La classe operaia va all’inferno

Il risultato sconcertante del Front national di Marine Le Pen – che con quasi il 24,8% fa tremare i palazzi e i salotti “bene” di Parigi e quelli della trojka mandando al Parlamento Europeo ben 25 eurodeputati, seguita dai gollisti dell’Ump col 20,8% – è il ritratto dello stato d’animo che sta attraversando la gauche dell’Esagono e quella dell’Europa intera. La crisi è evidente, ed è soprattutto culturale. La destra avanza in Europa denunciando l’euro e l’UE come le cause primarie che producono povertà e sottomissione alle misure autoritarie calate dall’alto della tecnocrazia di Bruxelles, e il tutto corrisponde con un calo della sinistra tout court e l’aumento di un senso di frustrazione che si trasforma in astensionismo. Perché? Perché a conti fatti i socialisti (dovremmo, per amore del ragionamento, includervi pure il PD di Renzi… purtroppo!), tradendo la loro storia, sono compromessi con la struttura neoliberista e finanziaria dell’UE, mentre quella radicale soffre di un grave ritardo culturale che l’ha allontanata dall’Europa reale, quella dei cittadini. L’unica “fortuna” italiana? Mentre all’estero l’euroscetticismo si veste in abiti populisti, da noi esiste un “male minore”, il Movimento 5 Stelle del comico-blogger Beppe Grillo, quello del «i politici sono tutti uguali!», «né destra né sinistra, solo cittadini!», che è assai più pronto a intercettare gli umori popolari contro l’eurodisastro. Lo scollamento delle sinistre dalle masse è evidente nel caso francese, col governo liberal-socialista di Hollande andato al potere giurando sul suo onore che avrebbe difeso l’Esagono dagli attacchi della trojka e che poi ha eseguito alla lettera le ricette liberiste impostegli dalla Commissione Europea e dalla Merkel, provocando rivolte fiscali in alcune regioni francesi (simili ai nostri Forconi), incassando una meritata sconfitta politica ed elettorale, dato che l’unica cosa “di sinistra” fatta è stata la legge Taubira che legalizza le unioni omossessuali, buona per compattare all’unisono la destra nel denunciare un governo effettivamente distaccato dai bisogni reali dei cittadini. Socialdemocratici come Martin Schulz – un tempo difeso dalla stampa progressista per la pessima battuta berlusconiana sui kapò – sostiene che bisogna invertire la rotta e fare le riforme per lo sviluppo, dimenticando di ricordare che in Germania il suo partito, l’SPD, ha governato fianco a fianco con l’ultraliberista CDU-CSU nella Grosse Coalition di Angela Merkel, che giustifica ed esalta l’euro così com’è, e tace sul fatto che con trattati come quello di Maastricht e Lisbona e con il Fiscal Compact uscire dalla crisi non è difficile, ma impossibile.[1] L’Altra Europa con Tsipras, nata attorno a Alexis Tsipras con l’intento di opporsi all’austerità che rovina la Grecia, si pone come obiettivo il superare gli iniqui trattati vigenti, ridiscutendo il debito e avviando riforme radicali dell’UE dell’eurozona. Ma il problema, purtroppo, è sempre l’Italia: gli italiani sono quelli più scollati dalla realtà. Definendosi erede di Altiero Spinelli e del Manifesto di Ventotene (si veda la candidatura di Barbara Spinelli), ma non di Marx o Gramsci, la sinistra radicale sogna la “vera” democrazia dell’Europa federata all’interno di uno Stato continentale federale, sottovalutando i guasti di questa Europa e dell’euro (che è “reale”, e non un sogno), scollandosi dal suo naturale elettorato e rimanendo elitaria e sempre più minoritaria. Chiedere con moderazione, come gli italiani, “meno austerità” e “più democrazia in Europa” significa ignorare i meccanismi dell’UE, latitare (specie sostenendo che l’unico spauracchio è Grillo, per poi arruolarsi armi e bagagli nel PD!) e ignorare i bisogni dei cittadini, la disoccupazione galoppante, la precarietà lavorativa, le famiglie