L’epoca di Valentino Parlato

Con la morte di Valentino Parlato se ne va un altro pezzo di uno straordinario collettivo umano e intellettuale. Era uomo affabile, gentile, tanto generoso da aver sorretto il manifesto, anche quando questo  divenne un’altra cosa. Era tra i miei maestri, dotto di economia, comunista. Per non perdersi tra le emozioni di personali ricordi, starei al punto, al suo, al suo ultimo articolo del 9 aprile. Cambio d’epoca è il suo titolo significativo; poi in poco più di 2000 battute un’analisi perfetta dello stato dell’arte “di un nuovo capitalismo (assai diverso e più pesante del neocapitalismo)”, dei guasti della globalizzazione sulle popolazioni, della fine del lavoro; per concludere “…ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà”. E’ proprio un testamento spirituale, qualcosa che ci parla oltre il suo tempo, “estinto”, verso di noi e di “coloro che verranno” perciò riutilizzando anche il tempo passato degli altri compagni di collettivo.

L’epoca è la maniera per pensare alla Storia volendola cambiare. Il concetto è proprio di Antonio Gramsci che vi intende proprio la complessa relazione tra il tempo moderno capitalistico e quello più lungo che “conservò modi di pensare e valori e anche autori del passato greco-romano, come dire che nella discontinuità c’è sempre anche una continuità” secondo Parlato. La complessa epoca novecentesca, che da europea si fa mondiale, è nel testamento del padre del socialismo italiano Antonio Labriola Da un secolo all’altro (1904). Periodizzare la Storia, diverge dal concetto progressivo dello storicismo positivista che  “magnifica” il presente è invece “comprendere l’epoca”, diceva Gramsci, delineare la complessità di conflitti per poterli affrontare.

Il suo tempo di battaglia, il periodo di coincidenza tra biografia di Parlato e Storia, l’occasione direbbe Machiavelli, è nel termine “neocapitalismo”. Il preciso riferimento è il dicembre 1962 quando nel seminario dell’Istituto Gramsci “Tendenze del capitalismo italiano” Lucio Magri con il suo “Le novità del neocapitalismo” squarcia, di fronte a Togliatti, il velo del paese arretrato e contadino che aveva retto la politica economica del PCI e del patto sociale con il grande capitale la tregua salariale. Magri, che del nascente collettivo de il manifesto è il più giovane e la testa teorica, segnala gli effetti del keinesismo sul consumo, sulla cultura, sulla natura del proletariato italiano, insomma utilizza l’americanismo di Gramsci per interpretare l’Italia del miracolo economico, facendo infuriare Giorgio Amendola. Lì nasce la frattura che porterà alla radiazione ma di lì nasce l’attenzione a Keynes  di Magri, lettore del Capitalismo monopolista di Paul Sweezy e della sua Monthly Review, ma anche di Parlato, lui attento ad esempio alla tipica keinesiana funzione regolativa  della moneta della Banca d’Italia. Il PCI non capirà mai il neocapitalismo, semplificando la visione del mondo del lavoro e soprattutto riducendosi la politica economica ad un subalterno – poi effimero – industrialismo, tanto quanto la sinistra residuale attuale è rimasta alla modernizzazione, una battuta indietro di fronte a quel nuovo più “pesante” capitalismo detto qui.

Magri litigò con Parlato, Rossana Rossanda e Luigi Pintor quando il giornale, nel 1978, si separò dal partito e, racconta Luciana Castellina, che nonostante la successiva riconciliazione umana e infine anche politica, rinfacciò sempre, ironicamente, tale tradimento. Il PdUP, Magri, apparentemente con posizioni moderate, ritengo realiste, cercò di salvare il PCI, cioè di salvarne la sua forza sociale cercando di riformare la sua inservibile cultura, che invece servì al salto della barricata a partire dalla “cosa” della Bolognina nel 1989. Quella battaglia andava tentata per il pertugio strettissimo; fu persa. Parlato per primo al giornale comprese le ragioni di Magri e fu animo dialogante, per generosità ma anche per realismo.

Transizione di sistema e alternativa di sinistra, furono il centro dell’epoca: gli anni 70, la svolta di Berlinguer dell’1980-81 breve speranza,  poi la morte nel 1984. Quei concetti non ebbero effetto politico, certo, ma storicamente risultano l’unica interpretazione organica di quel paese lì, mentre la transizione è ancor più attuale oggi.

Tuttavia l’affinità elettiva dell’articolo di Parlato è con un altro grande testamento poltico-spirituale: l’ultimo editoriale di Luigi Pintor del 24 aprile 2003 “Senza confini”. “La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza tronco, è fuori scena. Non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno.”  Questo potentissimo incipit non lascia scampo allora, riferendosi al “sissignore” di D’Alema al bombardamento della Serbia, come ora è fotografia chiarissima della realtà, confermando l’interpretazione di Papa Bergoglio della profezia come sguardo puntuale del presente. Parlato, passando ora, oramai più lieve da questo portone chiuso sbircia di là, rilanciando la sua curiosità dialogante.

