Parigi: l’Occidente combatte contro se stesso

L’Europa torna a fare i conti con il sedicente Stato Islamico e con attentatori cresciuti in casa. Dalle periferie fino alla politica estera, quante contraddizioni nel caso francese.

Né piangere, ne ridere, ma capire”, così diceva Spinoza nel diciassettesimo secolo. E’passato diverso tempo, ma questa frase è più attuale che mai, soprattutto dopo quanto successo a Parigi. Non è il momento di piangere. Pensavamo già di aver visto il peggio con i morti di “Charlie Hebdo”, eppure la tragedia si è ripetuta dopo appena pochi mesi, questa volta rivelando un attacco ideologico decisamente peggiore. Se, ad inizio anno, i jihadisti si erano scagliati contro la libertà di stampa, ora hanno attaccato i simboli della quotidianità occidentale: il cinema, lo stadio, il ristorante e il concerto. Ciò che per noi ragazzi europei è all’ordine del giorno. Insomma, di lacrime versate in questi giorni ce ne sono state tante, e forse il modo migliore per ripartire è proprio quello di continuare a frequentare quei posti, apprezzandoli ancora di più. No, non è purtroppo il momento di ridere, di prenderla “alla leggera”. E’ difficile comprendere il peso di un evento proprio nel tempo in cui lo si vive, ma riguardo a Parigi, tutti hanno avuto la percezione di un avvenimento altamente destabilizzante, dal quale non è possibile sentirsi estranei. L’Occidente è stato colpito al cuore, nel punto più sensibile, mentre ancora versava sangue per gli eventi di febbraio. Però qualcosa da fare in questo momento c’è, ed è comprendere quanto avvenuto. Sì, perché a volte la realtà si dimostra più complicata del previsto, proprio come in questo caso, per cui è necessaria un’analisi approfondita. In alcuni casi, poi, la storia si ripete, per essere ancora più chiara. A Parigi è avvenuto, e allora non ci sono più scusanti. E’ doveroso capire, o almeno cercare di farlo, anche perché, quanto successo nella “République”, potrebbe ripetersi una terza volta. Forse ciò che è necessario evitare è la semplificazione estrema dei fatti. Parlare con la pancia non aiuta, anzi peggiora ancora di più la situazione.
L’opinione pubblica non ha esitato a reagire. Ad azioni forti corrispondono reazioni forti, ed ecco che l’Occidente si è scagliato contro la bestialità degli attentatori. Due precisazioni vanno fatte: la prima è che le bombe di Parigi devono essere assolutamente condannate, la seconda è che non dobbiamo ridurre il tutto ad un semplice scontro tra “civiltà e bestialità”. Sarebbe un errore capitale. “Noi siamo persone normali”, ripete davanti alle telecamere Mohamed Abdeslam, fratello di uno degli attentatori. Le parole di questo ragazzo non sono assolutamente ipocrite, anzi contengono un significato molto alto, che spesso in questi giorni è stato tralasciato. Infatti, se osservassimo con occhio acuto gli attentatori parigini, potremmo accorgerci di un dato fortemente contraddittorio. Ciò che più colpisce è che non sono persone nate in chissà quale teocrazia oscurantista, ma sono figli dell’Occidente. Abbiamo il problema in casa e non ce ne siamo accorti, l’abbiamo trascurato con superficialità. Non è assolutamente di secondaria importanza domandarsi qual è il dramma che hanno vissuto queste persone, cosa li ha portati a sacrificare la loro vita e quella degli altri, cos’è che li ha attratti così tanto da estraniarli totalmente dall’Occidente, terra della quale erano figli.
La Francia ha figli e figliastri. Giovani di serie A e giovani di serie B. Da una parte i cosiddetti “francesi puri”, dall’altra i figli degli immigrati. Questa la triste considerazione che va fatta su quel Paese che ancora oggi inneggia ai valori della Rivoluzione di fine settecento. Mai come negli ultimi decenni il motto “Libertè, Egalitè, Fraternitè” sembra così privo di significato e lontano dalla realtà dei fatti. Indubbiamente un ingranaggio si è rotto nei meccanismi della “République”. Proprio quella Nazione che ha fatto dell’accoglienza uno dei suoi valori fondanti, dove milioni e milioni di musulmani sono sopraggiunti e nella quale il multiculturalismo è (stato) un vanto, oggi si accorge di avere degli “alieni” in casa. Forse non serviva arrivare a tanto per comprendere che la maionese francese è impazzita. Questi figliastri non provengono certo dai “salotti buoni” parigini, ma da quei quartieri che spesso sono saliti agli albori delle cronache per le gravi tensioni sociali, proprio come era successo nelle rivolte del 2005. Sono le famose periferie parigine, le cosiddette “banlieues”, quartieri-dormitori nei quali venivano stipati i poveri nel dopoguerra. In una di queste, Clichy-sous-Boys, non ci sono manifestazioni di solidarietà per le vittime di venerdì o accesi dibattiti come nel centro della città -afferma Federica Bianchi in un reportage per “L’Espresso”- è come se non fosse successo nulla. A dimostrazione di quanto questi luoghi siano realtà parallele, quartieri abbandonati a sé stessi, dove la Polizia non ha nemmeno il coraggio di entrare. Lì si sviluppa la sensazione di essere sempre gli ultimi, in una società nella quale contano soltanto i primi, di non aver la possibilità di emergere perché negata in partenza, di non aver nulla di concreto in cui credere. E’nelle banlieue che i figliastri-attentatori sviluppano quel forte sentimento di alienazione rispetto alla società che li circonda. Ed è sempre nelle banlieue che il Califfato fa proseliti.
Ma non è solamente il disagio delle periferie ad aver accresciuto l’odio di quelle persone nei confronti della Francia (e dell’Europa intera). In effetti uno dei grandi valori occidentali, la laicità, si è ormai trasformato in qualcosa di diverso e pericoloso. Per laicità si intende la netta divisione tra dimensione pubblica e dimensione privata. In base a questa concezione Stato e religione sono due entità ben separate, ma il singolo individuo ha la possibilità di seguire un credo. Oggigiorno la tendenza occidentale è di integrare l’individuo senza considerarne la sua specificità, accoglierlo a patto che esso si omologhi e appiattisca la sua fede. Questo stile di pensiero dominante, che guarda alla religione come ad un credo arretrato e ormai sorpassato, non è ovviamente formalizzato, ma è ideologia diffusa. I principi per i quali agiscono gli attentatori sono terribilmente lontani da quelli dell’Occidente odierno. Da ciò scaturisce una contrapposizione netta: valori orizzontali contro valori verticali. La nostra società è incentrata su idee come il consumo, il successo, il denaro. Principi orizzontali in quanto squisitamente terreni. Ai figliastri tutto ciò è precluso in partenza, loro possono solamente osservare da lontano il benessere dell’Occidente, ma mai raggiungerlo. Prigionieri delle periferie. Consapevoli di non aver nulla da perdere. Questi soggetti hanno ripudiato i principi che sono frutto del capitalismo per rifugiarsi in un’ideologia molto più forte, che li rende attori e non solo spettatori, attraverso la quale acquisiscono delle sicurezze, o per meglio dire, una ragione di vita: la “jihad”.