impoverite che non arrivano a fine mese e gli Stati che si indebitano sempre di più, ancorandosi al bel sogno che il caro Spinelli ebbe durante confino a Ventotene nel bel mezzo della guerra, oggi improponibile vista la presenza di basi NATO nel continente. Al posto di discutere su temi seri, la “sinistra” ha parlato del seggio di Barbara, della spartizione di posti fra il PRC e SEL (madre di tutto il radical-chiccume all’italiana), se entrare nel GUE/NGL o nel PSE, le esternazioni pro-gay di Vendola, Cuperlo, Maltese o di Migliore (quello che attaccò Fulvio Grimaldi di «Liberazione» dandogli dell’antisemita per i reportage che denunciavano i crimini sionisti in Palestina, poi cacciato in quanto filoserbo – e critico verso i noglobal pacifisti filo-Otpor di Luca Casarini – e perché filocastrista… insomma, cacciato dal PRC per esser troppo comunista!), che vogliono traghettare SEL nel PD, ecc. accettando acriticamente, vista l’incapacità e la mancanza di voglia di proporre alternative alla moneta unica, considerata come una soluzione catastrofica perché poi regaleremo l’Europa alle destre (e adesso chi si sta affermando in Europa?), prevale l’allineamento alle tesi pro-euro e pro-UE. Ogni opinione eterodossa viene accantonata, censurata, tacciata come “fascista” ed esclusa a priori dal dibattito. Insomma, gli italiani de L’Altra Europa con Tsipras sono la parodia della parodia parodistica di Syriza, che invece ha portato Alexis Tsipras a vincere le elezioni europee in Grecia.
Se l’Europa radicalizza e polarizza la sua ostilità verso la trojka sostenendo i vari movimenti populisti, la colpa non è senz’altro del «popolo bue» che non crede nel sogno dell’unità europea e del progresso infinito che la moneta unica un giorno (ma quando??) ci porterà, così come non è colpa dei fascisti e dei populisti, che si infiltrerebbero nella classe lavoratrice – come denunciano certi fautori dell’antifascismo assoluto «senza sé e senza ma» – sottraendo voti alla sinistra e animando jacquerie antifiscali (Forconi, ecc.), ecc. Perché se i ceti popolari, un tempo attratti a sinistra, votano massicciamente a destra, la sinistra qualche colpa – e non minima, dato che il caso Hollande descritto all’inizio e l’atteggiamento della sinistra italiana dovrebbe far riflettere – ce l’ha senz’altro! La sinistra non dovrebbe lasciare alla destra populista la rivendicazione della sovranità nazionale in nome di un astratto europeismo – “degna evoluzione dell’internazionalismo” morto sotto le macerie del Muro di Berlino –, dato che tale concetto non può essere confuso né col nazionalismo sciovinista e xenofobo di Marine Le Pen né con l’isolazionismo britannico dell’Ukip, ma capire i veri meccanismi economici che albeggiano dietro l’UE, ovvero la totale legittimazione del liberoscambismo ai danni dei salariati e dei precari. Un passo potrebbe essere quello di ridare potere agli stati ed uscire da un’UE che schizofrenicamente parlando è composta da stati tradizionalmente “socialdemocratici” obbligati a fare politiche liberiste, esigendo vera democrazia, specie nella sua autentica accezione che è «governo del popolo», un governo che c’è lì dove i popoli hanno voce in capitolo nella gestione dell’economia, del welfare state, ecc. L’euro, inoltre, nasce nel segno omologante del capitalismo tedesco, dato che aggrega economie diverse fra loro sotto le insegne di un unico tasso d’interesse, cosa che accentua ulteriormente la disparità fra stati dato che un’economia dinamica può permettersi tassi d’interesse alti, mentre in altri paesi con economia ferma, come l’Italia, tali tassi equivalgono all’usura, dato che non riuscendo più a esportare, sono obbligati a chiedere prestiti, e i prestiti, si sa, vanno restituiti con gli interessi. Enrico Grazzini, de «il manifesto», criticando questa politica scrive:

