Militanza politica, la retorica propositiva e i giovani

Chi è impegnato nella vita politica in una dimensione critica al sistema dei partiti parlamentari e all’assetto culturale neo-liberale e che di conseguenza è costretto a muoversi nelle strettoie causate dal divieto d’accesso alla grande informazione, si sarà trovato spesso imbrigliato nel confrontarsi con chi ha bisogno di chiarimenti o di delucidazioni politiche tra le più svariate. Una di queste che contiene implicitamente un ammonimento così recita “sì va bene la critica, ma le proposte?”.
Questo interrogativo provoca di solito sensazioni di smarrimento e di scoramento esistenziale che si concludono inesorabilmente in una mancata risposta. Appare però essenziale cercare di capire i motivi di questa barriera comunicativa che nell’immediato porta a considerazioni di sfiducia generale nei confronti dell’umanità intera. A pensarci bene le conseguenze di una società spoliticizzata dalle dinamiche dello spirito d’impresa hanno reso gli esseri umani refrattari all’attrazione per le grandi narrazioni. Quindi nel momento in cui si ragiona su coordinate politiche e ideologiche di ampio respiro queste non vengono associate spontaneamente a quelle che vengono chiamate “risposte concrete”. In questo tranello cadono anche gli individui che per condizioni sociali, personali, lavorative o emotive si avvicinano a movimenti antagonisti o di opposizione radicale.
Tutti hanno bisogno di risposte concrete, questo il mantra. Non si comprende insomma che solo ponendo quella domanda si cade in un tranello ben congeniato perché si esclude a priori che una differente visione della società o che speculazioni di lunga durata su concetti quali Giustizia, Libertà, Stato, Società, Popolo o Classe contengano in sé delle risposte che potranno cambiare in meglio la vita quotidiana delle persone. Tutto deve passare necessariamente sul terreno della razionalità operativa con la rassicurazione di potersi esprimere seguendo i canoni consueti dell’applicazione di calcolo. Dimostrazione del fatto che l’imprenditorialità ha rappresentato la reale svolta ideologica del liberalismo e il mezzo con cui ha conquistato l’egemonia culturale. Suo epigono politico è la continua richiesta di democrazia diretta.
Il sentirsi continuamente coinvolto in una sorta di perpetua sala operativa rassicura il militante sulla propria utilità esistenziale che politicamente si dovrà manifestare attraverso tavoli tematici, forum di discussione, artifizi pubblicitari nei quali emergeranno come d’incanto le stesse soluzioni ispirate alla razionalità tecnica di mercato che vengono presentate da decenni come neutrali. Risparmiare, razionalizzare, ammodernare, semplificare. Si deve constatare quindi che senza conquista dell’egemonia risulta superfluo procedere alla formazione di strutture imperniate sulla partecipazione diretta anche se in apparenza risulterebbero più seducenti.
Con la richiesta di “risposte concrete” si nega anche un altro aspetto della partecipazione politica attiva. Si vuole far intendere che la vita spesa in strutture collettive solide, all’interno delle quali l’elaborazione intellettuale e politica sedimenta una visione complessa e articolata della realtà sia del tutto inutile. Come inutile è la discussione ideologica che determinerà un passare del tempo dedicato a lunghi dibattiti a elaborazioni documentali e a tesi congressuali, in una dinamica di conflitto interno alla medesima struttura politica. Si rifugge, senza saperlo, da un’idea sostanziale della democrazia che non può venire alla luce se privata del conflitto. Attraverso la retorica delle risposte concrete si presuppone l’esistenza di una popolazione dai bisogni omogenei che al massimo potrà rallegrarsi della tecnica manageriale applicata.
Quindi per costruire movimenti politici di rottura con un larga base di militanza, nei quali insomma la platea non sia composta da soli quadri intellettuali o estremamente politicizzati, non basta come afferma Chantal Mouffe il ricorso all’idea di un legame passionale tra militanti. Anche se viene chiarito che il termine passionale non si riferisce alla mera sfera emotiva questo appiglio non risulterà sufficiente a capovolgere una narrazione che plasma da anni il senso comune. Nonostante la passione le credenze spontanee rimarranno quelle più congeniali al pensiero dominante anche se istintivamente lo si vorrebbe contestare. Proprio i movimenti ancorati al populismo di sinistra – Podemos, France Insoumise, Syriza – o che si sono ispirati a nuovi linguaggi comunicativi come il Movimento 5 Stelle hanno dimostrato questa fragilità dato che sono stati progressivamente riassorbiti, chi più e chi meno, nelle logiche di sistema.
Infine l’aspirazione alla concretezza spicciola lascia intendere che la funzione della politica sia solo di natura amministrativa. Inconsciamente si torna all’idea liberale della politica come arte di governo in un quadro aprioristicamente determinato nel quale i rapporti di forza sono immutabili. Ci si lascia incantare dalle sirene della contrapposizione artificiale e spettacolarizzata tra partiti che discutono su modelli di costume, sull’etica individuale o sulle qualità meritocratiche nell’impiegare determinate risorse.
Il tema della concretezza è strettamente connesso a quello dell’assenza della partecipazione giovanile. Ma i giovani hanno ormai quasi del tutto introiettato gli imperativi pedagogici sulla buona condotta personale da sprigionare in un sistema concorrenziale. La loro gioiosa partecipazione si concentra su tematiche sempre sganciate da riflessioni sul modello di sviluppo a meno che non vengano toccati temi di carattere universale o di stampo umanitario così come sono presentati dalla comunicazione ufficiale. Quando disegnano una “nuova” militanza o un nuovo vocabolario non si riferiscono a letture differenti della realtà ma intendono ancor di più esaltare l’efficienza privata, il sentimentalismo individuale e l’evoluzionismo tecnologico. Tutto si riduce a una proliferazione di idee innovative. Così i partiti si adeguano in una rincorsa spasmodica per catturare la loro attenzione con le fabbriche o le officine di idee. La loro diseducazione a una vita realmente politica li costringe a entusiasmarsi per grandi progetti calati dall’alto in un immaginario dove il leader giovanilista assume una veste vaticinante e dove vengono relegati o in un assemblearismo inconcludente o in una simulazione estatica della partecipazione incanalata in prototipi fluidi delle strutture collettive. Piena di buoni propositi ma priva di alcuna sostanza. Le Sardine insomma pullulavano di giovani.