Quanto pesa il passato. L’Europa, oltre che concentrarsi su queste importanti tematiche sociali, deve necessariamente ripensare la sua politica estera nel Medio Oriente. Negli ultimi anni le grandi potenze hanno destabilizzato Paesi come la Siria e l’Iraq in nome della democrazia. Niente di più lontano dalla verità: non siamo andati in quei territori con idee “civilizzatrici”, quanto semmai per impossessarci delle risorse energetiche (petrolio e gas) e per stabilire la nostra supremazia geopolitica. Il prezzo delle nostre scelte è stato indubbiamente alto: non solo li abbiamo privati delle loro ricchezze, ma abbiamo distrutto le loro case, le loro scuole e i loro ospedali, abbiamo trucidato i loro figli, tanto che è addirittura difficile fare una stima dei civili uccisi dalle nostre bombe. Ed è sempre per una questione di interessi che l’Occidente, dopo essere intervenuto direttamente in Medio Oriente, ha anche fomentato e finanziato gruppi di estremisti per rovesciare il governo di Assad, presidente siriano nonché miglior alleato di Putin in Levante. Questi ribelli altri non erano che i miliziani dell’Isis: “Islamic State of Iraq and Siria”. C’è un filo rosso a collegare i fatti di Parigi con quelli del Medio Oriente: gli attentatori francesi hanno agito in nome di un sentimento di rivalsa nei nostri confronti. Una vendetta per tutti i morti che abbiamo provocato nelle terre dalle quali provenivano i loro parenti. Non ha torto Assad a dire che ciò che è successo a Parigi è ciò che succede in Siria da cinque anni. Tradotto: paghiamo il prezzo delle nostre azioni.
Contro chi stiamo combattendo? Non di certo contro i “bastardi islamici”, così li ha definiti Belpietro, direttore di “Libero”. Per fortuna l’Islam non ha niente a che fare con questa storia, anche perché la guerra perpetrata dall’Isis è tutt’altro che santa. Lo Stato Islamico sta portando avanti una guerra di potere, all’interno di questo quadro la religione si colloca solamente come maschera che cela secondi fini. E’ un’illusione utile ad attrarre giovani ragazzi verso il jihadismo, niente di più. Parlare di scontro tra civiltà (Occidente vs. Islam) serve solamente a fomentare l’odio contro un’intera comunità che non è responsabile per quanto è successo a Parigi. E’come creare un mostro che non esiste. L’Occidente in realtà combatte contro sé stesso: in Medio Oriente sta affrontando un suo sottoprodotto, quello Stato Islamico che ha armato e sfruttato e che ora è costretto a combattere dopo gli avvenimenti di Parigi; internamente invece si scontra con i suoi figliastri, persone che ha cresciuto e ha abbandonato al Califfo. Salvo poi scoprire che sono in grado di interrompere la quotidianità.
Alessandro Miro

