“Comunismo”, ipertrofia e pregiudizi “queer”

Condivido nella sostanza l’impianto teorico di questo articolo di Salvatore A. Bravo. Non c’è dubbio che l’attacco alle identità sessuali e in particolare, ovviamente, all’eterosessualità maschile (che è il vero bersaglio), sia ideologicamente funzionale alla “fluidità” e alla “liquidità” dell’attuale sistema capitalista.
Non penso però (ammesso che l’autore voglia dire questo…) che l’avere una identità sessuale solida (che per quanto mi riguarda, può essere anche quella di un/a omosessuale) e definita sia necessariamente da sovrapporre a quello di “stabilità affettiva” (famiglia, relazioni solide e durature nel tempo, sessualità vissuta necessariamente all’interno di una relazione di coppia).
Da sempre sono convinto che la sessualità debba essere vissuta liberamente, cioè svincolata da legacci ideologici o sociali di qualsiasi genere e, ovviamente (ma non dovrebbe esserci neanche necessità di sottolinearlo) lontana ed estranea a qualsiasi forma di violenza e nell’assoluto rispetto di tutti/e.
Proprio per questo sono convinto che così come è stato in tempi passati folle e criminale discriminare l’omosessualità considerandola alla stregua di una patologia, è altrettanto folle e discriminante teorizzare il superamento o l’“obsolescenza” dell’eterosessualità e criminalizzare contestualmente quella maschile, ridotta ormai a mera espressione di violenza, sopraffazione e dominio.
(Fabrizio Marchi)

“Comunismo” queer

Il comunismo queer[1] è la costola dell’omonima teoria. In una cornice  di relativismo indifferenziato, il comunismo queer si propone di abbattere il capitalismo mediante il superamento delle logiche di dominio e produzione intrinseche all’eterosessualità. Quest’ultima è automaticamente associata alla sussunzione e al dominio, poiché accentra in se stessa il modello di “normalità”, e quindi compara ogni manifestazione altra all’eterosessualità decretando la  gerarchizzazione dei generi, l’esclusione e l’inclusione, ma vi è di più, l’eterosessualità come lo schema latente di Bacone, è il modello che ha fatto lievitare il capitalismo, poiché la sussunzione e la fabbricazione dei generi sono l’anima perversa dell’eterosessualità trasmessa al capitalismo. Esse hanno posto le condizioni per la germinazione del capitalismo, il quale si è sviluppato in nome della gerarchia e della sperequazione amplificando le relazioni di potere eterosessuali. La gerarchia opera un taglio tra i generi, divide e privatizza, formula parametri etici con cui valutare le differenze, distribuisce patenti di normalità con il possesso autoritario delle parole. La gerarchizzazione implica la proprietà privata, in quanto “il taglio operato”, insegna la divisione proprietaria e la logica acquisitiva e manipolativa. Il maschio eterosessuale possiede la donna, la usa, la definisce per porla in un confine invalicabile. La logica del porre il confine acquisitivo diviene la prassi ideologica entro cui orientarsi. L’eterosessualità è associata all’essenzialismo, in quanto ha stabilito il fine degli organi, in tal modo, ha determinato i limiti teleologici dei corpi, ha innalzato barriere tra il lecito e l’illecito. Per abbattere il capitalismo bisogna neutralizzare la cultura eterosessuale che ne è il fondamento, si potrebbe dire che l’eterosessualità, nell’ottica queer, è la verità/totalità del capitalismo, il punto archimedico che regge il capitale. La soluzione per realizzare il comunismo è liberare ogni forma di differenza dall’asservimento all’eterosessualità, dalla comparazione con essa produttrice di classificazione ed incasellamento in un ordine, la cui razionalità è solo potere.

 

