Dalla parte dei teppisti

Di prima mattina ho fatto una ricognizione per Milano per decidere che fare.

Piovigginava e l’asma mi rallentava il passo: dopo aver camminato un’oretta ho capito che era meglio tornarmene a Bologna. Si sapeva che a un certo punto sarebbe scoppiata la baraonda. La polizia non poteva farci niente per una ragione facile da capire: gli occhi di tutto il mondo erano puntati sull’inaugurazione dell’EXPO, un morto nelle strade di Milano non sarebbe stato buona pubblicità. A Genova quindici anni fa (come passa il tempo!) il potere intendeva dimostrare che i grandi del mondo sono inavvicinabili e se ci provi ti ammazzo. A Milano intendeva dimostrare di essere tollerante. Da una parte si fa festa con Armani e Boccelli perché ormai i giovani sono talmente frollati dalla disperazione che fanno la fila per poter servire gratis al tavolo di Monsanto e di McDonald. Dall’altra si permette di sfilare a qualche migliaio di sessantenni i quali, poveretti, credono che per telefonare ci vuole il gettone, e quindi sono ancora dietro a quelle vecchie storie dei diritti.

Poi tremila teppisti hanno rovinato il banchetto, tutto qui.

Ho letto l’articolo di Luca Fazio e vorrei esprimere un’opinione diversa dalla sua. Fazio scrive che i teppisti hanno rovinato una manifestazione democratica. Sarò brutale con spirito amichevole: a cosa serve manifestare per la democrazia? che utilità può avere sfilare per le vie della città dicendo: diritti, costituzione, democrazia?

Io lo faccio talvolta (quando l’asma me lo permette) per una ragione soltanto: incontro i miei amici e le mie amiche. E’ quel che ci è rimasto della sfera pubblica che un tempo chiamavamo movimento. Ma non penso neanche lontanamente che si tratti di un’azione politicamente efficace.

C’è ancora qualcuno che creda nella possibilità di fermare l’offensiva finanzista europea, o l’autoritarismo renziano con pacifiche passeggiate e referendum?

A proposito: ci sarà un referendum contro la legge elettorale denominata Italicum. Probabile. Giusto per riepilogare voglio ricordarvi gli antefatti. Esisteva una legge elettorale denominata Porcellum (perché coloro che la avevano promulgata dichiararono fra le risate che si trattava di una porcata). La Consulta dichiarò quella legge incostituzionale, dunque sancì l’illegittimità del Parlamento eletto con quella legge. Fino al 2011 c’era almeno un Primo Ministro votato da una maggioranza. Si chiamava Berlusconi (remember?). Fu esautorato per volontà della Bundesbank, venne un primo ministro direttamente eletto dalla finanza internazionale di nome Monti. Il disastro fu tale che si tornò alle urne. Le urne risultarono enigmatiche, e dopo varie tergiversazioni emerse un tizio che nessuno ha votato ma nei sondaggi risultava vincente. Dal momento che questo tizio ha la fiducia dei mercati il Parlamento, eletto con una legge incostituzionale, ora si prostra ai suoi piedi. La cifra vincente del governo Renzi è il totale disprezzo delle regole costituzionali, perciò un parlamento incostituzionale vota una legge elettorale incostituzionale imponendola con il voto di fiducia. Tombola.

A questo punto qualcuno raccoglierà le firme per un referendum.

Referendum? Io ne ricordo un altro: il 90% del 70% degli elettori votarono contro la privatizzazione dell’acqua. Vi risulta che la privatizzazione dell’acqua sia stata fermata? A me risulta il contrario. E allora perché dovrei andare a votare al prossimo referendum?

Qualcuno mi risponde: per difendere la democrazia.

Democrazia? Ma di che stai parlando? L’80% dei greci appoggia il suo governo, ma la Banca Centrale europea ha detto con chiarezza che le regole non le stabilisce l’80% dei greci, ma il sistema bancario, quindi che i greci vadano a farsi fottere, e con loro la democrazia.