«La moneta unica presuppone paesi con tassi di inflazione, livelli di competitività, debiti pubblici e bilance dei pagamenti sostanzialmente in equilibrio o tendenzialmente in equilibrio. Altrimenti la moneta unica, che non permette svalutazioni e rivalutazioni della moneta, cioè flessibilità monetaria, agisce in senso esattamente contrario: disequilibra le economie dei paesi. Amplifica le divergenze. Quelli più competitivi e in surplus commerciale guadagnano ed erogano crediti; quelli in deficit accendono debiti e perdono competitività. Se i paesi meno competitivi non possono svalutare – che non significa fare qualcosa di immorale ma significa solo riprezzare i prodotti nazionali verso i compratori esteri – le divergenze si approfondiscono e generano un perverso circolo vizioso. La moneta unica applicata in diversi contesti economici aumenta i differenziali delle economie reali. La Germania diventa sempre più competitiva; gli altri paesi invece perdono industria. La Germania impone una politica deflattiva per ridurre i deficit altrui e per garantirsi che le siano restituiti i debiti. Ma la politica deflattiva comprime l’economia, provoca la crisi fiscale dello stato, la disoccupazione, la precarizzazione del lavoro, la riduzione dei redditi, della domanda e degli investimenti. Diventa così sempre più difficile restituire i debiti. Non a caso i debiti pubblici dei paesi mediterranei continuano ad aumentare inesorabilmente nonostante l’austerità».[2]

La Germania – nel solco di una politica estera dinamica che, dal momento dell’unità nazionale, ha iniziato a espandersi economicamente, e quindi anche politicamente, nell’Est Balcanico (destabilizzando l’ex Jugoslavia), nell’area Mitteleuropea e nell’Europa dell’Est, basti pensare ai legami fra la CDU-CSU e i diversi soggetti politici vicino all’odierna giunta liberal-nazista di Kiev, in Ucraina – questo lo sa, sa di avere il coltello dalla parte del manico e non vuole retrocedere. Ecco perché ha spinto l’acceleratore sulle misure d’austerity che hanno flagellato la Grecia, patrocinando Maastricht e gli altri trattati liberisti, ed ecco perché l’euro potrebbe cambiare nome domani stesso e diventare Deutsch Mark (o Reich Mark… scusate l’amara ironia). La Banca Centrale Europea, inoltre, ha uno statuto molto più restrittivo della Bundesbank, e il fiscal compact condanna gli stati dell’UE a non poter avere debito (cosa impossibile a meno che non si trasformi lo Stato in un’azienda privata), annullando qualsiasi politica di rilancio della domanda sul modello, non dico marxista, ma addirittura keynesiano, ad avere bilanci asfittici e sempre in equilibrio, senza deficit, proprio, ed è questo l’incubo, come le imprese private. L’obiettivo è l’aziendalizzazione dell’Unione Europea attraverso la privatizzazione selvaggia: altro che Altra Europa. L’Europa, scusate il gioco di parole, è ammalata di Europa e di neoliberismo, dato che l’UE non detta alcuna politica, ma se la fa dettare dalla BCE. Favorendo chi? Ovviamente le imprese! Il 5 agosto 2011 i vertici della suddetta banca privata (Mario Draghi e Jean-Claude Trichet) hanno inviato la seguente lettera al Primo ministro italiano. Il tema? Le “consuete” riforme del mondo del lavoro:

«Caro Primo Ministro, […] c’è […] l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto al altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione».[3]

