbe esattamente il gioco del capitale, come sottolinea Andrea. Ma c’è di più, ovviamente. Perchè se si appoggia una “borghesia” contro un’altra borghesia (uso le virgolette perchè su questa storia delle classi e del loro significato oggi sono , diciamo così, “previano”), penso non sia soltanto per una scelta fredda e razionale, ma anche perchè si riconosce che quella determinata borghesia, nel contrapporsi alle altre, conduce politiche sociali più favorevoli ai lavoratori. Checchè si pensi di Putin, credo sia questo il caso della Russia; la quale non è imperialista ma multipolarista, è riuscita ad elevare il tenore di vita del popolo russo dopo il periodo disgraziato dell’americanista Eltsin, (che negli anni 90 svendette gli assets strategici agli oligarchi filoatlantici), e che, contrariamente a quello che ha scritto qualcuno su questo giornale, non ha affatto ridotto il diritto all’istruzione del popolo. Il tutto richiamandosi ai valori ancestrali e tradizionali della cultura e del popolo russo, come fece d’altra parte Stalin per vincere le armate hitleriane. Ciò, e si può estendere all’Ucraina ed altri paesi ex sovietici, significa che fra Usa e Russia non esiste solo uno scontro geostrategico fra potenze equipollenti, ma una contrapposizione di fondo fra due weltanschaung irriducibilmente contrapposte, dove gli Usa rappresentano la potenza di mare, il capitalismo portato alle sue estreme conseguenze, e la Russia la potenza di terra, dove certo vige l’iniziativa privata ma questa è rigidamente sottoposta alla forza della politica, e dove il principio del profitto è subordinato ad altre istanze sociali, e culturali che si considerano patrimonio del popolo ed alle quali non si intende rinunciare in nome dei così detti diritti civili (omosessualismo, genderismo, lgbt, transumanesino e via elencando) cioè tutti i cavalli di battaglia del capitale che intende dissolvere ogni forma, a partire da quelle sessuali, in nome della pervasività della forma merce, e che le “sinistre” occidentali hanno fatto proprie illudendosi che costituiscano un “progresso” del quale sarebbero loro a capo, illusione che mi piacerebbe definire ridicola, ma che invece è tragica.
    Ora, si può pensare che questa contrapposizione, poichè non fondata primariamente sulla lotta di classe, sia transeunte, destinata a trasformarsi e ridimensionarsi. Pensarlo è ovviamente legittimo, ma intanto, quì ed ora, questa è la contraddizione su cui anche un movimento di sinistra classista deve, o dovrebbe, fare leva, piuttosto che continuare a proporre istanze internazionaliste del tutto teoriche. Certo, si può pensare che il popolo non ha ancora capito ed agire per instillare in esso la coscienza di classe internazionalista, ma intanto è così, e non riconoscerlo rappresenterebbe comunque un disastro, e proprio dal punto di vista degli interessi generali di classe, a meno che si pensi, e quì è il punto, che spingere all’estremo il processo dissolutorio del capitale prepari le condizioni per il comunismo. Si evidenzia in ciò la questione, sempre aperta, del Katechon di cui parla anche Tronti nel suo ultimo libro. Non credo che Fabrizio pensi così, come invece la pensano i Negriani e i vagamente, ormai, trotskisti. D’altra parte, che l’unificazione del proletariato mondiale abbia sempre avuto grossi problemi a realizzarsi concretamente, è un fatto. Basti pensare allo sfaldamento dei partiti socialdemocratici tedeschi in occasione della Grande Guerra (ma anche in Italia, esistette una tendenza socialista interventista di cui era a capo il futuro duce). Voglio dire insomma che anche nel movimento di classe è sempre esistita questa forte contraddizione col sentimento nazionale (giusto o sbagliato che fosse) con cui fare i conti e su cui riflettere. Non bastano, spesso, le convinzioni teoriche!