Ma torniamo a Milano. Tremila teppisti spaccano tutto? Non esageriamo, ma certo hanno fatto abbastanza fumo. E i giornali parlano di loro più che di Renzi Armani e Boccelli. Come posso non essergliene grato?

Sto forse proponendo una strategia politica? Credo io forse che spaccando le vetrine di tre banche (o magari di trecento o di tremila) il potere finanziario si spaventa? Non scherziamo. So benissimo che il potere finanziario non sta nelle vetrine delle banche, ma in un circuito algoritmico virtuale che nessuna azione teppistica può distruggere e nessuna democrazia influenzare. So benissimo che mentre tremila spaccavano vetrine diciassettemila e cinquecento correvano a lavorare gratis e questo è l’avvenimento più importante. So benissimo che nell’azione teppistica non vi è alcuna strategia politica. Ma c’è forse una cosa più seria. C’è la disperazione che cresce, limacciosa e potente, ai margini del mondo levigato.

Cosa ne pensa Fazio (al quale rivolgo un saluto in amicizia) dei teppisti di Baltimore e di Ferguson? Pensa che dovrebbero avere fiducia nella democrazia?

Io ricordo di avere visto (era la CBS?) un’intervista a una ragazza che stava in strada a New York una notte del novembre 2014. Il giornalista le chiedeva qualcosa sui bianchi e sui neri e lei rispose: “This is not about white and black. This about life and death.”

Nel tempo che viene non capirete niente se penserete alla democrazia. Occorre pensare in termini di vita e di morte, e allora si comincia a capire.

Ci stanno ammazzando, capito? Non tutti in una volta. Ci affogano a migliaia nel canale di Sicilia. Un numero crescente di ragazzi si impiccano in camera da letto (60% di aumento del tasso di suicidio nei decenni del neoliberismo, secondo i dati dell’OMS). Ci ammazzano di lavoro e ci ammazzano di disoccupazione. E mentre la guerra lambisce i confini d’Europa, focolai si accendono in ogni sua metropoli.

Perché dovrei preoccuparmi dell’Italicum? E’ una forma di fascismo come un’altra.

Abbiamo perso tutto, questo è il punto, e il primo maggio 2015 potrebbe essere il momento di svolta, quello in cui lasciamo perdere le battaglie del passato e cominciamo la battaglia del futuro. Non la battaglia della democrazia né quella per i diritti, meno che mai la battaglia per la difesa del posto di lavoro, che è stata l’inizio di tutte le sconfitte.

La battaglia necessaria (e forse a un certo punto anche possibile) è quella che trasforma la potenza della tecnologia in processo di liberazione dalla schiavitù del lavoro e della disoccupazione. Quella battaglia si combatterà cominciando a comportarci come se il potere non esistesse, rifiutando di pagare un debito che non abbiamo contratto, rifiutando di partecipare alla competizione del lavoro e alla competizione della guerra.

E’ impossibile? Lo so, oggi è impossibile, i giovani che hanno aperto gli occhi di fronte a uno schermo uscendo dal ventre della madre si impiccano a plotoni perché per loro il calore della solidarietà politica e della complicità amichevole sono oggetti sconosciuti. Ma se vogliamo parlare con loro è meglio che lasciamo perdere i gettoni, la democrazia e i diritti. E’ meglio che impariamo a parlare della vita e della morte.

Fonte: http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/5094-franco-berardi-bifo-dalla-parte-dei-teppisti-.html

2 commenti per “Dalla parte dei teppisti

  1. Riccardo
    10 Maggio 2015 at 11:34

    Sì, tutto bello (a chiacchiere), ma questa frase potevi risparmiartela.
    >>>
    Tremila teppisti spaccano tutto? Non esageriamo,
    >>>
    Dove abiti? Dimmelo, che poi vengo a trovarti e ti spacco la casa o, al limite, l’appartamento in cui vivi.
    Oppure, se hai un negozio, te lo mando in frantumi.
    Volendo, posso darti fuoco alla macchina.
    Ci stai?