Da notare che da tre anni i sindacati confederali tradizionali (CGIL-CISL-UIL) e l’organizzazione degli industriali (Confindustria) stanno sottoscrivendo dei patti che disegnano la nuova rappresentanza sindacale e i futuri rapporti tra imprese e lavoratori. Le ulteriori modifica apportate da Renzi col consenso della CISL e della UIL – che non devono fare i conti con una base agguerrita, vista la loro tradizione riformista di marca laica e cattolica –, e l’introduzione del famigerato Jobs Act, hanno fatto sì che la Camusso, da ex collaborazionista, sia diventata l’“oppositrice” del progetto renziano, incalzata dall’opposizione interna (la FIOM) e dai sindacati di base (USB), molto ma molto più agguerriti della Cgil. Da notare che chi nel 2011 ha dettato legge nell’agenda lavorativa del Primo ministro è la BCE, che ha “suggerito” (la famosa “offerta che non puoi rifiutare”) le riforme per le «esigenze specifiche delle aziende», e non dei lavoratori. Assieme alla Commissione e al FMI, la BCE è parte di quella trojka non eletta dai cittadini che conta più dei cittadini stessi. Il Parlamento della UE non ha poteri e serve solo a dare una patina di legittimità alle decisioni dei governi e della Commissione UE, non potendo proporre disegni di legge. Che dice di tutto ciò la nostra “sinistra” radicale di salotto, caviale e champagne? Ha capito che l’UE è un affilato coltello neoliberista il cui manico è nelle mani dell’imprenditoria europea e dei suoi rappresentati politici, il PSE, il PPE, l’ALDE ecc.? No, dato che non ha gli strumenti culturali per arrivarci, dato che sa solo contestare e non più proporre, appiattita com’è ad un bipolarismo cerebrale! Il Capitale, la “Struttura”, per uscire dalla vigente crisi deve aumentare la flessibilità lavorativa. I vari elementi sovrastrutturali come lo Stato, i Confini nazionali e ogni forma di protezionismo interno sono visti solo come dei lacci che le impediscono di espandersi. Il Capitale è transazionale e “globalista” per sua stessa natura. A chi serve ora, in questo momento, con un capitalismo che persiste ed è più neoliberista che mai, superare gli Stati nazionali se non alle imprese e alle multinazionali, le quali possono, se l’economia nazionale va a rotoli e in assenza di leggi per la tutela dei lavoratori, delocalizzare in una zona “in via di sviluppo” – o in una nuova zona dell’UE, ad esempio in Ucraina, tanto per fare un esempio su eventuali dinamiche future – dove i diritti sindacali sono pressoché assenti o minimi! Insomma, a che serve la vigente libertà economica in assenza di vincoli nazionali? Ci risponde un certo filosofo tedesco di Treviri, noto per aver scritto un librone voluminoso – non letto da tutti coloro che dicono di seguirlo – intitolato Il capitale, il quale constatò che

«nello stato attuale della società, che cos’è dunque il libero scambio? E’ la libertà del capitale. Quando avrete lasciato cadere quei pochi ostacoli nazionali che raffrenano ancora la marcia del capitale, non avrete fatto altro che dare via libera alla sua attività. […] Il risultato sarà che l’opposizione fra le due classi [capitalista e proletaria. Ndr] si delineerà più nettamente ancora. Signori, non vi lasciate suggestionare dalla parola libertà. Libertà di chi? Non è la libertà di un singolo individuo di fronte a un altro individuo. E’ la libertà del capitale di schiacciare il lavoratore».[4]

