Dal patriarcato alla guerra tra sessi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa analisi di un nostro lettore (che ha pubblicato altri due articoli sul nostro giornale) che personalmente non condivido.

Resta comunque un articolo interessante e in alcune parti condivisibile.

(Fabrizio Marchi)

 

In questo articolo cercherò di dire alcune cose che oggi è vietato dire. Non vietato per legge, ovviamente. Si tratta, piuttosto, di universi discorsivi foucaultiani, quasi impenetrabili, presidiati dal senso comune. Chi prova ad addentrarsi al loro interno provvisto di autonomo ragionamento viene immediatamente stigmatizzato, senza lasciargli nemmeno il tempo di formulare una sola argomentazione.

 

La premessa di tutta la mia riflessione è che esistano oggi due grandi strutture discorsive, il “politicamente corretto” e il “politicamente scorretto”, che costituiscono l’apparato concettuale di due varianti del Capitalismo in contrasto tra loro. La prima variante, che si avvale delle strutture linguistico-concettuali del politicamente corretto, caldeggia l’estensione illimitata delle libertà individuali, la seconda vuole negarle. La prima appoggia i diritti civili, la seconda li osteggia con impeto arcaico. La prima è libertaria e liberista, la seconda reazionaria e liberista. La prima sposa appieno l’ideologia di mercato, la seconda ha con il Capitalismo un rapporto ambiguo, si atteggia con toni anticapitalistici, ma si tratta in definitiva di un falso antagonismo. La seconda è trumpiano-salvinina, la prima può contare su un ampio spettro dei partiti di sistema nell’arco conservatore-progressista. Entrambe hanno nel Socialismo il loro campo di avversità e mirano alla rimozione del conflitto: la prima risolvendolo nell’individualismo, la seconda sostituendolo con l’ideologia della demarcazione etnica, nelle sue versioni aggiornate. Entrambe hanno nella ritirata della Politica la loro condizione di possibilità.

 

Il patriarcato è l’insieme delle strutture culturali delle quali sono imbevuti gli autori di molti odiosi crimini contro le donne. Non solo, naturalmente: senza arrivare al delitto, affonda nella storia culturale del mondo occidentale ed è ancora molto pervasivo. Presenta, in ogni caso, rispetto ad altre odierne forme di sessismo, il vantaggio di essere chiaramente censito. Una delle tesi principali di questo mio lavoro è che esistano oggi forme di sessismo ancora quasi del tutto sottratte al censimento dell’indagine sociologica, nonostante la loro estensione. Questo può accadere perché si trovano all’interno di quelle strutture “proibite” alle quali ho fatto riferimento in apertura. Versano in questa situazione soprattutto le forme di sessismo che procedono dalle donne verso gli uomini, ma anche dalle donne verso le altre donne, che sono quelle dalla conseguenze forse più profonde e laceranti. Alla diffusione di queste forme di sessismo non solo non corrisponde una commisurata attenzione, ma sono oggetto di una persistente e tenace negazione.

L’altra tesi di fondo sta nell’affermazione che il patriarcato, sebbene produca ancora oggi discriminazioni e sofferenze drammatiche, sia, nell’epoca del transumanesimo e dell’ibridismo di genere, essenzialmente in declino, ma non per lasciar posto alle “pari opportunità” sempre invocate dagli alfieri del politicamente corretto, bensì per sfociare in una aperta e violenta guerra tra sessi. Una ulteriore tesi, che in parte raccorda le due precedenti, è che queste forme di sessismo diverse dal maschilismo, e delle quali offrirò indicazioni ed esempi, non sono in alcun modo antagoniste al patriarcato, e in alcuni casi non sono nemmeno esterne ad esso. In effetti, o rafforzano il patriarcato, la sua presa e le sue strutture, oppure conducono direttamente dal patriarcato alla guerra tra sessi, con nessun beneficio per il rapporto tra sessi.

 

Svolgendo la mia argomentazione centrale, voglio in primo luogo chiarire in quali modi e forme la diffusa sensibilità a favore delle donne, nel momento in cui viene rifusa nelle strutture discorsive tipiche del politicamente corretto, non corrisponda più ad alcuna lotta di emancipazione. Esattamente al contrario, essa viene messa al servizio di un intenso ed efficace sforzo di conservazione.

Gli esempi sono così vasti da costringermi a scegliere, prima di articolare in modo argomentativo, un punto di partenza che abbia una discreta forza sintetica. Quando, nel luglio del 2019, due donne bucarono il “tetto di cristallo”, ascendendo ai vertici di Bce e Ue, moltissimi la considerarono di per sé una buona notizia. Ma per quale ragione dovrebbe esserlo a prescindere, senza alcuna valutazione nel merito? Proprio pensare questo è una forma di sessismo, ossia un pregiudizio, in questo caso positivo, legato al genere. Esistono, infatti, diverse forme di sessismo, e alcune sono a malapena censite. Queste due persone – ecco, voglio dirlo proprio in modo non binario, così si capisce meglio, forse – che rispondono ai nomi di Christine Lagarde e Ursula von der Leyen, chi sono, cosa rappresentano, quali interessi, qual è la loro storia, sono dunque esterne o alternative ai modelli dominanti? Possono assurgere a simboli di una qualche battaglia di emancipazione?