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2 commenti per “Militanza politica, la retorica propositiva e i giovani

  1. Giulio Bonali
    5 Marzo 2021 at 15:45

    Secondo me il problema é che allo stato di cose (disastroso) cui siamo pervenuti non esistono e non possono esistere rimedi indolori.
    In particolare non esistono possibilità per il popolo lavoratore di migliorare le proprie condizioni di vita scadenti e in via di ulteriore, progressivo, apparentemente inarrestabile peggioramento, che non implichino inevitabilmente non solo pesanti colpi sferrati ai potenti e agli sfruttatori, ma anche e faticosissimi sforzi ed esperienze dolorosissime per i vessati e sfruttati stessi.
    Fino alla caduta del muro di Berlino si poteva realisticamente pensare (qui in Occidente) che lotte sociali e politiche limitate, condotte per così dire nel rispetto di un certo fair play fra i contendenti, potessero produrre per lo meno correzioni agli assetti sociali capitalistici esistenti e miglioramenti delle condizioni di vita degli esclusi dalla proprietà dei mezzi di produzione e dal potere. Ma dopo la vittoria campale del capitalismo della fine del XX secolo, dopo la scomparsa di una alternativa reale (per quanto caratterizzata anche, fra l’ altro, da problemi, limiti e difetti che sarebbe lunghissimo e difficile cercare di spiegre nella loro genesi e in parte nella loro stessa portata effettiva) gli “spiriti animali” del sistema sociale dominante possono dispiegarsi e inevitabilmente si dispiegano in tutta la loro bestiale brutalità.
    Cercare di contrastarli efficacemente richiede oggettivamente sforzi, fatiche e combattimenti di inaudita portata e violenza, e sperare di potere ottenere “a buon mercato”, senza passere attraverso prove durissime, probabilmente anche (alla lettera) sanguinose, miglioramenti, anche limitati, nelle condizioni di vita delle popolazioni dominate sarebbe come pretendere di curare un tumore maligno, anziché con mutilanti operazioni chirurgiche e defatiganti e dolorose chemioterapie, con cure Di Bella od omeopatiche.
    Si tratta di illusioni che inevitabilmente conducono in brevissimo tempo al più squallido e deleterio “tsiprismo” (cioé a passare da roboanti proclami “rivoluzionari” quando si é all’ opposizione a spietate vessazioni antipopolari quando si raggiunge il governo; i vecchi trasformisti italiani dell’ 800 erano dilettanti allo sbaraglio, in confronto ai vari trispirivaufachi oggi sparsi per tutta l’ Europa).
    Mi sovviene una delle prime scene del bellissimo film La battaglia di Algeri, che vidi più di mezzo secolo fa: un capo della nascente resistenza algerina entrò in un bordello (ovviamene frequentato da una benestante clientela francese delle cui mance beneficiavano sottoproletari algerini) nel quartiere popolare arabo della capitale, e spietatamente falciò con una raffica di mitra il magnaccio del bordello stesso e, se ben ricordo, anche qualche giovane prostituta araba, dicendo qualcosa come: “se non cominciamo a tagliare le nostre membra cancrenose, non riusciremo mai sconfiggere i nostri nemici e a guarire dal male dell’ oppressione coloniale”.
    Bene. Anzi: male! Credo proprio che siamo a questo punto, che (per usare le famose parole di un bieco reazionario del secolo scorso) se non si si rivolge al popolo promettendogli “sudore, lacrime e sangue” non si fa altro che cullare dolci illusioni del tutto funzionali alla sopportazione di vessazioni e ingiustizie sempre più spietate e disumane.
    E’ terribile, certo, ma solo guardando coraggiosamente in faccia la realtà si può sperare (senza averne la certezza: vedi la metafora del tumore maligno!) di cambiarla in meglio: hic Rhodus, hic salta!

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