Pregiudizi queer

In primis il “comunismo queer” svela già nel nome l’organicità alla globalizzazione anglofona. L’uso dei termini non è neutro, ma essi sono veicolo di visioni del mondo e di adesioni ideologiche. La globalizzazione ed il capitalismo assoluto non patteggiano per le identità stabili, ma sono schierati con le identità fluide, cangianti, tutto è lecito, tutto è ammesso, purché si consumi. L’identità instabile insegna la precarietà, l’individualizzazione e la frammentazione atomistica delle identità, non è affatto rivoluzionaria, non a caso trova i suoi cantori ed aedi in ogni mezzo mediatico ed accademia. La globalizzazione prolifera sull’irrilevanza delle scelte e dei progetti esistenziali: si accetta ogni differenza, la si fa emergere dal mondo mitico della marginalità, per farne prodotto da vendere nel mercato. Ogni differenza, anche la più parossistica, trova ospitalità in ogni trasmissione televisiva, è proibito manifestare argomentata contrarietà dinanzi alle scelte “più inusuali”.  Si incoraggia a sperimentare, poiché, se il soggetto vive per il suo narcisistico piacere, è politicamente disimpegnato, e quindi, è innalzato a modello da imitare. Ogni appello alla comunità ed alla condivisione è interpretato come un attentato alla libertà di consumare identità. Ogni potenziale comunità è, così, resa nulla dall’attacco frontale all’affettività stabile, in quanto cela tra le sue pieghe la progettualità.  Le omelie queer dagli altari atei e laicisti del nuovo clero orante innalzano il diritto all’identità multipla ed evanescente, all’intersessualità, si scoraggia ogni nucleo comunitario in nome del diritto individuale alla trasformazione. Il nichilismo senza confini e limiti diviene il fine della liberazione dai vincoli dell’eterosessualità, la metafisica è la catena da cui liberarsi per librarsi tra le identità  e perdersi tra di esse.

 

Ipertrofia queer

L’umanità è al plurale, le affettività sono diversamente declinate, ma se il tutto è ridotto alla sola pulsione liberata da ogni limite  e metafisica il discorso è pericoloso e distruttivo. La sessualità è polimorfa, ha aspetti anche distruttivi e sadici, la liberazione queer rischia di legittimare ogni genere di pulsione, tranne l’eterosessuale, in quanto figura del katechon, del padre che dà la misura  al piacere ed al consumo.  L’ipertrofia dell’io è sostenuta dalla spinta mediatica ad appoggiare la cultura queer e le sue filiazioni, dato che legittimano la globalizzazione liberale. In primis insegnano che ogni identità fluida va vissuta e non pensata concettualmente. Se ogni desiderio è legittimo, anche l’illimitato appetito indotto dal capitale ha la sua ragion d’essere: il desiderio senza confini è la struttura del capitale, l’ideale su cui il sistema si regge, è l’orizzonte di possibilità verso cui tutto si orienta e converge. Il comunismo queer è sostenuto dal femminismo radicale e dai gruppi LGBT. Le loro rivendicazioni non sono rivoluzionarie, ovunque si assiste alla trasgressione veicolata dall’economicismo.

La vera trasgressione nella contemporaneità è la chiarezza dell’identità all’interno di relazioni stabili che fecondano la psiche con la creatività del pensiero e della condivisione.

 

Pregiudizio queer

Il modello eterosessuale padre di ogni male è trattato in modo preconcetto, anche in questo, niente di nuovo sotto il sole, continuamente siamo informati dei crimini eterosessuali maschili, in tal modo, si occultano gli innumerevoli crimini del capitale e le sue vittime. Il fine è distogliere l’attenzione dai crimini finanziari per demonizzare l’eterosessuale quale simbolo, del limite, della famiglia, della comunità. Non vi è comunità senza la consapevolezza del limite. La parola comunismo implica l’universale, la partecipazione collettiva delle differenze che si ritrovano nella comune essenza ed umanità. Puntare sulle differenze, sull’empirico  è  assai semplice, il percorso di cui necessitiamo è fondare l’universale concreto della filosofia, ovvero universale ed individuale debbono essere tra loro in tensione positiva, altrimenti ci esponiamo in nome della liberazione di ogni differenza ad un relativismo nichilistico, nel quale ogni persona vive la propria esistenza da monade globalizzata. Le differenze non possono diventare un dogma indiscutibile. Ci sono differenze legittime, ma anche patologiche che non vanno incoraggiate. La censura agisce sui dubbi, neutralizza la dialettica, poiché ogni affermazione critica sulla teoria queer è interpretata come aggressione ai diritti individuali. Il problema è come e chi stabilisce quali differenze sono legittime. La filosofia ci dona categorie interpretative eterne: la dialettica, il logos, la comunicazione interdisciplinare. Più ampio è il numero delle persone e delle istituzioni coinvolte nella pubblica discussione, maggiore sarà la qualità della condivisione. Nel regno del “politicamente corretto”, dell’adesione calcolata agli ideali della globalizzazione finanziaria, ciò è quasi impossibile. Si tratta di congedarsi dalle esemplificazioni e dalla ricerca del facile applauso, per riportare al centro la razionalità oggettiva e confrontarsi con le innumerevoli difficoltà e contraddizioni che essa comporta, e specialmente si tratta di abbandonare i dogmi del politicamente corretto, oggi tragicamente trasversale in ogni compagine politica ed accademica. L’eterosessuale, in generale, astratto dalla condizione materiale non esiste, ma ciascuna persona è situata nel modo di produzione, taluni in posizione di privilegiati, molti altri come sudditi. L’eterosessualità quale forma assoluta del male che precede il capitalismo, secondo il comunismo queer, e rischia di sopravvivergli, sembra piuttosto un nuovo archetipo organico all’economicismo del turbo capitalismo. L’eterosessualità maschile ha assunto tante forme in tante culture, è oggi giudicata mediante uno schema unidirezionale: eterosessualità maschile è equiparata alla violenza. Nei propugnatori di tale “visione” dovrebbe emergere il dubbio, la consapevolezza che stanno ricostruendo la storia dell’oppressione mediante un pregiudizio che rende semplice e manichea la lettura della stessa. L’eterosessualità è, in tale interpretazione, espressione della proprietà privata, della chiusura all’alterità, è il vaso di Pandora da cui si originano tutti i mali, pertanto attaccandola frontalmente si pongono le premesse per la comunione dei corpi, degli spazi, si trascende ogni recinto che coincide, sempre e solo, con l’eterosessualità (maschile)[1]:

“In questo senso, una politica queer anticapitalista in grado di aprire alla costituzione di un nuovo blocco storico potrebbe focalizzarsi sulla messa a valore delle esperienze del «comune», delle forme di affettività non privatizzate e non diadiche, delle forme di contestazione e di ridefinizione dello spazio pubblico, delle strade, delle piazze, dei luoghi di battuage, come anche degli spazi politici occupati e autogestiti, e tutto ciò al fine di sottrarre spazio all’eterosessualità. Non si tratta solo di rivendicare una maggiore visibilità. Si tratta, piuttosto, di costruire fermi punti d’appoggio contro la privatizzazione neoliberale, agendo in autonomia, ma in modi che possano entrare in risonanza e convergere puntualmente con le lotte dei migranti, ad esempio, contro il razzismo strutturale di Stato, fondato anch’esso sulla creazione di spazi d’apartheid razziale, e spalleggiato dalle forze di polizia”.

Non è chiaro il destino degli eterosessuali e di coloro che rifuggono dalla transumanza identitaria, in nome della stabilità affettiva, se saranno rieducati, e in che modo. L’eteronormatività diviene il nemico da abbattere con gran pace degli apparati finanziari, che siamo certi, appoggeranno la rivoluzione arcobaleno queer[2]:

“Un’interpretazione gramsciana dell’eteronormatività potrebbe mostrarci come l’eterosessualità a fondamento delle società capitalistiche è uno degli aspetti del «blocco ideologico» dell’egemonia (un insieme ideologico coerente) di tali società, organico a ciò che Gramsci definisce «apparati egemonici» (la struttura materiale del blocco ideologico). L’eteronormatività, tuttavia, o l’«eterosessualizzazione», non è che uno degli elementi che partecipano organicamente del processo di formazione del blocco storico delle società del tardo-capitalismo e che vanno a costituire «l’insieme complesso, contraddittorio e discordante delle sovrastrutture”.

La liberazione delle minoranze è un valore indiscutibile, ma la sostituzione del maschile e del femminile con l’androgino indeterminato dai mille colori e sfumature, è parte dell’operazione economica e culturale di distruzione di ogni ricerca e non solo, del fondamento naturale della comunità con annessa verità. L’androgino senza natura, senza identità è il trionfo dell’artificiale, della grande manipolazione in atto finalizzata a sradicare ogni limite e resistenza all’economicismo che avanza. L’emancipazione deve avvenire all’interno di un fondazione metafisica, in caso contrario non vi può che essere la violenza dell’illimitato dipinto di arcobaleno ad avanzare ed annichilire la libertà. Senza sovranità etica non vi è libertà, ma solo il regno dell’assoluta peccaminosità[1]:

“Il modello androgino esalta ovviamente la centralità simbolica del gay maschile e femminile, che viene imposta mediaticamente come la figura sessuale centrale  e più significativa della società contemporanea. In un mondo  in cui non esiste più naturalità, sostituita dall’artificialità integrale della società capitalistica, è del tutto ovvio che anche il “genere” (gender) si scelga, ed uno nasce più maschio o femmina, ma “sceglie” di diventare maschio o femmina”.

 

 

[1] Queer termine che indica una pluralità di differenze sessuali:  gay(omosessuali), lesbiche, pansessuali, bisessuali, asessuali, transessuali, transgender e/o intersessuali.

