La nuova falsa coscienza dell’Occidente

Tutte le forme di dominio sociale e politico che si sono manifestate nella storia hanno avuto bisogno di essere supportate da un’ideologia di riferimento che sostenesse e giustificasse quel dominio stesso.

L’ideologia, di conseguenza, può essere definita come “falsa coscienza” (nell’accezione marxiana del termine), cioè come una sorta di coperchio (ideologico) che serve a giustificare l’ordine sociale esistente che deve essere interiorizzato proprio da chi quel dominio lo subisce.

Per comprendere meglio ciò che voglio dire, basti pensare che fino a qualche secolo fa, proprio nel cuore della civilissima Europa, si era arrivati a sostenere che il potere dei re (e delle regine) e degli imperatori (e delle imperatrici) fosse addirittura di origine divina, con tanto di “filosofi” e ideologi di regime (per lo più, anche a quell’epoca, a stipendio) che si adoperavano per dimostrare logicamente tale assunto.

Le ideologie mutano, naturalmente, con il mutare delle condizioni storiche, sociali, economiche, ambientali e culturali, cioè con il mutare delle forme del dominio sociale. E’ quindi evidente che una stessa ideologia non può andar bene per tutte le epoche e per tutti i contesti. Al contrario, se non opportunamente rivisitata, rinnovata e corretta rischia di essere addirittura di ostacolo alla riproduzione del dominio sociale stesso. In tal caso deve essere rimossa e sostituita con un’altra più funzionale alle mutate condizioni storiche, politiche e sociali, cioè alle nuove forme del dominio sociale.

E’ esattamente il processo (l’ultimo, in ordine di apparizione sulla scena storica) a cui abbiamo assistito negli ultimi trent’anni nel mondo occidentale, dalla caduta del muro di Berlino ad oggi.

Per capire meglio, facciamo qualche passo indietro. Dai primi anni del secolo scorso fino al crollo del sistema sovietico, l’ideologia dominante nel mondo occidentale era sostanzialmente rappresentata dal vecchio apparato valoriale borghese che potremmo sintetizzare, per brevità, nel famoso detto, “Dio, Patria e Famiglia”, che si contrapponeva, per un certo periodo anche efficacemente , all’ideologia e all’ateismo comunista, distruttori, secondo il racconto ideologico dominante, di ogni valore e di ogni moralità umanamente e ragionevolmente concepibili . La Chiesa cattolica (e non solo cattolica), fondamentalmente alleata con il potere temporale borghese (quindi capitalistico ma non ancora assoluto e ultracapitalistico) costituiva il baricentro di questa strategia ideologica, naturalmente in funzione anticomunista.

Con il dissolvimento dell’URSS, il venir meno del comunismo (cioè del “male assoluto”, ora sostituito con l’Islam e con i cosiddetti “stati canaglia”, non necessariamente islamici) e contestualmente alle profonde e strutturali trasformazioni economiche e tecniche (e quindi conseguentemente anche sociali e culturali) avvenute nella società capitalistica (basti pensare alla fine della cosiddetta fabbrica fordista, alla ultraparcellizzazione, automazione  e frammentazione del lavoro, al conseguente sconvolgimento delle classi sociali avvenuto in seguito a tale processo e al ruolo decisivo e sempre più pervasivo della tecnica, pensiamo ad esempio all’eugenetica), il vecchio sistema valoriale borghese (Dio, Patria e Famiglia) diventava del tutto inservibile e anzi di ostacolo al parzialmente nuovo ordine sociale “post borghese” e ultracapitalista.

In che senso, si domanderanno in molti, “post borghese” e ultracapitalista?

Il sistema capitalista si è affermato nel XVIII e nel XIX secolo (e in parte anche nel XX) giustificando e coprendo il suo dominio sotto le bandiere del Liberalismo e dell’Illuminismo, che sono state le sue ideologie di riferimento, e della democrazia. L’equazione era: capitalismo=libertà=democrazia=diritti.

Era inevitabile che così fosse. C’era la necessità di scardinare l’”ancient regime” con tutti i suoi legacci sia di ordine economico e politico che culturale e religioso, e per fare questo serviva una nuova ideologia che rappresentasse il processo in corso, cioè l’avvento della nuova classe borghese e capitalistica.

Ma stiamo parlando di un tempo e di un epoca ormai andate. Le condizioni storiche (economiche, sociali e tecnologiche), come dicevo all’inizio, mutano costantemente.

