Pedro Paez:”Il capitalismo speculativo finanziario è il fascismo del XXI secolo”

Abbiamo incontrato presso l’Ambasciata dell’Ecuador a Roma, il Professor Pedro Paez, già Ministro Coordinatore della Politica Economica del Governo dell’Ecuador dal 2007 al 2008 e dal 2012 “Presidente de la Comisión Técnica Presidencial Ecuatoriana para el diseño de la Nueva Arquitectura Financiera Regional – Banco del Sur y Representante Plenipotenciario del Gobierno de Ecuador”  (Sovrintendenza di Controllo del Potere di Mercato), cioè l’organismo di controllo e regolazione della concorrenza e di lotta contro i monopoli e gli abusi di potere del mercato (primo nel suo genere nel paese). Di fatto il regista dell’intera economia ecuadoriana.

Pedro Paez ci ha concesso un’intervista in esclusiva e lo ringraziamo calorosamente per questo, così come  ringraziamo l’Ambasciatore, Juan Holguin, e tutti i funzionari dell’Ambasciata con i quali abbiamo allacciato una collaborazione molto positiva che certamente continuerà nel tempo.

Il Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, si definisce orgogliosamente un “socialista del XXI secolo”.  Quali sono per lei i tratti fondamentali del Socialismo in particolare dopo la crisi di quello novecentesco? Possono le esperienze in corso in diversi paesi dell’America Latina costituire un nuovo modello?

Per affrontare tale argomento in occasione del triste anniversario della prima guerra mondiale penso sia necessario ricordare Rosa Luxemburg, la sua analisi teorica, il dilemma dell’umanità del ‘900, “socialismo o barbarie”. Oggi, qualsiasi modello di socialismo deve assumere questa biforcazione storica. Siamo- rispetto a quel contesto- in una situazione peggiore, dove si è costituita nell’elite al potere una escrescenza del capitale monopolistico finanziario che si basa sulla riproduzione speculativa, e che sovrasta il monopolio produttivo,  la speculazione per la speculazione.

Il capitale monopolista teorizzato da Hilferding, aveva come problema fondamentale la sovrapproduzione che cercò di risolvere con l’allargamento dei mercati, attraverso varie forme:  il fascismo nei paesi del sud – a capitalismo arretrato – il proseguimento di politiche socialdemocratiche, del “new deal roosveltiano” con  politiche socialdemocratiche in Europa ma anche con lo stesso processo di decolonizzazione del sud, la riforma agraria nel sud America e l’allargamento in questa zona, come nel sud-est asiatico, del mercato, attraverso la ricostruzione del Giappone.

Quel processo è ora fuori dalla discussione e la soluzione che stanno dando in questa fase le elite ad una crisi di sovrapproduzione e di caduta dei mercati è quella di asfissiare ancor più il mercato con politiche di austerità che si sono già dimostrate catastrofiche nel sud, distruggendo i mercati interni, riducendo la capacità di stipulare contratti, la capacità di reddito e, quindi, di consumo della gente, e che ora vengono applicate alla propria metropoli (all’Europa) conoscendone già gli effetti negativi, ma con l’aggravante che l’Europa è il maggior mercato del mondo.

Tutto ciò mentre incede una formidabile rivoluzione scientifica e tecnologica, con l’idea del capitale monopolistico finanziario di concentrarsi sul controllo del complesso militare-industriale e al monopolio farmaceutico, la “big-farma”. In questi settori, il capitale impone una circolazione senza permettere alcuna tassazione “nazionale” sul profitto; in ciò contraddicendo anche i maestri dell’economia politica (orientata alla produzione) come Smith e Ricardo che invece affidavano allo Stato il controllo di questo profitto da esportazione. Per esempio qui in Europa quando venivano applicate tassazioni (statali) dell’8\10 % ai profitti da capitale, sembravano esagerate, ora al contrario le banche si lamentano per (i propri privati) tassi di interesse del 30% reclamando il sostegno delle Banche Centrali, si lamentano che i ricavi per investimenti sono troppo bassi ed esigono nuove riforme, con nuovi tagli. Una cura insostenibile.