Non ho raccontato molto dell’umore dell’uomo, mi era maestro e mi interessano ancora le sue parole, e forse poco ho reso della sua intelligenza individuale, ma da comunista vero la sua opera pratica e teorica, il suo essere, è nelle tante relazioni con gli altri del gran collettivo e con i molti suoi allievi. In questo senso non so se arriverà “un qualche Carlo Marx” ma forse è più importante che rinasca un qualche intellettuale collettivo come quello in cui visse Valentino e nel quale dovremmo vivere tutti.

il manifesto 9/4/2017

Cambio d’epoca

Valentino Parlato

Crisi della sinistra, ma anche crisi della politica, come ci ha spiegato nei suoi ultimi scritti e nel Midollo del leone il nostro Alfredo Reichlin e come conferma il fatto che la formazione politica che raccoglie più consenso sia oggi il MoVimento 5 Stelle. Aggiungerei ancora che c’è anche crisi della cultura e della scuola.

La crisi della sinistra non è solo italiana, ma investe tutto il mondo che definiamo occidentale: pensiamo solo agli Usa di Donald Trump.

Questa crisi dipende anche da cambiamenti strutturali: innovazioni tecnologiche («la nuova rivoluzione delle macchine»), globalizzazione, finanziarizzazione dell’economia… Tutti mutamenti che hanno seriamente indebolito i lavoratori, quel che una volta chiamavamo classe operaia, proletariato, le innovazioni tecnologiche riducono l’impiego di lavoro vivo.

La globalizzazione tende a formare un proletariato in aree finora sottosviluppate ma crea una forte concorrenza al proletariato storico del nostro Occidente. La crescita di peso della finanza contribuisce alla formazione di poteri del tutto indipendenti dal lavoro vivo e che condizionano – se addirittura non dominano – il lavoro vivo, cioè la base sociale della sinistra storica.

Questo mutamento storico – che io appena accenno – andrebbe studiato e approfondito: siamo in presenza di un nuovo capitalismo (assai diverso e più pesante del neocapitalismo) che va studiato seriamente per individuare anche con che tipo di lotte dobbiamo contrastarlo e se di queste lotte si debbono far carico solo i lavoratori e non anche i cittadini. E ancora: che rivendicazioni mettere in campo?

Centrale mi sembra la riduzione dell’orario di lavoro, con un allargamento del tempo libero che provocherebbe anche una crescita dei consumi.

E penso anche che dovremmo prolungare la scuola dell’obbligo : per vivere in questa incombente modernità non basta più la terza media.

Altro tema da affrontare in modo nuovo è la globalizzazione: come i lavoratori super sfruttati del terzo mondo debbono entrare in campo, come possiamo coinvolgerli nella lotta comune?

Dobbiamo capire che siamo a un passaggio d’epoca, direi un po’ come ai tempi di Marx quando il capitalismo diventava realtà e cambiava non solo i modi di produzione, ma anche i modi di vivere degli esseri umani.

Quando scrivo «passaggio d’epoca» vorrei ricordare che il capitalismo fu, certamente, un passaggio d’epoca, ma conservò modi di pensare e valori e anche autori del passato greco-romano, come dire che nella discontinuità c’è sempre anche una continuità, ma questo non ci deve impedire di capire i mutamenti che condizioneranno la vita dei giovani e delle generazioni future.

Non possiamo non tener conto di quel che sta cambiando: dobbiamo studiarlo e sforzarci di capire, sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà.

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Fonte foto: LaPresse (da Google)

 

1 commento per “L’epoca di Valentino Parlato

  1. b.b.brad
    5 maggio 2017 at 14:11

    Ingrao, Reichlin, Parlato e gli altri… Vite terrene che si chiudono, idee che restano.
    … Altri livelli etici e politici, altri  valori, altre galassie… Altri dibattiti. Ci si divideva sul come, sul prima o il dopo, se in un solo paese o a livello internazionale… Ma per tutti il tema era l’avanzata delle masse, la crescita e l’affermazione del potere dei popoli. L’obiettivo delle sinistre, pur con sfumature diverse, era un sistema sociale in cui l’economia servisse a produrre beni e servizi, l’affrancamento dal bisogno. Non – a ogni costo e con qualsiasi mezzo – profitto e basta. In cui all’irrinunciabile funzione del capitale (privato,  ma anche pubblico) conseguisse il nn meno inalienabile ruolo  politico del produttore.
    La storia… e la cronaca.
    Oggi siamo a disquisire di “legittima difesa”: solo parlarne, allora, avrebbe implicato il fallimento dello Stato nella sua peculiare funzione di tutela della sicurezza del cittadino, di notte e di giorno, ovunque…
    Siamo a sorbirci la manfrina del gioco delle parti nel PD: con Orlando che si candida sennò le primarie nn si possono fare e Emiliano sennò deve andarsene… Poi le percentuali, soprattutto quella del 40% in meno di votanti, la dicono lunga sulla reale competizione…
    Siamo a fare il tifo per Macron, nel tentativo d’esorcizzare o rinviare ancora la vittoria di Le Pen.  Come se Trump e la Brexit, Kaczynski e Orbán nn fossero già qui…
    Sembra quasi, accontentandoci del “meno peggio”, si voglia difendere, “conservare” l’esistente: il moloch del profitto che inghiotte etica professionale, onestà imprenditoriale, libera concorrenza, e trasforma occupazione e lavoro in totem cui sacrificare dignità e diritti, salute, ambiente e sicurezza… Un sistema che continua a sbatterci in faccia tutte le sue crepe strutturali e che sorrisi, strette di mano e foto celebrative nn riescono più a nascondere.
    περιμένοντας τους βαρβάρους: mentre aspettiamo, i barbari son già arrivati… Al più, possiamo seguitare a fingere di nn vederli per andare – da Gatsby a Renzi, passando sempre dal Berlusca – verso un futuro orgiastico… un avvenire che continua a arretrare… mentre “la vita è altrove”…

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