La guerra dei semiconduttori (prima parte)

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Mentre la guerruncola Russia – Ucraina procede stancamente senza nè vinti nè vincitori sembra che pochi si accorgono che la vera guerra per il dominio mondiale è nel Pacifico. La Cina invaderà Taiwan? Che lo faccia presto perché tra poco sarà troppo tardi. Ma sarebbe la III guerra mondiale? Si, questa volta davvero.

 

Questa è la premessa, un po scioccante, di quella che è la “guerra dei semiconduttori” che si può anche dire con un’altra espressione: chi controlla il mercato della fabbricazione dei circuiti integrati controlla il mondo. Infatti chi avrebbe questo privilegio non solo avrebbe ai suoi piedi il mercato più redditizio del mondo ma anche la tecnologia più avanzata in assoluto che avrebbe, anche se con un po di ritardo, inevitabili ricadute anche nel campo militare. Immaginate la guerra del futuro: soldati dotati di elmetti collegati tra loro e ad una Intelligenza Artificiale che ne guida l’attacco individuando il nemico e calcolando in miliardesimi di secondo ogni possibilità, perdita o vantaggio. Fantascienza? No è il futuro. Immaginate formazioni di droni sempre guidate da IA dotate di reti neurali di altissimo livello tali da comportarsi in modo “quasi” umano nell’apprendere come eliminare sacche di resistenza. Immaginate infine, ma è già realtà, un mondo dominato dalle reti e dai loro terminali: smartphone, server, computers, auto, treni e aerei a guida autonoma; tutti integrati tra loro e dotati di chip contenenti 500 miliardi di transistors.

Chi produrrà questi chip avrà il mondo “preso per le palle” letteralmente (scusate l’immagine un po forte).Troppo fantascientifico? Mica tanto: esistono già sul mercato chip che contengono 50 miliardi di transistors. Ma chi li produce?

 

L’evoluzione del controllo del mercato dei semiconduttori negli ultimi 15 anni.

 

Per capire questo dobbiamo fare un passo indietro di circa una quindicina di anni. Come vedremo questa è una vera storia globale in cui anche l’Europa ha una sua parte importante (ma non l’Italia, i nostri beneamati politici avevano già deciso molti anni prima che i computers non servivano ad arricchire le loro tasche e quindi avevano tranquillamente svenduto l’industria nazionale ai compradori esteri [1]). Siamo nel 2007, il mercato mondiale della fabbricazione di IC (Integrated Circuits) è in massima parte americano. INTEL la fa da padrona con i suoi processori della serie X86 fabbricati in Arizona, mentre nel Pacifico in Corea del Sud sta nascendo una nuova stella nel mercato dei semiconduttori SAMSUNG ma il primo smartphone Galaxy uscirà solo nel 2009. Anche Apple, che sta per lanciare l’Iphone, sta transendo dai processori PowerPC di IBM a quelli di INTEL ritenuti ormai superiori, ma per il primo Iphone utilizzerà un processore sviluppato da SAMSUNG.

In quel momento i processori più veloci hanno circa 500 milioni di transistors. INTEL ha sviluppato la tecnologia multi-core per cui su ogni chip vengono disegnati più di un processore, al momento da 2 a 4 (il primo multicore erastato un Power IBM [2]). Nel 2007 il processore con più transistors era l’Itanium 2 di INTEL che ne aveva 1.6 miliardi che era usato nei servers. Il processo di fabbricazione era a 90 nm (nanometri ovvero 90 miliardesimi di metro [3]). INTEL era quel che adesso viene definita una IDM (Integrated Device Manufacturer) ossia una società che disegna, fabbrica e vende i propri circuiti integrati. Altre IDM erano SAMSUNG, da sempre comunque una grande conglomerata, Texas Instruments (TI) altra grande che produceva una gamma molto vasta di apparati elettronici. Andavano comunque già all’epoca differenziandosi altre due diverse tipologie nell’industria dei semiconduttori: “fabless” e “pure play”.Le prime sono imprese senza fabbriche (fabless è la contrazione di “fabrication less”) le quali progettano processori che saranno poi fabbricate da IDM o da fabbriche “pure play” le quali al contrario non progettano ma realizzano solamente. Apple è probabilmente l’impresa fabless più nota dato che non ha mai fisicamente fabbricato i suoi processori nei suoi impianti (la strategia di Jobs è sempre stata quella di prendere il meglio della tecnologia e assemblarla insieme per ottenere qualcosa di nuovo).