Marx parla “profeticamente” di un Capitalismo che supera lo Stato – battendo l’internazionalismo operaio – in quanto esso viene percepito come una barriera contro l’individualità, un peso necessario nel momento in cui il Capitale è in fase “larvale” (si veda il Mercantilismo e il primo Capitalismo), ma da dissolvere in nome della nuova formula: la libertà individuale! L’annullamento degli Stati – che non è sinonimo di annullamento del Capitale – è parte di un processo sviluppatosi dopo il crollo del Muro, un processo che la sinistra radical-chic, cultural-snob, americanizzata, anarchicheggiante ed individualista (che oramai scende in piazza solo per deificare i diritti civili e l’individuo assoluto, un individuo astratto e slegato da ogni legame collettivo, schiavo dei bisogni materiali e condannato a divenire homo consumans… et voilà, il nuovo totalitarismo!) non ha compreso e che si chiama “globalizzazione”, un processo, scrive Giovanna Cracco, direttrice del bimestrale di area marxista «Paginauno», innaturale per la stabilità della classe lavoratrice, ma

«naturale per il sistema produttivo capitalistico, nella sua attuale espressione neoliberista. Sinteticamente, il profitto matura nella fase di produzione, nella dinamica di sfruttamento del lavoro – è la quota di lavoro non pagato che il capitalista incorpora – ma si realizza solo nella fase di vendita della merce; ne consegue che il Capitale necessita di un miglioramento continuo di “produttività” per reggere la competizione della concorrenza e di un mercato in grado di assorbire le merci prodotte. Al primo bisogno risponde con la tecnologia e cercando di diminuire il costo del lavoro, ma l’azione innesca la contraddizione tipica del capitalismo: da una parte, l’aumento proporzionale del capitale fisso (macchinari, tecnologia ecc.) sul capitale variabile (lavoro) diminuisce il saggio di profitto, dall’altra si traduce in disoccupazione e perdita di capacità d’acquisto del lavoratore, con conseguente calo dei consumi e dunque restrizione del mercato; e, non ultimo, conflitto sociale. Ma se il Capitale è messo nella condizione di liberalmente circolare, potrà spostare la produzione nei Paesi a basso costo del lavoro – mantenendo così inalterato il meccanismo di estorsione di pluslavoro – e se le merci sono soggette a minimi o del tutto assenti dazi doganali, potranno essere vendute a prezzi competitivi nei mercati esteri».[5]

