Marx e la maternità surrogata

Condivido completamente questo articolo dell’amico Gabriele Pastrello, docente universitario e rigoroso studioso e intellettuale marxista.
Mi permetto solo una sola ma importante nota. Gabriele analizza (e stigmatizza) giustamente la pratica della “maternità surrogata” (leggi utero in affitto) e l’ideologia (capitalista), cioè il processo di mercificazione ideologica e pratica che gli sta alle spalle. La sua analisi si concentra però “solo” sugli effetti subiti dalle donne, sulla mercificazione (di fatto spesso coatta) del loro corpo e delle loro vite.
Non fa cenno però delle altre vittime di tale processo, e cioè i figli concepiti con tale pratica, di fatto ridotti a oggetti che possono essere venduti e comprati, con tutti i (devastanti) risvolti psicologici e umani che tutto ciò comporterà sulle loro vite.
Ma sono certo che non si tratti di una omissione e che Gabriele sia ben consapevole della questione che sicuramente non tarderà ad affrontare.
(Fabrizio Marchi)

Di seguito l’articolo:

1) Premessa (un ripasso di Marx)
Ovviamente Marx non si è mai sognato di scriverne. Né negli scritti filosofici giovanili (anche se qualche eco di quegli scritti risuonerà qui sotto), né tantomeno in quell’opera il cui titolo potrebbe farlo sospettare: La Sacra Famiglia. Ma un ripassino di Marx può aiutare.
Già prima del Capitale Marx insiste sul fatto che la propria novità teorica rispetto agli economisti Classici (Smith e Ricardo) consiste nella scoperta che il lavoratore non vende ‘lavoro’ come si diceva e si dice, superficialmente, ancora oggi, bensì vende ‘forza-lavoro’. Nel linguaggio corrente, e anche di molti marxisti, purtroppo, ‘forza-lavoro’ equivale a ‘lavoratore’; abbaglio gigantesco.
Prima del Capitale Marx aveva usato un’altra espressione, ‘capacità-lavorativa’ (Arbeit-Vermögen), per sottolineare che ciò di cui si trattava la vendita era una ‘possibilità’ (Vermögen, δυναμις: capacità). Poi, dopo, forse temendo che l’espressione Arbeit-Vermögen fosse troppo filosofica (idealistica?), o forse non di comprensione immediata, la cambiò in Arbeit-Kraft (forza-lavoro). Ma si trattava anche in questo caso di una ‘forza’ solo possibile, non nella sua attuazione. (La possibilità è tale infatti perché è diversa dalla sua attuazione; differenza di cui primo documento è la discussione tra Aristotele e i Megarici).
Tant’è vero che Marx parla di ‘muscoli e nervi’, che sarà forse più ‘materialistico’, secondo la sua sensibilità, ma continua a dire che in vendita è la ‘forza’ che il lavoratore ‘potrà’ esercitare (grazie all’uso ‘futuro’ dei propri ‘muscoli e nervi’, già presenti anche in riposo), venduta ‘prima’ che venga messa in atto. Ed infatti, per quanto caso raro e ovviamente contro-intuitivo, il capitalista può comprare questa ‘capacità’, e non usarla. Quindi, coerentemente, Marx definisce il ‘lavoro’ come l’«uso» della forza-lavoro. Il lavoro è l’azione, l’attuazione di quella capacità-possibilità chiamata forza-lavoro (in italiano forse meglio: forza-di-lavoro, anche per la struttura del tedesco con Arbeit in posizione attributiva; ma pesante).