Austerity e macelleria sociale piacciono se ad infliggerle è una donna ma non se lo fa un uomo? Chi pensa questo, oltre ad essere sessista, deve evidentemente avere anche delle inclinazioni sadomaso…

 

La stessa Christine Lagarde che, ancora direttrice del FMI si prostrò miseramente a Sarkozy: “Usami per il tempo che ti serve”, dovrebbe essere considerata semmai per quello che è, una vestale del patriarcato, non certo un simbolo di emancipazione femminile. In questo caso, tuttavia emblematico, siamo

perfettamente all’interno del patriarcato, che può anzi beneficiare di un preziosissimo elemento di rinforzo. Donne protese verso l’occupazione del potere che conservano, in compenso, l’attitudine a prostrarsi ad un potere considerato maggiore, incarnato da un maschio, ubbidendo ad un altro intramontabile cliché della subordinazione del “secondo sesso”.  Allo stesso tempo, il senso comune, viene da dire il pubblico, tenderà ad elogiare per partito preso la semplice situazione schematica per cui una donna arriva ad occupare una posizione di potere. Proprio questa distanza tra il significato del fatto e la sua rappresentazione sembra essere il miglior dispositivo di protezione e conservazione del patriarcato:, giacché proprio in presenza del suo tripudio, un coro generale saluta con grande plauso una buona novella inesistente. Sarebbe sufficiente rileggere con mente sgombra Simone de Beauvoir, il cui saggio Il Secondo sesso rappresenta, come è noto, una pietra miliare dei movimenti femministi: “Liberare la donna significa rifiutare di chiuderla nei rapporti che ha con l’uomo, ma non negare tali rapporti; se essa si pone per sé continuerà ad esistere anche per lui: riconoscendosi reciprocamente come soggetto, ognuno tuttavia rimarrà per l’altro un altro; […] quando sarà abolita la schiavitù di una metà dell’umanità e tutto il sistema di ipocrisia implicatovi, allora […] la coppia umana troverà la sua vera forma”. (Simone de Beauvoir, Il secondo sesso). Noto solo per inciso che proprio il politicamente corretto dovrebbe essere considerato, a mio avviso, un tassello di quel “sistema di ipocrisia” del quale De Beauvoir invocava il superamento. Di certo De Beauvoir insisté molto sul fatto che le donne stesse sono attivamente corresponsabili della conservazione degli stereotipi alla base della condizione di “secondo sesso” della donna. Christine Lagarde ci ha offerto un ottimo esempio di cosa intendesse dire la filosofa. Certamente Lagarde non è affatto la sola.

 

Scendendo verso la scala più piccola del quotidiano, è fin troppo comune che non atavici e inguaribili fascio-maschilisti, bensì uomini miti siano fatti oggetto, dall’ufficio alla sfera privata, di un generico senso di rivalsa verso il sesso maschile, e così risucchiati in una crociata nella quale svolgono il solo ruolo di falsi bersagli, per non dire di incolpevoli malcapitati. Di fronte a discorsi tra donne che grondano sessismo e qualunquistico revanscismo, questi malcapitati generalmente non osano dire una sola parola, per non rischiare di essere automaticamente tacciati di maschilismo e pesantemente giudicati anche all’interno della cerchia dei propri affetti in nome di un molto malinteso “femminismo”.

 

Se il revanscismo che oggi anima non poche donne – è così anche se a parecchi non piacerà sentirselo dire-,  si spiega eziologicamente con la millenaria storia di subordinazione delle donne, malauguratamente non ne rappresenta affatto la via d’uscita. Proprio al contrario, è un atteggiamento che porta a sparare nel mucchio, incendiando la guerra tra sessi e mettendo per altro le donne in una condizione di perenne e violenta competizione tra loro, come accade sistematicamente nei luoghi di lavoro. Tranne che per i paladini del politicamente corretto: per loro non accade nulla di tutto questo. Del resto, hanno la straordinaria capacità di rimuovere all’istante dal loro campo visivo tutto ciò che non quadra con le loro belle idee progressiste, biasimando a gran voce chi non intende trascurare nessuno degli elementi di osservazione evidenti. Costoro, oltre che Simone de Beuavoir, dovrebbero leggere Anna Kuliscioff: “Signore e signori, voglio anzitutto confessarvi che, pensando intorno alla inferiorità della condizione sociale della donna, una domanda mi si affacciò alla mente, che mi tenne per un momento perplessa e indecisa. Come mai – mi dissi – isolare la questione della donna da tanti altri problemi sociali, che hanno tutti origine dall’ingiustizia, che hanno tutti per base il privilegio d’un sesso o d’una classe?” (Anna Kuliscioff, Il monopolio dell’uomo, via Pandora rivista).

Già, come mai? Forse perché Anna Kulisciof, oltre che femminista (ma per davvero), era una rivoluzionaria e una socialista. Gli odierni progressisti, chiaramente alleati del conservatorismo, in effetti fanno proprio questo: isolano. Isolano problemi, isolano diritti (separando quelli civili da quelli sociali), isolano le persone. “Isolare” è uno dei concetti chiave del conservatorismo progressista e della collegata e soprastante ideologia neoliberista /ordo-liberale, che costituisce il culmine dell’individualismo iper-borghese e capitalistico. All’interno di questa cornice ideologica vige l’individualismo più deteriore, le cui colonne portanti sono il cinismo e l’esasperata competizione. L’estensione illimitata dei diritti individuali e civili è quindi al suo posto, come contropartita dell’attacco frontale ai diritti sociali, all’uguaglianza di fatto, a qualunque idea di lotta collettiva improntata alla giustizia sociale. È per questa ragione che l’antirazzismo, le pari opportunità, la condanna dell’omofobia, l’antifascismo godono di eccellente accoglimento nelle strutture discorsive del politicamente corretto; sarà appena il caso di notare che anche l’antifascismo, proprio come tutto il resto, viene in questo modo totalmente neutralizzato. Si tratta di una antifascismo velleitario e di facciata, puramente nominalistico e persino moralistico, perché depauperato della sua fondamentale componente di lotta di classe, esattamente come desiderato. Questo antifascismo delle élite, completamente sbiadito, viene lasciato alle sardine, per dire, ossia a un movimento neoliberale del tutto organico a quella variante del Capitalismo che utilizza le strutture del politicamente corretto.