La storia ha dimostrato infatti che quella equazione di cui sopra è da tempo completamente saltata e che il capitalismo si afferma e prolifera forse ancor meglio in parziale se non in totale assenza di diritti e di democrazia. Il capitalismo ha infatti convissuto allegramente con le più brutali dittature militari e fasciste in America Latina, in Asia e anche in Europa e convive altrettanto allegramente con il Wahabismo ultraintegralista (vedi Arabia Saudita), con lo stato-partito neoconfuciano capitalistico cinese e nel complesso con tutti i contesti sociali autoritari asiatici, sia pur in parte differenti l’uno dall’altro.

La democrazia e i diritti presenti nel mondo occidentale non sono figli del capitalismo, rispetto ai quali è del tutto indifferente dal momento che la sua essenza e la sua unica finalità sono date dalla riproduzione in linea teorica illimitata di se stesso e dalla ricerca delle migliori condizioni per la suddetta riproduzione, ma delle lotte sociali e politiche che hanno condizionato il suo sviluppo in occidente e hanno “imposto” diritti, democrazia e stato sociale (peraltro, non a caso, opportunamente schiacciati quando le esigenze storiche e politiche lo rendevano funzionale e necessario; leggi nazismo e i vari fascismi europei).

Come dicevamo poc’anzi, nella prima fase del suo sviluppo, il capitalismo, dietro le bandiere del Liberalismo, dell’Illuminismo e della Laicità (ora laicismo) gettò al macero (oggi diremmo che “rottamò”) il vecchio ordine sociale feudale il cui collante e la cui copertura ideologica erano fondamentalmente di natura religiosa (anche se, come sappiamo, il Calvinismo e il Protestantesimo hanno svolto un ruolo fondamentale nel’affermazione del Capitalismo, ma questo è un altro discorso ancora che ci porterebbe troppo lontano…).

Ma le nuove condizioni storiche successive a quelle (siamo già a cavallo tra il XIX e il XX secolo) rendevano necessaria una nuova ideologia (falsa coscienza) utile a contrastare efficacemente il nuovo antagonista, il movimento operaio e le ideologie da esso scaturite, cioè fondamentalmente il Socialismo e il Comunismo. Da qui la necessità di “riesumare” e di recuperare, in ogni suo aspetto, e soprattutto anche nella sua “variante” cattolica, la religione, in quanto strumento di contrapposizione e di lotta ideologica proprio contro il Socialismo e il Comunismo. L’ateismo ideologico marxista e l’anticlericalismo viscerale del Socialismo ma anche e soprattutto del movimento anarchico favorirono quel processo. Nel momento in cui il Comunismo si fa stato (rimandiamo ad altro momento l’analisi sulla reale natura del cosiddetto “Socialismo reale”…) e assume l’ateismo marxista quale ideologia ufficiale, la religione e la Chiesa cattolica hanno buon gioco nel diventare il nuovo argine e la nuova bandiera ideologica da contrapporre a quella atea e comunista.

Arriviamo, dunque, ai nostri giorni. Il Socialismo reale non regge la competizione con l’Occidente capitalistico e si autodissolve. Non si tratta soltanto della fine di un apparato burocratico e statuale. Il crollo del Socialismo reale trascina con se l’idea stessa di concepire la possibilità di un’alternativa concreta al sistema capitalistico. Ne faranno le spese non soltanto il movimento comunista mondiale ma anche la socialdemocrazia europea la cui capacità di incidere politicamente era fondamentalmente determinata dall’ esistenza del campo “socialista”. Venendo meno quest’ultimo, anche la socialdemocrazia occidentale perde inevitabilmente ruolo e funzione perché in assenza di quel sistema (e in assenza di una idea “forte” di trasformazione sociale), il capitalismo non ha più nessuna ragione per mantenere welfare, sicurezza e diritti sociali e del lavoro (anche di questo ci occuperemo in un altro momento).

Ma se qualcuno piange, qualcun altro non ride, come si suol dire, perché anche la Chiesa in questa nuova congiuntura storica non se la passa tanto bene, dal momento che la funzione che era stata chiamata a svolgere e alla quale si era dedicata anima e corpo, è tendenzialmente in via di esaurimento. Non solo, le istanze di ordine etico di cui la Chiesa era ed è per lo meno formalmente portatrice potrebbero diventare un ostacolo per il sistema capitalistico divenuto ormai assoluto, senza più un blocco geopolitico e militare in grado di contrastarlo e finalmente “libero” da qualsiasi altra istanza, sia essa di ordine politico, filosofico, culturale, etico e financo religioso che non sia la sua illimitata riproduzione, cioè l’illimitata riproduzione del capitale stesso e della cosiddetta “forma merce”.