    D’altra parte è anche vero che un ipotetico, ma mica tanto ipotetico, scontro fra nazioni sovrane, potrebbe oscurare, in nome della Nazione, le contraddizioni interne fra “classi” e subordinare gli interessi del proletariato a quelli della propria borghesia nazionale. Ne sono perfettamente consapevole, ma non c’è modo di aggirare il problema. Alla fine occorre scegliere, sia pure mantenendo interamente le proprie convinzioni ideologiche. E dunque, credo che anzichè discutere in teoria, bisognerebbe scendere nel concreto. Se si riconosce che oggi la sovranità nazionale è un valore e un obbiettivo politico anche per il movimento di classe, allora questo “sovranismo” sui generis va riempito di contenuti: rispetto al significato della parola, alle alleanze che persegue, a tutto ciò che ha rappresentato la cultura popolare di un paese. Il che vale, ovviamente, anche per i sovranisti doc. Se è quando si trovasse un terreno comune, ferme quelle condizioni di cui dicevo sopra, perchè rifiutare per paura di essere contaminati? Il KPRF (comunisti russi), quella scelta l’hanno fatta, pur rimanendo comunisti (e non per caso fioccano le accuse, stupide e interessate) di rossobrunismo, mentre intanto gli accusatori cinguettano coi neonazisti dichiarati. La corsa al purismo marxista è una sciagura della sinistra, in particolare italiana, che dimentica sempre quel vecchio detto di Nenni. “c’è sempre un puro più puro che ti epura”. Su un’ultima cosa vorrei attrarre l’attenzione: la discussione sul rapporto fra movimento operaio e nazionalità, non è nuova, esisteva anche in URSS. Stalin ne fu ben consapevole ed elaborò una dottrina in teoria ottima, ma che poi applicò a modo suo, ovvero contraddicendola, ad esempio con la deportazione di intere popolazioni o, anche da parte dei suoi successori, trattando le nazioni (intese in senso culturale) come carta straccia e dividendo i territori dell’Urss con criteri puramente di convenienza politica momentanea, come ad esempio il “regalo” della Crimea all’Ucraina, segno che non si era capito nulla del rapporto che lega un popolo alla propria terra e alla propria cultura. Ma quì è, a mio parere, un altro errore, grave di Marx, anch’esso d’altronde da far risalire al suo materialismo filosofico che lo portava a sottostimare fortemente gli aspetti “sovrastrutturali” per privilegiare quelli economici. Nella sua risposta ad Andrea, Rita, se non erro, sostiene che non può esserci un comunista comunitarista. Ecco, credo che perseverare in questo errore non porti nulla di buono alla sinistra di classe.
    armando

  7. Andrea
    21 luglio 2015 at 20:15

    Condivido le affermazioni di Armando.
    Aggiungerei che dopo l’orgia di narrazione giuridica/economica prodotta dalla sciagurata globalizzazione, il linguaggio comunitario dell’etica e della morale, sarebbe il più idoneo per fare breccia fra masse ormai non più consumatrici.
    E attenzione a non trattare il popolo ormai passato a destra sempre come xenofobo o razzista. Se è trasmigrato è colpa della sinistra.
    La comunità e la socialità fra affini e nati nel medesimo territorio è una componente antropologica strutturale, facilmente recuperabile.
    La nostalgia non è un sentimento reazionario. Ma solo umano.
    Il rischio di ricalcare le strategie sradicanti del capitale finanziario è insito nella sinistra rosata come in quella antagonista. Medesime basi culturali di fondo (Illuminismo e progressismo, universalismo astratto)
    Raccomanderi a tutti J.C. Michea votato ad un socialismo non marxista, non progressista e comunitario.
