La Superlega europea di calcio e la vera natura del capitalismo

Quanto appena accaduto nel mondo del calcio – la decisione dei grandi e ricchi club di dare vita ad un super campionato europeo, chiamato appunto “Superlega”, destinato a mortificare tutti i vari campionati nazionali di calcio (con tutte le ricadute, economiche e non solo, del caso) – ha gettato, non a torto, nella depressione centinaia di milioni di tifosi e di appassionati di calcio.

Siamo di fronte ad una vicenda emblematica che conferma quale sia la reale natura del capitalismo. Si potrebbe obiettare, anche a ragione, che ci sono tante altre questioni molto più importanti per la vita delle persone che possono farcela comprendere. Nonostante ciò, molto spesso, anche se può non piacerci perché spereremmo in ben altri livelli di coscienza, molta gente capisce di più e meglio la realtà vera delle cose quando viene toccata in aspetti minori dell’esistenza che però vanno a toccare la sfera ludica, passionale e anche irrazionale (che ha il suo peso nella vita delle persone…). E quella calcistica – e in fondo è anche e soprattutto questo aspetto che la rende così affascinante e potente – rappresenta sicuramente al meglio quella passione, quel sentimento potente e al tempo stesso irrazionale che forse può essere paragonato solo all’afflato amoroso (gli appassionati di sport capiscono cosa sto dicendo…).

Molta gente è convinta in buona fede che capitalismo significhi libertà di iniziativa, libero mercato, sana competizione, libera (perfetta o non perfetta) concorrenza, libero sviluppo della propria individualità, capacità, creatività.

Ebbene, queste sono favole, e forse c’è la speranza che proprio la vicenda di cui sopra possa aprire gli occhi a tante gente. Il capitalismo tende naturalmente, strutturalmente e inevitabilmente all’oligopolio e al monopolio, né potrebbe essere altrimenti, e questa è la sua “essenza”, diciamo meglio, la sua struttura e la sua vera logica. L’esaltazione della libera iniziativa individuale, della sana competizione e della libertà di imprendere costituisce l’ideologia/falsa coscienza che serve a coprire la vera natura del capitalismo. Certamente, è necessario, per rendere credibile quella favola ideologica, che uno su mille o uno su cento (o anche dieci su cento, non cambia assolutamente nulla, anzi…) ce la faccia (a diventare ricco). Ma proprio l’esistenza di questi ultimi – quelli che ce l’hanno fatta con le loro forze, “quelli che si sono fatti da sé”, come si usa dire – serve a rendere credibile quel racconto ideologico senza del quale il capitalismo si mostrerebbe per quello che è realmente.

I tanti commercianti, baristi, ristoratori e piccoli e piccolissimi imprenditori che in questi mesi di lockdown stanno protestando per la chiusura e in alcuni casi anche per il fallimento delle loro attività si sentono traditi, perché, appunto, hanno legato le loro sorti al sistema capitalista di cui si sentivano e vorrebbero continuare a sentirsi parte. Ma non hanno capito, perché la loro “coscienza di classe” non riesce ad andare oltre il loro interesse personale e/o di categoria, che il sistema capitalista se ne infischia di loro perché la stella polare del capitalismo è l’infinita e in linea teorica illimitata accumulazione di ricchezza che deve essere raggiunta a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo e che porta inevitabilmente alla concentrazione della ricchezza in poche mani. Molte di quelle attività commerciali verranno nei prossimi anni “rastrellate” da chi ha mezzi finanziari e industriali importanti, con buona pace di chi ci ha lavorato e investito risorse, tempo di vita ed energie credendo che il sistema lo avrebbe premiato e garantito.  Ma il sistema capitalista non può garantire nessuno, per definizione, altrimenti non sarebbe un sistema capitalista ma altro. La logica intrinseca del capitalismo non è e non può essere la salvaguardia, la sicurezza e la protezione delle persone ma l’accumulazione di capitale. Tutto il resto, come dicevo è fumo negli occhi, nero seppia, falsa coscienza. Chi sta in alto e chi sta in basso, chi sta a galla e chi annega. E’ questa la sostanza delle cose del “migliore dei mondi possibili”.

