Qual era l’obiettivo?

Il corso della scorsa legislatura si è caratterizzato per un preciso scopo. A seguito del primo Governo Conte, nato da un accordo parlamentare, occorreva ri-polarizzare il sistema. Solo in questo modo, con la tensione delle forze politiche a governare, si può uniformare il quadro e spoliticizzare le istituzioni. L’aspirazione alla conquista del Governo, oltre che spettacolarizzare di marketing i contenuti per convincere il pubblico a votare una novità di mercato, assottiglia il conflitto e lo rende sostanzialmente impolitico.
L’elemento di disturbo era rappresentato dal Movimento 5 Stelle. La sua presenza era faticosa da digerire per due motivi. Aveva da un lato ri-proporzionalizzato la competizione. Così facendo aveva le mani libere per autenticarsi come forza popolare in quanto si slegava dall’obbligo di Governo. La sua sopravvivenza non passava da un accreditamento sull’affidabilità. Le istanze popolari passano necessariamente attraverso la legittimazione dell’opposizione. Ma un’opposizione non alla ricerca della legittimità politica bensì della legittimità sociale. Che non si ponga come orizzonte una rapida rivincita ma che guardi, in tempi lunghi, alla conquista dello Stato.
Quindi che sappia fortificare una contro-egemonia. Tra parentesi. La conquista dello Stato è un problema che la sinistra radicale italiana non si pone da anni, per questo motivo è fondamentalmente residuale. Anche come forza extra-parlamentare. Ebbene attraverso i due governi Conte, le forze sistemiche neo-liberali hanno tentato di assorbire i grillini nella logica concorrenziale governista. Prima a destra e poi a sinistra. Il Governo Draghi, tra le tante mansioni a lui affidate, aveva anche questo intendimento. Approfittare di un’approssimata cultura politica e sciogliere i 5Stelle nell’acido del bipolarismo.
L’elemento ulteriore di disturbo però è emerso nella figura di Giuseppe Conte. Che di cultura politica ne ha. Da forza dell’indignazione post-moderna ha trasformato quel partito nell’aggregazione più nostalgica della Prima Repubblica. Seguendo un suo statalismo di stampo democristiano, con accenni di spiccata autonomia in politica estera, ha tentato di rammodernare alcune questioni ormai considerate novecentesche. Ritessere una rete di partecipazioni statali, con tendenze a rinazionalizzare qualche settore strategico, riconsiderare il ruolo dello Stato assecondando principi ispirati alle libertà positive, affrancare la classe operaia dal silenzio ovattato del sistema dei mercati. Porsi infine in termini non acritici nei confronti della Costituzione Economica sovranazionale.
Nulla di socialista insomma, qualche spruzzata al massimo di costituzionalismo social-democratico. Ma tanto è bastato per far perdere la testa all’impianto neo-liberale. Quel totalitarismo non concepisce minime deroghe. Il Governo serve solo ad attirare capitali. Ad aprire zone di mercato.
Il dato più significativo delle ultime elezioni è che questa cultura politica, attraverso Conte, ha resistito. Non è scivolata nel ricatto governista e si è proposta come forza alternativa. Il richiamo alle diseguaglianze è paradigmatico. Si deve costruire la difesa dei ceti popolari attraverso l’opposizione. Opposizione che può incidere sull’indirizzo politico perché in caso di vittoria elettorale conquisterebbe lo Stato e non la possibilità di governare sic et simpliciter.
Cosa manca? Manca ovviamente una forza socialista. Che abbia un impianto culturale avulso dalla sinistra dei mercati. Per ciò che attiene alla questione, tutta antropologica, dell’individualismo evoluzionista e per ciò che ha a che fare con la società concorrenziale dei mercati. Quindi che non si limiti all’attivismo sociale o alla critica dell’Ingiustizia. Perché quest’area rinasca dalle proprie ceneri non basta dichiararsi contro se non ci si pone il dilemma della contro-egemonia. E quindi della conquista potenziale dello Stato. Le passioni anarcoidi-ribellistiche o soggettiviste della sinistra d’opposizione hanno nel tempo offuscato questa essenzialità politica. Abecedario dimenticato.
La mancanza di questa prospettiva toglie sia legittimazione sociale che agibilità politica. Tanto che si costruiscono contenitori in fretta e furia capaci di superare al massimo la soglia psicologica dell’1%, che può far dire di non essere morti sul campo. Un primo cambiamento di rotta consisterebbe in un rapporto dialogico, anche conflittuale, con il democristiano di sinistra Conte. Rapporto che punti alla legittimazione reciproca. Che prospetti un impianto sistemico nuovo. Dove l’asse politico, se Conte rappresentasse il centro, sarebbe nuovamente spostato a sinistra. In un ambito di ri-politicizzazione della società e quindi anche dell’economia.

Crisi, Draghi accetta l'incarico con riserva. Conte dice no all'ingresso nel nuovo esecutivo - ItaliaOggi.it

Fonte foto: ItaliaOggi (da Google)

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