[2] Gianfranco Rebucini Verso un comunismo queer, Autonomia, disidentificazione, rivoluzione sessuale 29 Novenbre 2017

[3] Ibidem

[4] Costanzo Preve Una storia alternativa della filosofia Petite Plaisance Pistoia 2013 pag. 451

Karantinadaki LGBTİ+'lar Anlatıyor | Öğrenci İnisiyatifi

Fonte foto: Ogrenci Inisiyatifi (da Google)

 

10 commenti per ““Comunismo”, ipertrofia e pregiudizi “queer”

  1. 11 Ottobre 2020 at 22:30

    Pur non condividendo le stesse idee politiche, concordo praticamente con l’intero articolo, segno che la verità non ha colore.
    Finora Fabrizio e i suoi collaboratori sono gli unici ad aver evidenziato l’attacco all’identità maschile da parte dell’ideologia LGBT, che è reazionaria in radice.
    Questo articolo in particolare, evidenzia per la prima volta la distopia sottesa all’ideologia arcobaleno suscettibile di innescare (come già ora avviene) una vera deriva autoritaria.
    Marx aveva denunciato un mondo disumano, l’alienazione causata dallo sfruttamento. Il neoliberismo di oggi non ha più bisogno di lavoratori e va oltre, diventa apertamente antiumano, con programmi di drastica riduzione della popolazione (Attali auspica apertamente di pandemie) di cui la sterilità LGBT è solo un tassello.
    Il “comunismo queer” di cui parla Salvatore non è un malinteso, è il programma fabiano del Mondo Nuovo di Aldous Huxley in cui l’abolizione della genitorialità si fonde col consumismo più narcisista.
    Linko su due forum maschili:
    https://www.coscienzamaschile.com/index.php/topic,2141.new.html#new
    https://www.questionemaschile.org/forum/index.php/topic,17190.0.html#new

  2. Rita
    12 Ottobre 2020 at 8:35

    Obbiettivamente essere normali non è accettato, il normale mina la libertà, ci si erge a Dio decidendo il proprio sesso, e ben venga,ognuno è Dio a se stesso ma senza capitalizzare la vita altrui e di chi nasce uomo o donna e tale vuole essere che possa anch’esso essere libero…

    • 13 Ottobre 2020 at 2:13

      Quel che la gente fa in camera da letto non è affare dello Stato, ma un mondo dove possano convivere valori etero (maschilità, femminilità, famiglia) e ideologia queer-arcobaleno è alquanto utopistico.

      • Fabrizio Marchi
        13 Ottobre 2020 at 12:33

        Secondo me è sbagliato porla come la poni tu, cioè contrapporre “valori” etero all’ideologia lgbtq. Innanzitutto dal mio punto di vista non esistono “valori etero”. Possono esistere ed esistono valori religiosi o ideologici di ogni genere ma non “valori etero”. Oltretutto non è affatto detto che un etero o una etero debbano avere necessariamente come orizzonte la famiglia. Ci sono milioni di etero, maschi e femmine, che non hanno cercato la famiglia (e non l’hanno formata), e non per questo non hanno valori o un proprio baricentro etico e psicologico.
        Dopo di che sono d’accordo sul fatto che la convivenza con l’ideologia femminista (di cui quella lgbtq e “genderista” è una costola sia pure sempre più potente) è impossibile, per le ragioni che ho spiegato in tanti articoli e in un libro.
        Ciò detto, dobbiamo però distinguere, perché un conto è l’ideologia lgbtq e un altro sono le persone omosessuali che, a mio parere, possono naturalmente e pacificamente convivere con le persone eterosessuali a patto di riconoscersi e di rispettarsi reciprocamente. Nel passato non è avvenuto perché effettivamente le persone omosessuali (specie se maschi) sono state obiettivamente discriminate e spesso perseguitate in tanti contesti storici, politici e culturali diversi (compreso quello comunista, sia chiaro…). Oggi, paradossalmente e incredibilmente, avviane il contrario e siamo di fronte ad una ideologia – quella appunto lgbtq e genderista – che vorrebbe prendere il sopravvento e convincerci che l’eterosessualità è addirittura da superare perchè da sempre sarebbe stata – come spiega molto bene S. Bravo – il baricentro dell’ordine sociale o meglio devi vari ordini sociali che si sono avvicendati nel corso della storia e che per questo va demolita, oltre che per la sua “rigidità” che costituirebbe appunto la ragione della sua organicità ai vari sistemi di potere (ed è proprio la “fluidità” dell’ideologia genderista che la rende del tutto organica all’attuale sistema capitalista, ma questa è una contraddizione che non sono in grado di vedere). E questa è ovviamente un’aberrazione, né più e né meno di come lo era la discriminazione degli omosessuali.
        Bisogna superare tutto ciò e mettere il concetto di persona al centro, o meglio di persone, con tutte le loro rispettive specificità, anche sessuali, ovviamente, ma senza prevaricare nessuno. Oggi sotto attacco è il genere maschile eterosessuale ed è per questo che è necessario combattere una ideologia sessista e interclassista (anche se a te questo secondo aspetto non interessa…), quale è il femminismo, in tutte le sue diverse declinazioni.

