Dopo Soleimani. Certezze e incertezze per l’anno nuovo

CERTEZZE E INCERTEZZE PER L’ANNO NUOVO

In uno dei suoi ultimi numeri, l’Economist pubblica, in una delle sue ultime pagine, le previsioni per l’anno nuovo. Non sono argomentate e quindi non sono le sue, necessariamente colorate, e quindi falsate da “wishful thinking”o, peggio da pregiudiziali ideologiche. Sono quelle degli scommettitori, dediti del tutto asetticamente a investire i propri soldi sulle possibilità che una certa cosa avvenga, oppure no: in un orizzonte che può andare dalla guerra atomica giù giù fino al vincitore del festival di Castrocaro. Un barometro, credetemi, assai più credibile di molti altri, perché imbevuto dal più cinico realismo.

Vorremmo, dunque, in questo post, discutere con voi delle sue indicazioni; tenendo conto che queste sono anteriori all’assassinio di Solemaini. Ciò che ci consentirà di capire, formulando giudizi del tutto personali, se questo evento le rimetta in discussione, oppure no.

L’ESITO DELLE PRESIDENZIALI USA

Secondo Singapore ( adottiamo questo nome in codice perché è lì che, nell’immaginario collettivo, che si incontrano fisicamente o via Internet, gli scommettitori di tutto il mondo) , le possibilità che Trump termini regolarmente il suo mandato sono dell’87%. Mentre la sua vittoria è data al 46%; e quella di Biden al 38%.

Cosa  significa tutto questo ? Primo che il processo di impeachment non andrà da nessuna parte. Secondo che Trump sarà rieletto presidente: perché in grado di battere sia Biden ( che secondo Singapore sarà il candidato democratico) e a maggior ragione gli altri candidati democratici alla candidatura.

Cosa cambia, allora, dopo Soleimani ?

A mio parere, molto. A partire dall’abbandono della procedura di impeachment o, più esattamente, della sua trasformazione in qualcosa di assai più ampio e politicamente più rilevante della semplice contestazione dell’abuso di potere o del mancato rispetto delle prerogative del Congresso.

Nessun abbandono formale, per carità. Semplice blocco nella trasmissione degli atti al Senato. La Pelosi non vuole mandarli senza la garanzia di potere chiamare a testimoniare lo stesso Trump e i i suoi più stretti collaboratori; questi non intendono collaborare e il presidente del gruppo repubblicano al Senato nemmeno. Il fatto è che il gruppo dirigente democratico, Biden in testa, si è reso conto di due cose: primo che il tentativo di separare, su questa come su altre questioni, i repubblicani dal loro presidente era fallito; secondo che le ragioni dell’impeachment non erano solo formali ( relative, cioè ai comportamenti) ma tutte politiche. E che, in quanto tali, da sottoporre non più al Congresso ma al giudizio del popolo americano.

E qui il momento della verità è stato, appunto, il caso Solemaini. Per come era maturato: una decisione assunta tra quattro pareti, con i suoi tirapiedi e senza consultare nessuno: né il Congresso, né gli organismi di sicurezza ( che tra l’altro, in precedenza, sia sotto Obama sia ai tempi di Bush, avevano negato, nel caso specifico, la licenza di uccidere). Per la violazione del diritto internazionale che aveva comportato. E, soprattutto, per i rischi di guerra che aveva determinato.

E, allora,  sono piovute le critiche e le accuse. Con l’avvertenza che ogni tentativo di escalation avrebbe dovuto passare al vaglio del Congresso.

Per il partito democratico una svolta. Prima di allora, legato alla funesta eredità clintoniana, i suoi maggiorenti avevano fatto blocco con l’America profonda del complesso militare, industriale e di sicurezza nell’attaccare Trump da destra: sulla Russia, sulla Siria e sulla sua negazione dei principi dell’interventismo democratico ( diventato, nel frattempo, interventismo e basta); oggi, il caso Soleimani apre loro una grande finestra di opportunità; quella di attaccarlo da sinistra come irresponsabile guerrafondaio.

E’ probabile che questa opportunità venga raccolta; anche perché ci muoviamo su di un terreno, quello dei rapporti con l’Iran, su cui vale l’eredità di Obama e dello stesso Biden. E anche perché, su questo terreno, sarà più facile il mettere insieme, intorno ad una candidatura, le varie anime dell’universo democratico.

Per tornare allora al nostro Singapore, giusto dare a Trump il 45%; ma senza sottintendere che questa percentuale gli garantisca la vittoria…

IL PREZZO DEL PETROLIO

Per Singapore (persona seria, ripetiamolo, perché rischia i suoi soldi) non ci sono dubbi; per il 93% non salirà sopra il livello attuale: 70 dollari al barile.