2) La “capacità procreativa”.
Con questo ripassino adesso siamo in grado di capire meglio, seguendo Marx, di cosa si tratta quando si parla di ‘maternità surrogata’: della compravendita di una capacità, unicamente prerogativa delle donne, la «capacità procreativa». Quindi nessuna vendita del corpo o di una sua parte, come la superficialità dominante ha profuso a piene mani. Quindi elaborando sulla parte del corpo implicata, la vagina (prostituzione) o l’utero, organi di cui peraltro sarebbe ceduto solo l’uso (o in affitto, come si dice, seguendo l’uso anglosassone per il caso del ‘lavoratore’, hired; equivocando ‘uso’ e ‘possesso’, com’è nel caso del leasing di una macchina, o di una casa).
La Bonino, poi, ha avanzato un’analogia insensata, paragonando la ‘maternità surrogata’ alla cessione dei reni. Nella donazione dell’organo, come anche nel caso dei fluidi come il sangue, l’oggetto passa fisicamente dal corpo del donatore a quello del donato, fatto che non ha assolutamente nulla in comune con quello di cui si parla. Perché l’oggetto (il figlio) non c’è nel momento del contratto (come invece necessariamente ci deve già essere nella donazione di organi e fluidi), e il donante resta in possesso sia dell’organo implicato nella capacità, che della capacità stessa.
Quindi vendita di una capacità. Ma non di una qualunque capacità, una qualunque possibilità di mettere in atto una qualsiasi abilità (come quella di un qualsiasi artigiano). Si tratta della capacità che ‘definisce’ solo ed esclusivamente l’individuo ‘femminile’ della specie: la donna.
Tanto è vero che tutti coloro che, per loro sfortuna, non si ritrovano nel sesso (maschile) del corpo che il caso gli ha assegnato, possono certo modificarne l’aspetto esteriore, per attenuare la loro infelicità, ma non certo completare la trasformazione con il ruolo riproduttivo del sesso cui aspirano; di cui sono quindi solo ‘apparenze’ (esseri comunque incompiuti).
Perchè le donne non sono donne in quanto hanno capelli lunghi, begli occhi e altre parti del corpo apprezzate da altri esseri che le desiderano sessualmente (uomini o donne che siano). Ma perché tutta la loro fisiologia parte e si organizza intorno a questa capacità esclusiva. Chiunque o qualsiasi cosa ne sia stata la ragione (Dio e la sua creazione come dice la Bibbia, o secondo un ‘progetto intelligente’ come dicono i ‘creazionisti’ – la versione scientista della rivelazione biblica -, o l’evoluzione) alla fine della fiera siamo arrivati alla distinzione degli esseri umano in due individualità fisiologicamente distinte, che devono cooperare per garantire continuità a questa specie che popola la Terra, ma di cui un individuo, il maschio, contribuisce solo in modo effimero, mentre l’altro, la femmina, porta tutto il carico dell’attuazione di questa ‘possibilità’, la procreazione.
Per favore non tiriamo fuori argomenti da social; che non tutte le donne hanno istinto materno, che ci sono oggi donne che preferiscono la carriera, che ci sono coppie sterili (in genere uno o l’altro dei due), oppure anche se non lo sono per vari motivi hanno preferito, o gli è capitato di non avere figli. La Natalia Aspesi scrive che la massima libertà della donna è di ‘non’ fare figli. Giusto, ma solo le donne possono scegliere di ‘non’ farli. All’uomo questa scelta è inibita; semplicemente non può. E questo non-potere è di tutt’altro genere delle im-possibilità che possono capitare a un essere femminile, di patologie pre- o post-natali, o altre contingenze che le privino della facoltà. Perchè per l’appunto ciò le ‘priva’ di una ‘loro’ facoltà, cioè fa’ di quella donna particolare una singola donna ‘senza’ quella facoltà; mentre non ci possono essere ‘singoli’ uomini ‘senza’ la facoltà di procreare, perché ‘nessuno’ tra gli uomini ce l’ha.
Tutto quello che si interpone tra una possibilità e la sua attuazione è contingenza. Ma la possibilità, unica ed esclusiva, è prerogativa dell’essere femminile della specie. Come sappiamo bene da tutti i casi a noi noti, di amiche e conoscenti che hanno scelto comunque di avere un figlio sotto la pressione del cosiddetto ‘orologio biologico’ che ticchettava, come si usa dire (e la ‘realtà’ di questo orologio è del tutto inconferente). Di averlo indipendentemente da un’unione, stabile o meno, con la stessa persona, magari scelta apposta, che aveva contribuito. A maggior ragione se il contributo era casuale. Mentre non mi risulta assolutamente di maschi single che si siano sbattuti intorno per realizzarsi come padri; mai sentito in tanti anni. Questa differenza abissale nei comportamenti di fatto qualcosa vorrà dire, al di là delle chiacchiere.