La sinistra radicale ha capito o no che la struttura verticistica dell’UE non permette di creare “L’Altra Europa” o gli “Stati Uniti d’Europa” di Spinelli? Ha capito che i trattati possono essere respinti dai parlamenti, i quali, a differenza del Parlamento Europeo, hanno ancora un minimo di potere? Lo sa che i paesi europei che non rientrano nell’eurozona e che hanno una loro moneta nazionale stanno meglio di noi, mentre l’Italia in cinque anni di crisi ha perso, oltre che la sovranità e la dignità, l’8,5% del PIL e il 30% degli investimenti, vedendo scendere i suoi rediti, vedendo una disoccupazione schizzare alle stelle, con gli Stati obbligati a trattare il cittadino come un semplice “utente” (la nuova parolina magica che caratterizza il welfare del XXI secolo: quando si va in ospedale non si è più pazienti, ma “utenti”, cioè “clienti”… una riflessione da parte del lettore) e il welfare quotidianamente messo in discussione da forze liberoscambiste di varia natura? Lo sa o pensa solo ai diritti civili e di fare la sua magra figura mandando il/la pasionario/a Vladimir Luxuria a Mosca a protestare contro l’”omofobo” Putin, dimenticando che negli USA di Obama tanto osannati da un’ex deputato di un partito che si definisce comunista (!!), dov’è in vigore la pena di morte – e dove chi sale sul patibolo appartiene spesso ai ceti bassi o alle minoranze etniche estranee a quella W.A.S.P. – ben 12 stati vietano non di propagandare, ma di praticare la «sodomia»? L’euro, non lo si dimentichi, non ha difeso dalla speculazione internazionale le economie nazionali e le tasche dei cittadini (e il motivo è ovvio: la lettera della BCE al Primo Ministro italiano rientra in quest’ottica), ed è un freno per lo sviluppo e l’austerità è unilaterale, e il lato infiammato è composto dai ceti popolari o da una piccola borghesia che si sta proletarizzando. La sinistra “moderna”, in una logica New Global, pensa che la globalizzazione vada riformata o governata per renderla più equilibrata, umana e civile, non comprendendo che essa è frutto del capitalismo ed è funzionale al suo perpetuo mantenimento e allargamento su scala globale. Nel mondo falsamente cosmopolita dominato da questa nuova élite borghese “di sinistra”, la cui cultura di riferimento – come scriveva nel 1995 il sociologo Christopher Lasch, non certo un discepolo di Julius Evola – è impregnata di multiculturalismo, di retorica dei diritti civili e dall’ossessione di annichilire ogni progettualità moderna condannandola come razzista, sessista e antiliberale, la globalizzazione è la New Frontier, una liberazione dai lacci della modernità escogitata per darci infinite opportunità per forgiare il nostro destino individuale (e non come collettività). È all’interno di questa Weltanschauung che piace tanto a molti intellettuali di sinistra, la modernità diventa sinonimo di oppressione statalista, di «conformità ai valori borghesi e […] mantenimento in uno stato permanente di soggezione delle vittime dell’oppressione patriarcale: le donne, i bambini, gli omosessuali e la gente di colore».[6] Quindi la modernità va superata in nome di una nuova post-modernità globalista, dove la retorica dei diritti umani e civili, la compassionevole attenzione per gli oppressi e le minoranze e tutte le correnti politiche e filosofiche che esaltano le differenze – sviluppate a sinistra o a destra – non sono altro che la copertura ideologica per nascondere l’inquietante vuoto politico esistente atto ad “hamburgerizzare” o “mc’donaldizzare” il mondo a immagine e somiglianza degli USA. Claudio Bazzocchi, responsabile dell’area di ricerca dell’Osservatorio sui Balcani di Rovereto, in uno studio sull’uso delle ONG occidentali in ex Jugoslavia per diffondere un modello di sviluppo diverso da quello precedente, osserva:

«Assistiamo oggi al trionfo del politicamente corretto e dei diritti individuali che devono salvaguardare il consumatore, l’unico essere umano a cui venga riconosciuta cittadinanza nelle nostre società. Scompaiono i diritti sociali e la spiegazione delle disuguaglianze; la ricchezza diventa un valore assoluto. I diritti umani sono diventati così la nuova ideologia degli stati-nazione che hanno perso molte delle loro competenze e non riescono più a legittimarsi in base al discorso sull’uguaglianza, alla distribuzione della ricchezza o a un progetto di società».[7]

