Bosnia: terra di Islam pacifico e di Jihad

EL Mujahideen Brigade sfila a Zenica

La Bosnia-Erzegovina è un Paese che vanta una lunghissima tradizione islamica, la quale ha avuto un ruolo ambivalente: per decenni la religione è stata motore di integrazione e convivenza pacifica, mentre in altri casi il credo islamico è stato utilizzato per fini nazionalistici. Negli ultimi anni si stanno facendo largo diverse comunità neo-salafite, anche in Bosnia l’Is è una minaccia da non sottovalutare.
Parlare con un imam in Bosnia-Erzegovina non è molto differente dall’intrattenere una conversazione con un prete cattolico in Italia. Entrambi, con il viso corrucciato e aria quasi rassegnata, si lamentano del fatto che sempre meno giovani partecipano alla vita religiosa della comunità. Tra una chiesa e una moschea non intercorre grande distanza: l’una e l’altra sono luoghi frequentati quasi esclusivamente da persone anziane, mentre dei ragazzi non compare nemmeno l’ombra. Tale fenomeno però non appare assolutamente in linea con una tendenza che nel corso degli ultimi anni sta dilaniando la struttura sociale della Bosnia: un cospicuo numero di giovani lasciano le loro famiglie per arruolarsi nelle fila dello Stato Islamico. I numeri non sono per niente confortanti, infatti la Federazione Musulmana- una delle due entità etniche che costituiscono la Bosnia- è tra i primi esportatori a livello europeo di foreign fighters. Se da un lato è possibile assistere ad un progressivo abbandono della tradizione islamica, dall’altro invece sta aumentando l’attrattività di Daesh per i ragazzi musulmani. Illogico e contraddittorio? Assolutamente no. Queste due tendenze, oltre a ritrarre una perfetta fotografia sociale della situazione in Bosnia, rivelano tutte le debolezze e le mancanze di uno Stato che, a vent’anni dalla fine della guerra civile, rimane un’entità divisa e ancora immerso in un’accesa dialettica tra etniee.
Per comprendere le diverse sfumature di questo fenomeno è necessario riavvolgere il nastro all’indietro, poiché la tradizione islamica in Bosnia non risale a qualche decennio fa, ma affonda le sue radici in un percorso storico millenario. Islam e Bosnia sono due realtà indissolubili sin dalla nascita: tra il 1463 e il 1465 gli Ottomani conquistarono la regione e convertirono parte della popolazione locale alla religione islamica. Visto che già ai tempi della conquista Ottomana erano presenti più etnie (ortodossi, cattolici e musulmani), nel corso dei secoli la Bosnia assunse caratteristiche multiconfessionali e multietniche. Nonostante le differenti fedi professate, questi popoli riuscirono a convivere pacificamente fino al Novecento, tantoché non destavano minimamente scalpore i matrimoni misti e i festeggiamenti per eventi religiosi legati alle tradizioni delle altre etnie.

Nel ventesimo secolo, in seguito alla formazione di stati indipendenti, la religione si andava trasformando sempre più in un potente strumento di propaganda sociale. Infatti le varie etnie non furono più in grado di vivere insieme su uno stesso territorio, poiché ciascun popolo cercava, attraverso il sentimento religioso, di rivendicare la sua superiorità sull’altro.