Qui la scommessa gioca su due elementi. Il primo che le reazioni dei vari produttori e consumatori di petrolio si bilanceranno; così da impedire rialzi o ribassi punitivi. La seconda, e fondamentale è che gli eventi che si registreranno nell’arco del 2020 non saranno tali da determinare sconquassi e reazioni di panico collettivo. Una valutazione che gli eventi più recenti tenderebbero a confermare. Parliamo del lancio di missili sulla base americana: di ciò che ha accompagnato l’evento; e delle reazioni ufficiali al medesimo. Parliamo del fatto che l’attacco non ha ucciso nessuno (tutti avvisati, tutti protetti) e che la dirigenza Usa ne abbia tranquillamente preso atto. E parliamo soprattutto del fatto che i due contendenti abbiano, allo stesso modo, successivamente, alternato minacce durissime ma vaghe e promesse, altrettanto vaghe, di possibili accordi; il che equivale a dire che continueranno a colpirsi ma in modo controllato e indiretto: niente guerra tra Stati Uniti e Iran e, soprattutto, nessuna rottura della tregua in atto con Hezbollah in Libano e con Hamas a Gaza.

VENEZUELA

Singapore, da cinico osservatore dei fatti qual è, scommette non su Guadiò ma su Maduro. Per il 78% degli scommettitori rimarrà presidente per tutto il 2020 ( dopo, si vedrà). Nonostante il fatto che Guaidò, vero democratico, sia stato, come e più di Gesù Cristo, riconosciuto e osannato, prima ancora della sua comparsa sulla scena, da tutti i veri democratici del mondo? Nonostante. Nonostante che Maduro, brutto, sporco e cattivo, fosse destinato ad essere travolto dalla rivolta? Nonostante. Nonostante le sanzioni e la miseria crescente Nonostante.

Possibile che Singapore, freddo qual è, abbia sottostimato questi fatti. Ma il fatto è che ne ha preso in considerazione anche altri. Primo che il campo dell’opposizione è oramai chiaramente diviso: c’è chi aspetta il crollo in ogni momento, c’è chi attende che l’inevitabile “regime change” ( Maduro è ancora meno popolare di Guaidò) debba avvenire consensualmente in occasione delle prossime elezioni legislative di dicembre, con tutti gli opportuni controlli internazionali. Secondo, e soprattutto, perché, nonostante le sanzioni, le condizioni di vita della popolazione sono migliorate: l’Economist ci racconta di un leggero aumento delle esportazioni, di un calo dell’inflazione, di una liberalizzazione dell’economia e soprattutto di un afflusso di rimesse di rimesse pari al 3% del Pil. Quanto basta, anche a nostro avviso, non certo per guarire il paziente ma per mantenere le sue condizioni stabili; e per eliminare ogni pretesto per un intervento esterno.

NETANYAHU

Singapore valuta le sue possibilità di rimanere in sella a non più del 35%. Già negli ultimi mesi dell’anno scorso le cose gli stavano andando male. Il suo rivale per la leadership del Likud aveva ottenuto il 27% ( date le circostanze, tutt’altro che il “trionfo”decretato a Bibi dai media occidentali, non so se per pigrizia mentale o per automatico servilismo). La richiesta di ottenere l’immunità, almeno fino a quando sarebbe rimasto presidente, in sé umiliante, era destinata ad essere bocciata dalla Knesset, dopo le repliche sprezzanti di Gantz e di Liebermann. I sondaggi segnavano una lenta erosione del suo consenso a vantaggio di Gantz. L’ultima speranza era il clima di apocalisse che avrebbe accompagnato l’uccisione di Solemaini. Ma  questa non si è verificata; prevalendo, in tutti i campi, l’invito alla prudenza e all’auto controllo.

Anche qui tendiamo a confermare le previsioni di Singapore. Non foss’altro perché la dipartita del Nostro sarebbe un gran bene per tutti. E, soprattutto, per Israele.

GRETA THUNBERG

Secondo Singapore, le possibilità che le venga assegnato il premio Nobel per la pace sono assai scarse, Non più del 31%. E, se ci mettiamo nei panni dei componenti della Commissione, tendiamo senz’altro a dargli ragione.  Basterebbe lasciarli parlare. “Già da tempo i nostri verdetti sono oggetto di aspre polemiche e questo non va bene. E, poi, signori, è oramai patrimonio comune, che questi portino  iella. Non ci bastavano Begin e Arafat e poi Obama e poi le donne vittime di stupro in qualche paese islamico di merda. Tutti premi che non hanno portato fortuna né agli interessati né alla causa della pace e dei diritti umani. Si aggiunga che premiare, oggi come oggi, Greta apparirebbe non solo ai cinici ma anche ai suoi sostenitori, un premio di consolazione e non un augurio per il futuro di una causa che più persa non si può; e una pura esibizione di quel “politicamente corretto” di cui abbiamo, noi per primi, piene le tasche”.

A me pare un discorso convincente

ELEZIONI POLITICHE

Singapore dava la vittoria di Salvini al 104%. Al punto di rinunciare alla pubblicazione del dato. Una scommessa su cui concorderebbero anche i soci dell’attuale coalizione di governo. Perché il loro obiettivo non è quello di vincere; ma di ritardare al massimo la vittoria dell’avversario, così da prepararsi opportunamente, ognuno per conto suo, per il dopo.

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