Il calcio (lo sport nel suo complesso), come già sapevamo, non sfugge né potrebbe sfuggire a questa logica, essendo ormai da molto tempo un business, un industria per fare soldi come tutte le altre.

Finisce, dunque, anche il sogno per una società minore o di provincia di poter ambire ad un traguardo importante e soprattutto finisce il sogno di centinaia di milioni di persone.

Insomma, il re è nudo, talmente sicuro del suo potere, pieno di sé, tronfio nella sua arroganza, che può fare a meno anche di lasciare che le moltitudini non coltivino più quel sogno, quello di potercela fare, di potersi finalmente sedere alla tavola dei ricchi e potenti per essere uno di loro.

Chissà che comincino a rendersi conto che è solo un’illusione, scientemente alimentata.

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Fonte foto: Fanpage (da Google)

2 commenti per “La Superlega europea di calcio e la vera natura del capitalismo

  1. Alessandro
    20 aprile 2021 at 10:28

    Diciamocela tutta: il calcio professionistico è “morto” già da tempo. Rimane la passione per il gioco del calcio, ma il baraccone messo in piedi da almeno un venticinquennio-trentennio non ha più niente di sportivo. Sarebbe troppo lungo elencarne i motivi, ma sono figli della caduta dell’alternativa ideologica e politica, e quindi dell’affermazione del capitalismo globalizzato, di cui la legge Bosman rappresenta la sentenza capitale.
    Le competizioni internazionali sono morte da tempo, da quando la vera Coppa dei Campioni si è trasformata in una pagliacciata a inizio anni Novanta, da quando la coppa Uefa e la Coppa delle Coppe si trasformano continuamente in non si sa cosa.
    Questo a livello europeo, a livello nazionale il mercato tutto l’anno, e come poteva essere altrimenti?, con la girandola di calciatori oramai sempre più ridotti a mercenari, il campionato di serie A a mille squadre, le partite a tutte le ore del giorno e della notte, ma è regolare una cosa simile?, lo hanno reso uno spettacolo circense senza più attrattive, almeno per quanto mi riguarda. Sorvolo sulle cifre, che erano già eccessive negli anni Ottanta, ma che oggi sono la più grande follia capitalistica mai apparsa tra questa folle umanità.
    Salvo oramai solo le competizioni per nazionali, che almeno hanno continuato a essere ciò che erano, e dove non si gioca solo esclusivamente in onore del dio denaro.
    Quanto accaduto questi giorni è diretta conseguenza di ciò che lo ha preceduto. che poi i vari Macron, Johnson, Draghi, ossia i i figliocci di JP Morgan o banche affini, s’indignino fa semplicemente ridere.

  2. ndr60
    20 aprile 2021 at 11:22

    A vedere l’Albo d’oro del campionato italiano, è sempre stato così, cioè le società maggiori (segnatamente, la trimurti JuveMilanInter) hanno fatto man bassa. La novità è che negli ultimi vent’anni hanno vinto sempre e solo loro, in coincidenza con la progressiva polarizzazione economica, un vero specchio della società in generale. La quotazione in Borsa di alcune squadre europee (e anche alcune italiane) ne segna, a tutti gli effetti, la trasformazione in aziende. In tutto questo, la passione sportiva cede il passo al profitto e al puro interesse economico.
    Il fascino del gioco del calcio è che è sempre possibile un Juve-Benevento in cui vince il Benevento, poiché la palla è rotonda ma i piedi (a volte) sono quadrati: questo, per i tipi come Agnelli, è un pensiero insopportabile.
    Viene solo da chiedersi una cosa (come faceva Eraldo Pecci l’altra sera alla DS): Juve-Real Madrid due volte all’anno è un evento, dieci o dodici volte non lo sarà più.
    Alla fine, gli conviene?

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