Una illimitata riproduzione, è bene specificarlo, che viaggia in tutte le direzioni: spaziali, temporali, sociali e, non da ultime, concettuali-culturali- ideologiche.

Il nuovo imperativo categorico diventa quindi quello di rimuovere ogni ostacolo (sia esso geopolitico, sociale, ideologico o religioso) che possa frapporsi sul suo cammino. Da qui l’esigenza di una ancora più nuova, moderna, aggiornata ed efficace ideologia che sappia rappresentare al meglio il nuovo corso storico, il nuovo “spirito dei tempi”.

Ecco , dunque, comparire sulla scena (come il cacio sui maccheroni, potremmo dire…) la nuova ideologia detta del “politicamente corretto” che è a sua volta il contenitore  di altre ideologie:“diritto umanismo”,  relativismo assoluto, “governismo”, femminismo, genderismo, “eugenetismo” e naturalmente, per ultima ma non ultima, una fra le più pericolose di quelle elencate, quella cioè che sostiene il superamento storico delle ideologie (intese in questo caso, non come falsa coscienza necessaria, ma come possibili orizzonti umani e sociali) .

Cerchiamo, sia pur molto sommariamente e con il rischio di banalizzare, di analizzarle una per una e di capire le loro effettive determinazioni e funzioni.

Partiamo dalla prima, cioè il cosiddetto “diritto umanismo”.

Fino ad una settantina di anni fa, per capirci, prima dell’avvento della cosiddetta globalizzazione (cioè il dominio capitalistico su scala planetaria), quando le grandi potenze colonialiste e imperialiste si scontravano direttamente (la non esistenza di armi non convenzionali ancora lo consentiva)  i rispettivi eserciti, formati da poveracci coscritti, per lo più contadini e operai analfabeti o semianalfabeti, venivano riempiti di chiacchiere (falsa coscienza) e mandati a scannarsi in nome della difesa della patria. Oggi questo genere di operazione non è più possibile, perché diventa complicato spiegare alla propria opinione pubblica che si va a bombardare con i droni a 14.000 Km. di distanza per difendere il suolo patrio. Molto meglio e molto più funzionale spiegargli che si va a bombardare al di là dell’oceano per portare democrazia e diritti e per togliere il velo o il burqa alle donne (per sostituirlo con il più “progressista” perizoma o la “liberata” minigonna “girofica” , ma questo è un altro discorso ancora…).

Ideologia numero 2 (non in ordine di importanza, da questo punto di vista sono tutte equivalenti): il relativismo assoluto.

Il capitalismo è stato naturalizzato,  sottratto cioè al dibattito filosofico e concepito non più come una forma storica dell’agire umano (che quindi ha un inizio e una fine) ma appunto come una sorta di dimensione ontologica dalla quale, per ovvie ragioni,  non si può prescindere. Partendo da questo assunto, il dibattito filosofico e politico è stato svuotato di ogni sua effettiva valenza – dal momento che il capitalismo è stato elevato a dimensione ontologica e quindi sarebbe impossibile anche solo il concepire un suo ipotetico ed eventuale superamento – e ridotto ad una giostra di opinioni spogliate di ogni ambizione veritativa (l’unica “verità” è il mercato, appunto perché non c’è bisogno di dimostrare nulla, dal momento che esiste in se e per se, a prescindere) in cui ciascuno dice la sua ma senza nessuna reale capacità di incidere concretamente sulla realtà.

Ideologia numero 3: il “governismo” o “governance”. Dal momento che il mercato e il capitale sono condizioni ontologiche oggettive e non possono essere superati, possono tutt’al più essere governati, o meglio, amministrati (senza interferire più di tanto naturalmente, solo quel tanto sufficiente ad ottimizzare costi e a disinnescare le fisiologiche e strutturali conflittualità sociali) . Ma se il mercato e il capitale non possono essere superati vengono necessariamente a perdere di senso anche le ideologie (e qui saltiamo direttamente all’ultima che abbiamo elencato), né potrebbe essere altrimenti. Da qui lo svuotamento dei concetti di “destra” e di “sinistra”(effettivamente inveratosi nelle attuali condizioni storico-politiche, dove destra e sinistra sono ormai penose parodie di quello che erano originariamente) considerati ormai anticaglie di un passato che fu “dove ancora ci si divideva e ci si scannava per questioni ideologiche”. Per la serie:“Pensate che trogloditi che eravamo”, questo il retro pensiero…. (l’argomento è stato affrontato in questo editoriale: Destra e Sinistra )

Quest’ultima, come dicevo prima, è forse una tra le più pericolose, perché dietro al concetto di fine delle ideologie si nasconde in realtà l’ideologia più subdola e pervasiva, quella appunto che teorizza la loro inutilità e la conseguente necessità del loro superamento definitivo. Una truffa (ideologica) che serve a coprire l’attuale dominio capitalistico, considerato immutabile e insuperabile.