    saluti
    Andrea

    • Fabrizio Marchi
      22 luglio 2015 at 8:56

      Caro Andrea, mi sembra, sempre in tutta sincerità che tu faccia molto confusione. Il tuo percorso è in parte simile a quello di Armando, ma le vostre posizioni sono solo in parte simili e soprattutto ancor meno le vostre esperienze personali. Si capisce lontano un miglio che Armando è stato realmente un ex comunista, non solo nella teoria ma anche nella prassi, che ha compiuto un percorso molto più complesso e che la sua esperienza nella Sinistra e nel Movimento Operaio non è stata solo una meteora passeggera e fugace ma un’intera fase esistenziale. Lo si capisce dal linguaggio, dall’approccio e anche dai contenuti che esprime. Il tuo caso invece (non ti conosco ma ho la presunzione di avere un notevole intuito) è completamente diverso. Io non vedo in te le “stigmate” (si fa per capirci…) del marxista e del comunista, e neanche dell’ex. Tutt’al più puoi avere avuto una più o meno breve (e io credo breve) frequentazione teorica di Marx e del Marxismo, ma nulla più. Probabilmente eri già un uomo di Destra (legittimo, sia chiaro, si tratta solo di capirci sempre per evitare di perdere tempo) e ancora non ne avevi consapevolezza. Quella che poi hai raggiunto con il tempo e che io ti confermo. Sei un uomo di Destra, senza se e senza ma. La tua “pericolosità” – e qui ha ragione Rita Chiavoni anche se lei è stato sicuramente molto più sbrigativa del sottoscritto – non è tanto nel tuo essere di Destra, cosa del tutto legittima, quanto nella tua ambiguità (non sei il solo, sia chiaro), nel tuo navigare e alimentare questa sorta di “zona grigia”, nel tuo citare con disinvoltura e con apparente simpatia Marx, Totzschj o addirittura Mao, in alcuni casi facendo finta di ammiccare ad essi ma in realtà utilizzandoli pro domo tua. Tutti i tuoi sforzi teorici sono infatti finalizzati (anche quando citi in modo del tutto strumentale Marx e addirittura Mao con i quali non hai nulla a che vedere), anche con una notevole dose di sistematicità, ostinazione e tenacia, a distruggere la possibilità di una critica e di una risposta di classe al dominio capitalistico. Per questo sei un uomo di Destra, senza se e senza ma, perché questo è e continua ad essere il discrimen fra l’essere di Destra e l’essere di Sinistra (le ho scritte con la maiuscola, appunto per distinguerle dalle loro attuali misere declinazioni storico-politiche, entrambe asservite e funzionali al Capitale che si serve ora dell’una e ora dell’altra in funzione dei suoi interessi), con buona pace di coloro che sostengono la necessità del superamento di tali categorie. E infatti chi lo sostiene, è di Destra, come nel tuo caso. Su questo ho scritto molto e non mi dilungo perché ti ho già rinviato alla lettura del mio primo editoriale pubblicato su questo giornale dal titolo appunto “Destra e Sinistra”. Non fu una scelta casuale, ovviamente, quella di esordire con quell’editoriale. Fu una scelta politica proprio perché ci tenevo a chiarire alcuni punti fondamentali. E proprio il fatto che stiamo ancora qui a discuterne (con Armando ne abbiamo parlato decine di volte) conferma non solo l’importanza del tema ma la giustezza, per quanto mi riguarda di quella posizione.
