Sul 28 ottobre

Il fascismo è un evento storicamente determinato. La sua caduta non fu provocata da una semplice lotta contro il Regime. Ciò che contraddistinse la Resistenza, oltre alla battaglia, oltre alla consapevolezza dell’orrore, fu l’elaborazione. Culturale e intellettuale. La guerra partigiana è stata anche disagio nel combatterla. Pudore nella vendetta. Una folta schiera di intellettuali riuscì, con fatica, a indicare la strada perché quell’esperienza potesse generare gli anticorpi necessari alla sua irripetibilità.
La Costituzione quindi non si generò esclusivamente grazie alla mediazione di forze politiche contrapposte. Non significò compromesso al ribasso. Questo è ciò che raccontano i liberali contemporanei. Nelle sue pagine si incartò una visione del mondo incentrata sulla dignità sociale dell’essere umano. E sul significato più profondo della democrazia. Il riconoscimento del conflitto di classe. Attraverso l’apparizione di questi principi cardine della vita associata, con l’esercizio della prassi democratica incorporata dai corpi intermedi, l’antifascismo si dotava di scudi sostanziali.
Ebbene, dall’avvento della democrazia spoliticizzata che si alimenta nei mercati, con la sostituzione della lotta, del collettivo con la concorrenza individuale, grazie a questo artifizio discorsivo, i germi della mentalità fascista sono riapparsi sotto altre vesti. Privi della camicia nera d’ordinanza. Un processo che legittima, colpevolizza e psicologizza la diseguaglianza in nome di una giustizia meritocratica, che ara il terreno della sopraffazione individuale e di classe.
Non è un caso che nell’ultimo trentennio quel fenomeno storicamente determinato sia stato affrontato con una retorica sostanzialmente assolutoria. Tre i punti fermi della nuova narrazione. La Resistenza è scomparsa dal ricordo storico. Al suo posto ha fatto irruzione una guerra civile. L’equivalenza tra le due fazioni non è stata imposta esplicitamente. Il linguaggio è cambiato giorno dopo giorno. Una parola alla volta. Solo ieri in una nota trasmissione televisiva l’assioma è stato ribadito con un percorso ragionato. Mussolini fu costretto a fondare la RSI e se non ci fosse stata sarebbero evaporati anche i partigiani. Quei fastidiosi partigiani il non detto.
Il fascismo fa parte di un’architettura storica più generale, caratteristica di tutto il ‘900. Quella dei totalitarismi. Tendenza socio-culturale diffusa in odio al libero mercato. Anzi alla fin fine ebbe una sua parziale giustificazione morale. L’argine alla possibile dittatura bolscevica. La più preoccupante tra tutte. I liberali sconfitti, residuali nella costruzione della Repubblica ma oggi egemoni nel costume di massa, la pensavano esattamente così. Tutto ciò che non era libero commercio equivaleva a oscurantismo. Anche Roosevelt era nemico del diritto privato.
Infine la produzione più subdola. Mai come nell’ultimo trentennio si è vista una proliferazione massiva di immagini, documentari, retrospettive sul ventennio. I discorsi di Mussolini, la vita privata di Mussolini, le strategie di Mussolini. Lo stesso vale per Hitler. Ma quale il contenuto di tale sovraesposizione didattica? Quale significazione possiede quella ripetizione? Il fascismo è un pericolo sì. Ma solo se si ripresenta uguale e sé stesso. Appare impersonato dalle gesta di due folli. Un fenomeno storicamente determinato ma non allacciato ad alcuna esperienza passata. Tutto regna nel campo della psichiatria. Dell’allucinazione di massa. Anche una fortunata serie televisiva – di pregevole fattura come Babylon Berlin – ambientata negli ultimi anni di Weimar, ripercorre il medesimo canovaccio. Schizofrenia collettiva.
In questo modo si è persa per strada una consapevolezza culturale che un tempo sostanziava l’anti-fascismo. Il suo avvento non fu accidentale, improvviso. Le democrazie liberali con le gesta coloniali, con la repressione anti-socialista e anti-operaia della prima globalizzazione furono un fascismo adolescente. L’avveramento delle dittature un percorso di maturazione. Questa “dimenticanza” ha reso l’anti-fascismo contemporaneo manieristico. Una posa teatralizzata e drammaturgica.
E come tutte le posture artefatte inefficace. Perché incapace di scorgere le premesse culturali di un rinnovamento di quella mentalità. Non pronto nell’individuare una rigenerata adolescenza del terrore. La forma mentis fascista oggi non è semplificabile nella nostalgica Meloni. La sua riapparizione in buon senso comune è svelata dall’innocua ferocia della convivialità. Che introietta in forma progressista la naturalezza della polarizzazione tra vincitori e vinti. Un luogo, il mondo, nel quale la separazione non è razziale, nazionale. Ma tra chi si rimbocca le mani e chi no, nella versione economica. E tra chi è dotato di scintilla creativa e chi no, nella versione civile. La cittadinanza non è concetto universale. Ma un premio. Così si può anche scherzare sul suffragio universale.
Fabio Armao in una sua accurata ricostruzione storica e sociologica (Le reti del potere – La costruzione sociale dell’oikocrazia, ed. Meltemi) compie un lungo excursus su come è mutata la concezione del sociale nell’era della globalizzazione dei mercati. E sulla riemersione, nel vuoto del pubblico ormai privatizzato, delle strutture associate in clan. Gruppi verticistici che assicurano protezione sociale agli associati senza bisogno di affiliazioni formali o di pratiche criminali. E quindi su come la violenza oggi sia il codice interpretativo delle relazioni umane posto a difesa di interessi particolari. Una brutalità comportamentale intransigente perché rappresentativa di uno spirito di sopravvivenza. “Inginocchiati o giuro che ti ammazzo!” urlava un dirigente democratico in un regolamento di conti pre-elettorale.
Contesto in cui scompaiono l’interesse generale, il progresso collettivo, la dignità sociale. In cui l’emancipazione evolutiva è solo personale, fino alla vittoria. E dove l’idea di una guerra assume una suggestione messianica. Ma è la guerra il fertilizzante più congeniale perché da acerba la predisposizione fascista venga a maturazione. Età adulta pressoché sprovvista di saluti romani, di teschi o di sfilate carnevalesche in ossequio al secolo scorso.
L’armamentario è molto più affine al buon gusto dei nostri giorni. Ammantato di tecnica e di managerialità. Le rievocazioni delle marce su Roma potrebbero tornare utili in seguito. Senza molta pubblicità. In Ucraina il raggiro è stato sperimentato con efficacia.
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Fonte foto: da Google

 

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