Veniamo quindi al femminismo. Chi conosce il sottoscritto sa bene che da tempo, fra le altre cose, ha sottoposto a radicale critica quella che considera un’ideologia profondamente sessista, interclassista e del tutto funzionale al capitale; appunto, il femminismo. Ho avuto modo di spiegarlo in tanti articoli che ho scritto e che sarebbe impossibile sintetizzare in poche righe. In questa sede mi limito a dire che il femminismo assolve a diverse funzioni, sia “interne” che “esterne”. Quelle “esterne” sono molto evidenti, le abbiamo già in parte evidenziate e si sposano con il “diritto umanismo” a cui abbiamo fatto cenno sopra. Si occupano paesi e stati, si bombarda a destra e a manca non per depredare risorse naturali, non per ragioni di dominio geopolitico – questo il mantra – bensì per liberare le donne dall’oppressione patriarcale e maschilista. Specialmente con i paesi arabi e mussulmani (quelli “cattivi”, naturalmente”, perché quelli “buoni” nostri amici e alleati ce li teniamo stretti e ci guardiamo bene dallo sprecare una  goccia di inchiostro per descriverne le efferatezze) il gioco è molto facile. Ecco, dunque, che neofemminismo e “islamofobia” vanno a braccetto nella criminalizzazione a senso unico di alcuni stati. I recenti casi delle due giovani donne iraniane, Sakineh (poi successivamente liberata in seguito ad una campagna mediatica martellante) e Reyhaneh, “giustiziata” pochi giorni fa, sono emblematici in tal senso.

In Arabia saudita vengono “giustiziate” quattro o cinque persone al mese, in gran parte immigrati asiatici (eloquente, in tal senso, questo articolo del Fatto Pena di morte in Arabia Saudita: terminato ‘il mese del boia’) ma non viene promossa nessuna campagna mediatica in loro favore. Nell’Egitto del regime golpista filo USA, 683 (dicasi seicentoottantatre) militanti dei Fratelli Mussulmani (tutti uomini) sono stati condannati a morte in primo grado di giudizio ma nessuno ha fiatato (nel merito si leggano questi tre articoli I 683 egiziani condannati a morte non valgono un intervento “umanitario”…“Politicamente corretto” a corrente alternata e Mussulmani e maschi condannati a morte: non fa notizia…).

In USA, come già detto in altro articolo Indignazione a senso unico, ogni anno vengono “giustiziate” centinaia di persone, il 99% delle quali di sesso maschile, per lo più di colore o immigrati (il che è quanto meno contraddittorio in una società che si dice essere dominata dalla cultura maschilista e patriarcale…). Ma è evidente che non è la morte di uomini e per di più poveri a fare notizia. La fanfara mediatica ha bisogno di vittime di sesso femminile perché così può scatenare la campagna di criminalizzazione dello stato-canaglia di turno (in genere è l’Iran ma si sono inventati anche la storia degli stupri di massa in Libia ad opera degli uomini di Gheddafi, rivelatisi del tutto infondati…) .

Sul piano “interno” la questione diventa molto più complessa e ci limitiamo in questa sede, ad abbozzarla, rinviando alla lettura di altri articoli dove, chi lo volesse, può approfondire l’argomento, questo fra gli altri: Il nuovo orizzonte del Capitalismo: la cancellazione delle identità sessuali.

Il sistema capitalistico assoluto, come dicevo, ha necessità di rimuovere e distruggere ogni ostacolo sul suo cammino, di qualsiasi natura esso sia.

Oggi siamo però di fronte ad un salto di qualità perché l’offensiva non viene più portata soltanto sul tradizionale piano sociale ed economico ma anche su quello antropologico. Come spiegato nell’articolo citato anche le identità sessuali potrebbero costituire e in effetti costituiscono un potenziale ostacolo al pieno dispiegarsi del capitalismo e della “forma merce” (rinvio, a tal proposito alla lettura di questi articoli: La distruzione del soggetto: la nuova strategia del capitale  e Ha ancora senso considerare il patriarcato come l’architrave delle società capitalistiche occidentali?)
Il “femminismo reale”, cioè quello che si è storicamente determinato e realizzato, è preposto al compito di distruggere quelle identità, anche se di fatto ci si riferisce a quella maschile, che deve essere criminalizzata e quindi devitalizzata alla radice. Inutile sottolineare che la costruzione più o meno artificiosa di una guerra fra i sessi e ancor più la riproposizione sistematica della tesi in base alla quale tuttora tutti gli uomini, in quanto tali, cioè in quanto soggetti di sesso maschile, sempre, comunque e dovunque sarebbero i privilegiati e gli oppressori del genere femminile (oltre che violenti per condizione ontologica) è del tutto funzionale al capitale che è ben contento di disinnescare e sostituire il conflitto di classe con quello fra i sessi.