2 commenti per “Parigi: l’Occidente combatte contro se stesso

  1. raffaella
    2 dicembre 2015 at 13:40

    Sono sicura che se Hollande ( o chi per esso!) leggesse questo articolo lo farebbe tutto d’un fiato e soprattutto rivedrebbe la sua stanca e per niente rivoluzionaria politica!!

  2. armando
    2 dicembre 2015 at 16:43

    Alcune osservazioni nel quadro di un generale apprezzamento dell’articolo che si sforza di andare oltre le apparenze che i media ci sbattono in faccia.
    La domanda, secondo me, non è “quali sono le ragioni del terrorismo”. E’ evidente che il terrore non può avere ragione alcuna nel momento in cui si rovescia contro persone innocenti. La domanda è, invece, “quali sono le motivazioni per cui un giovane cresciuto in Occidente è attratto dall’Isis”. Possono anche entrarci la marginalizzaizone e la consapevolezza che la cornucopia di merci scintillanti nelle vetrine dei Campi Elisi, per loro sarà solo una chimera irraggiungibile, solo la classica carota per stimolarne la competitività individuale, ma secondo me non basta. Fosse così, allora una ipotetica società dell’inclusuione sociale sarebbe la soluzione. Giustamente si dice nell’articolo che abbiamo abbandonato al Califfo quei giovani, ma lo abbiamo fatto non solo perchè sono stati marginalizzati socialmente, ma anche e soprattutto perchè non abbiamo saputo offrire alcun senso alla loro vita. Non tutti i jahidisti sono poveri e non istruiti! E’ prima di tutto grande una domanda di senso, e di assoluto, quella di quei giovani, a cui il Califfo risponde in modo totalmente folle. Si potrebbe dire che all’insenso delle merci, egli risponde con l’insenso della morte e della distruzione.
    Giustamente si scrive che esiste una contrapposizione fra valori orizzontali e verticali. Ma se quei valori orizzontali sappiamo cosa sono, sarebbe da indagare anche la falsità di quei valori “verticali” che a questi vengono contrapposti dal Califfo. Non sono esperto di Islam, e non saprei dire se, come ritengono alcuni, quella falsità attinge direttamente dal Corano. Per quel che ne posso sapere, poco in verità, e anche ammettendo l’ambiguità di certi passi del Corano, sarei incline a dire di no, e che il Califfo distorce e utilizza la religione islamica per scopi politici e non religiosi.
    A me sembra che non si tratti di scontro fra “civiltà” ma di scontro fra “inciviltà”, e che non vinceremo mai la Jihad innalzando la bandiera dello “stile di vita occidentale”. Ciò per più motivi: 1)perchè non attrae chi chede senso, 2)perchè, la sua orizzontalità tutta terrena preclude il rischio, il coraggio e l’azione. Credo ci sia poco da aspettarsi da chi ama ascoltare canzoni come “io bacio il diavolo”, tanto per intendersi.
    Quella guerra potrà essere vinta prima di tutto,sul piano culturale,e solo dopo anche su quello militare. Non è un caso che a contrastare davvero l’Isis si siano mosse la Russia e poi l’Iran, che il nostro “stile di vita” rifiutano.

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