Per quanto riguarda il mio uso dell’espressione “conservatorismo progressista”, mi limito ad annotare che non si tratta affatto di un ossimoro; è, invece, l’effettiva e reale composizione di quelle forze che propugnano la massima estensione delle libertà individuali, ma per negare e conculcare i diritti sociali.

 

Le due fazioni del Capitalismo che oggi si scontrano hanno dunque ciascuna i propri universi discorsivi, la propria narrazione: il politicamente corretto contro il politicamente scorretto. Entrambe concordano, comunque, almeno su un punto fondamentale: nessuna reale alternativa deve sorgere. In sostanza il gioco è questo: il pendolo ammette due sole posizioni, la negazione dei diritti e l’esibizione della libertà. La negazione è reazionaria, retriva, arcaica. L’esibizione è: eccessiva, “trasgressiva”, completamente velleitaria. Si tratta in realtà di un collaudatissimo gioco di specchi e di legittimazione reciproca, nel quale il grande escluso è il conflitto. Tutto deve restare com’è, le uniche narrazioni sono quelle previste e concesse, i grandi sconfitti non devono mai essere chiamati a fungere da osservatori.

 

Mentre il Novecento è percorso dalle grandi tradizioni del femminismo socialista e del femminismo liberale, l’epoca presente ha prodotto un femminismo neoliberale che andrebbe combattuto con la massima energia.

Naufraghi dell’individualismo, non pochi movimenti pseudo-femministi sono mossi da un generico revanscismo verso il maschio, fatto colpevole in quanto maschio, che non porta da nessuna parte. Tra le derive più immediatamente visibili di questo fenomeno annovero alcune frange del Mee Too, che sembrano essere lanciate più all’attacco all’istituto della presunzione di innocenza che non impegnate nel senso migliore della lotta femminista.

Ovunque si vede che il pronunciamento a favore di ogni diversità è il cavallo di battaglia dei benpensanti, che ovviamente si fermano a queste generiche e filantropiche dichiarazioni, guardandosi bene dall’indicare le cause profonde delle differenze, delle sperequazioni e delle discriminazioni. Per loro il problema non deve affatto essere risolto, deve essere esibito. Proprio l’esibizione, in realtà, è il modo migliore e più sicuro per allontanare qualunque soluzione. Laddove i problemi sono collettivi, sociali e di classe, la loro spettacolarizzazione serve a proiettarli, con un gioco ad effetto dal risultato garantito, su una deformante dimensione individuale, che non è assolutamente il piano loro proprio. Costoro sguazzano in questa superficie, con scenografie sempre tirate a lustro, per essere certi che nulla nelle strutture del potere e nell’assetto degli interessi dominanti debba modificarsi. La diversità viene risucchiata nell’implacabile tritacarne del Capitalismo neoliberista, che lascia fuori tutte le narrazioni degli sconfitti, nessuna esclusa, e in cambio rilascia belle e ipocrite immagini e patenti di inclusione, che non scalfiscono nemmeno la realtà. Il femminismo neoliberale, che si qualifica in realtà per quello che è, ossia una forma di pseudo-femminismo, è abbondantemente impigliato in queste stesse logiche.

 

La lotta femminista non deve isolarsi e allo stesso tempo non deve essere lasciata da sola. Può esprimere il suo volto migliore e necessario, come anche in passato, soltanto saldandosi ad altre fondamentali istanze di giustizia ed equità sociale, configurando nel suo insieme una critica organica e complessiva allo stato odierno del Capitalismo neoliberista in entrambe le sue due varianti falsamente antagoniste. Solo in questo modo si può rispondere ad un pensiero unico che, proprio come atomizza l’individuo, è interessato a parcellizzare anche le istanze critiche che gli si oppongono, garanzia massima della loro inefficacia. Occorre, dunque, abbracciare una visione che rimetta chiaramente e programmaticamente al centro il conflitto.

 

Il patriarcato appare complessivamente in buona salute – anche se io credo sia in declino nel lungo termine; la guerra tra sessi è già aperta e non si vedono molte Kuliscioff, Luxembourg o De Beauvoir all’orizzonte.

Dark Side Of Hollywood - #MeToo And Time's Up Movement - YouTube

Fonte foto: Youtube (da Google)

17 commenti per “Dal patriarcato alla guerra tra sessi

  1. Giulio Bonali
    6 maggio 2021 at 11:33

    Personalmente trovo molto interessante e condivisibile questo scritto.

    Sono infatti convinto che il fatto che oggi il femminismo dominante politicamente corretto sia integralmente e ineccepibilmente una squallida e mostruosa ideologia reazionaria assolutamente inemendabile, nemmeno parzialmente, non toglie che una questione di sesso (e non: “di genere”, che per me é un concetto di pertinenza esclusivamente grammaticale) sia realmente esistita e in qualche misura continui ad esistere (oggettivamente, al di là delle falsissime enfatizzazioni ed esagerazioni ideologiche del reazionarissimo femminismo politicamente corretto); e inoltre che gli “storici” femminismi liberale e (soprattutto!) socialista si fondassero su problemi reali (magari in qualche misura enfatizzati, ma sicuramente ben reali) e che abbiano svolto lotte di emancipazione complessivamente positive e progressiste, malgrado elementi di unilateralità e di distorsione della realtà, ottimamente denunciati e criticati da Fabrizio Marchi (ma quale movimento di lotta progressivo e rivoluzionario ne sarebbe mai stato -anzi: avrebbe mai potuto esserne- completamente esente?).

    Per questo auspico che il presente scritto sia ampiamente criticato e discusso in un confronto di opinioni franco, finalizzato alla ricerca di una migliore comprensione dei problemi che solleva.

