Bosnia: una verità parziale e ambigua

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Con la condanna per genocidio di Karadzic si chiude, in un certo senso, il ciclo giudiziario che ha interpretato sotto il profilo storico i fatti della guerra in Bosnia. Con una verità che è parziale. La verità è che le forze serbo bosniache entrarono in una città dichiarata zona smilitarizzata e protetta da forze ONU olandesi, separarono dal resto della popolazione tutti gli uomini fra i 14 ed i 78 anni, e li passarono per le armi. Mentre crimini collaterali, in particolare stupri e rapine, furono commessi dai paramilitari di Arkan, non di rado avanzi di galera scarcerati e spediti in Bosnia.
E la verità è che tale orrore, deciso dai vertici politici e militari della Repubblica Srpska, non fu impedito o sanzionato dal Governo di Belgrado, che d’altra parte armava e finanziava le forze serbo-bosniache (anche trasferendovi reparti speciali della Jna) e dalla Chiesa serbo ortodossa, che peraltro aveva premiato Karadzic come “difensore” della causa cristiana. Il resto è discutibile e parziale. E’ discutibile anche l’accusa di genocidio. Se si vuole sterminare una intera popolazione, perché uccidere solo gli uomini in età da combattimento, e non le donne ed i bambini?
Ed è parziale. E’ parziale in primo luogo la ricostruzione storica dell’esplosione della Jugoslavia. I nazionalismi che presero il proscenio della politica jugoslava negli anni Ottanta furono la conseguenza di tanti fattori che crebbero nel declino economico, sociale e ideale del Paese. Fattori cui non furono estranee le cancellerie occidentali, ansiose di scardinare il comunismo iniziando dal ventre molle jugoslavo, e, nel caso franco-tedesco, di impadronirsi di aree di influenza economica nelle Repubbliche e Province autonome “ricche” e con tradizione industriale (Slovenia, Croazia, Vojvodina). Cui non fu estranea la politica anti-serba con la quale Tito, di origini croate, cercò di depotenziare la Serbia, di cui temeva il nazionalismo cetnico, impedendo il rientro in patria dei serbi kosovari fuggiti durante la guerra (al fine di mantenere i serbi in posizione di grande minoranza in quella che da sempre considerano la loro terra santa, perché luogo di nascita della loro ortodossia) e disegnando le frontiere croate e bosniache in modo da escludere dalla Repubblica Serba rilevanti comunità di serbi etnici. Il famoso Memorandum dell’Accademia delle Scienze del 1986, vera pietra miliare di ciò che avvenne dopo, per chi si sia preso la pena di leggerlo, appare come una disperata richiesta di protezione per le minoranze serbe, specie kosovare, ritrovatesi fuori dal perimetro della Repubblica serba, alla mercè di maggioranze etniche ostili. Il cuore del nazionalismo serbo, del motivo per cui personaggi oggettivamente criminali come Karadzic e Mladic vengono considerati eroi da molti serbi, è questa sindrome da accerchiamento, una reazione difensiva prima che aggressiva.
La stessa indipendenza bosniaca è macchiata da gravi irregolarità e prevaricazioni. La dichiarazione del Parlamento bosniaco del 1992 era incostituzionale, perché presa senza la necessaria maggioranza dei due terzi, e fatta escludendo i deputati di etnia serba. Il successivo referendum fu tenuto esclusivamente fra le comunità bosgnacche e croate, decidendo però anche del destino dei serbi bosniaci, cui fu proibita l’opzione di riunificarsi con la Serbia. Alija Izetbegovic, presidente bosniaco musulmano, un islamista di lungo periodo, avanzo di galera delle carceri titine, che aveva proclamato la superiorità dell’Islam e la necessità di trasformare la Bosnia in uno Stato confessionale basato sulla sharia (in dispregio rispetto alle fedi dei croati e dei serbi bosniaci, cattolici ed ortodossi) tradì la parola data con la sottoscrizione del patto di Lisbona, che prevedeva una Bosnia indipendente sotto la forma di Stato confederale diviso in tre cantoni etnici. Incoraggiato dagli USA (nella persona dell’ambasciatore Warren Zimmermann) si dichiarò infatti contrario ad ogni partizione della Bosnia, ed avviò il processo referendario per arrivare ad una Bosnia dominata dai musulmani, che però rappresentavano solo il 44% della sua popolazione. Un chiaro messaggio lanciato alle altre due etnie: sottomettetevi a noi. Un messaggio appoggiato dagli USA, essenzialmente per due motivi: rinsaldare l’amicizia con l’Arabia Saudita, molto impegnata per una Bosnia indipendente e a regia musulmana, ed aprire un secondo fronte di guerra contro la Serbia, già impegnata nel conflitto con la Croazia, per aiutare l’amico croato Tudjman, bieco nazionalista di simpatie ustascià e criminale di guerra che ha ripulito etnicamente la Krajina e la Slavonia ai danni delle comunità serbe ivi insediate da molti secoli, ma garante degli interessi economici occidentali nei Balcani. Haris Silaijdzic, Ministro degli Esteri e poi Primo Ministro sotto la presidenza di Izetbegovic, arrivò a dichiarare, ancor più esplicitamente, che un eventuale cantone di serbi bosniaci non avrebbe mai dovuto essere costituito.
Come avrebbero dovuto prendere tali segnali i serbi residenti in Bosnia? Come li avreste presi voi, al posto loro? Ovviamente, li interpretarono nel modo più evidente: come minacce alla loro integrità etnica e culturale ed alla loro stessa esistenza. E il primo motivo per il quale una popolazione, che aveva a lungo convissuto pacificamente in un territorio multietnico, prese le armi, fu quello dell’autodifesa. Certamente mettendosi nelle mani sbagliate: affidandosi a mediocri ladruncoli ed opportunisti (Karadzic e Kraisnik) o a folli violenti o razzisti (Mladic e la Plavsic). Ma d’altra parte, questi erano i dirigenti che Belgrado sosteneva, in cambio dell’aiuto militare, finanziario e politico necessario. Ed erano i dirigenti a disposizione, anche in base al gradimento della popolazione ed alle condizioni politiche in cui si trovava, in quegli anni, la stessa Belgrado.
Lo stesso massacro di Srebrenica è pieno di verità parziali, ed è lo specchio di quanto sia ambigua la storia della ex Jugoslavia, al di là delle verità ufficiali sui serbi cattivi veicolate dagli USA e dai loro alleati. Oltre alla già rammentata ambiguità dell’accusa di genocidio, vi è il fatto che la strage fu la ritorsione per gli attacchi reiterati che l’esercito bosgnacco, al comando di Naser Oric (altro macellaio, che però guarda caso è uscito assolto dal processo al Tribunale dell’Aja) condusse, nei mesi precedenti, contro i villaggi serbi delle vicinanze, in particolare contro il villaggio di Kravica, attaccato proprio nella notte del natale ortodosso, il 7 gennaio. Attacchi che costarono la vita a centinaia di civili serbi, per i quali nessuno ha pagato. La strage fu anche legata al fatto che, contrariamente agli accordi presi, l’ONU consentì alle forze sotto il comando di Oric di mantenere depositi di armi nell’area smilitarizzata di Srebrenica, trasformando quindi i civili che vi risiedevano in scudi umani a protezione delle armi. E nessuno ha mai spiegato l’incredibile e vergognosa passività con la quale i caschi blu olandesi lasciarono che la Vrs, l’armata serbo-bosniaca, entrasse in città e perpetrasse la strage. Addirittura collaborando con i militari erbi nel separare gli uomini che da lì a poco sarebbero stati uccisi. O il ripetuto diniego ad autorizzare attacchi aerei contro i serbo-bosniaci in azione, con gli F-16 statunitensi che, in volo nei pressi della città, vennero rimandati alla base. Anziché subire la corte marziale per viltà e collaborazionismo, i caschi blu olandesi vennero insigniti di una medaglia al valore da parte del loro Governo. Il sospetto che la strage facesse molto, molto comodo, per poi giustificare un intervento militare su larga scala contro la Serbia, è più che legittimo.
Ma nessuno scriverà la vera storia. Milosevic è morto, presumibilmente avvelenato in una condizione carceraria che avrebbe dovuto essere di massima vigilanza. Karadzic, Mladic e gli altri, riconosciuti come autori della strage di Srebrenica, non hanno il quadro né la motivazione per fornire una versione alternativa. E anche se potessero fornirla, sarebbero silenziati, esattamente come Milosevic. E oggi non sono più coperti nemmeno dalla Serbia (e dai suoi servizi segreti, comunque ampiamente epurati dopo la fine di Milosevic), che per evidenti motivi politici li ha scaricati. Rimane la verità più semplice, la più comoda, la più deresponsabilizzante. Quella che buca lo schermo: un popolo di cattivi che ha cercato di distruggere altri popoli innocenti.

