La nostra democrazia. Con quale coraggio

Nella crociata bellica a difesa dei sacri valori mercantilistici, il monito per giustificare la disintegrazione fisica e morale dei Paesi non allineati è la non corrispondenza di questi a un ideale democratico. Secondo canoni di giudizio da noi distribuiti con elementare severità.
Per distinguere le democrazie con quelle che sono state chiamate democrature o in casi estremi dittature si fa riferimento al pluralismo. Politico e dell’informazione.
Ebbene in questi casi il grottesco raggiunge picchi d’altissima quota.
Il nostro Parlamento ad esempio, da anni, non presenta più alcun dibattito sulle idee. I partiti che superano la soglia di sbarramento, che hanno accesso ai mezzi d’informazione devono attenersi a determinate regole d’ingaggio pena la persecuzione psicologica.
Tutti hanno il dovere di professarsi europeisti. Tutti atlantisti.
Qualora emerga una flebile variazione sul tema da parte di quelle forze politiche a cui è concessa la visibilità dello Spettacolo, ecco che si scarica la scure dell’impresentabilità, della non affidabilità per governare, del dileggio istituzionalizzato, del dossieraggio, della messa alla gogna. E delle inchieste giudiziarie. Così va avanti dal 1992 in un crescendo di ostracismo istituzionalizzato.
Per non parlare di quelle forze sociali o politiche che si richiamano – nella realtà e non nell’immaginario – alla tradizione socialista o comunista, di quei sindacati di base che ancora interpretano la democrazia in senso conflittuale. Questi soggetti insieme alle mobilitazioni dei lavoratori non esistono. Non vengono prese minimamente in considerazione dall’agenda di governo e non vengono rappresentate nel dibattito parlamentare. L’unica struttura che gode di una voce in capitolo è Confindustria. Solo lei può accarezzare l’idea di condizionare l’indirizzo politico.
Mentre da noi si vive in cappio così pervicacemente anti-democratico, in quello che è stato definito il totalitarismo liberale – che misura i propri livelli di pluralismo solo sulla concessione di qualche diritto civile e soggettivo – gli scudieri della società aperta ma assolutista fanno le pulci a qualsiasi altro sistema che non accetta la colonizzazione dei nostri capitali. Si ha l’ardire di porre giudizi di merito anche quando il nostro Parlamento è perfettamente inginocchiato a UE e Nato, come l’Arlecchino servo di due padroni. Si può sostenere senza alcuna vergogna che l’unico manipolo di opposizione in Parlamento consisterebbe in un club di traditori mentre un Paese che vede all’opposizione un forte partito comunista rappresenterebbe la quintessenza delle dittature. Senza arrossire per la vergona.
L’informazione è poi ancora meno in grado di fornire patenti. La concentrazione privata dei mezzi d’informazione, la trasformazione del servizio pubblico in un riammodernato Istituto Luce, provoca un coro unanime e plaudente a ogni misura che incontra i favori dei “mercati” o delle forze di occupazione del Paese (sempre UE e Nato). Chiunque faccia emergere dubbi viene vilipeso, deriso, insultato, denigrato. Le voci dissenzienti equiparate alla follia, al caricaturale, all’eversione. Trasmissioni preconfezionate ospitano vittime sacrificali in agguati premeditati che diventano poi oggetto di campagne stampa indirizzate al pubblico ludibrio. Con l’aiuto di influencer, opinionisti dell’ultima ora, cortigiani del pensiero unico vengono accompagnati all’uscio che porta al silenzio.
Nel frattempo chiunque si allinea alle direttive di Washington negli Stati non allineati viene ricoperto dalla medaglia del “dissidente”. Per loro il procedimento è opposto. Senza curarsi di alcun riscontro sull’attendibilità delle loro parole, questi improvvisi eroi della libertà vengono accolti in processione adorante dai mezzi d’informazione. Loro sì sono credibili per principio.
La nostra libera informazione, pubblica tra l’altro, oggi ha stralciato un contratto firmato con il Prof. Orsini, reo di pensare criticamente la realtà. In poche ore le squadracce liberali, gonfie dei loro oli di ricino verbali, si sono scatenate in una caccia alle streghe. Qui gli intellettuali si vogliono allineati e coperti. Gli altri sono da mandare al confino. Addormentati dall’invisibilità. Fatti riposare nelle loro cliniche di rieducazione nelle quali si mette in atto la massima Goebbelsiana, quella poi recepita dagli strateghi del marketing cool e civilizzante: “l’essenza della propaganda sta tutta nella semplicità e nella ripetizione”.
Questo principio, coniato a suo tempo dallo scagnozzo hitleriano, viene spesso ripetuto dagli esperti della comunicazione. Occorre abbreviare i messaggi, semplificare. Così si convince il pubblico. Ma la realtà è opposta. Quando si abbrevia, quando si semplifica, Goebbels ha già vinto. Perché quello è il suo campo di gioco.
Quindi finiamola. Queste, le nostre, non sono democrazie. Nessuno di noi può consegnare patenti. Qui, nelle compite liberal-democrazie dei mercati, si vive in una tirannia bel più subdola e opprimente di quelle novecentesche. Dove la violenza del potere è così pervasiva, interiorizzata, persuasiva da non lasciare spazio alla dignità del dissenso. O all’eroismo di chi resiste. Il tiranno qui è democratico.

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