  2. armando
    7 maggio 2021 at 22:51

    ma dov’è ormai il patriarcato? lo spieghino per favore, ma non colla indegna truffa concettuale per cui le donne di potere sarebbero funzionali, e in definitiva succubi , del patriarcato. Proprio costoro, nella insopprimibile ansia di emendare le donne dalle proprie dirette responsabilità, imprimono loro lo stigma peggiore: l’incapacità di intendere e di volere in modo autonomo e indipendente. Eh no. Troppo facile e insieme umiliante proprio per le donne. Che esse si assumano piena e diretta responsabilità di ciò che sono e fanno senza nascondersi dietro il falso schermo del patriarcato , che del resto sul piano concettuale andrebbe assai più sviscerato e capito , nelle origini e nel significato , piuttosto che come un mantra, limitarsi a rpeterne la condanna senza appello .

  3. Rino DV
    8 maggio 2021 at 21:20

    Patriarcato: epoca in cui gli uomini avevano un valore.
    Assunzione di responsabilità da parte femminile: non accadrà mai.
    .
    Il conflitto tra i sessi è sempre esistito perché i due hanno interessi diversi ed esisterebbe anche nell’immaginata società senza classi, come è esistito, pur se negato, anche nei paesi socialisti. Anche là dove c’erano pericoli e rischi c’erano i maschi. In miniera, sul mare, sui ponteggi …solo maschi. (Come deve essere, intendiamoci, secondo l’ordine darwiniano che dice: la donna vale 100 l’uomo 60.
    Chi vale di meno muore al posto di chi vale di più. F=m+kF).
    ((Non pretendo assolutamente consenso su questa tesi eretica))

    • Fabrizio Marchi
      8 maggio 2021 at 22:44

      Sottoscrivo, purtroppo, e sottolineo purtroppo…questa amara considerazione è il risultato di una indagine che alcuni (pochi) di noi hanno fatto e che per la pressoché quasi totalità degli uomini (compresi ovviamente e forse ancor di più i marxisti su questo tema specifico) è un terreno sconosciuto, mai esplorato.

    • Giulio Bonali
      9 maggio 2021 at 9:08

      Ad accenni fugacissimi non posso che rispondere, per esprimere il mio dissenso, con accenni fugacissimi (ovviamente senza l’ ingenua pretesa di convincere nessuno su questioni circa le quali, per maturare eventuali cambiamenti di convinzioni, ci vorrebbe ben altro che un rapido confronto di opinioni in una discussione telematica; solo per contribuire ad una riflessione auspicabilmente interessante ed utile sui reciproci dissensi).

      Sulla “immaginaria società senza classi”: anche una società senza possibilità di comprare e vendere schiavi, di usarli a piacimento da parte dei loro padroni (fra l’ altro come bestie da soma e sessualmente; financo di punirli con la morte a propria discrezione), oppure una società nella quale fossero vietati spettacoli di combattimento fino all’ omicidio, oppure una società nella quale l’ Inquisizione non potesse torturare e condannare a morti raccapriccianti e mostruosamente dolorose in base alle confessioni così estorte per tanto tempo sono state società puramente “immaginarie”; ma per nostra fortuna qualcuno anche allora pensò che la realizzazione di un’ immaginazione realisticamente fondata fosse un obiettivo conseguibile per il quale valesse la pena lottare.

      Sul socialismo reale: l’ aggettivo aveva per l’ appunto una funzione limitativa, stando ad indicare quel tanto o quel poco (a seconda dei punti di vista più o meno ottimistici o pessimistici), ma comunque di parziale e non integrale e completo, di socialismo che, anziché essere solamente immaginato (cosa facilissima!) era stato effettivamente realizzato (cosa incomaparabilmente più difficile), “malgrado tutto”.
      E non credo sia negabile che un qualche (ovviamente limitato) risultato nel superamento delle costrizioni alle libere scelte e possibilità di realizzazione personale anche attraverso il “contenimento” (nella misura realisticamente possibile, non certo integrale) di parte delle limitazioni oggettive imposte dalle ineludibili differenze biologiche fra uomini e donne si sia conseguito. Per esempio una più equa distribuzione (rispetto al capitalismo) fra uomini e donne delle varie mansioni professionali (e -fatti per me importantissimi- senza alcun ricorso ad aberrazioni mistificanti e gravemente inique tipo le “quote rosa”, né nel mero senso di una pura e semplice redistribuzione di privilegi fra i sessi spacciata per “progresso”).
      Rispetto al capitalismo “lì c’ era qualche maschio in meno e c’ era invece anche qualche donna in miniera, sul mare, sui ponteggi”; e anche -fatto per me altrettanto positivo- qualche maschio in meno e qualche donna in più (e non certo per effetto di alcuna aberrante e mistificatoria “quota rosa”) nelle istituzioni governative centrali e locali.

      Circa l’ “ordine (pseudo-, N.d.R) darwiniano dei valori” di maschi e femmine il mio dissenso é totale, assoluto: per me la biologia non stabilisce alcuna scala di valori od “ordine” di importanza etico o personale; che sono invece concetti propri delle scienze umane e non naturali (anche se ovviamente sorti e sviluppati sulla base della natura biologica e senza contraddirla), e come tali molto più passibili di condizionamento sociale (in positivo e in negativo) e di mutazione storica rispetto alle categorie e alle dinamiche biologiche (fra i due ordini di eventi reali e di questioni teoriche credo esista quel che comunemente si dice un’ autentico “salto di qualità)”.

    • Panda
      9 maggio 2021 at 21:11

      Sono ovviamente del tutto d’accordo con Giulio circa il rifiuto della lettura naturalistica dei rapporti fra i sessi: tra ontologia dell’essere naturale e sociale c’è una discontinuità non totale, ovviamente, e, anzi, resa possibile dalla prima, ma profonda. Non voglio però ripetere una discussione che abbiamo già fatto, quanto notare quella che a me pare una contraddizione tra affermazioni come quelle di cui sopra e quanto scrivevi qualche settimana fa in un commento a un altro articolo (https://www.linterferenza.info/attpol/la-destra-femminismo-questione-maschile/#comment-54101), su cui invece concordo pienamente:

      “l’intera storia della Sinistra è segnata dalla negazione del valore dei sistemi simbolici (identificati sempre e cmq con le religioni e quindi da scavalcare e distruggere insieme ad esse). Salvo poi ricostruirli sotto mutate vesti e negando che siano tali, ovviamente. Prassi necessaria perché senza di essi gli umani non vivono. La futura educazione dei maschi, la ricostruzione della loro identità e del loro autovalore dovrà fare necessariamente uso di simboli e miti che sono metafore vive (cioè che danno forma alla vita).”

