Come “sinistra” e destra hanno coperto e coprono ideologicamente l’avventura e la sconfitta in Afghanistan

Il ritiro, se non la vera e propria rotta, delle truppe di occupazione della coalizione occidentale dall’Afghanistan non poteva essere lasciato ideologicamente scoperto. La disfatta deve essere, appunto, coperta e camuffata, come è normale che sia. Ecco, dunque, puntuali come un orologio svizzero, le rispettive orchestre mediatiche delle due fazioni appartenenti allo stesso circo mediatico-politico, intonare le loro fanfare ideologiche.

Entrambe, va detto, hanno gioco facile perché la questione afghana sembra ritagliata su misura per far suonare i rispettivi spartiti sui due principali temi a loro cari.

La “sinistra” intona i suoi salmi sulla condizione delle donne in Afghanistan. In fondo, non si era forse andati in quel paese per portare diritti e democrazia e togliere il burqa alle donne? Ovviamente no, questo soltanto gli ingenui e gli sprovveduti (che sono però moltissimi…) potevano crederlo. Del resto, c’era già un governo, socialista e filosovietico (assai difficile, in quella situazione, per il governo socialista di un paese confinante con l’ex URSS per migliaia di km. trovare altri appoggi…), negli anni ’70 e primissimi ’80, che aveva iniziato un percorso in tal senso, anche decisamente radicale, dato il contesto socio-storico-culturale afghano. Ma evidentemente anche i diritti civili non hanno una valenza universale, nonostante quello che millanta la narrazione neoliberale occidentale dominante. Dipende da chi li sostiene e li applica. E quindi, per porre fine a quell’esperienza, troppo socialista, gli “universalisti neokantiani (li sto nobilitando…) e neoliberali” occidentali hanno pensato bene di rovesciarla appoggiando, finanziando e armando quelle forze (i talebani filopakistani) che con l’“universalismo dei diritti” ci azzeccano come i cavoli a merenda. D’altro canto è noto che l’universalismo neoliberale va d’amore e d’accordo con stati come il Qatar o l’Arabia Saudita dove i diritti civili sono calpestati forse ancor più che in Afghanistan. Ma questi sono dettagli. Le geopolitica impone le sue leggi, le sue menzogne e le sue bandiere ideologiche, da sventolare a comando a seconda dei casi.  I cattivi possono diventare buoni all’occorrenza, e viceversa. Il caso afghano è emblematico in tal senso.

Naturalmente, la grancassa mediatica – in questo caso trasversale sia alla “sinistra” che alla destra – deve battere dove l’opinione pubblica occidentale è più sensibile; la condizione delle donne.  Come se la shari’a in versione talebana (o di altre versioni integraliste presenti nel variegato mondo musulmano) si abbattesse solo sulle donne. Pochi sanno, ad esempio (perché nessuno glielo dice, men che meno i media), che in quei paesi musulmani dove vige la pena di morte anche per adulterio come ad esempio il Brunei, la grande maggioranza dei giustiziati sono uomini. Cambiando scenario, tutti si ricordano di Sakineh, la donna iraniana condannata a morte per adulterio ma soprattutto per aver ucciso il marito e poi successivamente amnistiata in seguito ad una massiccia e martellante campagna internazionale. Nessuno però sa che per ogni donna condannata a morte in quel paese e ancor più in paesi alleati del mondo occidentale, ci sono tanti e tanti uomini (la pena capitale colpisce le donne a livello mondiale nella misura dello 0,6% circa sul totale dei condannati a morte, anche nei paesi musulmani più integralisti) giustiziati (perché per loro, va detto, a costo di essere impopolari e incappare nella fatwa politicamente corretta, nessuno promuove campagne mediatiche) per gli stessi reati, compreso quello di adulterio. Questo per dire che quella legge colpisce indifferentemente donne e uomini imponendo una serie di regole che devono essere rispettate, pena pesanti e spesso crudeli sanzioni (in alcuni paesi, come Arabia saudita e Afghanistan, frustatura pubblica e talvolta lapidazione o impiccagione) che colpiscono tutte e tutti, in egual misura.