Tra le fabless nel 2007 era già presente AMD, famosa per i suoi processori che sfidavano il quasi monopolio di INTEL, che proprio in quel momento aveva deciso di uscire dal comparto della manifattura. Nel 2008 nascerà con sede negli emirati arabi Global Foundries (GF) in partenza una “pure play” che produrrà i processori AMD in joint venture con capitali degli UAE. Negli anni a venire AMD venderà progressivamente tutte le sue quote in GF. Tra le industrie “pure play” vi era già la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) di Taiwan che nel 2007 aveva un attivo di circa 10 miliardi di dollari. In quegli anni TSMC aveva partecipato ad una alleanza denominata “Alliance Les Crolles 2” dal nome della cittadina francese dove aveva sede una fabbrica di STMicroelectronics presso Grenoble, azienda franco-italiana, a quel tempo il quinto produttore mondiale di semiconduttori.

 

ARM e RISC

 

Oltre a STMicroelectronics tra le tante piccole compagnie nate col boom dei personal computers degli anni 80 vi era ARM ltd. E’ una società britannica che deriva dalla più antica Acorn Computers in joint venture con Apple. L’interesse di Apple per la Acorn, con la quale anche Olivetti aveva avuto un “business”, era che quest’ultima aveva sviluppato un processore detto Acorn RISC Machines, ARM appunto che Acorn aveva commercializzato nel 1987 nei suoi computers. Questo processore era basato su un “set di istruzioni ridotte” (Reduct Istructions Set Computer = RISC).
Il vantaggio dei computer RISC era quello che erano più veloci perché rispetto ad un computer tradizionale avevano poche istruzioni semplici da eseguire e il processore non doveva perdere tempo a decodificare istruzioni complesse fatte di molti sub-passaggi (in alcuni processori, ad esempio il Motorola 68000 il primo utilizzato da Apple circa 1/3 dei transistors era impiegato per tradurre le istruzioni complesse inun linguaggio più semplice; anche i processori di INTEL non erano e non sono attualmente dei processori RISC, anche se con la complessità degli attuali sistemi questa differenza si è molto attenuata).

La società Advanced RISC Machines ltd. ovvero, dal 1998 semplicemente ARM ltd., doveva continuare lo sviluppo dei processori RISC utilizzandone una sua versione del set di istruzioni detta appunto ARM (senza ltd.). Apple aveva proposto la joint venture perché interessata allo sviluppo di un sistema, detto Newton, di Personal Device Assistent  (PDA). Era sostanzialmente un computer palmare, una sorta di primitivo tablet con tanto di touch screen. Ma era troppo costoso e fu abbandonato presto. Tuttavia Apple sviluppò software e hardware che gli tornerà utile. Un palmare con un antenna infatti inizia a somigliare a qualcosa di familiare: un telefono cellulare. Infatti nel 2007 Apple per l’Iphone utilizzò un processore ARM ma lo fece produrre materialmente da SAMSUNG che aveva le licenze da ARM ltd. per produrlo.

Tre anni dopo nel 2010 Apple e SAMSUNG iniziarono a differenziarsi. La competizione dei cellulari SAMSUNG iniziava a farsi sentire. Per cui Apple iniziò a disegnare da sola (“In house”) i propri processori a partire dal tabletIpad e dall’Iphone4. Il processore era detto A4 ed era sempre un ARM [4]. Nel 2010 INTEL dominava ancora il mercato degli Home Computers e la stessa Apple usava ormai completamente solo processori INTEL X86 per i computers. Il processore di punta era l’INTEL Xeon “Beckton” EX a 8-core che aveva circa 3 miliardi di transistors ed era prodotto con un processo di fabbricazione con una risoluzione di 45 nm. In confronto l’ARM A4 aveva con lo stesso processo a 45 nm all’incirca 200 milioni di transistors. In media la crescita del numero di transistors continua a seguire la c.d. Legge di Moore: il numero di transistors nei processori raddoppia ogni 18-24 mesi.