      Nel fornire una spiegazione naturalistica, ossia nella convinzione di poter attingere a una verità sociale presimbolica, a me pare tu stia ripetendo esattamente lo stesso errore che stigmatizzavi; ovviamente anche il riferimento alla natura è invece un sistema di simbolizzazioni, come ha spiegato molto bene Sahlins. E si ripropone proprio il punto che sollevavi: quale fondamento all’autovalore maschile può offrire l’idea che la storia del maschio sia la triste e passiva recita di un copione scritto dalla natura? A me pare solo preparare il terreno per un vittimismo di segno contrario, ma omologo a quello femminista, non certo fornire punti d’appoggio alla rivendicazione orgogliosa di quelle luci di cui parla giustamente armando.

      • Rino DV
        10 maggio 2021 at 6:30

        La contraddizione si scioglie considerando che noi umani siamo fatti sia di DNA che di sogni (e non solo, ovviamente). Sembra assurdo che in un essere vivente possano convivere dimensioni così diverse, eppure…

  4. Fabrizio Marchi
    9 maggio 2021 at 12:21

    “Rispetto al capitalismo “lì c’era qualche maschio in meno e c’ era invece anche qualche donna in miniera, sul mare, sui ponteggi”; e anche -fatto per me altrettanto positivo- qualche maschio in meno e qualche donna in più (e non certo per effetto di alcuna aberrante e mistificatoria “quota rosa”) nelle istituzioni governative centrali e locali”. (Giulio Bonali)
    Vero, Giulio, anche se solo parzialmente. il socialismo reale ha complessivamente fallito (non ha solo perso la competizione con l’Occidente capitalistico…) però non c’è dubbio che dal punto di vista della parità e dell’eguaglianza fra i sessi abbia raggiunto risultati notevoli. Tanto notevoli che evidentemente quell’eguaglianza o quello stadio di eguaglianza raggiunto non piaceva al femminismo che nasce e si afferma e diventa ideologia dominante in Occidente, e tanto più si indebolisce e crolla il socialismo reale e il movimento comunista, tanto più il femminismo si afferma nelle società capitaliste occidentali.
    Resta il fatto che se indubbiamente la rivoluzione sovietica ha distrutto le vecchie usanze e costumi arcaici prerivoluzionari, non ha sostanzialmente modificato la divisione sessuale del lavoro. Dispiace dirlo ma a lavorare (e morire) nelle miniere e nei contesti lavorativi più pesanti c’erano pressochè anche lì soltanto uomini.
    Erano tutti uomini i marinai del sommergibile Kursk ed erano tutti uomini quelli che hanno combattuto in prima linea contro le armate nazifasciste. E’ vero, a differenza degli eserciti occidentali, molte donne hanno combattuto come partigiane e anche come aviatrici ma non c’è alcun dubbio che la massa enorme di soldati in prima e primissima linea fosse maschile.
    Ed erano tutti uomini anche e soprattutto quelli che hanno sanato la centrale nucleare di Chernobyl dopo l’esplosione. Molti non sanno (quasi nessuno) che tutto il lavoro di bonifica dell’intera area colpita (oltre naturalmente al sacrificio degli operai, dei minatori mandati ad aiutare, dei tecnici, dei vigili del fuoco, dei soldati, subito dopo l’esplosione e successivamente per costruire il sarcofago) fu fatto da centinaia di migliaia di uomini (maschi). Un lavoro di anni svolto, appunto, da centinaia di migliaia di soldati, operai, tecnici ecc. Per non parlare, appunto, di quelli che scelsero di “suicidarsi” per evitare la catastrofe nelle settimane immediatamente successive all’esplosione. Tutti uomini, nessuno escluso.
    E’ un fatto, non mi invento niente. So perfettamente (perché ci sono passato anche io…) che per dei marxisti è arduo affrontare questo tema, perché si tratta di affrontare una questione che fuoriesce (vale per tutte le ideologie, sia chiaro…) dai binari tradizionali della lettura di classe del marxismo in tutte le sue diverse declinazioni. E tuttavia, caro Giulio, proprio perché marxisti, non possiamo sottrarci all’analisi lucida della realtà, all’ “analisi concreta della situazione concreta”, come diceva un tale a noi caro…
    E questa analisi concreta della situazione concreta ha portato il sottoscritto alla conclusione che la narrazione storica femminista che eleva il patriarcato ad una sorta di feticcio in base al quale il genere femminile, nella sua totalità, sia stato sempre, comunque e ovunque, oggetto di discriminazione e oppressione tout court da parte del genere maschile, nella sua totalità, è fondamentalmente falsa. Naturalmente con alcune verità, altrimenti non sarebbe credibile, come qualsiasi altra ideologia.
    Se la logica non è acqua fresca, a crepare sul lavoro o in prima linea o a fare i lavori più pesanti, ci vanno gli oppressi e non gli oppressori. A “suicidarsi” consapevolmente per chiudere una centrale nucleare esplosa gli oppressori mandano gli oppressi, non ci vanno loro. Perché gli oppressori se ne stanno al riparo, dalle pallottole, dal lavoro nocivo, usurante, pesante e spesso mortale e dalle radiazioni.
    A tutt’oggi il femminismo (intendo con questo non solo il movimento femminista in senso stretto, ovviamente, ma l’intero sistema politico, economico, sociale, ideologico, culturale e perfino gli intellettuali marxisti residui completamente subalterni al femminismo) non è in grado di dare una risposta logica e convincente di questa ENORME E CLAMOROSA contraddizione. E infatti non ne parla, la occulta. Arrivando addirittura, in questo macroscopico occultamento della realtà vera dei fatti, cioè della verità, a santificare Luana D’Orazio, la ragazza morta sotto un rullo compressore pochi giorni fa, fingendo di dimenticarsi che ogni giorno, da sempre, circa tre uomini fanno la sua stessa orribile fine.
    Ciò detto, sono d’accordo con te che non è la biologia a stabilire l’etica e la morale. Sta di fatto che quella differenza biologica fra uomini e donne ha fatto sì che i primi, da sempre (e quando dico da sempre intendo dire, da sempre) si siano sobbarcati l’onere di “arare” il mondo, di edificarlo materialmente, superando le IMMANI difficoltà, la BESTIALE fatica del lavoro. E lo hanno fatto i maschi, è un fatto, al posto delle femmine. E’ ciò che abbiamo chiamato “divisione sessuale del lavoro”. E’ stato un IMMENSO, TRAGICO sacrificio che la narrazione femminista ha derubricato, riscrivendo la storia, come oppressione tout court del genere maschile su quello femminile.
    Dopo anni e anni di riflessione, studio, confronto con altri, e soprattutto dopo avere superato enormi resistenze ideologiche e anche psicologiche, sono giunto a questa conclusione.
    E’ giunta l’ora che anche e soprattutto i marxisti mettano mano a questa questione, abbandonino le gabbie economiciste e “sociologiste” e soprattutto le resistenze ideologiche e psicologiche, le grossolane e rassicuranti narrazioni storiche, e comincino ad affrontare in modo lucido questa grande questione, specie perché provvisti di un metodo analitico straordinario che è proprio quello che mi ha consentito di rivisitare in modo critico quella narrazione e di cogliere la complessità della relazione fra i sessi che non può essere ridotta a quella favoletta raccontata dal femminismo.