Ora, rispetto al tipo di rapporto (novecentesco) classico tra capitale finanziario che sosteneva i progetti del capitale produttivo con l’intento di  recuperare il credito, si assiste al predominio irreversibile del Capitale finanziario-speculativo che non è interessato al recupero dei crediti. Ciò che gli interessa è che si crei un’ eterna  dipendenza che permetta, come è successo in America latina, non tanto estrazione di plusvalore, quanto estrazione di rendita. In fondo c’è un ritorno ad un dispotismo pre-capitalista, assistiamo ad una distruzione di tutti gli elementi della modernità, in particolare di tutti gli strumenti di intervento e di programmazione economica.

Potremmo dire che si tratta di una crisi “artificiale”, provocata artificialmente proprio per colpire le moderne conquiste sociali?

Non esattamente. Il problema è che la sinistra non riesce ad accettare le soluzioni attuali di una crisi di lunga durata. Ora le “naturali” crisi cicliche sono state sfruttate da alcuni attori che hanno la capacità  di scegliere i colpi e i tempi per convertire la crisi in una occasione di aumento del potere della rendita: con lo sfruttamento costante della società da parte dei monopoli e l’indebolimento delle capacità di decidere dello stato nazione.

E’ molto importante la forma della domanda, perché questo processo non è presente nella cultura ortodossa di sinistra ma in quella eterodossa, perché si assiste ad una feticizzazione di alcune categorie interpretative. Da un parte si assume il mercato come dato naturale, come la forza di gravità -qualcosa di automatico- dall’altra parte con l’affermarsi della speculazione queste categorie vengono poste ancora più in alto, come un dato sopranaturale protette dalla tecnica dal sacrilegio. Così come per ogni divinità, per ogni devozione, si rende impossibile ogni contraddizione, ogni messa in discussione del mercato, demonizzando qualsiasi atto politico di partecipazione. La  sovranità è condannata come una violazione della razionalità e della sensatezza di un mercato impersonale e quasi divino.

Un tema importantissimo, credo,  è dar conto del mercato come costruzione sociale e se aspettiamo che ciò lo riconoscano i monopoli, che tirano l’acqua al proprio mulino, allora siamo fritti.

A proposito di sovranità, in Italia il dibattito sulla riconquista della sovranità nazionale, che non abbiamo più, non è sostenuto dalle forze politiche di sinistra, forse perché la nazione è un concetto che appartiene tradizionalmente alla destra. Tuttavia, in questa fase, rispetto all’ipotesi di un’eventuale uscita dall’Europa, anche la sinistra dovrebbe misurarsi. Cosa ne pensa al riguardo?

Credo che questo tema appartenga proprio alla storia dell’Europa occidentale e anche all’America latina che lo ha mutuato da tale ambito. Nella discussione attuale vanno a sommarsi molte distorsioni e contraddizioni della sinistra perché l’agenda post-moderna ha snaturato le tradizioni politiche, culturali e scientifiche della sinistra europea –non marxista ma anche marxista-. Si dovrebbe nuovamente conquistare una concezione scientifica della sovranità che in ultima istanza è la capacità di decidere, con la conseguente organizzazione democratica dello stato nazionale. Queste (nazione e stato democratico)  sono costanti che sono sopravvissute  a diversi periodi di lotta di classe e alle fasi di modernizzazione capitalistica. Durante il novecento, nella fase progressiva del capitalismo, quando questo sosteneva l’introduzione delle innovazioni nella produzione, c’era una sostanziale sintonia con le politiche nazionali, mentre nel giro di pochissime decadi (indicativo il fallimento di Lehman Brothers nel 2008), la situazione si capovolge, con il capitale finanziario che penetra completamente nella produzione, ma anche nei territori, in tutta la geografia, in tutte la tradizioni, in tutta la cultura. Senza regolazione pubblica è lo stesso gigantesco  giacimento accumulato di tecnologia a non servire l’innovazione produttiva,  perché ora il profitto non è più nel funzionamento dell’innovazione ma nella sua rendita, nel suo possesso. Tutto ciò significa frenarne l’introduzione nei cicli produttivi. La brevettazione dell’uso, la proprietà intellettuale, la formazione di barriere artificiali per l’entrata nel mercato, il controllo del segreto nella struttura del complesso militare industriale, il segreto industriale, il trattato sullo spionaggio industriale e politico, sono tutti impedimenti allo sviluppo delle forze produttive in favore dell’umanità, che invece la logica precedente promuoveva. Per 70 anni la rivoluzione della chimica e della meccanizzazione in agricoltura è servita ad aumentare la disponibilità quantitativa di prodotto con aumenti dei salari; la logica attuale è invece arcaica. Così ci si appropria della qualità del prodotto, snaturalizzandone le proprietà metaboliche dell’alimento per controllarne la proprietà, cioè manipolare l’alimento per averne il monopolio, impedendo agli agricoltori la possibilità della riproduzione dei semi. Questa è la logica per promuovere la creazione della rendita e non delle forze produttive. Non si preoccupano, in assoluto, della disponibilità del prodotto, perché il transgenico permette un alto tasso di rendita (aumentando la resa per ettaro).

