The Vision, dalla finanziarizzazione dell’economia all’androcidio

Negli ultimi mesi la testata The Vision aveva pubblicato una serie di articoli dal contenuto talmente illogico e contraddittorio che di per sé non valevano neanche una replica (se ne rileva uno sulle “femcel”, un altro in cui si afferma che nel femminismo c’è posto anche per gli uomini -purché ammettano di essere privilegiati e oppressori – e un ulteriore articolo in cui vengono suggerite le banche presso cui investire: quest’ultimo desta un particolare interesse, ne vedremo adesso le ragioni) e infatti non ce ne eravamo occupati. Tuttavia alcune recenti esternazioni di Linda Laura Sabaddini hanno sollevato il tema del rapporto tra femminismo, potere politico ed economico.

The Vision si presenta come una testata giornalistica che ha tra i suoi obiettivi quello di promuovere una certa coscienza critica e diffondere certi valori; tuttavia, per una stessa ammissione dei propri fondatori, si tratta di una impresa che ha come fine quello di pubblicizzare dei prodotti nella forma del branded content:

La crescente esigenza delle aziende di non interrompere le esperienze e le conversazioni degli utenti con i canonici annunci pubblicitari, per non risultare invadenti ai loro occhi, ha portato allo sviluppo del Branded Content.

Nello specifico, la definizione di Branded Content (letteralmente “contenuto con marchio”) fa riferimento a un contenuto – informativo o di intrattenimento – privo di un messaggio pubblicitario esplicito, prodotto ad hoc direttamente o su commissione da un Brand, con l’obiettivo di veicolare e consolidare i valori connessi al Brand e aumentare così la sua Awareness.

Un Branded Content può assumere diverse forme, dai contenuti testuali a scopo informativo ai video emozionali, passando per le inchieste. Più concretamente, esso può raccontare qualcosa che può istruire le persone su uno specifico argomento, fare in modo che esse si interessino a un tema, emozionarle o intrattenerle facendo leva sull’empatia. Ciò che è importante è che il tema affrontato e il modo in cui esso viene affrontato, per i motivi sopracitati, sia coerente con i valori e il tone of voice del Brand, oltre che con gli interessi della sua audience”.

Per farla breve, se nei decenni passati ci trovavamo di fronte ad aziende che acquistavano degli spazi pubblicitari presso le più disparate riviste presenti sul mercato (ed alla fine erano più le pagine destinate alla pubblicità che quelle riservate agli articoli, soprattutto in riviste come Panorama o L’Espresso), oggi le aziende creano esse stesse dei progetti editoriali, i cui contenuti (gli articoli) avranno il fine di “veicolare e consolidare i valori connessi al Brand e aumentare così la sua Awareness.

Poiché tutti i contenuti di The Vision sono di stampo femminista, questo elemento ci permette di dissipare ogni dubbio (per chi ancora ne avesse) sul rapporto di reciprocità tra questa ideologia e la necessità di una organizzazione del dominio funzionale alla sua stessa esistenza.

Il dispositivo di questa organizzazione presenta quindi una natura profondamente diversa dalle modalità pubblicitarie tradizionali e per questo sarà oggetto delle riflessioni che seguiranno. La domanda a cui ci troviamo davanti infatti è: come può un articolo in cui si afferma che gli uomini sono oppressori e le donne vittime di questa oppressione, essere legato agli interessi di aziende che svolgono la loro attività quasi esclusivamente nel mercato azionario e della intermediazione del credito?
Prima di rispondere a questa domanda è necessario compiere un breve passo indietro, ovvero richiamare (seppur per brevi cenni) il tema della `finanziarizzazione´ dell’economia. Il ricorso ai mercati finanziari ha infatti acquisito recentemente una funzione determinante in una delle tre fasi principali in cui è possibile suddividere il processo capitalistico, ovvero quella del finanziamento: le altre due sono quella della produzione e quella della realizzazione monetaria. Queste tre fasi, anche se in modi e con finalità diverse, sono dominate dall’agire comunicativo. Nella prima fase, linguaggio e pratica comunicativa avranno un ruolo centrale nella logica degli investimenti, nella seconda (l’attività di produzione) il dominio del linguaggio si esplicherà attraverso prassi comunicative (non avulse da quelle relazionali e affettive). Infine, nella fase della realizzazione, la funzione dell’agire linguistico sarà quella di orientare le scelte di mercato dei consumatori esercitando una influenza simbolica sugli immaginari collettivi e individuali.