        • 13 Ottobre 2020 at 19:07

          Mi riferisco sempre all’ideologia mai alle persone. Dato il malinteso sul termine “valori etero” riformulo: l’ideologia LGBT crea una società disfunzionale e tende ad abolire qualsiasi valore, legge o uso che permetta alla società di durare.
          L’ideologia LGBT è uno strumento dell’ingegneria sociale, una vera e propria arma di guerra (insieme al femminismo ed altre) per produrre il collasso pilotato di intere società. Chi la usa ne conosce bene gli effetti ed è consapevole che nessuna “coesistenza” è possibile (mi riferisco, ripeto, all’ideologia non alle persone).
          Ogni società ha un “codice sorgente”, un “DNA” che le permette di funzionare durare nel tempo. Queste ideologie agiscono come un virus informatico, che si introduce nel sistema sotto apparenze di inoffensività, per poi distruggerlo dall’interno.
          Per questa ragione non considero discriminazione vietare la propaganda LGBT (gender, pride, media) ferma restando la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.

          • Fabrizio Marchi
            13 Ottobre 2020 at 21:54

            Guarda che è molto più facile che censurino noi – cosa che è già accaduta, peraltro – piuttosto che loro, dal momento che oggi a dettare l’agenda è l’ideologia femminista, e non certo chi la critica…
            Che facciamo? Scendiamo sullo stesso piano? Proprio noi che ci battiamo contro l’intolleranza dell’ideologia politicamente corretta?
            Mi pare una contraddizione clamorosa.
            Scusami ma sono proprio considerazioni come questa che hai fatto che fanno dei danni alla causa di critica il femminismo e l’ideologia politicamente corretta. Un po’ più di senso della Politica, al di là dei nostri rispettivi orizzonti ideali e culturali che ovviamente sono diversi…

          • 13 Ottobre 2020 at 22:34

            Noi ci battiamo per la parità di diritti, non per una società disfunzionale. Quando presto sdoganeranno pedofilia e incesto, diremo che non bisogna censurare per opportunità politica?
            E’ logico che censurino noi e non loro, per questo parlo di incompatibilità. Non potremo mai migliorare la nostra condizione e la società in generale, scendendo al loro livello ed equiparando legittime rivendicazioni a diritti edonistici.

          • Fabrizio Marchi
            14 Ottobre 2020 at 10:00

            Io non credo che sdoganeranno pedofilia e incesto perché equivarrebbe a sdoganare lo stupro. Ma se anche lontanamente ciò accadesse è ovvio che noi ci batteremo contro queste forme di grave degenerazione.
            Però, a mio parere, pecchi di un eccesso di vis ideologica. Paventare il fatto che la vera finalità del mondo lgbt sia quella di sdoganare pedofilia e incesto è una tua forzatura ideologica che peraltro non ci aiuta. Di fatto è la “tesi” opposta e contraria di quella femminista per la quale la sessualità maschile è intrinsecamente pervasiva e violenta (il famoso e di vecchia data “ogni coito è uno stupro” teorizzato da diverse femministe, soprattutto quelle lesbiche, oppure “in ogni uomo c’è un potenziale stupratore”…).
            Noi dobbiamo proprio combattere queste assurde tesi e non possiamo farlo con le stesse modalità. La difesa del maschile non passa attraverso la criminalizzazione del femminile o degli omosessuali ma smascherando la e denunciando la manipolazione ideologica della realtà portata avanti dall’ideologia femminista e derivati.

