Se Pablo canta peggio di Julio

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Premetto che scrivo questo articolo, che potrà sembrare (ed in effetti è) piuttosto sarcastico, con lo spirito della critica costruttiva, o perlomeno con l’intento di una critica costruttiva.
In una intervista del 16 luglio riportata da Expansión, http://www.expansion.com/economia/politica/2015/07/16/55a7b54446163f8d4b8b45a1.html, il giovane leader di Podemos, Pablo Iglesias, canta al mondo, con toni anche piuttosto aggressivi e decisi, la sua versione del melodramma greco, anticipando quindi come egli stesso, nell’ipotesi, probabile, di una vittoria elettorale alle elezioni politiche che si terranno fra cinque mesi, intende impostare la sua linea politica.
Premetto subito che, al di là dei toni decisi, il contenuto della canzone di Iglesias appare piuttosto debole, per non dire leggero, non idoneo al tono lirico e melodrammatico che la vicenda greca dovrebbe avere. E devo dire che, fondamentalmente, musica leggera per musica leggera, alla canzonetta di Pablo Iglesias preferisco di molto le arie del suo omologo Julio Iglesias.
La sostanza del messaggio di Iglesias (Pablo) mi ha fatto ricordare quello che mi diceva, da piccolo, don Costantino, prete del santuario di Montenero cui mi portava mia madre, nella speranza di istradarmi verso una vita monastica. Questo vecchio parroco, di origini umbro-sabine, mi diceva sempre “er mondo è tanto cattivo, fijolo, tanto ma tanto brutto, e che potemo fà? Nun ce sta niente da fà, raccojemose in santa e fervida preghiera, e speramo nella divina Provvidenza”.
Sostanzialmente Iglesias dice la stessa cosa di don Costantino: la politica è dura, il mondo è cattivo ed ingiusto, i rapporti di forza sono sfavorevoli, e quindi c’è poco da fare: “in questa partita di scacchi in cui non abbiamo niente, possiamo fare poco rispetto a ciò che sta sul tavolo. La Spagna un pochino di più della Grecia”. Ma veramente poco di più, perché nella parte iniziale del suo intervento il Nostro si è gettato in una difesa a spada tratta del cappio da impiccagione che Tsipras si è fatto consegnare dall’Eurogruppo, risultato quindi che il lungocrinito Iglesias ritiene, evidentemente, molto positivo (non si sa bene perché, di fatto non fa altro che continuare a ripetere la litania di una presunta apertura al taglio del debito pubblico greco, continuando a non capire che detto taglio è una necessità, non una concessione politica, ci sarebbe stato anche in caso di mancato accordo e di Grexit, come ha dichiarato Schaeuble).
In pratica, per il Nostro, la vittoria di Podemos può servire soltanto per “accumulare un po’ più di potere amministrativo” , per far piangere “un pochino” (ma solo un pochino) le élite locali, nel tentativo di fare un pochino (sempre un pochino, fijolo, nun esageramo) di pressione sui socialdemocratici, per indurli a cambiare politiche. Come possa riuscire, con un “pochino di pressione”, a indurre un cambiamento nella direttrice politica del socialismo europeo, oramai, e da tanti anni, concentrata strutturalmente sulla linea del liberismo più puro, il Nostro si guarda bene dallo spiegarlo. Perché molto probabilmente non ci crede nemmeno lui.
Ma ecco che a fine intervista arriva il capolavoro del suo pensiero politico. Ancora una volta, mi ricorda don Costantino che, da bravo prete, non essendo in grado di sostenere in positivo le ragioni di una vita cristiana e morigerata, la giustificava in negativo (“e ricordate, fijolo, che se nun te stai accorto, viene er Diavolo e te se porta via”). Infatti, da geniale stratega della geopolitica, Iglesias ci avverte che, se non stiamo buoni e non seguiamo il Vangelo secondo Wolfgang (Schaeuble) allora il Diavolo (nelle vesti di Crudelia Demon Le Pen) verrà a prenderci, ci porterà prima fuori dall’euro, poi fuori dalla NATO, ci spingerà nelle mani bramose di Mefistofele Putin, talché alla fine precipiteremo nella Terza Guerra Mondiale, l’equivalente geopolitico dell’Inferno “dell’anime impure e depravate” di don Costantino.
Ci sarebbero tomi da scrivere su questa minaccia apocalittica gettata dal giovane Iglesias su tutti noi, ad iniziare dal fatto che la terza guerra mondiale è già in atto, almeno da 25 anni, con una modalità di guerra a bassa intensità su scenari regionali. O che la principale minaccia alla pace (vedi la devastazione dell’Ucraina, per non parlare delle intelligenti iniziative militari in Irak, in Siria, in Serbia, in Libia e chi più ne ha più ne metta) la sta portando, da decenni, la NATO, con entusiasta partecipazione dell’Europa. Oppure sarebbe opportuno specificare che probabilmente, se i Paesi PIIGS europei cercassero un accordo politico ed economico con la Russia o con la Cina (che da sola sta foraggiando lo sviluppo dell’intera Africa centro meridionale, figuriamoci se non sarebbe ben contenta di investire in Europa del Sud), forse otterrebbero condizioni migliori di quelle imposte dal porcaro Dijsselbloem.