Un altro esempio è quello dello sviluppo dell’industria farmaceutica, già legata alla finanza ma comunque centrata sul principio di cura, sull’efficacia dei farmaci. Ora invece si fa ricerca su medicine di mantenimento, sulla cronicizzazione della cura per il colesterolo, per l’iper-tensione, per l’ansia, per l’iperattività e per la depressione; non interessa la risoluzione della malattia. La logica precedente di migliorare il processo produttivo, di aumentare quantità e qualità di prodotti per occupare tutto lo spazio della vita, per migliorarla con più soluzioni di merci si trasforma ora nella saturazione artificiale del mercato, con l’obsolescenza programmata; un prodotto creato per durare un certo numero di anni. Le merci sono fabbricate con lo scopo di perire, la ricerca tecnologica studia per creare oggetti che non durino. Ciò aumenta la dispersione e appesantisce oltremodo la questione ecologica. La ragione strumentale, che conosceva l’attività produttiva e costruiva le condizioni per una società inclusiva, ora sostiene il processo contrario (esclusivo): l’inondazione dell’irrazionalità, l’edonismo di un consumo disumano, la costruzione di bisogni capricciosi, artificiali, che appaiono antisociali, la deificazione dell’individualismo come chiusura alla socialità.

Possiamo dire, marxisticamente parlando, che questa è “la fase suprema del capitalismo”?

Sono un pò critico rispetto a queste periodizzazioni, perché storicamente ce n’è sempre una più alta. Ora siamo dopo il moderno, ma allora dove siamo? Credo che bisogna tener presente lo scambio, (le relazioni) e il suo verso irreversibile, il tempo con una direzione dei processi sociali: il verso di riproduzione del potere.

Marx è fondamentale, ma scriveva di quel Capitale che era egemone fino a 150 anni fa. Ora c’è sempre il Capitale ma è cambiato, e occorre aggiornare l’analisi scientifica della situazione concreta per arrivare a soluzioni concrete. Occorre investigare il piano economico ma anche quello culturale, ideologico e ciò significa che la geometria della divisione tra destra e sinistra è assolutamente confusa e inutile, qui ed ora.

Sta quindi sostenendo che l’attuale dialettica politica destra\sinistra in occidente, sia falsa?

Detta in questo modo diventa fuorviante. Diciamo che il tema della “explortation” (trasformazione) assume un’altra connotazione. Sia chiaro, non voglio prendere spunti dall’agenda post-moderna che contiene molti elementi di confusione, di divisione, di strade fuorvianti, di nihilismo, che oscurano le ragioni della cultura scientifica e le ragioni sociali della lotta politica. Perciò credo che riconoscendo la necessità della pluralità delle soluzioni, l’integralità del cambiamento, ci sia una risposta molto promettente nella situazione dell’America latina, soprattutto in  Ecuador e Bolivia  al tema del “Suma Qamaña”, del “bien vivir” (n.d.r. la misurata vita comunitaria e conviviale) dove al di là del superamento del modo di produzione (capitalistico) si punta a superare anche il modo di vita, il che è un concetto di più lunga durata e molto più ambizioso.