Resta l’ultimo mattone da affrontare, cioè il cosiddetto “eugenetismo”.

La nostra società è sempre più condizionata e pervasa dall’intervento della Tecnica che in questa fase storica non può non essere oggettivamente sovrapposta al Capitale. Non che la tecnica (e la scienza) siano di per se necessariamente degli strumenti di dominio, al contrario (siamo e saremo sempre grati alla scienza) ma possono diventarlo, come purtroppo è assai spesso se non quasi sempre accaduto nella storia. Fra poco – per portare un esempio – sarà possibile acquistare un figlio in un laboratorio e dal momento che si paga, si potrà scegliere anche il colore della pelle, degli occhi, l’etnia, l’origine ecc. Ai più sembra un orizzonte lontano ma non lo è affatto e siamo soltanto all’inizio. Tutto ciò, che dovrebbe destare delle perplessità o quanto meno sollevare un dibattito sulla libertà, le possibilità di intervento ma anche sugli eventuali limiti dell’intervento umano sulla natura, viene invece salutato aprioristicamente ed entusiasticamente come il nuovo orizzonte, le nuove sorti magnifiche e progressive dell’umanità. Naturalmente, chi osa anche solo sollevare dei dubbi viene immediatamente tacciato di essere un reazionario nemico della scienza e del progresso.

L’Occidente (capitalistico) ha quindi prodotto la sua nuova falsa coscienza e l’ha paradossalmente mutuata proprio da quella ideologia di “sinistra” “liberal” o radical”, laicista, post socialista, postcomunista e post movimento operaio, naturalmente dopo averla setacciata e depurata da quegli aspetti che potevano in qualche modo rappresentare un potenziale elemento di disturbo.

Un bel capolavoro, molto difficile da smascherare, su questo non c’è alcun dubbio.

12 commenti per “La nuova falsa coscienza dell’Occidente

  1. Anio
    28 ottobre 2014 at 22:13

    Analisi di ciclopica lucidità, forse troppo lucida, nel senso che lascia rimbalzare sulla sua superficie ogni proposizione senza che questa raggiunga la necessaria profondità analitica. Sarebbe una perfetta introduzione per un libro che poi sviscerasse le tematiche trattate, spero che il libro prima o poi giunga, sarei il primo lettore…

    • Fabrizio Marchi
      28 ottobre 2014 at 22:24

      ti ringrazio molto, Anio, devo dire che anche le tue analisi sono molto interessanti e condivisibili, e non lo dico certo per ricambiare i complimenti ma perchè lo penso veramente.. Devo dire che questo nostro incontro, anche grazie a Pina, è stato molto positivo e lo sarà anahce nel futuro…ciò che più apprezzo nel tuoi pezzi è l’apertura complessiva, l’assenza di dogmatismo di cui purtroppo sono pervasi in tanti e la capacità di spaziare, fuori da steccati e liturgie..insomma, siamo molto simili sotto questo profilo. Nei prossimi giorni pubblicheremo un altro tuo pezzo che mi è piaciuto molto…

  2. Jimmie Moglia
    29 ottobre 2014 at 5:43

    Molto interessante e molto chiaro. Grazie. A riguardo del femminismo, l’argomento a proposito della sostituzione del burqa con il perizoma e’ verissimo. Pur sperando che non succeda, almeno (un po’ egoisticamente) finche’ sono in vita. Tra parentesi ho sempre trovato quegli occhioni che emergono dal velo islamico piu’ sexy delle natiche occidentali con il filo in mezzo. Ma in patria (USA), esiste una controcorrente misogina particolarmente rivolta ai giovani. Un’esternazione evidente, per esempio, e’ nei video games. Ho cercato di illustrare l’argomento in un articolo-blog “Shakespeare, Murder and Videogames” – http://yourdailyshakespeare.com/shakespeare-murder-videogames/equalities#more-6341
    Sarei interessato a conoscere l’opinione di Fabrizio sull’apparente paradosso. Come riportato dalle statistiche, (anche citate nell’articolo), la violenza contro le donne, negli US of A e’ endemica e impensabile se non ci fossero le cifre a dimostrarla.