      La tua tesi (e quella di coloro che orbitano nella tua stessa “area grigia”) è di una debolezza teorica, teoretica e analitica (e quindi anche politica), a dir poco incredibile. Pensare di poter criticare o addirittura porsi nell’ottica del possibile superamento del dominio capitalistico senza porsi contestualmente il problema del superamento della contraddizione di classe, è come pretendere di giocare al calcio senza il pallone. Si può giocare al calcio al limite senza la regola del fuorigioco, ma SICURAMENTE non senza il pallone. Credo che su questo siamo tutti d’accordo. Ecco, la tua/vostra pretesa di poter criticare o lavorare per il superamento del sistema capitalistico senza porsi o addirittura, come fai tu, gettando alle ortiche, la contraddizione di classe in quanto secondo te superata (e che da bravo anche se non coerente uomo di Destra trovi anche decisamente fastidiosa), è come pretendere di giocare al calcio senza pallone. Credo che non ci sia neanche bisogno di spiegare il perché. Il Capitalismo, in estrema sintesi e in ultima analisi, è un rapporto di produzione che presuppone l’espropriazione di plusvalore da parte di un soggetto (il Capitale) su un altro (il Lavoro). Il Capitalismo produce dunque oggettivamente le classi e la contraddizione di classe. I due aspetti sono intimamente e necessari amen te collegati né possono essere separati. Spero che la metafora calcistica sia sufficiente ma potrei portarti mille altri esempi. Poi conosciamo tutti i giganteschi processi di trasformazione che il capitalismo (sistema estremamente flessibile e capace di adattarsi ai più disparati contesti politici e culturali) ha vissuto, il passaggio dalla fabbrica fordista alla cosiddetta “fabbrica diffusa”, dall’”operaio massa” all’”operaio sociale”, fino addirittura al nuovo “capitalismo digitale” e alla costruzione di un gigantesco precariato di massa, e via discorrendo. Non solo, conosciamo anche le nuove contraddizioni che il capitalismo ha creato, penso ad esempio alla tematica della relazione fra i sessi (di cui sia il sottoscritto che Armando ci occupiamo ormai da molto tempo) e nei confronti della quale anche la tua “area grigia” è fondamentalmente sorda, ma non solo, a tutta la grande questione della distruzione delle identità (a partire da quella di classe per arrivare a quella culturale e addirittura a quella sessuale). Anche in questo caso ho scritto molto e ti rimando ala lettura di questi articoli https://www.linterferenza.info/editoriali/il-capitalismo-alloffensiva-su-tre-fronti/ e
      https://www.linterferenza.info/editoriali/il-nuovo-orizzonte-del-capitalismo/
      https://www.linterferenza.info/attpol/la-nuova-falsa-coscienza-delloccidente-e-del-capitale/
      Ma su questi ultimi aspetti (distruzione delle identità culturali) so già che sei d’accordo anche se da punti di vista completamente diversi dal mio (e magari in altra occasione, se lo vorrai, ti spiegherò il perché). Il problema è che NON possono essere separati da quell’altra e strutturale grande contraddizione che è appunto quella di classe. E non per ragioni ideologiche (da coerente marxista sono un nemico giurato dell’ideologia, concettualmente parlando) ma perché è oggettivamente impossibile. Ma anche su questo sono costretto a fermarmi altrimenti non la finisco più.
      Affronto ora gli altri punti che hai toccato. La tua analisi sulla vicenda greca conferma anche in questo caso l’estrema debolezza del tuo approccio teorico e interpretativo (non essendo tu un marxista, dal mio punto di vista, non potrebbe essere altrimenti, perché ti manca uno strumento interpretativo formidabile). In Grecia (ed è anche per questo che c’è stata tanta attenzione al caso greco e c’è tanta delusione oggi da parte della cosiddetta “sinistra radicale” europea) per la prima volta dopo tanto tempo, si è verificato un fenomeno di ricomposizione di classe, direi addirittura su basi “gramsciane” e senza timore di sbagliare. Quel 61% che ha votato No al referendum è infatti composto di lavoratori dipendenti, pubblici o privati, e di una piccolissima, piccola e media borghesia per lo più legata al turismo (ristoratori, operatori