    • Rino DV
      9 maggio 2021 at 21:45

      Stavo scrivendo …ma vedo che almeno metà del mio articolo l’hai già scritta tu.
      OK.
      .
      Salvo chiarire, anche per Bonali, che in effetti la biologia non stabilisce valori morali, stabilisce valori biologici. Non stabilisce ciò che deve essere, ma ciò che è.
      Stabilisce F=m+kF, equzione che non spiega tutto ma spiega davvero tanto.
      Troppo.
      .
      Spiega ad es. perché i maschi di 20 anni siano da sempre e ovunque carne da miniera, carne da frontiera e carne da galera. Dai tempi della caccia-raccolta…
      .
      Spiega anche perché il 95-97% di ciò che esiste sia stato ideato, creato, costruito dagli uomini. Spiega perché le voci di wikipedia siano redatte all’87% da maschi, perché Odifreddi abbia un seguito costituito al 90% da maschi. Perché le Stem siano disertate dalle femmine…
      Spiega anche: homo sine pecunia imago castitatis…
      Spiega gli hihkikomori… spiega tante cose…
      .
      Certo, non spiega tutto. Ma nemmeno G*M*m/r2 spiega tutto.
      .
      Scriverò i dettagli. Non so quando ma lo farò.

      • Giulio Bonali
        10 maggio 2021 at 21:38

        La biologia ovviamente spiega molte cose anche della storia umana, che non ne può prescindere.
        Però molte altre non le spiega dal momento che, oltre a non prescinderne, nemmeno si limita ad essa.

        Dissento completamente dal mettere sullo stesso piano una legge fisica come quella della gravitazione universale con qualsiasi caratteristica universale e costante del divenire nell’ ambito della storia umana (a prescindere da quella “F=m+kF”k, che, non avendo letto il libro di Rino, non posso comprendere a sufficienza per pronunciarmi n proposito).

        Le leggi della storia umana sono profondamente diverse da quelle della natura biologica e fisica in generale (che pur non contraddicono) soprattutto per il fatto che “molto” dell’ umanità non é misurabile (desideri, aspirazioni, sentimenti, ecc.): già é difficile stabilire -faccio un esempio volutamente banale e un po’ campato in aria- se, per un uomo eterosessuale, il desiderio di un fugace rapporto possibile con un’ altra donna sia maggiore -più gratificante se appagato- del timore -meno infelicitante se attuato o viceversa- di porre fine a quello ben più duraturo e profondo con la “””propria””” donna (l’ abbondanza delle virgolette non é certo per gratificare le femministe, alle quali peraltro non basterebbero; o viceversa per una donna eterosessuale, ovviamente); misurarli, cioé stabilire un rapporto quantitativo espresso attraverso un numero (stabilire di quanto uno dei due sentimenti é maggiore dell’ altro, alla maniera nella quale si possono misurare per esempio le masse della terra e di un satellite artificiale onde decidere sulla potenza del missile che deve metterlo in orbita) é del tutto impossibile.
        Per questo e per altri importanti motivi le “leggi” della storia umana, al contrario di quelle della storia naturale, sono meramente “tendenziali”, e assolutamente non calcolabili matematicamente (anche se prevedibili relativamente, limitatamente, non senza un ineliminabile residuo di incertezza nei “risultati delle loro applicazioni finalizzate intenzionalmente” (residuo di incertezza assolutamente di tutt’ altra natura e portata che l’ ineliminabile approssimazione indefinitamente limitabile in linea di principio delle misure delle grandezze fisiche come quelle delle masse).