Stemma della Repubblica Socialista di Bosnia ed Erzegovina

A porre un freno al crescente fenomeno dell’etnonazionalismo fu la linea dura di Josip Tito. Durante gli anni del socialismo in Jugoslavia, la religione mutò radicalmente significato. Se prima ogni cittadino si riconosceva come tale poiché appartenente ad una delle tre etnie, sotto il regime di Tito, per la prima volta le persone si identificavano nello Stato jugoslavo non più come musulmani, ortodossi o cattolici. Infatti la religione era diventata un fenomeno di costume ed era subordinata all’ideologia di Stato, ovvero il socialismo. Tito fu in grado di muovere progressivamente la Jugoslavia verso una laicizzazione della macchina statale. Questo processo non produsse forti strappi sociali perché venne pianificato nel pieno rispetto e consenso delle autorità religiose. Per dirla in breve, Tito aveva trovato la chiave di volta per tenere unite le varie etnie che costituivano la Jugoslavia: confinare la religione nella sfera personale dell’individuo e, contemporaneamente, elevare la fede nel socialismo come massima manifestazione pubblica per ciascun cittadino.
In seguito alla morte di Tito e alla dissoluzione del regime socialista, negli anni Novanta la Bosnia è stata nuovamente lacerata dalla divisione tra le diverse etnie. Il crescente etnonazionalismo ha trascinato il Paese in una sanguinosa guerra civile, fomentata dai vari leader che hanno utilizzato nuovamente la religione come strumento aggregativo ed unificante nei confronti della loro etnia, mentre è divenuta strumento di odio ed esclusione nei confronti delle etnie differenti. Nel corso della guerra civile a combattere in nome dell’Islam non ci furono solamente i musulmani di Bosnia, ma subentrarono anche attori esterni che fino ad allora non erano mai apparsi nel teatro balcanico. Costoro erano i combattenti della El Mujahideen Brigade, soldati perlopiù provenienti dal Medio Oriente e legati alla rete di Bin Laden.
A oltre vent’anni dalla fine della guerra civile, il fenomeno dell’islamismo è ancora di stringente attualità. Gli accordi di Dayton del ’95 non hanno fatto altro che formalizzare la divisione etnica del Paese e fondare uno Stato vassallo dell’Occidente dove corruzione e ingovernabilità sono aspetti strabordanti. In aggiunta ai problemi interni, la Bosnia – più precisamente la Federazione Musulmana – subisce l’ingerenza di Paesi islamici quali la Turchia e l’Arabia Saudita. Stanno infatti aumentando esponenzialmente i finanziamenti che Ankara e Riyad versano nelle casse degli enti locali per costruire scuole coraniche e moschee. Quelli che a prima vista possono sembrare gesti magnanimi, in realtà servono per finalità totalmente differenti: essi sono mezzi di esclusione sociale. Vengono utilizzati per dividere la cultura e non condividerla con tutti, perché da una scuola coranica saranno automaticamente esclusi i ragazzi serbi o croati, e in uno Stato come quello bosniaco la parola d’ordine dovrebbe essere inclusione e non il contrario.
Il radicalismo islamico, nonostante ormai la guerra sia finita da tempo, non è un fenomeno da trascurare. Negli ultimi anni la Bosnia è uno dei primi Paesi che vede partire uomini verso la jihad (92 ogni milione di persone (2) ) e nel frattempo crescono le comunità di neo-salafiti a Sarajevo, Tuzla e Zenica. Il governo sta cercando di frenare questa tendenza aumentando i controlli negli aeroporti e inasprendo le pene per gli affiliati dello Stato Islamico. Ma nonostante l’impegno delle istituzioni, il fenomeno non può essere arginato solamente con operazioni di Polizia. Arrestato un jihadista ne parte un altro.

Bilal Bosnic, predicatore neo-salafita, dopo l’arresto

Così come in Europa, radicalismo e periferie sono due realtà che vanno a braccetto. Nel caso della Bosnia il termine periferia va inteso in senso più ampio: le affiliazioni a Daesh non proliferano solamente nelle periferie di grandi città come Sarajevo o Zenica, ma anche nelle aree più rurali dello Stato, dove molti giovani vengono attratti dalla jihad a causa della mancanza di alternative per il futuro.
Come spesso succede i ragazzi che partono per la Siria sono i cosiddetti “ultimi” o gli “esclusi”. Sono quelli che se provano ad immaginare il cammino della loro vita non vedono assolutamente nulla. In molti casi è un’esclusione dettata da ragioni economiche: la Bosnia è uno Stato con enormi difficoltà, il Pil pro capite è di soli 265 euro al mese, mentre la disoccupazione supera il 40%. E’ drammatico da rilevare, ma lo Stato Islamico offre una stabilità economica a questi ragazzi che difficilmente potrebbero in altro modo raggiungere. Ancor prima degli ideali, a muovere i giovani bosniaci verso la Siria sono i soldi, dato che non per forza nello Stato Islamico bisogna fare i combattenti e votare la vita al martirio. Si può scegliere anche soltanto di lavorare “normalmente” (come manovale, idraulico, elettricista, ecc…) con uno stipendio triplicato rispetto a quello che di media si percepisce in Bosnia.
Islam e radicalismo islamista sono parole che non vanno confuse. L’Islam in Bosnia significa innanzitutto una grandissima tradizione culturale, attraverso la quale è stata resa possibile per decenni la convivenza tra etnie diverse. Come non ricordare quella Sarajevo che è simbolo in tutto il mondo di incontro tra popoli e storie. Il radicalismo islamista è invece la negazione di cultura e integrazione, tantoché proprio l’estremismo nasce spesso da una carenza di Islam (3) . Dalla mancanza di una forte struttura valoriale alle spalle e dall’assenza di una dignitosa situazione economica, il passo verso la jihad è breve.

1 Rapporto Sipa (State investigation and protection Agency).

2 Come dice Stefano Zecchinelli su “L’Interferenza”, in “Stragi di Bruxelles: registi, aiuto registi, attori e comparse.”

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