Il partito che non c’è

… E infine venne anche la conferenza stampa, a reti unificate, neanche parlassero insieme il Papa, il Presidente della Repubblica e quello degli Stati Uniti, di Mario Draghi.

… Bla, bla, bla: compatibilità economiche, sostenibilità, credibilità internazionale; tutto scontato, come al solito. Perché? Perché cambiano i maestri ma la musica è sempre la stessa, da almeno 30 anni a questa parte.

A governi teoricamente di centrosinistra e di centrodestra (i secondi sempre un filino meno teorici dei primi) con ultimo qualche spruzzata “movimentista”, si continuano a succedere esecutivi cosiddetti “tecnici”, che poi in realtà sono quelli più politici, nel senso che la politica che gli viene dettata da istituzioni economiche sovranazionali la fanno davvero.

Prima, negli anni ‘90, Amato, poi Ciampi, poi ancora Dini, negli anni 2000 Monti e Fornero, poi in ultimo Draghi. La musica non cambia, lo spartito è sempre lo stesso.

A pagare le crisi del sistema economico sono sempre gli stessi: i cittadini, lavoratori e pensionati in carne ed ossa. Ed allora, quali sono le ricette uniche conosciute? Riforme, Riforme, Riforme, che poi in realtà sono Controriforme; negli ultimi 30 anni, soprattutto in paesi come l’Italia (ma non solo), dove c’era uno Stato sociale, bisognava distruggerlo. Ma come? Con un colpo di stato violento, tipo Sud America? No. Noi siamo le rane nell’acqua fredda, per questo si fanno le “Riforme”: delle pensioni, del lavoro, della scuola, della sanità, delle aziende pubbliche di servizi. Ma pian piano, per non farci arrabbiare troppo, e tutti insieme.

E così, per le loro compatibilità economiche, per la loro sostenibilità, per la loro credibilità, non è più possibile andare in pensione dopo “solo” 35 anni di lavoro; non si deve più ricevere un salario adeguato per vivere dignitosamente. Non ci si deve rivolgere solo alla Sanità pubblica; bisogna riformare la scuola, ovviamente destinando fondi a quelle private; i contratti di lavoro, viceversa, per cui sembrava possibile una riduzione della settimana a 35 ore lavorative. No, non è più ipotizzabile; bisogna marciare invece verso la massima saturazione possibile a 40 ore e oltre, e le lancette dell’orologio tornassero anche indietro di 50 anni; via libera inoltre alle precarizzazione che all’inizio fu ipocritamente chiamata “flessibilità” o “versatilità”. Per questo esistono oggi milioni di lavoratori nel precariato. A chi fanno comodo? Sottopagati, con contribuzioni ballerine e di fatto senza alcun diritto.

Potremmo continuare ore ad illustrare altre note di questo triste spartito, ma credo sia ormai chiaro il discorso per chi vuol capire!

Cosa dovrebbe proporre quindi uno schieramento, un’alleanza, una coalizione, o magari solo un partito che voglia stare dalla parte dei lavoratori? La rivoluzione di questo sistema! Sì, avete capito: la rivolta a questo sistema. La rivolta della classe lavoratrice insieme agli studenti e ai pensionati, cioè semplicemente la stragrande maggioranza della popolazione, quella che da decenni paga il prezzo più salato a questo sistema. Il sistema che precarizzando il lavoro ha precarizzato la vita di milioni di persone (in Francia, ad esempio, quando provarono ad introdurre il lavoro interinale, una moltitudine eterogenea scese in piazza per giorni al grido “la vostra riforma non passerà, le nostre vite non saranno precarizzate!”).

Poche proposte, allora: chiare, essenziali, concrete; senza fumosità soprattutto, e depennate di false ideologie. Inutile leggere, ancora oggi, sui manifesti litanie tipo “il lavoro è dignità” “per l’Europa” , “per l’ambiente”, “per i diritti”, “per il lavoro”, “per la parità di genere” , “per il pericolo della destra” etc. etc. etc.