Una nuova svolta avvenne col processore Apple A8 sempre un ARM based con 2 miliardi di transistor e prodotto da un processo a 20 nm da TSMC [5]. Apple abbandonava SAMSUMG e si affidava a TSMC i cui profitti aumentarono dal 2012 al 2014 di quasi il 50%. Sempre nel 2014 lo Xeon “Haswell” con 18 cores aveva 5,7 miliardi di transistors realizzati con un processo a 22 nm. Come si vede gli A di Apple iniziavano a divenire competitivi con i top di gamma in termini di numero di transistors: dal 2010 al 2014 il rapporto era passato da 15 volte a circa 3 volte. Si avvicinava il momento in cui i processori ARM, pensati per glismartphone, avrebbero iniziato a insidiare il mercato dei processori X86?

 

Come si fabbrica un processore?

 

Conviene a questo punto fare una piccola digressione sulle tecniche di fabbricazione perché alla fine questo è il sancta-sanctorum di tutta la guerra dei semiconduttori. Il progresso nel numero di transistors è strettamente legato alla possibilità di integrarne il maggior numero su un chip di dimensioni ragionevolmente piccole (specialmente per gli smartphones). La tecnica che viene usata è la fotolitografia che nel tempo è diventata una tecnica estremamente complessa.

La sua origine è semplice: si crea una maschera che contiene il disegno del circuito, sullo strato di silicio o altro materiale viene applicato un photoresist, ovvero un materiale che è sensibile alla luce, la maschera viene posta tra il chip e la sorgente luminosa, in questo modo la luce illuminerà solo le parti di photoresist che sono esposte alla luce. Dopodiché il photoresist viene “sviluppato” e sul chip resterà l’immagine che era sulla maschera, le aree non protette dal photoresist saranno asportate con un processo detto di etching (“incisione” processo simile all’acquaforte, che può essere chimico o fisico attraverso l’esposizione ad un plasma) e si otterrà un disegno tridimensionale. Successivamente anche il restante photoresist viene rimosso chimicamente. I circuiti integrati sono estremamente complessi e richiedono il posizionamento di più strati di metalli, isolanti e semiconduttori, per cui il processo deve essere ripetuto più volte per lo stesso chip. La risoluzione, che è la minima distanza tra due dettagli del chip o la dimensione minima di un punto che può essere realizzata senza sovrapporsi ad altri punti è il parametro fondamentale ed è direttamente collegato al numero di dettagli che posso definire nel disegno e quindi in definitiva al numero di transistors. Ma come si fa a disegnare qualcosa con una risoluzione di 20 nm, che non si vede nemmeno con un microscopio ottico? (il limite è la lunghezza d’onda della luce visibile circa 500 nm). Il problema è nella sostanza un problema di ottica ed è legato alla c.d. legge di Abbe che afferma che la minima risoluzione di un dispositivo ottico è data dalla lunghezza d’onda della luce, divisa per l’apertura della lente (proporzionale all’inverso di quello che nelle macchine fotografiche è il c.d. numero f) moltiplicata per un fattore numerico il cui minimo è 1/4 (ovvero possiamo sperare di risolvere fino a un quarto della lunghezza d’onda diviso l’apertura).