    Del resto è così che si combattono i potenti, no?
    Ovvero spaccando il negozio del tassato e tartassato commerciante e la macchina dell’operaio da 1000-1200 euro al mese.
    Insomma, una gran “strategia”, partorita da menti a dir poco illuminate.

    Buona domenica, “compagno”.

  2. armando
    10 Maggio 2015 at 21:18

    Viviamo in un simulacro formalistico di democrazia? Vero.
    Dalle decisioni che contano, prese da pochi intimi, il popolo è escluso?Vero
    Rivendicazioni di diritti, di democrazia etc. etc. sono sempre più impotenti? Concordo
    Italicum, porcellum e compagnia sono fumo negli occhi? Ok
    Eppure io non sto dalla parte dei teppisti, perché:
    1)diventano massa di manovra del potere, e questo sarebbe il meno perché quel rischio è difficile eliminarlo del tutto.
    2)Distruggendo negozi e auto mostrano disprezzo quasi razzista per le persone. O forse quei piccoli commercianti, impiegati, operai, non sono popolo, ma solo degli integrati servi dei padroni, come dicevamo ai nostri tempi dei poliziotti? (camerata, basco nero, il tuo posto è al cimitero). Il lupo perde il pelo ma non il vizio.
    3)Detto da uno che ha avuto un ruolo importante nei movimenti, mi sembra questo davvero lo slogan della disperazione. Di chi capisce di aver sbagliato tutto ma non sa dove e perché, e rifiuta di assumersi le responsabilità che gli competono, personali e di generazione (la mia). E soprattutto abdica alla funzione degli anziani che, certo senza sicumera, dovrebbero tentare di indicare ai giovani non dico la direzione certa da prendere, ma almeno un modo di cercarla, quella strada, sia pure a tentoni. La distruzione luddista non ne fa parte (secondo me).
    4) Credere che la tecnologia ci faccia sfuggire dalla schiavitù del lavoro è un’utopia. Le magnifiche sorti e progressive della civiltà moderna è lo slogan usato proprio dal potere per convincerci di vivere nel migliore dei mondi possibili. Il lavoro morto rimpiazza il lavoro vivo nella misura in cui, da altre parti, quel lavoro vivo qualcuno lo svolge. Chi? O pensiamo un mondo senza manifatture e senza fabbriche e senza campi?
    5)Su una cosa concordo, almeno in teoria. “Comportarsi come se il potere non esistesse”. Ma i teppisti fanno proprio l’opposto. Credono di sapere dov’è e cosa è, o almeno credono di vederlo e lo combattono. Ma è solo il simulacro, uno specchio offerto per romperlo dopo il quale ce ne sarà un altro e un altro ancora. Direi perciò che sarebbe meglio dire “Comportarsi come fossimo in-differenti al potere”, cioè agire in modo differente, tale da sfuggire alla sua presa, starne fuori mentalmente e psichicamente. A patto naturalmente di rispettare il principio di realtà che ci prescrive di guadagnarsi da vivere. Allora, fra chi distrugge e chi accetta di lavorare a pochi euro io sto coi secondi. Avevo un collega di lavoro, profugo dalla Libia, che aveva avuto esperienze in fabbrica a Milano. Era commmunista con tre m, e mi diceva sempre di essere rimasto impressionato dagli operai milanesi. Che lavoravano sodo per salari bassi, ma che poi facevano scioperi durissimi contro i padroni, senza sconti per nessuno, per le loro rivendicazioni. Altri tempi, vero, ma quello spirito, l’opposto di quello teppistico, va recuperato. D’altronde, è vero o no che gli operai durante la resistenza si adoperarono per salvare dalla distruzione le fabbriche dei padroni?
    6)Sulla necessità di parlare ai giovani di vita e di morte. Molto importante questa esortazione, perché la presa del capitale proprio lì è arrivata. Alla vita stessa! Ma bisognerebbe capire in che senso parlarne. Solo in senso materiale, solo in senso di rivendicare il “diritto alla felicità” o alla realizzazione di sé, come sospetto si intenda nell’articolo, o a partire da comprendere per prima cosa significa realizzazione di sé, e cosa significa vivere o morire?

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