e albergatori piccolissimi,piccoli e medi) che hanno di fatto costruito un fronte sociale, quindi di classe, anche se con una componente solo in minima parte interclassista; non erano certo presenti all’interno di questo blocco sociale gli armatori e la grande borghesia greca, legata ovviamente al grande capitale europeo e internazionale. E anche questo ci fa capire come sia del tutto astratto e illogico parlare di comunitarismo tout court, o di recupero della sovranità nazionale, come fai tu, nel momento in cui quelle classi sociali hanno interessi OGGETTIVAMENTE diversi e contrapposti. E proprio il caso greco lo conferma, qualora ce ne fosse stato bisogno. In Grecia, paradossalmente, il problema è stato un altro, e cioè la mancanza di un soggetto politico all’altezza della situazione. E’ vero che Syriza ha svolto una funzione importante nella costruzione di quel blocco sociale “gramsciano”, ma essendo una forza molto debole sia dal punto di vista teorico (e ideologico) che politico, non è stata in grado di gestire la situazione e ha finito per capitolare su tutta la linea. Ma questo è un altro discorso che rimanda ad un altro ordine di problemi , e cioè l’assenza oggi di un soggetto politico all’altezza. Lo stesso Armando, in uno dei suoi preziosi commenti ad un mio articolo, diceva testualmente “Tsipras di certo non è Lenin, ma di questo non gliene possiamo fare una colpa”. Ecco, se Tsipras, mutatis mutandis, fosse stato un Lenin sia pure in miniatura, e Syriza fosse stato una sorta di riedizione del partito bolscevico (ci capiamo…) attualizzato e “dialetizzato”, le cose in Grecia sarebbero finite molto diversamente. Perché quel partito e quel gruppo dirigente sarebbero andati fino in fondo, non avrebbero ceduto su tutta la linea (anche perché forti dell’appoggio e del consenso popolare), avrebbero premuto il tasto dell’acceleratore, e molto probabilmente avremmo avuto una Grecia socialista, fuori dall’euro, fuori dall’UE e fuori dalla Nato, con una sua recuperata sovranità nazionale ma su basi socialiste e di classe. Avremmo quindi assistito ad un esempio di “sovranismo di Sinistra” (passatemi il termine), dove cioè l’elemento di classe e socialista si sovrappone a quello nazionale e se volete anche a quello patriottico (in Grecia, in questi giorni, durante le grandi manifestazioni di piazza organizzate dalla sinistra e dal popolo della sinistra, c’erano le bandiere rosse e quelle della Grecia; non è un caso…).
      Le cose poi sono andate come sappiamo; forse era anche scontato, perché conoscevamo la natura di quel partito o della maggior parte del suo gruppo dirigente. Ma non è ora questo il punto, l’oggetto del nostro dibattito è un altro. In Grecia c’erano le condizioni (e forse ci saranno in futuro, non possiamo escluderlo..) per coniugare “comunismo” e “comunità”, se mi passatela battuta e la semplificazione. Fermo restando che da quella comunità resta fuori quel restante 39% che ha votato Si all’Euro e all’Europa, né può essere altrimenti (lo dicono i fatti, lo dice la realtà). Quindi, come vediamo, è oggettivamente IMPOSSIBILE concepire il “comunitarismo” o il “sovranismo” fuori da una logica di classe. O meglio, si può anche concepire (e infatti è stato concepito e praticato, eccome), ma farlo significa inevitabilmente entrare a piedi pari all’interno di una visione nazionalista, borghese o vetero borghese, che avrebbe la pretesa di coniugare gli interessi di tutti i gruppi sociali appunto in una logica interclassista, corporativa e nazionalista. Il Fascismo è stato proprio questo, nulla più e nulla meno, con tutte le implicazioni del caso. Anche il fascismo, infatti, è stato imperialista, né poteva essere altrimenti, dal momento che il Fascismo, non mettendo in discussione il capitalismo (e la contraddizione di classe), è inevitabilmente anch’esso imperialista; la differenza con gli imperialismi “tradizionali” delle grandi potenze “liberali” è a quel punto solo ideologica.
      Partendo da qui, faccio un piccolo volo pindarico e ti rispondo su un altro punto da te toccato coerentemente con la tua natura di uomo d Destra, che è quella di distruggere il concetto di classe.