    • Fabrizio Marchi
      29 ottobre 2014 at 21:20

      Caro Jimmie, se non ci fossero indagini e statistiche fatte da volenterosi nostri amici (ed esperti) neanche la violenza contro gli uomini (da parte delle donne), sia pur endemica, sarebbe dimostrabile. Di seguito l’indagine con tanto di sondaggi svolta da alcuni nostri amici (ricercatori, sociologi, ecc.), fatta sulla base degli stessi criteri utilizzati dall’Istat: http://www.uominibeta.org/articoli/prima-indagine-sulla-violenza-delle-donne-sugli-uomini-in-italia/
      Ebbene, utilizzando gli stessi metodi di indagine e gli stessi criteri dei questionari dell’Istat, è emerso che circa sei milioni di uomini hanno subito violenza da parte delle donne, cioè a parti invertite lo stesso numero di donne che affermano di aver subito violenza da parte degli uomini.
      Per quanto riguarda gli USA, tu sarai certamente più informato di noi dal momento che ci vivi. Resta il fatto che recenti studi e indagini ufficiali hanno dimostrato che il 50% e molto probabilmente anche di più dei bambini e delle bambine che hanno subito violenza, lo hanno subita dalle madri.
      Ormai qualche anno fa c’è stato questo ottimo servizio di Giovanna Botteri che denunciava questo fatto riportando dati e numeri di alcune associazioni americane riconosciute ufficialmente: http://www.uominibeta.org/articoli/violenza-di-genere-violenza-maschile/
      In italia l’Istat stesso, nonostante non sia un propriamente un covo di maschilisti è stato costretto ad ammettere che la maggior parte degli uomini che commettono atti di violenza e di molestie in ambito familiare e nei confronti dei figli, hanno subito a loro volta violenza dalle proprie madri, in misura maggiore di quelli che l’hanno subita dai padri http://www.uominibeta.org/articoli/autogol/ Come vedi il cane si morde la coda né potrebbe essere altrimenti. La pretesa femminista di attribuire al genere maschile la titolarità e l’esclusiva della violenza è semplicemente ridicola, è un assurdo, pura ideologia (peraltro intrisa di razzismo e sessismo anche se camuffato..) senza alcun fondamento scientifico….
      Dopo di che, cosa dirti..L’America è il paese delle contraddizioni per eccellenza… io non mi intendo di videogames però ricordo benissimo di aver letto che ne esistono di tutti i tipi, uno molto diffuso fra i giovani e giovanissimi in cui si spara ai poliziotti e più se ne ammazzano più si fanno punti…Un altro in cui si spara all’integralista mussulmano…
      Ciò che voglio dire è che non darei troppa importanza a un videogame…e non mi pare proprio che gli USA siano un paese dove il femminismo non abbia voce in capitolo.
      Ciò detto, ci sono alcune donne che subiscono violenza da parte di alcuni uomini? E chi lo ha mai negato, è purtroppo fisiologico, così come è altrettanto fisiologico che ci siano uomini che subiscono violenza da parte delle donne. Se è per questo, come abbiamo detto, ci sono donne che fanno violenza su minori e anziani (e anche uomini, ovviamente), uomini che fanno violenza ad altri uomini e via discorrendo. La violenza, purtroppo, caro Jimmie, appartiene al genere umano, e non è prerogativa di un sesso o di un altro. Perché, forse non esiste anche la violenza tra adolescenti, tra bambini? Siamo stati tutti bambini e sappiamo perfettamente che al di là della scontata celebrazione dell’innocenza, le relazioni fra bambini sono molto spesso assai violente, in proporzione anche più violente di quelli fra adulti. E allora? Come la mettiamo? Criminalizziamo i bambini così come il femminismo criminalizza il genere maschile?…

  3. Nicola
    29 ottobre 2014 at 13:31

    Ottima sintesi. Però non sono d’accordo su come hai descritto il passaggio dalla fase keinesiana del capitalismo a quella neoliberista.
    Tu sostieni che lo spartiacque sia la fine del socialismo reale e scrivi, inoltre, che la fine del riformismo socialdemocratico è da imputarsi a quello stesso evento.
    Le cose non stanno così. La fase keinesiana del capitalismo, che si può sintetizzare nella compatibilità tra sviluppo economico ed emancipazione sociale, entrò in crisi a metà degli anni Settanta. E il passaggio alla fase neoliberista (globalizzata, iperfinanziarizzata e deemancipativa) ebbe inizio, se proprio vogliamo indicare un anno, nel 1979, con le misure antinflazionistiche di Volcker, chiamato da Carter a dirigere la Fed. Da allora il capitalismo ha appunto mutato forma, prima negli Usa, poi nel resto del mondo. La fine del socialismo reale ha fatto sì che questo modello di “sviluppo economico e sottoviluppo sociale” s’imponesse su scala planetaria, ma non è la sua causa.

