La scuola come customer care

Ha destato meraviglia la richiesta degli studenti di sopprimere il tema scritto e le prove scritte in generale dall’esame di maturità. Da subito la replica si è adagiata nel campo argomentativo ormai démodé del decadimento dei valori giovanili, della mancanza di inclinazione allo sforzo e alla concentrazione e dell’incapacità di elaborazione scritta per estrema consunzione di apparecchi tecnologici concepiti come mezzi di contrazione del linguaggio e dell’immiserimento lessicale. La critica così costruita indubbiamente segnala fenomeni reali che hanno contribuito all’impoverimento intellettuale della società, della sua capacità di analisi cosciente dei fenomeni politici, culturali, sociali. In un tragitto che ha elevato il Bene, l’umanitarismo spicciolo privo di solidarietà, l’inclusione impolitica e l’evasione edonistica a criteri guida del pensiero, banalizzati e devastati da minuti sentimentalismi acritici e didascalici.
Queste dinamiche spiegano la rivendicazione studentesca ma solo in parte. Anzi non tracciano a mio avviso il reale sentiero che ha reso una tale istanza credibile o degna di un dibattito. Il punto nevralgico che nessuno ha l’ardire di affrontare sta nella trasformazione dell’Istituzione Scuola. Essa a seguito delle varie riforme e controriforme che si sono susseguite negli anni della modernità mirabolante incentrata sull’euforia ottimistica dei percorsi formativi, ha rinunciato per statuto all’idea dell’istruzione come indice di progresso sociale. Lo Stato è disinteressato al compimento di un’elevazione duratura delle coscienze critiche che possano attuare il principio sancito dalla Costituzione della dignità sociale dell’individuo, della sua politicizzazione. Si è concepito come facilitatore dell’accesso ai mercati.
Di conseguenza la Scuola è diventata una fabbrica di formazione per voli pindarici sull’educazione all’empatia, alla resilienza, alla felicità istantanea; insomma alla pelle d’oca. Sdolcinatezza utile in futuro nella sfera della competizione che caratterizza gli scambi commerciali. Essenziale sarà non traumatizzare il fanciullo o l’adolescente, permettergli di sviluppare senza brutti sogni un’accattivante personalità, attraente e mai tormentata da dubbi o rimorsi, spogliata dall’idea dell’Altro. Imperativi volti al rasserenamento docile. Ottimale per un’ innocua impiegabilità da lavoretti, per la sacralizzazione della ricerca di sé stessi o per una democratica managerialità. Sacro custode del vincolo all’invasamento tripudiante del giovane è il nucleo familiare. Solo nelle mura domestiche si possiede il diritto di fare il Bene del ragazzo. Nessuno conosce mio figlio meglio di me.
La Scuola post-moderna ha il compito di disabituare al conflitto e concepisce la formazione come un investimento. Sola depositaria delle azioni è la famiglia che reca in sé la facoltà di scegliere il percorso educativo più consono alle aspettative della capitalizzazione formativa. Tanto che i professori sono costretti a reincarnarsi in mental coach, psicoterapeuti comportamentali, agevolatori di desideri. Si incentiva così l’allestimento di negozi scolastici dove le vetrine servono ad accattivare investitori e nei quali gli studenti sono rideterminati in clientela. Quindi questi non sorprendono quando scrivono una letterina al Ministro perché gli sia scongiurato un inutile orpello ormai considerato antieconomico. Una letterina al Ministro così come può avvenire per un reclamo di un semplice consumatore. Senza troppi sconquassi. Il cliente ha sempre ragione.

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