Quindi cerchiamo di trovare una luce che abbia la più bassa lunghezza d’onda e questa è la luce UV Ultravioletta, di più ci mettiamo nel range del c.d. Deep Ultra Violet (DUV) dove esistono sorgenti (non visibili all’occhio umano) ad esempio a 193 nm (la luce visibile va da 390 nma 700 nm). Se utilizziamo una lente che ha un’apertura di 1.25 avremo al massimo una risoluzione di (193/4) x (4/5) = 193/5 circa 38 nm (forse di più: abbiamo usato 1/4 per il fattore numerico che è l’ideale). Non siamo ancora a 20 nm, però ci sono dei trucchi che consistono in esporre più volte la stessa maschera (multiple patterning) che permettono di aumentare la risoluzione anche se danneggiano la resa (yield) ovvero quanti chip dovrò buttare nell’immondizia dopo il processo perché non sono venuti bene. Un processo DUV con multiple patterning può arrivare anche a 7 nm di risoluzione, ma con grande sforzo e bassa produttività il che aumenta terribilmente i costi di produzione.

 

 

[1] Soprattutto con Olivetti il comportamento del governo fu incuria e ignoranza in diversi momenti fino a benedire gli avventurismi finanziari di Colaninno & C. (cfr. Luciano Gallino – La Scomparsa dell’Italia Industriale). Un tentativo di recupero ci sarà con la sotto citata STMicroelectronics che però si rivelerà un altro buco nell’acqua essendo la società in sostanza a guida francese e con sede legale ora in Olanda e sede fisica in Svizzera.

 

[2] IBM era ed è tutt’ora un’altra grande multinazionale che produce molto altro oltre alla sua storica e continua fino ad oggi linea di super-computers (i processori Power sono continuati fino ad oggi ma sono prodotti da SAMSUNG). Non è propriamente considerabile una IDM perché non produce i propri processori, da questo punto di vista è una fabless. Anche il famoso PC IBM che aprì il mercato degli home computer negli anni 80 utilizzava processori sviluppati da INTEL in quanto i processori IBM erano solo per grossi mainframe (supercomputers).

 

[3] Processo o risoluzione a 90 nm, dove 90 può essere un altro qualsiasi numero, vuol dire che le dimensioni minime di un punto metallico o in altro materiale realizzabile sul chip sono di 90 nm (90 miliardesimi di metro). Vedi anche il successivo paragrafo: come si fabbrica un processore. Più piccola è la risoluzione più piccoli saranno i transistors realizzabili e quindi a parità di area se ne potranno mettere di più.

 

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Apple_A4

 

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Apple_A8

 

Allegoria delle potenze del pacifico di Liu Yi. US, Cina, Giappone e Russia giocano ad uno strip-mahjong. All’estrema sinistra il Giappone è ormai completamente nudo, mentre gli US di fronte apparentemente sono ancora vestiti, ma si scorge che hanno perso qualcosa sotto la vita, la Cina di spalle e la Russia languidamente stesa e quasi disinteressata per il momento al gioco hanno ancora qualche panno addosso. La servetta sulla destra rappresenta Taiwan (fonte: internet).

 

2 commenti per “La guerra dei semiconduttori (prima parte)

  1. Giulio larosa
    17 Settembre 2022 at 12:53

    Molto interessante sono elettro meccanico e quindi so poco di queste cose. I canali di informazione cinesi mi mandano molte notizie di supercalcolatori quantici, microprocessori ecc… attendo la prossima puntata x saperne di più. Quanto alla servetta penso che si riunirà alla madrepatria senza bisogno di guerre. Sono cinesi, restare legati a quella fogna sempre più miserabile e imbarbarita degli usa non è più conveniente. Un taiwanese con la cina può entrare in una grande nazione che è con la sua stessa lingua e cultura può diventare ministro, può essere coinvolto in grandiosi progetti di sviluppo in casa e in tutto il mondo. Gli usa al massimo gli possono offrire una vita da gallina ovarola in gabbia, a rischio di finire in brodo e sfruttata fino all esaurimento. Che convenienza c è?

    • Federico Lovo
      17 Settembre 2022 at 15:38

      da quanto so, a Taiwan ci sono fazioni diverse, i “nazionalisti” sono più per business e accordi con la RPC, i “progressisti” sono più legati allo Stato Profondo americano. Per il PCC è una faccenda complicata.

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