    • Fabrizio Marchi
      1 novembre 2014 at 9:39

      Caro Nicola, non sono d’accordo con la tua analisi o solo in parte. Che il keynesismo fosse già stato messo da parte dal capitalismo non c’è dubbio. Del resto il keynesismo è una variante liberale e riformista cui il sistema capitalista si rivolge quando non può farne a meno, ma la natura del capitalismo è essenzialmente liberista. Su questo non c’è dubbio. Il keynesismo è una sorta di compromesso sociale e politico a cui il sistema capitalistico è stato suo malgrado costretto per una serie di ragioni, non da ultima la conflittualità sociale data dalla crescita del movimento operaio e della sua forza contrattuale. Ma è evidente che nel momento in cui queste ragioni vengono meno, il capitalismo abbandona le politiche keynesiane per tornae alla sua natura che è appunto essenzialmente liberista.
      Il capitalismo occidentale è stato costretto allo stato sociale, al welfare, alle politiche keynesiane e neokeynesiane, non le ha certo scelte di sua sponte. L’esistenza del URSS e del blocco sovietico imponeva nell’Europa occidentale (in presenza di un movimento operaio e di una sinistra socialdemocratica e anche comunista di una certa forza) una politica di redistribuzione del reddito e di garanzie sociali. La socialdemocrazia non lo ha mai ammesso (e forse non lo poteva ammettere…) ma il suo poter contrattuale era dato dal fatto che esisteva l’URSS, la cui sola esistenza imponeva all’Occidente e in particolare agli USA unna determinata politica sociale in Europa. Non foss’altro perché c’era la necessità di dimostrare la superiorità del sistema capitalistico occidentale su quello socialista sovietico.
      Quindi il crollo dell’URSS, come già detto, non ha rappresentato solo il crollo di un apparato burocratico e militare, ma il crollo di una prospettiva politica e ideale, che l’URSS, sia chiaro, non rappresentava più nella sostanza da molto tempo, ma che in qualche modo, grazie al solo fatto di esistere, teneva viva.
      Crollato il Socialismo reale, sotto le cui macerie, a torto o a ragione, non ci sono solo i burocrati di partito con la dacia e la macchina blu (fosse solo per questo potremmo anche rallegrarcene) ma un’intera visione del mondo, con conseguente indebolimento di tutta la Sinistra mondiale, è ovvio che il Capitalismo riprende a fare il suo mestiere, senza più ostacoli.
      Oggi, per quanto mi riguarda, possiamo affermare che il crollo dell’URSS (che certo non poteva essere un modello di società socialista e tanto meno comunista) è stata una tragedia politica e geopolitica di portata mondiale.

      • Alfredo Lama
        26 maggio 2019 at 8:05

        Hanno buttato via l’acqua sporca e il bambino. Con l’URSS vi era comunque un ideale, una speranza, qualcuno che in sede di risoluzione ONU si opponeva e non come per le varie guerre successive vi è stata una tiepida astensione. I pochi funzionari avevano meno privilegi che hanno, invece, in larga misura i nostri dirigenti statali per non parlare dei parlamentari o i vip dello spettacolo o dello sport, al confronto con costoro i primi sono dei poveracci. Non vi era l’offesa di riccastri ai meno fortunati con ostentazione di ricchezza e invito a “rosicare”. Il Patto di Varsavia si è dissolto e gli ex alleati dell’URSS sono nemici ospitando la NATO che invece non si è sciolta. I nemici dell’URSS sono alle porte della Russia. I cittadini russi dovevano ribellarsi al nuovo ordine che ha creato disparità enormi consentendo all’appropriazione di ricchezza statale da parte di pochi (altrimenti se non opera di furto come potevano crearsi dei magnati in poco tempo? Spero che si vedrà di nuovo arrivare il treno blindato ma quel tempo è passato.

