La gara mondiale di matematica

“ E’ un ricordo della mia infanzia. Abitavo a Gottinga nel dicembre del milleottocentosettanta. Mio padre ed io giungemmo all’Accademia quando il presidente Maust stava cominciando l’appello dei partecipanti alla Gara Mondiale di Matematica. Subito babbo andò a mettersi fra gli iscritti dopo avermi affidato alla signora Katten, amica di famiglia. Seppi da lei che il colpo del cannone di Pombo, il bidello, avrebbe segnato l’inizio della storica contesa. La signora Katten mi raccontò un episodio, ignoto ai più, intorno all’attività di Pombo. Costui sparava da trent’anni un colpo di cannone per annunciare il mezzogiorno preciso. Una volta se n’era dimenticato. Il dì appresso, allora, aveva sparato il colpo del giorno prima, e così di seguito fino a quel venerdì del milleottocentosettanta, Nessuno a Gottinga si era mai accorto che Pombo sparava il colpo del giorno avanti. ”Esauriti i preliminari, la gara ebbe inizio alla presenza del principe Ottone e di un ragguardevole gruppo di intellettuali. “Uno, due, tre, quattro, cinque… Nella sala si udivano soltanto le voci dei gareggianti. “Alle diciassette circa, avevano superato il ventesimo migliaio. Il pubblico si appassionava alla nobile contesa e i commenti si intrecciavano. Alle diciannove, Alain, della Sorbona, si accasciò sfinito. “Alle venti, i superstiti erano sette. ”36767, 36768, 36769, 36770…” “Alle ventuno Pombo accese i lampioni. Gli spettatori ne approfittarono per mangiare le provviste portate da casa. “40719, 40720, 40721…” “Io guardavo mio padre, madido di sudore, ma tenace. La signora Katten accarezzandomi i capelli ripeteva come un ritornello: ’Che bravo babbo hai,’ e a me non pareva neppure di avere fame. Alle ventidue precise avvenne il primo colpo di scena: l’algebrista Pull scattò: “Un miliardo”.  “Un oh di meraviglia coronò l’inattesa sortita; si restò tutti col fiato sospeso. “Binacchi , un italiano, aggiunse issofatto: “’Un miliardo di miliardi di miliardi.’ Nella sala scoppiò un applauso subito represso dal Presidente. Mio padre guardò intorno con superiorità, sorrise alla signora Katten e cominciò: “’Un miliardo di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi…’ “La folla delirava: ‘Evviva, evviva. ’“La signora Katten e io, stretti uno all’altro, piangevamo dall’emozione. “…di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi.’ “Il presidente Maust, pallidissimo, mormorava a mio padre, tirandolo per le falde della palandrana: ’Basta, basta, le farà male.’ Mio padre seguitava fieramente: “… di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi.’ A poco a poco la sua voce si smorzò, l’ultimo fievole di miliardi gli uscì dalle labbra come un sospiro, indi si abbattè sfinito sulla sedia. Gli spettatori in piedi lo acclamavano freneticamente. Il principe Ottone gli si avvicinò e stava per appuntargli una medaglia sul petto quando Gianni Binacchi urlò: “’Più uno!’ “La folla precipitatasi nell’emiciclo portò in trionfo Gianni Binacchi. Quando tornammo a casa, mia madre ci aspettava ansiosa alla porta. Pioveva. Il babbo, appena sceso dalla diligenza, le si gettò tra le braccia singhiozzando: ‘Se avessi detto più due avrei vinto io.’”

 (Cesare Zavattini – I tre libri, Parliamo tanto di me – Bompiani  – cap. XVI pag. 48,49,50)

Questa breve novella di Cesare Zavattini, un vero gigante del 900, non solo ha un valore nella didattica della matematica, spesso ripresa da un grande matematico e pedagogista quale fu Lucio Lombardo Radice, ma è poesia del mondo NUMERARIO. Adesso c’è il tabellone dello John Hopkins University con contagiati-morti- guariti; è il rating del mondo sospeso, è il Covid-Risiko e servirà a decidere i danni di guerra. Lo standard exchange, cioè l’unità di riferimento di questo totalizzatore è data entro due limiti politici: la Cina che ha iniziato e risolto, fornisce i valori temporali, e la Russia che ne è fuori (di fatto), la tendenza a 0 (zero). Tutti gli altri si trovano dentro con numeri forniti a casaccio dai singoli ma messi a confronto semplicemente con questo criterio “l’abbondanza di contagiati” e la percentuale di morti. Scavalcati dagli USA sulla prima voce siamo in netto vantaggio sulla seconda, che nella percezione umana è la fondamentale, riguardando l’istinto più forte quello della paura. Si sente ogni giorno parlare di numeri, i morti accanto ai tamponi, e numeri di numeri, le stime della crisi economica e l’importo dei bonus, di Δ (delta) di numeri che disegnano curve di speranza per il “risultato atteso” o per l’aumento di “tamponati”. A 1 metro inizia la distanza sociale ma non è chiaro a quanti metri inizi la distanza da casa, numeri apodittici e numeri flessibili, nuove categorie della matematica. L’abitudine quotidiana, l’alfabetizzazione a tenere di conto, deriva dal dominio della moneta, se non fosse che anche qui con il denaro digitale tutto è diventato più “infinitesimale” e i soldi che non si vedono più, confondendo il conto della serva. Il problema è che il numero è un’invenzione umana e si conta ciò che si vuol contare; come tutto il resto del mondo umano dipende da una scelta, politica, ma d’altra parte l’uomo è animale politico e la sua ragione è politica, nel bene e nel male. Ivan Illich per attaccare quello che lui chiama “monopolio radicale dell’auto” esibì dei dati davvero apocalittici che alla metà degli anni 70 del 900 con 50.000.000 di morti quasi pareggiavano per incidenti d’auto a quelli della II guerra mondiale, la più grande tragedia della storia umana. Si dirà ma il nostro attuale confuso contare ha la passionale urgenza dell’emergenza, dunque non una ratio, il numero che vale è, come nella novella, quello di chi strilla più forte e il più alto quello di chi ha più fiato. Questo numerare è solo, e tutto, nella sua emissione. Bisognerebbe ricercare, invece, una proporzione, metron, ma il mondo è incantato dall’infinito (indefinito) dell’economia la nuova teologia che come la vecchia preferisce accumulare numeri. Poi si dice “ma soffriamo per i tanti morti”; non è così, si dice di soffrire, e forse si vorrebbe pure soffrire anche per esserne più convinti, ma si è solo davanti a conteggi a forme grafiche. Dunque, il tabellone Covid-Risiko ha una seconda funzione apotropaica: sperare di risolvere il problema guardando i segni e le curve da qui, per allontanare la paura di diventare un numero li. La sofferenza è una passione quindi una qualità non un numero, cioè non aumenta per quantità ma dipende dalla prossimità al sofferente, è un situarsi vicino, è la situazione della cura, dell’aver cura di UNO, è legata alla sua unicità, ovvero: non è NUMERABILE. Vi siete chiesti perché la maggior parte delle attuali, probabilmente anche future, polemiche sulla Sanità lombarda si risolvono, e risolveranno, con la richiesta di altri soldi – di altri numeri – come se questi bastassero a modificare la politica e l’organizzazione – la qualità – per dare altre finalità che non siano solo quelle farmaceutiche e ospedaliere al sistema –la misura -.

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Fonte foto: Controradio (da Google)

 

 

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