      E’ vero, sovietici e cinesi si sono sparati qualche colpo di fucile sull’Ussuri (non so neanche se ci siano stati dei morti, credo di no), La Cina attaccò il Vietnam per qualche settimana una quarantina o poco meno di anni fa e poi fece rientrare le truppe. Si trattò di poco più che un buffetto, o se preferite uno schiaffone di assestamento a quello che era allora uno stato nell’orbita sovietica. Mi sembra assolutamente improprio parlare di guerra imperialista e di rottura dell’unità di classe. Quella c’era stata, è vero, ma per la semplice ragione che la Cina di Mao non considerava più da tempo l’URSS come uno stato comunista, bensì come una nova forma di dominio neo borghese e neo capitalista (da un certo punto di vista il Grande Timoniere non aveva tutti i torti ma non è ora questo il punto…).
      Chiudo sulla faccenda del cosiddetto “immigrazionismo” che secondo te la sinistra, liberal o antagonista, alimenterebbe. Mi dispiace ma anche in questo caso sei completamente fuori strada. Ma che senso ha parlare di “immigrazionismo”? Questa è una nuova “categoria” ideologica inventata di sana pianta dalla Destra. Ma quale “immigrazionismo”? Ma di cosa parlate? L’immigrazione è uno dei risultati inevitabili delle contraddizioni del capitalismo. L’immigrazione è un fenomeno inevitabile e strutturale al sistema capitalistico né più e né meno di come lo è la disoccupazione o la produzione/espropriazione di plusvalore e la contraddizione fra occupati e disoccupati. Gli immigrati nulla altro sono se non il vecchio esercito industriale di riserva di una volta. Soltanto che quell’esercito era composto da proletari autoctoni e ora, a causa della cosiddetta globalizzazione, cioè del dominio capitalista su scala planetaria, è composto da una gigantesca massa di lavoratori immigrati, disperati, disposti a tutto, ultra precari e ultraflessibili, che vanno mescolarsi con i lavoratori “autoctoni”, in una gigantesca massa di lavoratori a disposizione del Capitale. Quindi il problema è il Capitale, non gli immigrati. Prendersela con gli immigrati è come prendersela con i lavoratori nostrani, occupati o disoccupati che fossero. Significa prendere lucciole per lanterne. Che le prenda la Destra posso capirlo, ma non dei sedicenti di Sinistra o ex di Sinistra (nel senso alto del termine)
      E quale sarebbe questa grande risposta politica della Destra, vecchia o nuova, nei confronti del fenomeno dell’immigrazione? La chiusura delle frontiere? Questa scelta comporterebbe oggettivamente una politica militarista e terroristica nei confronti degli immigrati (cosa che non spaventa affatto la Destra, oggi incarnata dalla Lega Nord, che invece la auspica), non solo a “difesa” manu militari delle coste nazionali, ma necessariamente anche con l’attacco; infatti sia la Lega che altre forze politiche sovraniste e di Destra (Fratelli d’Italia ma anche altri) hanno proposto di bombardare i porti e le coste libiche con tutto ciò che ne consegue… Va bè, stendo un velo pietoso…
      Ma al di là di questo, questa gente mente sapendo di mentire, perché sa perfettamente che non è realisticamente possibile, in regime di dominio capitalistico, chiudere le frontiere, impedire la cosiddetta “libera” circolazione degli uomini e delle merci… Ma se anche fosse possibile (e non lo è), non si può individuare negli immigrati la controparte, perché di fatto è questo che si fa nel momento in cui si opta per determinate scelte politiche. In ogni caso si confonde clamorosamente la testa con i piedi. Ma questo la Destra, vecchia o nuova, non può capirlo, perché altrimenti sarebbe altro da quella (poca) cosa che è…
      Un’ultimissima cosa sulla violenza. Su questo invece sono d’accordo con te. La Politica molto spesso fa ricorso alla violenza, a me non interessa fare la conta dei morti, anche perché nessuno, ma veramente nessuno, ne uscirebbe “pulito”. Quindi il problema non è quello. Le rivoluzioni sono violente perché la logica del dominio è di per se violenta. Affrontare ora questo tema ci porterebbe veramente troppo lontano…
      Mi scuso per la lunghezza ma i temi toccati sono stati veramente tanti (e ne ho anche tralasciati alcuni…)…

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