        Soprattutto nella storia umana é realisticamente possibile (e non: inevitabile) un limitato e non miracolistico progresso, che potrebbe per esempio realisticamente implicare, secondo me, una più equa redistribuzione fra i sessi, grazie anche ai progressi scientifici e tecnici, nelle mansioni e nei ruoli professionali (non in quelli biologici: maternità, paternità, sessualità maschile, sessualità femminile, ecc.; salvo, a mio parere politicamente scorretto, casi patologici; il che -preciso per i politicamente corretti; ed essendo molto ottimista oso sperare non invano- non implica affatto alcuna demonizzazione, persecuzione o disprezzo per chi vi incorra, esattamente come non ne implica qualsiasi altra patologia).
        Per esempio per l’ umanità primitiva e anche fino a circa un secolo o due fa (grosso modo e con molta approssimazione e qualche incertezza: non stiamo a sottilizzare!) era per lo meno in larga misura inevitabile che i maschi di 20 anni fossero da sempre e ovunque carne da miniera, carne da frontiera e carne da galera o anche che il 95-97% di ciò che esiste fosse ideato, creato, costruito dagli uomini; oggi, secondo me per fortuna, non é più così inevitabile, e sarebbe preferibile per tutti che effettivamente, nei fatti e non solo nelle ipotesi realisticamente considerabili, non fosse più necessariamente così.

        • Rino DV
          11 maggio 2021 at 17:52

          Ovviamente concordo con molte delle tue affermazioni, contrariamente a ciò che si potrebbe dedurre da una interpretazione rigida e monocausale dell’ equazione F=m+kF la quale è uno strumento interpretativo delle dinamiche intercorrenti tra i due sessi e del rapporto maschile con il mondo, non un dogma. (Il richiamo a GMm/r2 – ridimensionata da Einstein – sta a significare appunto che abbiamo imparato una cosa: le equazioni non sono e non rappresentano la verità, ma sono solo strumenti).
          .
          In parte essa contiene della banalità, quali quelle descritte da R. Tranchida nel suo articolo sul potere sessuale F.le.
          .
          E’ chiaro che nuove condizioni storico-sociali possono-devono indurre a nuovi comportamenti. E di fatto è già così.
          Ne parleremo.

  5. armando
    9 maggio 2021 at 17:37

    posto che il conflitto fra i sessi è sempre esistito e lo sarà in qualsiasi regime sociopolitico per le ragioni che dice Rino , la domanda è: come è possibile attutirlo e incanalarlo in modo che non diventi socialmente distruttivo e/o decreti l’annichilimento di uno dei due, il che oggi significa annichilimento dei maschi e dei padri sommersi da accuse irredimibili , femminilizzati psichicamente con la complicità, anzi l’entusiasmo di tutti i media, e infine resi inutili nella procreazione? risposta difficile, difficilissima, posto che tale annichilimento è nell’interesse del potere culturale, politico ed economico? Un abbozzo di risposta non può non partire dalla necessità che gli uomini riscoprano se stessi, la loro storia, la loro psiche profonda, anche i loro sentimenti virili , senza autoesaltazioni acritiche ma anche e soprattutto senza cedere di una virgola rispetto alla narrazione femminista fatta interamente propria dal mainstream. Riscoprano cioè con orgoglio le ragioni e il senso della propria esistenza e della propria storia . Come ogni vicenda umana la storia maschile ha luci ed ombre, anche nei rapporti col femminile ma non esiste ragione alcuna per nascondere o non riconoscere le tante luci di cui hanno ampiamente beneficiato le donne. Questa è una condizione necessaria . Ed implica una certa separazione fra i sessi , per riscoprire se stessi nel bene e nel meno bene: pensieri passioni inclinazioni desideri , senza reticenze ma anche senza immotivati sensi di colpa. Condizione necessaria infine per incontrare l’altro da sé, ma non anche sufficiente. Per essere tale è necessario che anche le donne facciano lo stesso, oltre l’eterno vittimismo, il rancore, la voglia di vendicarsi non si sa di cosa, oltre il presupposto di incarnare il bene. ed occorre anche di conseguenza il riconoscimento dei meriti altrui. Avverrà tutto ciò? non so dire. Però so che è meglio una separatezza consapevole e serena di sé , piuttosto di una promiscuità colpevolizzante e colpevolizzata.

  6. 9 maggio 2021 at 18:40

    Credo fosse quasi scontato che questo mio articolo potesse ricevere critiche da versanti opposti. Ovviamente la mia analisi scontenta la sinistra asteriscata, intenta a cambiare le vocali e nient’altro; ma viene criticata anche da chi considera patriarcato e maschilismo in definitiva una invenzione bella e buona, una truffa. Sono evidentemente critiche di segno opposto. Per qualcuno quello che scrivo è decisamente troppo, per altri è ancora troppo poco. Va bene così.

    Il mio punto di partenza, esplicitato in apertura, è che oggi esistano due varianti del capitalismo in contrasto tra loro (in sintesi, il neocapitalismo digitale, ultima forma del neoliberismo globalista e mercatista, da un parte, e il vecchio capitalismo “solido” e fordista dall’altra), che fanno proprie rispettivamente le strutture discorsive del “politicamente corretto” e del “politicamente scorretto” e hanno i loro terminali politici, grosso modo, nei partiti di sistema (di destra e di pseudo-sinistra) e nella destra ultranazionalista e identitaria. Se non si condivide questa premessa dell’intero mio ragionamento, ovviamente non se ne condivideranno nemmeno le conclusioni. Chi non legge questo scontro, tutto interno al Capitalismo, finisce, a mio parere, per concentrarsi soltanto su una evidenza, tralasciando l’altra. Io vorrei tenere aperto l’intero quadro osservativo. Così, non sono d’accordo sul negare il maschilismo e relegarlo a racconto. Per la stessa ragione, mi sembra che si deformi la storia del femminismo tout court alla luce del suo ultimo tratto, assolutizzandola, quando si dice che dal principio non poteva e non è stato altro che questo. Ciò non toglie che gli argomenti della specificità dei sessi, e anche del loro diverso valore, nonché della divisione sessuale del lavoro siano, per conto mio, condivisibili. Di sicuro, se si toglie al femminismo la dimensione della lotta di classe si è tolto tutto, e rimane solo sessismo, conservazione, narrazione dominante. Detto questo, il maschilismo esiste. Negarlo mette solo chi lo nega in conflitto con l’evidenza. In Italia, anzi, ne esistono sacche ataviche, perché ha potuto contare sull’alleanza della chiesa cattolica, che ha sempre temuto il femminino come il peggiore dei mali. Non è un caso se nei Paesi che hanno avuto la Riforma, le chiese nazionali prevedono il sacerdozio femminile. Esistono diverse forme di sessismo, il problema è che il maschilismo è la sola accuratamente censita e raccontata. La narrazione tossica si ottiene rimuovendo una parte della realtà. La decostruzione dell’ideologia del politicamente corretto è quindi sacrosanta. Tuttavia, non dovrebbe essere spinta al punto da mettersi per altro verso in conflitto con l’evidenza.