L’esperienza del Sudamerica, l’aver subito prima dell’Europa il peso dei monopoli, vi pone, paradossalmente in una posizione più avanzata nel momento in cui invece l’Europa viene ora investita del medesimo trattamento. Perciò le vostre soluzioni politiche appaiono un punto di riferimento, in questo senso vorrei sapere cos’è la “Comisión Técnica Presidencial Ecuatoriana para el diseño de la Nueva Arquitectura Financiera Regional – Banco del Sur” ? In che senso può contrastare la penetrazione globalista dei monopoli, ridando forza ai territori? Nei paesi europei non c’è più esperienza di istituzioni pensate per contrastare la penetrazione della finanza.

Attenzione, occorre precisare, la finanza speculativa, perché esiste la finanza pubblica e quella privata. La finanza che può sostenere la produzione, può consolidare non la coalizione elettorale ma il famoso “blocco storico e sociale” di gramsciana memoria.

A proposito di finanza e dei suoi studi di economia negli USA: se e come nella “Commission” e nella sua esperienza politica più generale, ha ripreso strumenti di governo keynesiani, proprio attorno al controllo della finanza, della moneta, dell’interesse? Sono stati modificati e come oppure avete usato altri strumenti?

Il disegno della “Nuova architettura finanziaria” è una replica, una proiezione delle recenti esperienze Latino americane, delle soluzioni che si stanno affrontando. Un esempio è la lucidità politica di Chavez nella gestione del “Banco del Sur” che ha orientato alcuni settori dell’intellettualità critica e democratica, ai quali in maniera modesta appartengo, dove stavamo discutendo proprio lo stesso concetto di nuova architettura finanziaria. Questo modello è stato avvertito dall’estrema destra liberista e monetarista come un critica alla generosità del FMI. Nell’oscurità che c’è nell’ambiente accademico e dei media su questi temi, andiamo via via imponendo l’idea, che è presente nella “Nuova architettura”, di un diverso rapporto tra finanza e produzione, dove la finanza recupera un accordo con la produzione, e non di ricatto. Tuttavia ciò non è sufficiente; la nuova relazione deve sostenere la produzione per il “bien vivir”, cioè la qualità, selezionando una nuova logica della produzione non solo orientata al “profitto per il profitto”, capace di rispettare invece il diritto alla differenza di iniziative: l’economia familiare, quella solidale e popolare, l’autoimpiego, la comunità indigena, quella basata sulla tecnologia afro-americana. Mille forme di economia creative, affrancate dai monopoli, che non sono solo latino americane ma presenti anche qui in Europa, anche in Italia, libere dal tecnocrate che ha il potere di autorizzarle. Occorre difendere il diritto all’iniziativa e la creatività della gente. Non c’è dunque un problema di etichetta, che sia più o meno keinesiana, qual è dunque il problema reale? E’ la dittatura del capitale speculativo che si impone su tutta la produzione, grande e piccola, capitalista o non capitalista, attraverso una visione di corto-respiro, miope, un credito che non considera il ciclo della produzione, ad esempio il ciclo agricolo della maturazione del frutto, riducendo tutti i tempi a quelli velocissimi degli scambi elettronici, peraltro con tassi di interesse altissimi. I mille progetti produttivi sono immobilizzati da questi tassi altissimi. Un progetto produttivo non può partire perché non può restituire questi tassi; è sopportabile il 5%, il 10% non il 30%. L’esperienza di recupero di progetti in America Latina dimostra che pur con tutte le contraddizioni che questa relazione comporta, l’interesse dell’imprenditore può incontrarsi con quello del lavoratore, ma questi mille sogni di progetto sono bloccati, mutilati dalla ideologia che autocolpevolizza la gente che  si sente inutile. “Sono un ignorante, non sono efficiente, sono un “loser”, un perdente, la gente si suicida per questo. Il grande capitale tritura il sogno della gente, questo mercato che fa propaganda nel promuovere l’iniziativa privata in realtà frustra l’iniziativa”. La Destra che era paladina della libera iniziativa e della creatività ora, al contrario, è sulle posizioni del capitale monopolistico. Non si tratta quindi tanto di destra o di sinistra di fronte al problema di una società che reclama il diritto alla creatività, indipendentemente da quale fede politica o religiosa si professi. In una relazione inclusiva il salariato comincia a discutere l’organizzazione del lavoro, a sottoporla a critica, così come il dispotismo di fabbrica; amplia