Ma il punto fondamentale è un altro: perché un elettore spagnolo dovrebbe votare per uno che gli dice che non ci sono speranze, che non ci sono alternative sostanziali, che tutt’al più si può fare un po’ di pressione a livello locale, ma che alla fine, come ha fatto Tsipras, bisogna trangugiare, interamente, l’amaro calice dell’austerità, dell’impoverimento e del declino nazionale? Che futuro offre un simile discorso agli elettori? Il futuro di una monaca di clausura, lontana dal mondo e dalla vita, povera e insignificante, che anziché vivere la sua vita si rintana in una angolo buio, terrorizzata dalle fiamme dell’inferno.
E’ realismo? No, è pensiero debole. Compito della politica è quello di immaginare scenari alternativi a quelli di un presente insoddisfacente, ed accumulare forze e strumenti per realizzarli. Non di consegnarsi ad una realistica capitolazione ex ante. Se, dopo Dunkerque, Churchill fosse stato “realista”, avrebbe dovuto firmare immediatamente la resa nei confronti di Hitler, consegnando l’Europa al nazismo. Chi si candida a ruoli di guida politica ha il dovere di pensare in positivo a delle strade per uscire dalla gabbia neoliberista che ci sta soffocando, non ad evocare i demoni (oltretutto anche immaginari, perlomeno in parte) che si aggirano attorno alla gabbia per impedirci di uscire. Non c’è nessun bisogno di Iglesias per rimanere belli belli accucciati nelle nostre prigioni.
Iglesias, a ben vedere, fornisce la versione “beat” del medesimo paradigma riformista perdente che ha impedito a Tsipras di conseguire un risultato utile per il suo Paese. L’idea che fuori dal perimetro dato ci sia un abisso profondo, che farebbe precipitare il malcapitato che mettesse il piede fuori dalla gabbia giù fino all’Avello. L’incapacità di immaginare un futuro diverso. Questo spirito saturnale, per usare le parole di Hillman, che divora sistematicamente i frutti della sua creatività, rifugiandosi in un regno freddo, privo di movimento e senza vita.
Oggi non ci serve questo. Ovviamente non serve nemmeno l’imbonitore da circo, ma serve, se è vero che da oltre vent’anni la politica ha demandato la sua funzione all’economia ed alla finanza, un’opera di “decolonizzazione dell’immaginario collettivo”, per prendere a prestito una espressione di Latouche, finalizzata a rigettare l’immaginario neoliberista in cui le nostre società sono rinchiuse, e che contrabbanda l’idea di una sola, possibile, realtà, oltre la quale ci sarebbero solo i tormenti della guerra e del fascismo. Ed immaginare percorsi diversi da quelli che ci stanno schiacciando, condizione preliminare per costruire percorsi politici praticabili. E il primo ingrediente per questa decolonizzazione è la voglia di sperimentare, e il coraggio di provare.
E questo, caro il mio Iglesias, passa anche dal tornare a studiare. Fa male vedere un ricercatore come lui dire, sprezzante “o facciamo politiche di sottomissione oppure torniamo nell’accademia a scrivere analisi geniali su come va male il mondo”. Una simile tendenza a rinnegare, sprezzante, la sua stessa identità di ricercatore è rivelatrice di qualcosa di brutto, di una forma di cinismo che spesso, in politica, si traduce in carrierismo. Ebbene si, caro Iglesias, se sostieni che sinistra e destra non esistono più, se, come tutti i grillismi, sostieni che la funzione di filtro dei corpi intermedi è da buttare via, in una visione della società liquida e omogenea di cittadini, se credi che la differenza sia fra democrazia e dittatura, quando non vedi quanto poco democratica sia l’Europa, allora è proprio il caso che tu torni a studiare, perché c’è qualcosa nella tua preparazione culturale che non va.

2 commenti per “Se Pablo canta peggio di Julio

  1. Federica
    25 luglio 2015 at 18:46

    Buongiorno Riccardo, l’Hillman citato nel tuo articolo è James Hillman? Se sì, in quale libro trovo il discorso dello spirito saturnale? Grazie

    • Riccardo Achilli
      26 luglio 2015 at 18:36

      Si, è proprio lui, per la concezione di spirito in Hillman suggerisco “Figure del Mito” o “La Vana Fuga dagli Dei”.

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