  3. 13 Ottobre 2020 at 5:55

    L’idoelogia queer non ha nulla di nuovo come si potrebbe credere ma è la riedizione di vecchie utopie ed eresie che, anche se inattuabili, instaurerebbero l’Inferno sulla Terra.
    Apparentemente permissiva, si basa in realtà su ferree leggi non scritte di cancellazione della civiltà e di ogni umanità nelle relazioni, in un voluto abbrutimento il cui scopo sostanziale è quello di soggiogare le masse per meglio perseguire gli interessi delle élite.
    Per capirla, partiamo proprio da queste ultime, con l’improvvisa conversione di George Soros al solidarismo e a un social-capitalismo di tipo fabiano (la Fabian Society voleva realizzare un ibrido agghiacciante tra socialismo e consumismo).
    Volete vedere il modello della società che ci si prospetta? Basta passare una settimana al Club Méditerranée. Se ne ricava l’impressione che il Club Méditerranée sia l’incarnazione di un’idea, di un desiderio immemoriale, attestato nella letteratura. Il Paese dei Balocchi, per esempio. La trasformazione dell’uomo in bestia in un contesto non dissimile si ritrova in un testo assai più antico e augusto: nell’Odissea, là dove parla della reggia di Circe la maga. Essa sorge “in luogo aprico d’ogni parte”. In quel luogo così fascinoso, potremmo dire così turisticamente privilegiato, la maga attrae i compagni d’Ulisse, apparecchiando loro “le carni infinite e il dolce vino”.
    Non ho dubbi che qui, con una chiaroveggenza che parrà inverosimile solo a chi misconosce le facoltà profetiche dei poeti, si alluda proprio al Club Méditerranée. Omero offre un’indicazione inequivocabile: l’abbondanza del buffet, e il vino gratis a volontà, che sono due delle più note e reclamizzate attrattive del Club. Ma entrambi i testi ne denunciano, concordi, il risultato finale della sua frequentazione: l’asinificazione, o la porcificazione umana. Esagero? No. Pur con tutta la sua dozzinalità, il Club Méditerranée è – vuol essere – l’incarnazione nella società dei consumi di un sogno antico, anzi di una visione connaturata all’uomo: il Giardino delle Delizie.
    Hyeronimus Bosch ha dipinto questo giardino immaginario, il Paradisus Voluptatis, accanto al Paradiso celeste e al Paradiso terrestre, come un terzo “luogo” distinto dagli altri due: è il luogo del vizio felice, dove si trasgredisce senza portarne pena. Il Giardino di Bosch è abitato da uomini e donne nudi e ammaliati. Due amanti nudi sono racchiusi in una bolla diafana, altri si bagnano in acque perlacee, o navigano su foglie e fiori, volano sul dorso di pettirossi o aggrappati a spore trasparenti, in mezzo a una natura stregata che sembra piegarsi a mille metamorfosi solo per compiacere i sensi e i desideri.
    Le regole del Paradisus Voluptatis sono state dettate una volta per tutte dagli gnostici libertini del secondo secolo, specie da Carpocrate ed Epifane, anche se Fourier le ha perfezionate a metà del ‘700. Il Giardino delle Delizie, per costoro, è la società futura: da costruire attraverso la trasgressione volontaria delle leggi umane. Sono infatti le leggi e le morali, secondo gli gnostici, ad aver introdotto artificialmente nella società l’ineguaglianza, il “mio” e il “tuo”, il duro dovere; trasgredendole, si ricostituisce la perfetta indistinzione dello stato originario. Per gli illuminati di tutti i tempi infatti “l’uomo nasce buono” buono in tutte le sue tendenze, che non occorre temperare – “ma la società (la legge) lo corrompe”. Perciò nel Paradisus Voluptatis vige il comunismo: non corre moneta, tutto appartiene a tutti e soprattutto le donne, che sono in comune; il sesso non è limitato da alcuna norma. L’uomo, finalmente “liberato”, ritrova la sua “felicità naturale” nel seno di una natura ecologicamente pura ma complice fino alla ruffianeria: Fourier giunge a sostenere che, quando il Nuovo Mondo Amoroso sarà finalmente restaurato, le amare acque del mare si muteranno in bibita al lampone. Le leggi umane inducono, con la proprietà privata, la penuria: cancellare quelle leggi comporterà dunque, logicamente, il ritorno dell’abbondanza. Ognuno avrà “secondo i suoi bisogni”, fossero pure infiniti. Scorreranno fiumi di vino e di latte.
    Se ora scendiamo di livello (bisogna scendere i ripidi gradini che separano l’utopia dalla realtà) constateremo che quel che il Club Méditerranée si sforza di offrire, dietro pagamento di cospicua tariffa settimanale, è proprio l’esperienza del paradiso gnostico.
    “L’ambizione del Club è quella d’essere un’utopia concreta”: così disse monsieur Gilbert Trigano, in una memorabile intervista sul mensile Successo. Gilbert Trigano: “capelli neri, occhiali spessi sul naso forte, un entusiasmo comunicativo”, ha scritto di lui Epoca: “È l’inventore, il presidente, il direttore generale della più originale fabbrica di vacanze del mondo: il Club Méditerranée. Governa cento villaggi turistici, cento “chiese” aperte ai credenti d’ogni razza: 75 mila letti vegliati da un calcolatore elettronico e profumati, ogni mattina, da due milioni di croissant. 600 mila adepti l’anno”. La descrizione può essere aggiornata aggiungendo che Trigano, oggi ritiratosi dagli affari con un capitale miliardario, si definisce un ex comunista; ma per il resto va bene. È il ritratto dell’Omino di Burro adatto al nostro tempo tecnologico e finanziario.