la domanda di democrazia, di potere decisionale, non solo sul posto di lavoro, ma in tutta gli ambiti della società. In questo modo la gente reclama la creatività, per decidere attorno all’ecologia, alla società, cioè per decidere le finalità della produzione, la responsabilizzazione rispetto all’utilizzo del prodotto (pensiamo ad esempio alla produzione delle armi). C’è dunque il bisogno di far sviluppare questa creatività, rispettando il diritto alla differenza, il diritto all’identità ma senza paternalismo, richiedendo grande responsabilità rispetto a ciò che si sta facendo, perché produzione e consumo, in ogni atto di questo ingranaggio, sono intimamente collegate, e che questa relazione è quindi congiunta alla riproduzione della società. Questa relazione deve saper rispondere al tema della crisi ecologica, a quello della guerra, dell’insostenibilità energetica. In fondo ognuno di noi è coinvolto:  il tema della diseguaglianza e quello della miseria umana. Noi viviamo in una situazione nella quale, nello stesso tempo, ci sono milioni di persone che muoiono si fame mentre dai governi vengono pagati contribuiti –in Brasile e in Europa sono giganteschi- perché gli agricoltori non producano, nonostante i dati della FAO, alimenti e cereali destinati a diventare ecocombustibile.  Ci troviamo con una capacità produttiva gigantesca e con una straordinaria creatività umana che vengono orientati alla costruzione di armi di distruzione. Le produzioni attuali non mirano alla soluzione dei problemi della gente ma sono impiantate dalla lineare “geometria” del profitto. Così la materialità del dogma economico offusca le tradizioni di pensiero: il tema dell’umanesimo cristiano, ma anche il liberalismo repubblicano cosi come le correnti socialiste, comuniste, le tradizioni libertarie e tutte quelle concezioni che non sono classificate nella tradizione del pensiero occidentale. Invece c’è lo spazio affinché sette miliardi di persone di tutte queste tradizioni  possano discutere tranquillamente e con rispetto la possibilità di applicare soluzioni concrete ai problemi concreti; in questo piano sta la “Nuova architettura finanziaria”. Tutto ciò è keynesiano? E’ possibile che in gran parte lo sia, ma io dico che ci sono altri aspetti. Per esempio il SUCRE:  il sistema di compensazione regionale è basato su ciò che i banchieri italiani inventarono 800 anni fa: una camera di compensazione. Non più con piuma e pergamena ma con l’innovazione telematica, con la velocità informatica al servizio della gente. Ciò che le grandi banche hanno messo a punto per il circuito internazionale viene posto al servizio della gente; noi stiamo facendo la stessa cosa creando un circuito locale, una replica fatta a livello del villaggio, del quartiere, della micro-società, sul modello del SUCRE che è servito, nell’avviarsi, come moneta di compensazione sul piano internazionale, sul piano macro-economico degli scambi (n.d.r. è la monetà con il quale è stato ricalcolato e liquidato il debito con il dollaro)  . Non abbiamo alcun problema, ora, al salto di qualità: come eliminare la carta di credito e i bolli bancari, sistema sicuro di esportazioni, sistema di garanzia e retrogaranzia, sistema di “factory”, sistema di sconto, credito di capitale lavoro. Un generale meccanismo di fidelizzazione che permetta di allargare il circuito di transazioni in regime di stabilità, quindi un meccanismo che si può sviluppare sopra gli avanzi di altri investimenti che presentano la possibilità di integrare altre attività produttive; quindi una forma solidale. Dunque è la medesima idea, del livello macro, che ha permesso di offrire non un modello generale ma una serie di servizi  per contrastare la tendenza alla creazione di uno spazio sopranazionale e una restrizione di sovranità, con la dittatura della moneta unica. Non serve alcun patto di stabilità, come quello derivato dal patto di Maastricht. Nel momento in cui non abbiamo il monopolio del dollaro nelle transazioni dello spazio latino americano, aumenta la liberta per la politica di cambio per ogni paese,  aumenta la libertà di tassi di interessi legati all’effettiva quantità degli scambi, con la possibilità di programmare politiche di tassi che possano modulare poi la tassazione nazionale, utili a stimolare lo sviluppo dell’impresa e il benessere delle famiglie. La sola condizione perché una sovranità sovranazionale possa essere compatibile con una sovranità nazionale è  che si crei capacità di sovranità popolare, a livello regionale, provinciale, di quartiere.