Ciò detto, si dà, ovviamente, per scontato che quelle leggi, regole, culture, tradizioni e modo di concepire la vita e la società siano prodotte, volute e alimentate soltanto dagli uomini. Nulla di più falso. Anche in questo caso la narrazione politicamente corretta occidentale deresponsabilizza completamente le donne considerandole, di fatto, alla stregua di infanti o di minus habens. Chi conosce, anche superficialmente, quei contesti e quelle culture, sa perfettamente che sono in primis le donne, e in particolare le mogli-madri, baricentro nella gran parte delle società islamiche, a farsi garanti della perpetrazione di tutti quegli usi e quei costumi (anche e soprattutto quelli più indigeribili per noi occidentali, come ad esempio, fra gli altri, i matrimoni combinati, per ragazze e ragazzi) affinchè vengano rispettati da tutte e da tutti. E’, dunque, l’intera cultura di quei contesti specifici, che dovrebbe casomai essere sottoposta a critica radicale (senza dimenticare che non bisogna fare di tutt’erba un fascio, che il mondo musulmano è una realtà estremamente variegata e non omogenea e che nessuno ha il diritto di imporre, tanto meno con la forza, il proprio modello culturale ad altri) perché la condizione di oppressione delle donne in quegli stessi contesti ha il suo corrispettivo speculare in una condizione maschile non meno costretta, anche se in forme in parte diverse, dalle stesse regole, obblighi e sanzioni. Naturalmente, la realtà delle cose deve essere riscritta e plasmata per essere più funzionale all’immaginario ideologico attualmente egemone nel mondo occidentale. Del resto, criminalizzare un’intera cultura (sbagliato a prescindere, sia chiaro) renderebbe lo schieramento liberale e di “sinistra” del tutto omogeneo a quello di destra. Criminalizzare invece solo la parte maschile della società consente di distinguersi dalla destra e di essere in perfetta sintonia con il dettato ideologico politicamente corretto.

La destra, dal canto suo, notoriamente più rozza della “sinistra”, fa anch’essa il suo gioco. Dopo aver sostenuto la guerra e l’occupazione ventennale dell’Afghanistan (così come altre guerre e occupazioni imperialiste targate USA e NATO), più o meno per le stesse ragioni per cui le ha sostenute la “sinistra”, ora dice che di accogliere in Europa i profughi afghani non se ne parla proprio. Quindi, prima appoggiano una guerra e un’occupazione militare, una serie di governi fantoccio, la costruzione di un apparato amministrativo e militare e soprattutto di una “società civile” locale legata mani e piedi agli interessi occidentali, e poi si scarica tutta questa gente come se nulla fosse, con la scusa che fra tutte queste persone che chiedono asilo politico potrebbero mescolarsi dei terroristi. Una posizione opportunista fino all’indecenza e anche criminale.

Entrambe queste narrazioni, peraltro speculari e funzionali l’una all’altra, sono paraventi ideologici che servono a coprire le vere ragioni – geopolitiche ed economiche – della guerra, dell’occupazione e ora della sconfitta. Ma a questo tema dedicherò un articolo ad hoc.

(Fabrizio Marchi, candidato, come indipendente, alle prossime elezioni amministrative di Roma, con il Partito Comunista guidato da Marco Rizzo, come consigliere comunale)

P.S. le percentuali in base al genere di appartenenza delle condanne a morte eseguite o in attesa di esecuzione sono ricavabili dai siti di “Nessuno tocchi Caino” https://www.nessunotocchicaino.it/documento/la-pena-di-morte-nei-confronti-delle-donne-40300847 e di Amnesty International a pag. 18 di questo report del 2009 (da allora le percentuali sono più o meno le stesse) https://docs.google.com/file/d/0B6gpS9zR7YIETG9NZUxYNDY1Vzg/view?resourcekey=0-gQSzBrJ1kbhp5YlS688zsw     per quanto riguarda specificamente l’Iran

https://www.uominibeta.org/articoli/salviamo-sakineh-e-gli-altri/

L' Afghanistan non è un Paese per donne - Famiglia Cristiana

Fonte foto: Famiglia Cristiana (da Google)

 

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