6 commenti per “Bosnia: una verità parziale e ambigua

  1. Alessandro Miro
    25 marzo 2016 at 0:52

    Parlare in maniera oggettiva della guerra in Bosnia non è assolutamente facile, soprattutto perché essendo storia recente prevale ancora ciò che molti vogliono far credere (o negare) piuttosto che la verità. Condivido molte cose di questo articolo, vorrei solamente aggiungere un paio di elementi. Nei giorni precedenti al massacro di Srebrenica gli aerei f 16 americani furono rimandati indietro perché non potevano svolgere nessun attacco. Mi spiego: Srebrenica è una città contornata da montagne con fitte foreste. I militari serbi assediarono la città con l’ausilio di rapidi carrarmati che si muovevano nelle foreste e per tale motivo gli aerei americani non erano assolutamente in grado di avvistare e colpire i bersagli. Tutto ciò non fu ovviamente una svista degli americani, i quali erano pienamente consci dell’inefficacia di tali mezzi, semplicemente volevano mostrare al mondo intero che stavano facendo qualcosa, quando concretamente evitavano di attaccare i serbi.
    Il secondo argomento riguarda i caschi Blu: ai soldati olandesi è sempre stata addossata una colpa maggiore rispetto alle loro responsabilità. Costoro non si sono resi complici del massacro di Srebrenica, anzi cercarono fino all’ultimo di evitarlo. Nei giorni precedenti all’assedio serbo, i caschi Blu di stanza a Srebrenica avvisarono più volte il loro quartiere generale, informando del pericolo imminente. L’Onu d’altro canto non inviò mai rinforzi a Srebrenica perché non ne aveva alcun interesse: il massacro era necessario per far sedere tutte le parti intorno al tavolo di Dayton. Quando i serbi arrivarono alle porte del compound dei caschi Blu posero una semplice condizione: o ci lasciate i musulmani che state proteggendo oppure irrompiamo nel vostro compound e uccidiamo tutti quanti voi. I caschi Blu coscienti di non poter fronteggiare i militari serbi -erano troppi di più- decisero di far uscire i civili sperando che i cetnici evitassero subito di massacrarli. Purtroppo non andò così, però è sbagliato incriminare i caschi Blu a Srebrenica, i quali si sono trovati tra l’incudine e il martello. Insomma impossibilitati a intraprendere una via giusta.
    L’estate scorsa sono stato a Srebrenica e ho avuto la possibilità di parlare con alcuni di loro e posso assicurare che stanno vivendo una tragedia umAna non indifferente. Sentirsi odiati dal mondo intero e sentirsi addosso parte della responsabilità del massacro, oltre a essere una situazione pesantissima emotivAmente (sono ancora in cura dallo psichiatra) non corrisponde per niente a quanto accaduto.