La sinistra liberal e radical, interessata solo a preservare i diritti umani, civili e le cosiddette “differenze” (il più delle volte create ad arte, da quelle di tipo “genderista” o quelle etniche… la balcanizzazione della Jugoslavia, l’uso delle ONG alla Otpor nell’Europa dell’est per fomentare le rivoluzioni colorate o il fatto che a Kiev ci si adegua ai parametri dell’UE cancellando i diritti sindacali ma i Gay Pride e le Femen – foraggiate da Soros – possono manifestare in piena libertà, rientrano tutti all’interno di quest’ottica individualista, l’arte vecchia come il mondo del divide et impera e intanto distrai le masse dai loro veri bisogni con “emergenze sociali” create ad arte) ha elevato tali diritti a monito post-moderno nell’impossibilità voluta di progettare un ordine sociale alternativo a quello vigente. L’idea propagandata da questa sinistra secondo cui gli Stati non contano più nulla perché tanto oramai la finanza è globale e quindi l’euro e l’UE sono necessari per difendersi dagli squilibri creati da questi nuovi assetti economici, è frutto della sua stessa morte culturale, dato che ormai ha accettato il nuovo Arco costituzionale del politicamente corretto che, per poter permetterle di interagire, fa accettare tutto e a tutti, senza distinzioni di schieramento, trasversalmente, le seguenti regole: non si deve mettere in dubbio l’euro, la sua struttura socio-economica e la retorica dei diritti civili. Questo avviene anche negli ambienti “laici” del centrodestra, com’è evidente dalle esternazioni sugli omosessuali fatte da Berlusconi o il tesseramento dell’ultrareazionario Vittorio Feltri all’ArciGay, gli stessi che in nome di un anacronistico anticomunismo hanno avvallato lo smantellamento dei diritti collettivi sindacali. Buona parte della sinistra cosiddetta radicale (capace cioè di urlare, ma non di cambiare le cose alla radice) ritiene che la sovranità nazionale sia “di destra”, dimenticando che smettendo di reclamare il potere democratico delle nazioni essa cede ai poteri forti, risultando lontana dal sentimento popolare nel nome del nuovo “sol dell’avvenire”, l’“europeismo”, funzionale alla BCE. Che differenza corre fra questa e l’Internazionale Socialista già asservita da tempo a tali dinamiche, quella capace di bombardare Belgrado in nome dei “diritti umani”? Nel 2003 l’organismo internazionale dei progressisti ha redatto un documento firmato dal laburista Tony Blair, da Gerhard Schroeder del SPD e dal socialdemocratico svedese Goeran Persson che inizia con tali parole: «La giustizia non può sempre coincidere con l’eguaglianza» perciò, «l’eguaglianza non può essere l’obiettivo a lungo termine della sinistra. I progressisti devono battersi per la giustizia», ma «nella situazione concreta delle nostre società la realizzazione della giustizia deve anche accettare alcune diseguaglianze, che non sono sempre ingiuste di per sé». Parlando di un intervento pubblico «finanziabile e selettivo», esso rimarrà necessario, perché, prosegue il documento, ognuno esige «non solo la libertà di vivere la sua vita, ma anche la sicurezza».[8] Si è poi passati ad una fase successiva, quella della sinistra riformista che nella Francia di Hollande – il citato mago dei diritti civili individuali ai danni dei diritti sociali collettivi – fonda nel 2008 Terra Nova, un think tank progressista animato da personalità vicine a Dominique Strauss-Kahn, ex presidente del Fondo Monetario Internazionale (il nuovo sponsor del cosmopolitismo di sinistra), e presieduto dal socialista Olivier Ferrand, che nel maggio 2011 pubblica un rapporto per suggerire al Partito socialista di rifondare la sua base elettorale proponendo l’alleanza fra le classi agiate e le «minoranze», quelle etniche nelle periferie e quelle sessuali e culturali nel paese, abbandonando così gli operai e gli impiegati salariati ai loro «valori di destra», cioè la critica all’immigrazione senza controlli, la richiesta di protezionismo economico e sociale e di lotta all’assistenzialismo, perché «Contrariamente all’elettorato storico della sinistra, coalizzato dalle poste in gioco socio-economiche, questa Francia di domani è unificata innanzitutto dai suoi valori culturali progressisti». Tra i due perdenti della globalizzazione – gli immigrati ghettizzati e i modesti salariati minacciati – la “sinistra moderna” dimentica questi e opta per convalidare il potere di un’UE che si regge sul libero-scambismo e su trattati iniqui e dissacranti come il GATT, GATS, TRIPS, TRIMS, TTIP ecc., atti a creare un mercato comune euroamericano. Capiamo quindi perché il PS di Holland è crollato nel maggio 2014 al 12%, regalando il paese alla Le Pen, che si è espansa in ambito operaio, e capiamo che chi grida “dalli al grillino!”, spesso dimentica che Renzi e Vendola sono molto, ma molto peggio, visto che almeno all’estero le sinistre radicali qualcosa di serio lo propongono, e in Germania Oskar Lafontaine, ex ministro tedesco delle Finanze appartenente alla sinistra SPD e cofondatore di Die Linke coi neocomunisti del PDS, non solo ha fatto autocritica verso le sue passate simpatie pro-euro, ma sostiene che bisogna abolire il Trattato di Maastricht, ritornare alla sovranità monetaria statale e concordare un regime di cambi fissi aggiustabili, buttando al macero l’euro per salvare l’Europa (e non l’Unione Europea… due cose diversissime), impedendo così alla Germania di diventare il bersaglio dei popoli europei che soffrono per l’euro, proponendo infine una nuova moneta comune europea, l’Eurobancor, gestito come Keynes voleva che venisse guidato Bretton Woods, coniugando cooperazione europea, sovranità monetaria nei singoli stati e un’economia mista dove lo Stato diventa attore del progetto, e non dall’impresa privata, una proposta diffusa nel nostro paese da Enrico Grazzini (citato in un’interessante articolo apparso su Micromegaonline),[9] ma bocciata sonoramente da questa sinistra zombificata che non ha più come modello né Marx né il detenuto antifascista Antonio Gramsci, ma Spinelli, quello di Ventotene coi suoi “Stati Uniti d’Europa”. Pensati quando nel continente non c’erano né le basi Nato né la Guerra Fredda!