3) La vendita della capacità.
Una capacità in vendita in questo mondo capitalistico ha dinamiche note e direi necessarie; ce l’ha insegnato il solito Marx.
Sappiamo che esiste a San Diego un’agenzia di intermediazione, la Extraordinary Conceptions che, come molte altre suppongo, mette in contatto coppie che vogliono un figlio con candidate gestanti-&-partorienti. Un tipo di rapporto che ricorda il Verlagsystem (industria a domicilio), che ancora nell’Ottocento era diffusa in Europa e in Inghilterra era stata caratteristica dei primi decenni del decollo. Marx lo chiamava ‘sussunzione formale’ del lavoro sotto il capitale. Il capitalista forniva risorse al ‘produttore’ casalingo e poi raccoglieva il prodotto e lo distribuiva. Ma il produttore non lavorava sotto il controllo ‘diretto’ del capitalista; da cui il termine di Marx ‘formale’, nel senso che il mercante-capitalista pagava un ‘prodotto’, ma non un ‘salario’ (si ha, secondo Marx, sussunzione reale del lavoro quando il lavoratore lavora con l’apparato produttivo di proprietà del capitalista, diventando così lavoratore salariato). Cioè il rapporto aveva a che fare solo con la ‘forma’ di merce del prodotto, e non con la produzione della sua realitas, di ciò che la merce è, come quando il processo è sotto controllo completo del capitalista, nella fabbrica in cui si attua la sussunzione reale del lavoro sotto il capitale.
Qui c’è maggiormente (quantomeno finora) l’aspetto di agenzia di intermediazione; ma l’analogia è comunque utile.
A quanto si è letto la cifra complessiva del prezzo da pagare è di 150mila dollari, anche se non è chiaro a quanto ammonti l’intermediazione. Non poco, se da altre fonti si parlava di compensi alla gestante da 35mila a massimi di 50mila dollari. Il che autorizza a parlare a pieno diritto di sfruttamento in senso marxiano. ‘Sfruttamento’ per Marx si ha quando in lavoratore produce plusvalore per chi lo assume (cioè la differenza tra il prezzo pagato dall’utilizzatore finale e il compenso pagata alla donna procreante; o alle donne cooperanti nella procreazione). E questo è sicuramente il caso.
Dal Corriere leggiamo che: “Una volta completata la registrazione in cui si forniscono le generalità della coppia, la nazionalità, l’orientamento sessuale e il trattamento desiderato si ha accesso all’elenco delle donatrici, che in tutto sono duemila, e a quello delle portatrici, che invece sono solo cento. È possibile fare una ricerca mirata della persona che cerchiamo indicando razza, orientamento sessuale, studi fatti, età e se richiediamo un aborto in caso di malformazioni o una eventuale riduzione fetale”. Insomma: intermediazione, mercificazione, sfruttamento e anche una spruzzata di eugenetica. Un complesso davvero profumato.