    • Fabrizio Marchi
      28 marzo 2016 at 11:51

      Caro Alessandro, il punto è un altro a mio parere, al di là ora della buona o della cattiva fede dei caschi blu olandesi dell’ONU di stanza a Srebrenica, al di là del fatto che a mio parere non regge l’ipotesi che avrebbero lasciato fare ai serbi perché le loro forze erano inferiori e sarebbero stati sopraffatti. E allora cosa ci stanno a fare le truppe dell’ONU, scusa? E in ogni caso tu stesso ha scritto che i vertici dell’ONU lasciarono fare perché avevano interesse a che il massacro si compisse. Ti cito testualmente:” L’Onu d’altro canto non inviò mai rinforzi a Srebrenica perché non ne aveva alcun interesse: il massacro era necessario per far sedere tutte le parti intorno al tavolo di Dayton”. Ciò significa, al di là dei soldati presenti sul territorio, che i vertici dell’ONU hanno lasciato fare. Quindi tu steso hai individuato un’altra (e grave) responsabilità politica, oltre a quella delle milizie paramilitari serbe. Per non parlare di quelle americane…
      Il punto vero, dicevo è un altro. Di tutta la vicenda della ex Yugoslavia, cioè di una feroce guerra civile, alimentata dalle potenze occidentali che avevano l’interesse a disintegrarla per spartirsela in rispettive aree di influenza (anche se la Germania, in questo caso, ha avuto il ruolo della protagonista), che cosa rimane di tutta quella tragedia nell’immaginario collettivo dell’opinione pubblica occidentale, cioè del cittadino medio europeo (e americano)?
      Risposta: la strage di Srebrenica compiuta dai “cattivi” massacratori serbi ai danni dei “buoni”, cioè tutte le altre forze in campo sostenute dall’Occidente.
      Questo è ciò che ha trattenuto, di tutta la complessa vicenda (diciamo pure tragedia) della ex e benemerita (lasciatemelo dire…) Jugoslavia di Tito, il cittadino medio occidentale. Altro, purtroppo non c’è.
      Insomma, per dirla molto banalmente, per anni nella ex Jugoslavia si sono sbranati tutti vicendevolmente e allegramente (e l’occidente ha lasciato fare e ha alimentato , al di là del far finta di inorridirsi…) e forse, come è stato giustamente spiegato nell’articolo, a suonare per primi questa macabra musica non sono stati neanche i serbi. Soltanto che la Serbia era il solo paese che si opponeva alla “balcanizzazione” e soprattutto al processo di neocolonizzazione dell’area, da parte delle potenze occidentali, UE e Germania in testa. E allora la Serbia e i serbi dovevano essere criminalizzati, tanto più che erano in qualche modo legati ai russi che comunque non poterono nulla per impedire quell’aggressione (forse oggi la Russia di Putin non avrebbe lasciato fare, però la politica così come la storia non si fa con i se…).
      Per fare la guerra, è noto, occorre anche mobilitare la propria opinione pubblica contro il “cattivo” di turno e far diventare “buoni” i propri alleati anche quando sono più “cattivi” dei “cattivi” (non abbiamo finora parlato dei fascisti albanesi dell’UCK e delle atrocità che hanno commesso nei confronti della minoranza serba nel Kossovo…). Ed è così che la Serbia e Milosevic sono stati criminalizzati. Senza quel massacro (è stato quasi un invito a compierlo, gli hanno aperto un’autostrada…) e senza la successiva criminalizzazione, l’aggressione della NATO alla Serbia non sarebbe stata possibile. Del resto, caro Alessandro, è una storia vista e rivista, anche recentemente, dovrebbe essere scontata per noi. Purtroppo non lo è per la grande maggioranza delle persone che si bevono, in buona ma talvolta anche in malafede, le menzogne che i media gli propongono.
      Noi stiamo facendo quello che stiamo facendo proprio per dargli la possibilità, nel nostro piccolo, di osservare la realtà da un’altra prospettiva.