Il linguaggio si presenta quindi come la struttura fondamentale dell’attuale sistema capitalistico e la sua accresciuta importanza nella sfera finanziaria (investimenti) è strettamente correlata alla modalità di produzione cognitiva (accumulazione/produzione): «la finanziarizzazione non è una derivazione improduttiva/parassitaria di quote crescenti di plsuvalore e di risparmio collettivo, bensì la forma di accumulazione del capitale simmetrica ai nuovi processi di accumulazione del valore»[1]. Non è questa la sede per indagare oltre la consistenza del legame tra capitalismo cognitivo e finanziarizzazione dell’economia; tuttavia, questo riferimento era necessario per comprendere le ragioni che ci spingono a concentrare la nostra riflessione sulla «svolta linguistica dei mercati finanziari». La prosperità di questi mercati, in cui si è rifugiato il capitale, dipende dal fatto che vi sia un giudizio collettivo che abbia lo statuto di valutazione di riferimento.[2]Per fare ciò è necessario vi sia una opinione che abbia la meglio sulla molteplicità delle altre, che venga eletta come opinione pubblica: in buona sostanza, che si identifichi con «il precipitato di quelle opinioni che costituiscono il modello interpretativo dominante»[3].

Da questo punto di vista, il controllo della più importante agenzia statistica del Paese è uno degli strumenti principali per raggiungere questo scopo:

«Il Terzo Settore si deve ringiovanire, femminilizzare e può rafforzarsi nella misura in cui la finanza  indirizza verso di esso risorse e sostegno. In questa “infrastrutturizzazione sociale della solidarietà” Banca Etica gioca un ruolo fondamentale». Le parole del presidente dell’ISTAt sono inequivocabili: tra banche, agenzie pubblicitarie, agenzie governative, enti nazionali e testate giornalistiche deve esserci una sovrapposizione radicale, un rapporto di funzionalità reciproca. Questi riflessioni rendono ancora più evidente l’incompatibilità esistente tra femminismo e i principi democratici della giustizia e dell’uguaglianza. Nella realtà materiale viene infatti alimentata una conflittualità permanente (l’identificazione delle donne con la categoria oppressa e degli uomini con la razza degli oppressori) e l’esclusione sociale (le politiche volte a spingere gli uomini fuori dal mondo dell’istruzione, del lavoro, delle relazioni). E per raggiungere questi scopi gli effettivi meccanismi di potere e dominazione si avvalgono delle nuove tecnologie di assoggettamento (pagine pubblicitarie che si presentano come testate giornalistiche e che sottraendosi ad ogni confronto democratico propugnano i contenuti funzionali alle aziende che rappresentano). La pioggia di articoli con cui testate come The Vision inondano l’opinione pubblica, nell’assolvere alle tre funzioni di cui sopra, «piegano alle ragioni dello sfruttamento le capacità vitali degli essere umani, in primo luogo il linguaggio e la capacità razionale di generare conoscenza tramite la dinamiche delle relazioni sociali»[4]. Questo scenario prefigura, se è possibile, un balzo in avanti rispetto alla semplice trasformazione del maschile in un eterno inemendabile. Attraverso questa continua manipolazione della sfera emotiva si cerca di creare una sorta di perenne “stato di eccezione”, una sospensione temporale dell’ordinamento, che diventa stabile e indefinita e che comporta l’estensione della sovranità sulla nuda vita degli uomini. Oppressori, privilegiati, violenti, stupratori, intrinsecamente malvagi e assassini, gli uomini devono perdere ogni diritto come essere umani. Il processo di assimilazione del maschile all’homo sacer, colui che può essere ucciso senza commettere omicidio e che non può essere sacrificato (nelle forme prescritte dal rito) perché immondo, è inesorabile. Sul secondo punto pensiamo al fenomeno delle morti sul lavoro. Nonostante siano più di mille ogni anno e quasi esclusivamente di sesso maschile, nel discorso del due giugno il presidente della Repubblica ha menzionato la sola vittima femminile. I sindacati e il presidente del senato hanno parimenti affermato che la piaga delle morti sul lavoro riguarda maggiormente le donne. Quei mille uomini che muoiono ogni anno non vengono ritenuti esistenti. Non esiste la loro morte, perché non esiste neanche la loro vita. Non sono esseri umani e la loro vita è votata alla morte in totale impunità. Il fine di questo agire politico sembrerebbe quello di ridurre il suo spazio di riferimento non più alla classica pòlis, ma al «campo di concentramento». In esso infatti opera quella sospensione della distinzione tra vita umana e politica, diritto e fattualità (basti guardare al contenuto del DDL 2530) che è propria dell’espansione della relazione d’eccezione all’intero genere maschile. La soglia che separa la vita degli uomini dalla morte diviene una frontiera biolpolitica oggetto di decisione statuale (S. Gorgone).

Quali sono le condizioni, se presenti, per impedire o opporsi a questa tendenza e a questa azione politica? Queste riflessioni saranno oggetto dei prossimi scritti.

[1]C. Marrazzi, La violenza del capitalismo finanziario.

 

[2]F. Rampini, Dall’euforia al crollo. La seconda vita della New Economy, Laterna, 2001

[3]A. Fumagalli, Bioeconomia e capitalismo cognitivo. Verso un paradigma di accumulazione.

[4]A. Fumagalli, Bioeconomia e capitalismo cognitivo. Verso un paradigma di accumulazione.

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