Dunque la “Architettura” organizza territorio?

Questo è il problema, una nuova organizzazione dello spazio che non sia  pianificato dalla finanza che funziona come un’ aspirapolvere, un concentratore di tutte le capacità decisionali nelle banche anglo-americane, tipico della logica speculativa anglo-americana.

Forse il keinesismo che conosceva solo nazioni forti è servito a risolvere le crisi di quello spazio nazionale così configurato?

Però Keynes aveva in mente la logica del capitale monopolista ma “produttivo”, mentre ora c’è il primato della speculazione. Keynes aveva in mente e programmava “l’eutanasia della rendita” e la necessità, se l’impresa privata non investiva in produzione, di intervenire per socializzare, per invertire il profitto.

Di fronte a questa situazione di speculazione finanziaria, lei crede quindi che possa essere operata una distinzione tra Capitalismo produttivo “buono” ed uno finanziario speculativo e renditiero “cattivo”? Un marxista potrebbe risponderle che “c’è solo un Capitalismo, non ce n’è uno buono e cattivo”.

Certo, un marxista ortodosso può dirmi:“Mostrami un capitalista industriale che non sia anche speculatore” Però questa è a mio parere una forma di dogmatismo che non cattura, che non arriva alla realtà. Uno dei grandi contributi di Marx è la dimostrazione che nel medesimo oggetto, nella merce, c’è un esistenza ontologica contraddittoria -non solo epistemologica- perché per un lato muove una dinamica di valore d’uso, mentre per l’altro lato muove la dinamica del valore di scambio. Questa esistenza schizofrenica è la sua grande scoperta. Ora a qualche marxista  che mi chiede di dimostrargli che l’impresa é produttiva e non speculativa, potrei ricordare questa duplicità di esistenza nella stessa persona; si può dire cattivo o buono dello stesso imprenditore. Il problema è come usciamo da questa situazione. Credo che occorra studiare la formazione di un “blocco storico”, nei termini proposti da Gramsci. Occorre costruire un blocco che si oppionga al degrado, al neo-fascismo speculativo. Si, neofascismo, perché il fascismo originario si affermò nella disperazione sociale dentro la crisi di sovrapproduzione (1929) del capitale produttivo,  mentre quest’altro, il neo-fascismo, si va affermando in questa nuova situazione, in questa “uscita”, attraverso la crescita speculativo-finanziaria, dalla crisi economica. In ciò sta la differenza: il nome forse non è appropriato ma è utile a rappresentare l’assunto. Oggi siamo in presenza della crescita della speculazione, perciò potremmo chiamarlo capitale monopolista speculativo. La sua forza porta ad un processo di degrado, che è peggiore del fascismo classico; perché nella logica della rendita è indispensabile negare lo sviluppo delle forze produttive cosicché la logica privata possa affermare i propri “attributi” separati. Il principio dello Stato moderno weberiano, lo stato nazione, si basa sul superamento di queste caste e la stessa borghesia si afferma per la sua vocazione universale: si rappresenta come totalità della società politica che si prende il compito di risolvere i problemi della società civile. Mentre l’attuale situazione repressiva è di fatto la distruzione di questo assetto con la conseguente distruzione della costituzione repubblicana e dello stato di diritto.