No ! No! Questa robaccia non la vogliamo più, se poi in realtà le politiche seguite sono sempre contro i lavoratori e a favore delle classi dominanti. Questi schieramenti, con le loro parole finte, rappresentano il male assoluto, per alcuni versi peggiori delle stesse coalizioni cosiddette moderate o di centrodestra, che se non altro continuano a fare il loro di mestiere, cioè rappresentare gli interessi di chi li vota, risultando alla fine  meno ipocriti e, forse, addirittura, meno dannosi complessivamente, per un discorso che però non stiamo qui ad affrontare.

E quindi veniamo alle proposte, che sarebbe ideale confutare successivamente in un dibattito aperto, per dimostrare la fondatezza delle tesi:

1)  Ritorno al diritto alla pensione di anzianità dopo 35 anni di lavoro.

2) Riduzione dell’orario settimanale a 35 ore.

3) Introduzione del salario minimo a 10 euro netti.

4) Lavoro nero dichiarato illegale, al punto di prevedere oltre alle sanzioni, pene severe, fino alla detenzione, se il datore reitera il reato.

5) Assunzioni obbligatorie per ogni lavoratore con un qualsiasi contratto a tempo determinato, dopo 12 mesi.

6) Rinnovo dei contratti nazionali di lavoro dopo 6 mesi dalla scadenza, con clausole economiche fissate per legge.

7) Ritorno di un meccanismo tipo scala mobile , che mantenga gli stipendi adeguati al costo della vita.

Ecco, queste dovrebbero essere le prime proposte. Oggi potrebbero apparire “impresentabili” , ma in virtù di quello che ci hanno inculcato a ritmo incessante per 40 anni e che purtroppo è stato fatto suo da chi pensavamo dovesse rappresentare i nostri interessi, ed invece aveva sposato alla grande la “causa del capitale”…

Sarebbe l’ABC per un partito che volesse dirsi ancora “di Sinistra” e che mettesse al centro dei suoi pensieri i lavoratori di questo paese.

Sogniamo tutto, vogliamo il possibile!

Liberi i sindacalisti di Piacenza: no alla delegittimazione di chi si batte  per i lavoratori". L'appello di Zerocalcare e degli accademici - Il Fatto  Quotidiano

Fonte foto: Il Fatto Quotidiano (da Google)

7 commenti per “Il partito che non c’è

  1. Davide
    8 agosto 2022 at 15:11

    Con la maggior parte delle “indicazioni” dell’autore il sistema produttivo nazionale fallirebbe in breve tempo e a seguire il bilancio dello Stato.
    Quelle formule potevano, in parte, essere applicate in altri tempi ed in altri contesti sociali ed economici nazionali ed internazionali. Oggi sono pura utopia.
    Lo affermò da dirigente di impresa privata e da piccolo imprenditore.
    Solamente utopia.

  2. Davide
    8 agosto 2022 at 15:26

    Aggiungo, l’autore ragiona come se i prodotti e servizi realizzati dal sistema d’impresa italiano non dovessero essere offerti nel mercato globale.
    Il parametro della competitività non è emancipabile semplicemente con il ns. desiderata.
    Anche la qualità dei servizi gestiti dalla PA devono essere sottoposti di necessità alle medesime esigenze, di efficienza e sostenibilità economica.
    Non basta dichiarare “tutti hanno diritto ad un’esistenza dignitosa”, su questa affermazione convergiamo quasi tutti. Qualche idiota, ovviamente, continuerà ad essere presente tra noi.
    Il problema è, semmai, come riesco a declinare sacrosanti diritti delle classi lavoratrici e sostenibilità del sistema economico in uno scenario internazionale.
    Concludo, é un dato di fatto che materie prime ed energia sono incrementate di recente del 35% in media.
    Fortunatamente abbiamo ancora un’ottima appetibilità per i mercati esteri.