    L’assenza di serrature nelle capanne in cui gli ospiti dormono ha una necessità ideologica profonda: è anche, e soprattutto, l’invito a “mettere in comune” i corpi. È questo principalmente ad attrarre legioni di uomini massa nei villaggi vacanza: l’incredibile facilità di rapporti sessuali “liberi e senza problemi”. Tutta quanta l’organizzazione del Club sembra fatta per condurre a quel fine: tutti in fondo sono lì per questo.
    Così fin dal principio l’umanità ospite del Club diventa quel che devono essere le creature del paradiso gnostico: “veri adulti”, usciti di minorità, per cui non valgono più le costrizioni etiche che reggono la società normale; ma nello stesso tempo questi adulti, regrediti allo stadio dell’irresponsabilità infantile, pargoleggiano. Il Club dei Balocchi pullula di “divertimenti organizzati” a tutte le ore del giorno e della sera: dattilografe e ragionieri, carampane e giovanottini, vi partecipano ridendo, battendo le mani, ruzzando come bambinelli. Come dice Trigano, “Questo fa nascere il massimo senso di libertà”. Ma naturalmente questa “libertà” è tutta iscritta nella schiavitù del collettivo, delle leggi non scritte che reggono la mistica della società delle vacanze. Il divertimento, per così dire, è coatto, anche se la coazione è desiderata dagli ospiti. Quel che viene distrutto e reso impossibile è infatti qualcosa di prezioso, che però le anime volgari sfuggono e temono: la vacanza come solitudine meditativa, come agio di pensare a se stessi e alla propria vita, come pausa da riempire di introspezione.
    Ha perfettamente ragione, Trigano, quando si vanta di essere riuscito “a rimanere visionario e socialista, sul piano delle idee, pur facendo il capitalista sul piano dell’impresa”. Quella che le sue parole hanno descritto è la società dei consumi quale aspira ad essere: totalitaria, sintesi suprema di capitalismo e collettivismo, una macchina sociale da cui siano stati espunti tutti quei “fattori di disturbo” che fanno degli uomini qualcosa di più e diverso da semplici consumatori. È l’utopia post capitalista, elaborata nei laboratori dove si sviluppa l’ideologia tecnocratica funzionale al grande capitale. La proprietà privata, di cui Trigano propugna l’abolizione con le sue conseguenze (l’abolizione del diritto di successione) è un ostacolo anche per i detentori del potere finanziario: perché ha valenze extra economiche (affettive, ad esempio); perché comporta il senso della continuità familiare; perché può essere lasciata “improduttiva”, ossia sottratta al giro fruttuoso della speculazione; e peggio, perché la sua formazione implica il risparmio, l’immobilizzo di capitali. I grandi capitalisti sanno che non occorre essere proprietari di un’impresa o di un patrimonio; conta averne il controllo, il più possibile anonimo. La proprietà è un “bisogno dell’anima”, ha scritto Simone Weil, perché essa “è un prolungamento della persona”. Ma qui è proprio la “persona” che va distrutta, perché l’uomo possa esser ridotto a mero consumatore.
    Il Club Méditerranée è dunque in vitro il modello della società post capitalista che sogna il capitalismo più avanzato”. Una società dove nessuno dovrà più pensare a sé, perché il Collettivo (e coloro che lo controllano) penserà per lui e, nell’abbondanza del superfluo, ciascuno lavorerà nel Collettivo per avere il diritto di disporre dei beni collettivi; dove nessuno “avrà” qualcosa, mentre il Collettivo “avrà” tutti. È la società sognata da Marcuse, dove si può svolgere “un’esistenza piena di tempo libero sulla base dei bisogni vitali soddisfatti” . Nello stesso tempo è la società super capitalista che assicura l’”uso razionale delle risorse finanziarie” (escludendo la proprietà privata, residuo di un passato oscurantista) e in cui, attraverso una rivoluzione tecnologica, “allargando il regno della tecnica, saranno rimessi al loro posto come tecnici anche i problemi relativi alla finalità, considerati a torto problemi etici e a volte religiosi”.
    Probabilmente per questo il Club Méditerranée ha influentissimi padrini. Nel 1957 l’impresa di Trigano rischiò il fallimento; per salvarla, si mobilitò un alto settore della finanza internazionale. Tutti nomi e sigle rappresentati nella Commissione Trilaterale, dove appunto si progettano instancabilmente ingegnerie sociali nella convinzione che gli uomini e le società stesse non siano che epifenomeni del processo economico. Questi potentati finanziari, salvando il mercante-filosofo Trigano, hanno assicurato la prosecuzione di un esperimento sociale dal loro punto di vista di grande interesse. Per ora, limitato al tempo libero. Un giorno chissà.