4) Da casi singoli alla dimensione di massa.
Il numero stesso delle donatrici di ovulo – rispetto alle ‘portatrici’ – suggerisce che il mercato cui l’agenzia si rivolge oggi è, quantomeno in prevalenza, omosessuale. Ma sono possibili sviluppi ulteriori, proprio nel comparto eterosessuale che potrebbe far crescere la dimensione del mercato in modo esponenziale e far fare un salto alla sussunzione reale. Cioè la formazione di cliniche-complessi in cui il processo fosse messo sotto controllo dall’inizio alla fine. Dal Verlagsystem all’industria.
Non è infatti impensabile che una volta che le coppie omosessuali abbiano aperto il mercato e si siano assunte i primi rischi di una nuova pratica questa si possa espandere. Se ricordiamo l’esplosione del parto cesareo non dovuto a esigenze cliniche ma solo al desiderio di ridurre gli inestetismi post-parto delle signore partorienti, non sembra impossibile un nuovo passo avanti.
Si potrebbero infatti organizzare cliniche cui coppie con mezzi si rivolgano sistematicamente (alcune lo fanno già, ma sono ancora piccole minoranze) per separare il concepimento dal processo successivo, gestazione e parto. Una volta prodotta la fecondazione la gestazione verrebbe portata avanti da donne selezionate, molto probabilmente di etnie di solidità fisica (tra le donne di ceppo europeo negli ultimi decenni si sono moltiplicate infatti le fragilità e i rischi legati alla maternità); quindi sudamericane, asiatiche o africane direi. Gli eventuali rischi residui poi potrebbero essere coperti da adeguate contro-assicurazioni.
In questo modo le signore potrebbero evitare le noie e i pericoli anche della gestazione per non parlare dei dolori e dei rischi del parto; nonchè gli inestetismi del post-parto. Una volta affidato l’ovulo fecondato della coppia – o comunque sia – alle amorevoli cure della clinica, la signora potrebbe condurre la sua vita famigliare, sociale e professionale in piena libertà. E alla fine ne avrebbe comunque il frutto desiderato. Poi dopo ci saranno altre donne cui affidarne la gestione. Ma questo si è sempre fatto. Era nella prima fase che fino ad ora la fatica e il rischio dovevano essere assunti di persona. E così giustificare l’appellativo di ‘madre’. Il sarcasmo non nasce dal fatto di voler evitare fatiche e rischi; è umano. Ma dal fatto di approfittare di condizioni di miseria altrui per scaricarli.
Ovviamente le donne di fasce di reddito inferiori continuerebbero a gestirsi la gravidanza nelle modalità tradizionali. Ma per quelle delle fasce di reddito superiore sarebbe possibile ‘esternalizzare’ sistematicamente la produzione dei loro stessi figli a donne delle fasce inferiori. Certo, possiamo anche immaginare un mondo in cui alcune donne o professionalmente o occasionalmente vendano la loro ‘capacità procreativa’, per un guadagno regolare o integrativo. Normale? Huxleyano? Progressista e di sinistra?
In quel mondo l’estensione della forma di merce alle capacità più intime dell’esse-re umano si compirebbe. Già anni fa, Mario Tronti caratterizzò la svolta in atto a partire dagli anni Ottanta come la sussunzione sotto la forma di merce dei rapporti sociali. Questo passo è al tempo stesso possibile e pensabile, e io direi perfino probabile; sarà solo un ulteriore scatto in avanti. Il primo passo verso la ‘mercificazione totale’ è già stato fatto.
Alcuni amici mi dicono che questo accadrà necessariamente, e che quindi è inutile opporsi. Sono assolutamente d’accordo. Gli sviluppi futuri si verificheranno in non molto tempo, a giudicare dall’accelerazione che ha portato fenomeni impensabili fino a poco tempo fa’ a essere considerati ovvi; e perfino circondati di una melensa retorica sentimentale a loro giustificazione.
Penso anch’io che sia inevitabile; ma non riesco a convincermi che la ‘mercificazione totale’ della sostanza umana dell’essere femminile (cioè della sua ‘capacità’ più propria) sia ‘progressista e di sinistra’. No.

APPENDICE: La ‘maternità surrogata’ dal Verlagsystem all’industria.
Il corpo della donna può essere considerato come il telaio del tessitore casalingo del Verlagsystem. proprio per quello l’ho richiamato (anche se non lo è). E infatti ho parlato di passaggio all’industria nel senso di raccogliere le donne (coi loro corpi-telai) nella clinica.
Ovviamente in questo caso nessuno può separare il produttore dal mezzo di produzione (come nel caso del telaio). Ma la forma di merce rimane perché è l’intermediario capitalista che dirige il processo. Non solo, ma rimane anche la sussunzione reale sotto il capitale e non solo formale (per usare le categorie marxiane; ricordando che ‘formale’ è solo il mercante che gira tra i tessitori, che tessono in modo ‘tradizionale’; ma la ‘forma’ sociale del loro lavoro è moderna: la merce).
Anche perché sarà pur vero che il corpo-telaio è inalienabilmente della donna, ma nel caso della fabbrica-parto in realtà non si tratterà di vera e propria ‘produzione’. Sarà sempre la ‘capacità generativa’ delle donne ad attuare la ‘generazione’. Ovviamente tutto ciò richiama proprio quella distinzione che Aristotele esamina nella Fisica B sulla differenza tra il medico e l’opera del medico e quella dell’artigiano. Ed infatti la fabbrica-parto interviene per ‘aiutare’ – medicalmente – la ‘generazione’, non la sostituisce. Anche se sostituisce il ‘lavoro’ di generazione delle signore donatrici dell’ovulo.
Ma senza le attrezzature cliniche, imponenti, questo corpo potrebbe lavorare in modo inefficace. Come è oggi storicamente il caso. Solo le donne africane partoriscono ancora accovacciate lungo le strade. Nei paesi sviluppati è cresciuto un apparato clinico medicale e di macchine imponente per garantire la salute della gestante e del neonato (con l’inevitabile inversione del rapporto tra sistema di macchine e corpo-procreatore/produttore, quale Marx ha analizzato tra sistema di macchine e lavoratore nel famoso Frammento sulle macchine dei Grundrisse).
Senza l’apparato (il Gestell heideggeriano?) oggi non si dà neppure la nascita privata. Figurarsi quella ‘commercializzata’ con la necessità di tutte le garanzie (degli investimenti della clinica e dei committenti) per l’eliminazione del rischio, cioè per la massimizzazione della probabilità dell’evento positivo – come dice oggi la stessa pubblicità televisiva per i test di gravidanza – in una spasmodica ricerca della certezza; ricerca della certezza che da tempo ha lasciato le severe aule accademiche per espandersi a macchia d’olio nella vita quotidiana.
Quindi l’apparato centrale clinico è assolutamente necessario perchè il processo produttivo del singolo corpo-telaio sia attuabile in modo mercantile. e questo collegamento tra corpo-telaio e apparato clinico configura la forma specifica della sussunzione reale della capacità produttiva sotto il capitale; nel caso specifico della compravendita della «capacità procreativa».