Un esempio rapido e significativo è come il capitale speculativo sta violando e distruggendo la legge che esso stesso aveva concepito cinque anni fa, quella che si erano dati J.P.Morgan, Deutch Bank, Unicredit, imponendola alla società mondiale. Quei gruppi stanno invece violando , e non imparano dagli errori, la  norma sui derivati tossici, ma anche la nomina del possesso di azioni, le interferenze con le banche centrali, come è successo con il banco di Basilea. Il processo di erosione è avanzato: nel processo impiantato all’Ecuador di fronte al tribunale arbitrale, da Chevron, sostenuto dagli interessi occidentali, si dimostra il grado di sproporzione kafkiana del tema. La società che da cinque anni sta distruggendo la foresta amazzonica inquinandola per l’utilizzo di tecnologia proibita, in altre parti del mondo e anche da noi ha  investito l’equivalente di 1/3 del nostro PIL, per interessi di gruppi di azionisti. Ora in sede giudiziaria hanno sollevato un precedente della tradizione giurisprudenziale anglo-sassone per cui il diritto di una minoranza di azionisti che possono rovesciare un precedente deliberato è legittimo, anche contro leggi nazionali. Similmente ci sono multe per posizioni di trust che per le banche americane si risolvono in migliaia di dollari mentre al Paribas costano milioni. La politica, mentre sta intervenendo pesantemente nel condizionare queste controversie congiunturali, non ha alcuna visione su come la torta del PIL mondiale di 70 mln di mln potrà sostenere i mld di mld di derivati finanziari. Come si potrà pagare questi debiti rimanendo entro il principio della proprietà privata? Siamo in presenza dell’erosione del  principio di proprietà privata? Come funziona il mercato dove il principio di proprietà non è più chiaro? Il processo di degrado di civiltà, di erosione che avanza, che si sta dispiegando, è molto profondo. Noi pensiamo al fascismo non nelle sue forme tradizionalmente violente; stiamo invece ponendo una questione di degrado di civiltà molto invasiva.

Quali sono i centri di potere del capitale monopolista speculativo: Londra, Berlino?

Questo complesso capitalistico, si basa su un rapporto privilegiato tra il complesso militare industriale USA e Londra più che su Wall Street. Berlino no, la Germania è un paese occupato militarmente, come l’Italia.

 

 

 

 

 

 

4 commenti per “Pedro Paez:”Il capitalismo speculativo finanziario è il fascismo del XXI secolo”

  1. alberto del buono
    16 febbraio 2015 at 10:47

    Mi sembra l’analisi più chiara della situazione attuale letta negli ultimi tempi. Beato l’Ecuador che a fianco di Correa può schierare
    Pedro Paez. Che altro se non augurar loro di avere successo superando tutti i “bastoni tra le ruote” che verranno messi alla loro azione e sperare che anche in Europa (o almeno in Italia) si cominci a ragionare così.

    • Riccardo
      23 febbraio 2015 at 0:44

      Beato l’Ecuador? Vorrei semplicemente far notare che quel paese è ancora più corrotto del nostro.
      Nel 2013 il ‘World Economic Forum’ ha classificato il grado di corruzione dell’Ecuador al 135 posto su 178 Paesi.
      Oggi dovrebbe essere sceso al numero 110.
      (L’italia è sessantanovesima).

      • Lucrezia
        17 aprile 2015 at 11:48

        Tu, caro Riccardo, non consideri le condizioni storiche da cui parte il singolo paese. Lo sviluppo e la crescita civile ed economica di uno è diversa da quelle di un altro, ciò non toglie che per un paese come l’Ecuador i cambiamenti dell’ultimo corso politico siano da invidiare, mentre da noi si perdono conquiste fatte a caro prezzo da tante generazione passate!

  2. Gabriele Abate
    9 gennaio 2018 at 19:46

    Finalmente leggo un articolo che tocca in modo molto prudente e delicato quello che è in effetti il cancro che potrebbe portare alla distruzione per implosione del nostro sistema economico, nonché accelerare la scomparsa progressiva di molte specie viventi fino allo squilibrio totale di ogni forma di vita sul nostro pianeta. Il sistema economico da quando è nato ha sempre avuto due componenti che consentono di incrementare il capitale, Sistema Produttivo investe il capitale per produrre beni attraverso il lavoro, il Sistema Speculativo, investe il capitale solo per incrementarlo senza produrre beni e lavoro. La speculazione, ha sempre un rendimento globale inferiore ad uno, ovvero il capitale finale è sempre inferiore alla somma dei capitali investiti. L’esempio tipico è quello di un gruppo di persone che giocano a poker in una partita che finirà con un unico vincitore che avrà vinto tutto il capitale disponibile al tavolo. Nello stesso istante in cui si è impadronito di tutto ha annullato il potere di crescita del suo capitale. Quando il capitale speculativo avrà conquistato anche il capitale produttivo si annullerà la capacita di produrre ricchezza e quindi beni e benessere per tutti.
    Gabriele Abate

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