    • Fabrizio Marchi
      14 Ottobre 2020 at 11:05

      Mah…insomma…qui, in questo tuo commento, emerge tutta la diversità culturale e ideale (oltre che politica) fra te e noi, come è evidente…Ci vorrebbe anche troppo tempo per risponderti nel merito.
      Mi limito a dire che trovo abbastanza fantasioso ipotizzare questa sorta di mix fra capitalismo e comunismo/socialismo che sono antitetici fra loro (non lo sono per alcune persone di alcune aree ideologiche e politiche che potremmo per semplificare definire “vetero fasciste” o neo fasciste o di alcune aree di destra tradizionalista). Il sistema capitalista nel quale ci troviamo di socialismo e comunismo non ha proprio nulla e non mi pare proprio che si stia marciando in quella direzione; tutt’altro. Stessa cosa per il discorso sul collettivismo. Siamo in un mondo sempre più ultra individualista e atomizzato dove ogni forma di comunità, di solidarietà e di legame sociale e umano deve essere disarticolata proprio per favorire la “libera” e illimitata circolazione delle merci (capitali, beni ed esseri umani) e della “forma merce”, concettualmente parlando. Di collettivismo non se ne vede proprio l’ombra, men che meno di fusione tra capitalismo e socialismo. Forse in Cina c’è qualcosa che potrebbe lontanamente assomigliargli ma non ha nulla a che vedere con il discorso che stai facendo tu…
      Stesso discorso per il consumismo che sicuramente è un fenomeno di massa (né potrebbe essere altrimenti perché il sistema economico si regge su quello) ma è anni luce lontano da ogni forma di comunitarismo o collettivismo. Anzi, il consumismo alimenta l’individualismo e la competizione fra le persone (o meglio, fra individui), proprio perché serve a mettere in risalto la diversa capacità di consumo e la corsa sfrenata di tutti contro tutti a chi consuma di più e meglio, in quantità e soprattutto “qualità”, fra chi può permettersi di acquistare, per capirci con esempi banali, vestiti firmati e chi invece può permettersi solo delle copie o brutte copie. Ed è proprio grazie a questa competizione che il sistema si alimenta…
      Stesso discorso per il sesso. Il processo di mercificazione sessuale non porta affatto ad una vera e autentica libertà sessuale. Al contrario, anche e soprattutto in questo caso, esalta la diversità di condizioni (cioè di accesso al sesso) delle persone, e degli uomini in particolare, ovviamente. La società in cui viviamo è l’esatto contrario di una società dove il sesso è vissuto da tutti in maniera, diciamo così, comunistica. C’è chi fa molto sesso, chi ne fa poco e chi non lo fa affatto, né più e né meno di chi c’è chi consuma molto, chi mediamente, chi poco e chi per nulla, in base alle proprie “capacità economiche”, cioè al capitale di cui dispone. Naturalmente, in questo caso, il capitale deve essere inteso in senso lato e non solo in termini meramente economici (che pure sono fondamentali. Oggi, ad esempio, la visibilità mediatica rappresenta un capitale enorme e così pure la bellezza fisica (in specie per le donne, ovviamente, ma oggi anche per gli uomini), in una società – per portare una famosa e profetica citazione “in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore”.
      Pensare, dunque, che l’attuale società capitalista sia una società dove il sesso è vissuto liberamente è quanto di più lontano possa esserci dalla realtà. Non bisogna assolutamente confondere l’esposizione sistematica dei corpi, cioè della merce, che avviene in ogni dove (esattamente come tutte le merci vengono esposte in ogni dove, nelle vetrine e per la strada come in televisione) con la libertà sessuale. Al contrario, proprio quella esposizione conferma che il sesso non è affatto libero, come si vorrebbe far credere, ma sottoposto alle leggi del mercato (concettualmente e non solo praticamente inteso).
      Mi rendo però conto (e invito anche te a rifletterci) che è evidente che scontiamo interpretazioni della realtà e approcci completamente diversi e questo ci porterebbe troppo lontano e soprattutto ad un confronto in linea teorica infinito. Perché, dal mio punto di vista, magari si potesse veramente vivere “un’esistenza piena di tempo libero sulla base dei bisogni vitali soddisfatti”. Anche perché non è affatto detto che questa società utopica debba essere necessariamente una società di rammolliti così come non è affatto detto che società fondate sulla proprietà privata e sulla durezza delle condizioni di vita e dei rapporti sociali e umani abbiano prodotto necessariamente uomini virtuosi…

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