1 M. Schulz, Quel doppio shock che risveglia l’Unione, in «la Repubblica», 21 marzo 2014.

2 E. Grazzini, La sovranità nazionale è di sinistra, in Micromegaonline, 2 aprile 2014.

3 Lettera della BCE al primo ministro italiano, firmata Mario Draghi e Jean-Claude Trichet, 5 marzo 2011.

4 K. Marx, Discorso sulla questione del libero scambio, pronunciato il 9 gennaio 1848 all’Associazione democratica di Bruxelles.

5 G. Cracco, Globalizzazione, capitale, lavoro, in «Paginauno», a. VIII, n. 36, febbraio-marzo 2014, p. 7.

6 C. Lasch, La ribellione delle èlite, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 29.

7 C. Bazzocchi, La balcanizzazione dello sviluppo. Nuove guerre, società civile e retorica umanitaria nei Balcani (1991-2000), Bologna, Casa editrice il Ponte, 2003, p. 45.

8 Pubblicato sul quotidiano tedesco «Die Zeit», ripreso dalla stampa italiana il 15 agosto 2003.

9 Cfr. E. Grazzini, Lafontaine e la trappola dell’euro, in Micromegaonline, 21 maggio 2013; Id., Da moneta unica a valuta comune: una terza via per superare l’Euro, in Micromegaonline, 27 dicembre 2013; J. M. Keynes, Eutopia. Proposte per una moneta internazionale, a cura di L. Fantacci, et al./edizioni, 2011; M. Amato – L. Fantacci, Fine della finanza. Da dove viene la crisi e come si può pensare di uscirne, Donzelli, 2012; D. Palma – G. Iodice, Euro e monete nazionali, the best of both worlds, pubblicato da keynesblog, 26 agosto 2013; A. Gianni, Tra perseverare nell’euro e uscirne, c’è una terza strada da percorrere, in Micromegaonline, 3 settembre 2013 e il numero monografico di «Alternative per il socialismo», n. 28/2013. 


3 commenti per “La classe operaia va all’inferno

  1. 9 luglio 2014 at 20:23

    Perchè ,c’è mai stato un paradiso ? Anche a scapito di alcuni titoli di film che ho pure visto …. magari una volta eravamo (visto che sono operaio) anche presi in considerazione , oggi nemmeno quello … stravolgendo (come ha fatto ben notare l’autore dell’articolo ) il motivo della nascita della sinistra ….

  2. Matteo Luca Andriola
    10 luglio 2014 at 23:21

    La mia, caro Mauro, era una battuta amara per indicare un’amara relatà sulle condizioni della classe lavoratrice oggi ai tempi della BCE.

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