I “nuclei concettuali essenziali” nella neolingua neoliberale

Bisogna che dedichiamo ogni tanto del tempo a demistificare la neolingua attraverso la quale si sta provvedendo ad intensificare l’attacco alla scuola pubblica. Tra i molti arnesi al servizio dell’amputazione cognitiva, parallela e funzionale alla trasformazione del discente in cliente, nella scuola pubblica, è al suo posto la nozione di “nuclei concettuali essenziali”. Non si tratta di una nozione innocua, al contrario è parte integrante della neolingua neoliberale e tecnocratica imposta alla scuola dai livelli superiori e dai loro centri di elaborazione e appartiene, dunque, all’armamentario utile a preparare nuove contro-riforme e nuove riduzioni, nonché ad approfondire la ristrutturazione antropologica che passa attraverso la distruzione della scuola pubblica.

In particolare, i “nuclei concettuali essenziali” sono strettamente associati alla contro-riforma del liceo quadriennale, che è stata recentemente proposta come sperimentazione ma che, respinta in molti casi all’ingresso principale dell’adesione volontaria, riapparirà, dobbiamo aspettarcelo, alla finestra in forma di obbligo.

Il quadriennale presenta un curriculum anglofono nella terminologia e nella sostanza, con una drastica riduzione dei contenuti nelle discipline a beneficio dell’ottuso pensiero “computazionale” perfetto prodotto dell’egemonia tecnocratica nella quale siamo immersi. Ovviamente zeppo di inglesismi, che entrano in profondità sia negli aspetti organizzativi (learning week, workshop) che nelle finalità pedagogiche (Humanities, design thinking, global mindset ecc.), riflette la piena interiorizzazione e allo stesso tempo promuove il passo successivo della colonizzazione neoliberale e tecnocratica anglosassone della scuola pubblica, il cui cardine può essere individuato nella radicale amputazione dei contesti a beneficio delle procedure, cioè di “competenze” sempre più svuotate di contenuto. Contrariamente a quanto, ingenuamente, si è a volte portati a credere, il potere non ha mai sottovalutato l’importanza della scuola e gli architetti del regime tecnocratico non fanno eccezione. Nella loro visione, la scuola deve servire a plasmare il tecno-suddito. Proprio come nella realtà tracciata da Orwell, la rimozione di contesti e contenuti, in una parola della profondità storica, deve rendere impossibile istituire confronti tra diversi sistemi di pensiero e di organizzazione sociale e, dunque, immaginare il mondo in altro modo, portando ad accettare l’eterno presente della Tecnica e del Mercato. Tutti i saperi vengono curvati a questa logica. Laddove insegnare qualunque disciplina dovrebbe sempre significare insegnare antropologia culturale, e cioè l’esistenza di molteplici possibilità, la Tecnocrazia persegue la riduzione ad una sola.

Ora, l’argomento principale utilizzato per cercare di superare le motivate perplessità e resistenze nei confronti del quadriennale è stato proprio quello dei famosi “nuclei concettuali essenziali” e suona più o meno così: non dobbiamo preoccuparci e non dobbiamo aver paura di sperimentare. In fondo noi facciamo già, sempre di più, i nuclei essenziali (abbiamo fatto trenta…) e quindi non dovremmo far altro che concentrarci su di essi. Snellire la didattica e ridurla all’essenziale, tagliando, insomma, quello che non serve.

Chiunque abbia inteso seriamente il mestiere dell’insegnamento sa bene che i cosiddetti “nuclei concettuali essenziali”, se vogliamo davvero dare a tale espressione un senso realistico calato nella prassi didattica, non possono rappresentare il punto di partenza, un prodotto bell’e pronto da consegnare, ma solo un faticoso approdo e un risultato da costruire con pazienza e secondo esiti non predeterminati a disposizione della riappropriazione individuale. I “nuclei concettuali essenziali” sono, semmai, quello che resta, se tutto va bene, dopo che si è seminato, zappato e vangato, ogni giorno, per favorire nel discente (che io insisto a chiamare esattamente in questo modo) l’attivazione di quei processi che sono innescati soltanto dalla ripetizione, dal lavoro costante e infine dall’interiorizzazione. E che devono passare per la conoscenza dei contesti, come anche per la proposta di un numero significativo di stimoli culturali diversificati.

 

L’insegnante ridotto a smerciatore di pillole

L’insegnante, invece, dovrebbe, si suppone, presentarsi in classe con i “nuclei concettuali essenziali” pronti e in buon ordine. Anzi, già che ci siamo, entrerà ogni volta in classe con la sua intera disciplina già suddivisa nei suoi “nuclei concettuali essenziali”, magari ben sistemati e impilati in una bella valigetta. E magari in forma di pratici flaconcini, che potrà dispensare in comode dosi agli studenti. Il gioco è fatto. Cosa vuoi che sia, cosa ci vuole a recapitare agli studenti-clienti il “nucleo concettuale essenziale” di oggi? Ovviamente, per favorire la migliore riuscita, sarà condito con i mirabolanti effetti della didattica innovativa tecnologica.

Quale “sapere” si potrà mai dispensare in questo modo, se non conoscenze e, soprattutto, procedure, in formati sempre più standardizzati, replicabili e automatizzati?  Del resto il risultato è stato preparato e viene da lontano. si vedano l’Invalsi, le prove parallele e tutto il resto dell’armamentario.

Ovviamente tutto questo va letto sullo sfondo e in collegamento con una amputazione quali-quantitativa della didattica che passa anche per altre vie, a cominciare dall’intasamento della scuola ottenuto da una parte con una iper-burocrazia esorbitante ormai del tutto priva di relazione con le esigenze di gestione della scuola, dall’altra con la spasmodica proliferazione di ogni sorta di attività che in molti casi oscillano tra l’inutile e il controproducente. La didattica viene in questo modo disarticolata dall’interno e, con la didattica, anche la relazione docente-discente. Tutti gli elementi devono essere visti nell’insieme per rendersi conto di come la didattica sia presa in ostaggio. L’essenziale di questo costante lavoro ai fianchi consiste precisamente nel fatto che la relazione docente-discente smette di essere una relazione diretta, precondizione per l’interazione pedagogica, per diventare una triangolazione, perché si interpone il terminale necessario e opprimente della burocrazia, delle carte fisiche e digitali, delle mille attività, del PCTO (ex alternanza scuola-lavoro) ecc., cioè tutti gli elementi strutturali alla base del modello che ha preso d’assalto la scuola pubblica.

Nessuno si sognerebbe di entrare nella scuola e dire espressamente agli insegnanti che le discipline devono essere distrutte perché contengono il potenziale di riconoscere, confrontare e decodificare i sistemi di pensiero e di potere, e quindi anche metterli in questione e chiedere di dar conto e di cambiare. Si provvede, quindi, a destrutturare la didattica in altro modo.

A questo punto, come ciliegina sulla torta, scassata e disinnescata la didattica, i ragazzi sono pronti per essere portati a partecipare ai vari “orientamenti” universitari, in realtà vere e proprie forme di indottrinamento, dove relatori imbottiti dell’ideologia neoliberale tecnocratica nella peggior salsa bocconiana (profondamente interiorizzata dalle nuove leve di ricercatori e docenti appositamente selezionate) potranno dedicarsi a veicolare il messaggio di fondo per cui la scuola non serve a formare le indispensabili “life skills”, che sole consentono di gettarsi con fiducia nelle braccia salvifiche del Mercato, sferrando il colpo finale alla relazione discente-docente.

Fondi alle scuole sulla base di inattendibili indicatori ...

Fonte foto: ROARS (da Google)

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