  4. Nicola
    7 novembre 2014 at 10:16

    Fabrizio, ti invito a riflettere su ciò che avvenne negli Usa e in Inghilterra durante gli anni Ottanta, ossia prima che il carrozzone del socialismo reale si disgregasse. Anche il fallimento dell’esperimento socialista di Mitterand, in Francia, fa ben capire che la fine del riformismo keinesiano fu causata dalla crisi di sovrapproduzione iniziata negli anni Settanta, che è ancora irrisolta, anziché, come invece tu sostieni, dal crollo del socialismo reale.
    Oggi, l’assenza di un orrizonte riformistico non dipende dal fatto che a Est è venuto a mancare un modello politico ed economico alternativo a quello vigente, ma dalla logica riproduttiva dello stesso capitalismo.

    • Alessandro
      26 maggio 2019 at 18:31

      In Inghilterra e negli Stati Uniti gli anni Ottanta sono già neoliberisti, anche se forse i secondi, a parte qualche parentesi vedasi new deal, lo sono sempre stati.Sono le avanguardie di un qualcosa di cui altrove si iniziava a percepire vagamente la presenza ma che ancora era lontano dal manifestarsi pienamente, come in Italia. Checchè se ne dica e scriva, gli anni Ottanta in Europa occidentale, lady di ferro a parte, sono ancora keynesiani, socialdemocratici. La grande accelerazione venne data proprio dall’implosione dell’URSS e dal disfacimento del blocco comunista. La lettura di Fabrizio è quindi correttissima.
      A posteriori possiamo senza dubbio considerare il 1989 come la data che segna l’avvento a livello planetario di un paradigma economico-sociale che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni con le sue incredibili e assurde storture. La colpa principale di quanto accaduto ricade ovviamente sulla sinistra, che si è manifestata assolutamente incapace di assolvere al ruolo che la storia le aveva destinato. Una crisi a sinistra che ancora prosegue e di cui non si scorge fine.
      Proprio nel momento in cui il paradigma neoliberista inizia a manifestare qualche crepa, essa si dimostra incapace di cogliere l’occasione storica, arroccata su battaglie di retroguardia, fintamente progressiste, e sulla difesa, consapevole o meno, dello status quo.

  5. armando
    16 novembre 2014 at 19:03

    Caro Fabrizio, di queste cose ne abbiamo parlato molto e sai che in parte, larga e significativa, concordo e in parte no.
    Rimangono, a mio avviso, irrisolti alcuni nodi importanti dal punto di vista teorico.
    1)Perchè il marxismo è stato ideologicamente ateo e il socialismo profondamente anticlericale?
    2)L’ideologia falsa dei diritti umani di cui si fregia il capitale, dovrebbe essere smascherata a partire dalla definizione di cosa sono i diritti e più precisamente dalla distinzione fra diritti naturali e diritti per così dire storici, ossia che solo nella storia sono stati assunti come tali e quindi, in quanto storici, transeunti e modificabili. Il tema, è evidente, è quello dell’ontologia dell’essere umano.
    3)Attiro la tua attenzione su un grande “reazionario”, Carl Schmitt, secondo il quale
    <> non può seguire quella fra altare e capitale nella misura in cui il capitale esige la spoliticizzazione dello Stato e il prevalere assoluto dell’economia. La Chiesa romana, per lui, può confrontarsi e venire a patti con qualsiasi sistema economico/sociale purchè questi si dia una forma politica sua propria, ossia il contrario di ciò a cui tende il capitale. La Chiesa, afferma, vuole può convivere con lo Stato come partner politico, ma non può o vuole convivere con un trust d’interessi. In questo caso, afferma, si creerebbe una situazione anomala nella quale la chiesa si ritroverebbe come l’unica depositaria del politico, e quindi con un potere che definisce “mostruoso”, cosa che la Chiesa stessa non dovrebbe desiderare. Il tema mi sembra stimolante perchè in realtà sta accadendo qualcosa che Schmitt non aveva previsto.
    Mentre lo Stato è spoliticizzato e si concepisce solo come servizio dell’economia, mentre il comunismo reale, che pure una forma politica aveva tentato di darsi, è imploso e non c’è qualcosa oggi all’orizzonte in quel senso, ebbene la Chiesa conta sempre meno e non ha affatto assunto quel potere mostruoso di cui parlava Schmitt. Non sarà allora che anche la Chiesa cattolica è stata in qualche modo “contaminata” dal processo di spoliticizzazione e si è ritirata in un ambito privatisitico accettando che la religione sia un fatto solo privato e rinunciando ad ogni pretesa di far valere pubblicamente le sue istanze? Ma anche questo fenomeno, se la mia analisi coglie nel segno, non è anch’esso un segno che la logica del capitale sta vincendo dappertutto?

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