      • Alessandro Miro
        1 aprile 2016 at 21:36

        L’Onu e le nazioni occidentali hanno responsabilità gravissime: non solo conoscevano le intenzioni di Mladic, cioè di sterminare i musulmani presenti sul territorio, ma addirittura facilitarono i serbi nel loro compito. A tal proposito ti riporto le parole di Onno Van der Wind, ex ministro della Difesa olandese, “le Nazioni Unite fornirono 30.000 litri di benzina ai serbi che li usarono per portare sui loro camion le loro prede fino ai campi dove vennero massacrati e per nascondere con i loro buldozer i cadaveri in fosse comuni”.
        “Mentre i massacri procedevano a pieno ritmo (la maggior parte delle uccisioni avvennero tra l’11 e il 13 luglio) i negoziatori occidentali incontrarono sia Mladic che Milosevic senza mai sollevare con loro il
        ‘problema’ della carneficina in corso anche se cablogrammi declassificati Usa dimostrano che la Cia stava assistendo quasi in diretta alla strage dagli uffici di Vienna attraverso i satelliti e dagli aerei spia”.
        Per quanto riguarda i caschi blu di stanza a Srebrenica la situazione è un po’ differente: i soldati olandesi avvertirono più volte i vertici dell’Onu e chiesero ripetutamente rinforzi. In cambio ottennero solamente l’indifferenza. A quel punto, in 300 contro un esercito, credo siano esenti da responsabilità civili e morali. Anche se fossero intervenuti, sarebbe servito a poco…
        Riguardo alla demonizzazione dei serbi sono pienamente d’accordo. L’Occidente ha utilizzato la Serbia come mostro cattivo, soprattutto perché, come dici te, si rifiutava di subire politiche imperialiste e perché era alleata della Russia.
        A 10 km da Srebrenica, c’è un altro paese, che si chiama Bratunac. E’ un villaggio abitato da serbo-bosniaci dove il giorno prima dell’eccidio di Srebrenica- il 10 luglio 1995- furono massacrati circa mille serbi. Episodi di questo genere si possono ritrovare in tante altre città della Bosnia, ma Naser Oric, altro macellaio, è stato assolto al tribunale dell’Aia da tutte le imputazioni. Sempre per non tradire la logica dei buoni contro i cattivi.

  2. Marco
    28 marzo 2016 at 10:36

    È incredibile come un articolo titolato alla verità parziale e ambigua su Srebrenica ometta di citare che la principale causa dell’intervento del Generale Mladic fu quella di porre fine alle continue operazioni di pulizia etnica ai danni dei paesi limitrofi abitati da serbi, che proprio da Srebrenica partivano, ad opera delle famigerate bande armate musulmane comandate dal criminale Naser Oric, comandante della Difesa Territoriale di Srebrenica, che approfittava della benevolente copertura della truppe dell’ONU. Come è noto, il genocidi (di serbi!) Oric fu prosciolto dal «Tribunale» Dell’Aja.

    • Riccardo Achilli
      28 marzo 2016 at 11:19

      L’unica cosa incredibile è che si faccia una critica senza aver letto l’articolo. Infatti quanto rilevato è scritto dentro il pezzo. A metà articolo viene scritto, riporto testualmente: “la strage fu la ritorsione per gli attacchi reiterati che l’esercito bosgnacco, al comando di Naser Oric (altro macellaio, che però guarda caso è uscito assolto dal processo al Tribunale dell’Aja) condusse, nei mesi precedenti, contro i villaggi serbi delle vicinanze, in particolare contro il villaggio di Kravica, attaccato proprio nella notte del natale ortodosso, il 7 gennaio. Attacchi che costarono la vita a centinaia di civili serbi, per i quali nessuno ha pagato. La strage fu anche legata al fatto che, contrariamente agli accordi presi, l’ONU consentì alle forze sotto il comando di Oric di mantenere depositi di armi nell’area smilitarizzata di Srebrenica, trasformando quindi i civili che vi risiedevano in scudi umani a protezione delle armi”. Quindi l’osservazione fatta è frutto di una lettura, diciamo così, distratta.

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