    • antonio colaiacomo
      10 agosto 2022 at 15:57

      Buongiorno Sig. Davide. Innanzitutto la ringrazio per il commento, soprattutto per il diverso avviso rispetto al mio. Allora, Lei scrive ” il sistema produttivo nazionale fallirebbe…e a seguire lo stesso il bilancio dello Stato”. Innanzitutto penso che la definizione di sistema produttivo sia troppo generica. Intendiamo le industrie? I produttori di servizi? Il sistema pubblico in cui lavorano alcuni milioni di persone? Come vede se scendiamo su quel piano le differenziazioni sarebbero talmente particolari da rendere le varie “produzioni” non paragonabili e difficilmente sommabili. Ed in più, come stabilire correttamente il “prezzo” del singolo lavoro? Rientrerebbe comunque sempre nella soggettività di colui che sceglie e determina, cioè il governo in carica. Per fare un esempio concreto, quanto vale secondo noi il lavoro di un Professore? E quello di un impiegato in un azienda? e quello di un artigiano o di un operaio di una catena di montaggio? Sempre la Politica a decidere, non ci sono dubbi.
      “Il bilancio dello Stato” andando a rivedere la storia economica, quando gran parte della popolazione lavorativa “godeva” di stipendi adeguati al costo della vita e di diritti sacrosanti per un paese cosiddetto civile, non era certo giunto ai livelli deficitari di oggi, in virtù delle scelte “compatibili”…
      Quando definisce “utopia” certe indicazioni dell’autore, beh, lo avevo premesso nell’articolo. Il frutto di alcuni decenni di bombardamento mediatico a reti e coalizioni di fatto unificate, per lo meno sulle scelte economiche, han fatto sì da considerare in quel modo, cioè utopistiche, certe semplici idee o, se vuole, rivendicazioni.
      In ultimo sulla “appetibilità per i mercati, anche esteri…” Le merci, i prodotti, i beni di consumo, se ci riferiamo soprattutto alle produzioni materiali, tengono il mercato se fatti con Qualità. Quest’ultima caratteristica, come Lei, meglio di me, avrà avuto modo di saggiarlo ampiamente, non si basa certo sulla quantità di ore lavorate, o pagando i lavoratori al nero, oppure togliendo continuamente diritti normativi, o piuttosto diminuendo progressivamente e continuamente le buste paga. Tutt’altro: la logica di un’impresa efficiente e superiore, oggi si dice vincente, è basata soprattutto sull’ efficientamento dei sistemi a tutto tondo, sulla ricerca della qualità dei materiali, sulla formazione continua degli addetti, sullo studio work in progress del management…Tutte cose, ahimè, abbastanza rare nel panorama nazionale.

  3. michele
    8 agosto 2022 at 16:16

    caro Antonello……. auguri.
    un esempio, un ricordo; subito dopo il “68 nel” 70 nelle assemblee dei comitati universitari allargati in via dei Sabelli a San Lorenzo, mi stupì un fatto, Albertino Pace responsabile dei comitati prese la parola e disse: faccio presente e ricordo che in puesta assemblea c è un solo operaio(Michele Intorto). Prima gli studenti erano figli anche di operai non avevano niente solo un libro per studiare e tanta voglia di ribellarsi, oggi hanno tutto e di più e non hanno voglia di lottare gli operai per vivere sono costretti a fare più di un lavoro e sanno cosa significa lottare e non ne anno la forza.
    Un bacioni grande da Michele

    • Alessio
      8 agosto 2022 at 19:15

      Ottima osservazione: oggi i figli degli operai hanno tutto e non hanno voglia di lottare. Perché farlo se quello vuoi già ce l’hai????? Vedremo dove andremo a finire….

  4. Raf
    8 agosto 2022 at 18:05

    Assolutamente condivisibile. E poi potenziamo il sistema sanitario, visto l’incipiente l’invecchiamento della popolazione e facciamo un serio controllo sulla sicurezza nei cantieri che oltre che martoriati dal lavoro nero sono anche i più esposti al pericolo di tragici incidenti per via della mancata applicazione delle normative…

  5. Giacomo
    8 agosto 2022 at 23:00

    Analisi corretta e proposte cruciali per una svolta. Ritengo che il problema principale dei lavoratori, degli studenti dei pensionati e di tutte le fasce fragili della popolazione sia la mancanza di un partito se non comunista quantomeno di sinistra da almeno 40 anni. Anche un sindacato non doppiogiochista e consociativo! Il controllo sociale negli ultimi decenni si è inasprito e la possibile nascita di un partito, al di fuori del velleitario movimentismo, sembra essere alquanto difficile e complessa. Peraltro, a livello internazionale gli USA indeboliti sono diventati sempre più pericolosi e spingono in ogni area di influenza a radicare idee maccartiste. Ad ogni modo la coscienza di molti non è solita e un blando ottimismo possiamo concedercelo per i nostri figli (noi on si vedrà sorgere il sol dell’avvenire).

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