1) Ovviamente è possibile un’altra analogia, con fattrici animali. Ma la trovo così offensiva per le donne che mi astengo. Però, voglio sottolineare il paradosso che mentre per me l’analogia è urticante, chi lo fa e chi lo applaude, di trattare una donna come una fattrice animale, neppure se ne rende conto.

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Fonte foto: La Nuova Bussola Quotidiana (da Google)

3 commenti per “Marx e la maternità surrogata

  1. armando
    11 novembre 2019 at 11:00

    Alla chiosa iniziale di Fabrizio, con la quale concordo, aggiungo che la maternità surrogata, ma in generale tutte le tecniche di procreazione artificiale, emarginano anche il maschio/padre, o escludendolo del tutto o riconfermandolo in un ruolo che l’articolo definisce “effimero”, ovvero non fondamentale. Ed in effetti in un mondo artificializzato è esattamente così, ma appunto in un mondo che si è lasciato alle spalle ogni naturalità. La quale, comunque la si pensi, non può mai prescindere dal corpo sessuato ed anche in ottica evoluzionista assegnare a maschi e femmine il proprio ruolo imprescindibile. Nel caso del maschio è quello di iniziatore del processo che porta ad una nuova vita tramite la penetrazione, così tanto esecrata dal femminismo più estremista da essere considerata in sè uno stupro. E ciò solo stando alla biologia, e trascurando gli altrettanto fondamentali ruoli e funzioni sociali maschili e paterne rispetto ai figli e durante la gravidanza femminile. Ergo, la polemica contro la maternità surrogata argomentata solo con la emarginazione del materno e del femminile, è gravemente carente e falsificante nel momento in cui ammette silenziosamente (o da per scontata) l’irrilevanza e l’emarginazione del padre/maschio, al più portatore (ma con l’avanzare delle tecniche sempre meno) di un principio simbolico e non di più, che ovviamente finisce per sempre meno concretizzarsi in atti concreti e in funzioni sociali.

    • Fabrizio Marchi
      11 novembre 2019 at 16:18

      Condivido completamente la tua riflessione.

  2. Panda
    12 novembre 2019 at 0:45

    Aggiungerei anche la questione del tempo: il lavoratore aliena sempre e solo *una parte* del tempo della sua giornata; la gestante-lavoratrice lo aliena tutto, 24 h su 24 senza possibili interruzioni. Questo rende la maternità surrogata molto più simile alla schiavitù che non al normale lavoro dipendente.

    Penso invece che quella dell’inevitabilità sia una trappola retorica che il progressismo borghese ha sempre allestito volentieri e in cui è quindi bene non cadere. Qui concordo con la Arendt: l’imprevedibilità è una caratteristica fondamentale dell’uomo e della politica, che va coltivata perché è sempre possibile sperarci.

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