    Se il politicamente corretto e il femminismo neoliberale fanno chiaramente parte dell’armamentario dell’ideologia globalista e marcatista, le strutture discorsive del “politicamente scorretto” sono per contro cavalcate in modo molto redditizio dai Salvini, Trump, Bolsonaro…. Questa destra ultranazionalista e reazionaria (che qualcuno preferisce chiamare “sovranista”) è certamente un prodotto collegato all’egemonia neoliberale, ma io ci andrei cauto a catalogarla come un suo semplice epifenomeno. Ha dimostrato di sapersi configurare come opzione di potere. Questo è un passaggio per me centrale. Se questi personaggi attingono a piene mani al politicamente scorretto, è del resto perché sanno di averne un lauto ritorno.

    Condivido pienamente la necessità di smontare il politicamente corretto. Allo stesso tempo, concentrarsi esclusivamente su questo, che in definitiva esprime una delle due posizioni del pendolo (conservazione/reazione) porta, come già in passato, a scivolare su un terreno sul quale è ancora la destra ad essere vincente.
    C’è uno scontro tra due varianti del Capitalismo, tutto interno al Capitale. Noi dovremmo essere autonomi e terzi, alternativi a entrambe. Siamo, purtroppo, spettatori.

    • Rino DV
      9 maggio 2021 at 21:29

      “La narrazione tossica si ottiene rimuovendo una parte della realtà”
      Precisamente. Le verità parziali sono manipolatrici e lo sono più delle menzogne.
      Magari ci torneremo sopra.

  7. Rino DV
    10 maggio 2021 at 12:11

    Come si può pensare di fornire agli uomini motivi fondati di fierezza e di autostima se si afferma che valgono – biologicamente – assai meno delle donne?
    .
    1. Dal fatto che valgono meno derivano tante conseguenze negative come altrettante, e forse ancor più, positive, tra cui la creazione di quasi tutto l’esistente. Da intere civiltà …ai fiammiferi, passando per la panoplia infinita di ciò che fu e che è. Ma questo lo lascio ad altri tempi.
    .
    2. Il vero problema posto da quella obiezione è un altro: che ne facciamo delle verità distruttive? Se nella indagine sul mondo scopriamo verità o anche solo ipotesi di verità imbarazzanti, deprimenti, antivitali cosa facciamo? Le archiviamo?
    Una via di uscita sarebbe questa: dare per scontato, ovvio, insindacabile il fatto che tutte le verità siano positive, utili, benefiche. Perciò, trovatane – per caso – una che non lo sia (o non lo paia a prima vista) possiamo già liquidarla come una falsità, cestinarla e andare avanti tranquilli. E’ vero ciò che è utile, ciò che è dannoso è falso per definizione. E così siamo a posto. L’utile, il benefico è il parametro della verità.
    .
    L’altra via consiste nel prendere atto dell’esistenza di possibili verità avvilenti, deprimenti o addirittura micidiali, capaci di affondare ogni slancio ed ogni speranza.
    Verità dannose, potenzialmente distruttive di alcune speranze o addirittura di tutte.
    .
    Quanto al mio impegno sulla questione maschile, al fondamento della mia azione non vi è la convinzione che per gli uomini ci sia un futuro migliore, per nessuno, men che mai per quelli delle classi medio basse, la cui posizione è destinata a peggiorare lentamente ma progressivamente (andiamo verso l’Incel-izzazione di massa). Il mio scopo è aiutarli a conoscere la malattia che li colpisce, a far prendere loro coscienza. La mia visione è questa: i maschi della classi medio-basse hanno la stessa speranza che hanno i palestinesi. Nessuna speranza. Con la differenza che mentre questi sanno da chi e cosa sono schiacciati, gli uomini non lo sanno.
    Di recente un tale mi ha scritto: “Quando ti leggono, gli uomini volgono lo sguardo dall’altra parte. Ti odiano perché fai paura e li imbarazzi”.
    Ma io, cinico, continuo finché posso.
    Io non guarisco nessuno, mi limito a diagnosticare. (Certo, poi lancio qua e là qualche messaggio di speranza, ma è solo ad utilità di qualche giovane troppo impaurito).

    • Fabrizio Marchi
      10 maggio 2021 at 13:04

      Ovviamente sottoscrivo.
      Per chi non lo conoscesse, Rino Barnart Della Vecchia, oltre ad essere un mio amico e forse il più importante studioso di quella che chiamiamo “Questione maschile”, è l’autore di questo straordinario libro che invito tutti/e assolutamente a leggere: https://altrosenso.files.wordpress.com/2009/10/qmdtsei1a.pdf

    • Invisibile
      11 maggio 2021 at 0:25

      Rassegnarsi è l’unica cura per me. Ormai vivo da invisibile.

Rispondi a Invisibile Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.