Dovreste sfilare contro Trump?

Risultati immagini per muro al confine tra Messico e USA immagini

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

dal blog di Yasmin Nair

Dr. Yasmin Nair è uno scrittore freelance, attivista, accademico, e commentatore.

“Per dirla senza mezzi termini: tutto quello che vi proponete di prevenire sfilando, cari manifestanti, si è già realizzato”.

L’impensabile è accaduto. Le parole “Presidente Trump” faranno parte della nostra realtà per almeno quattro anni di qui in avanti.

In risposta, si stanno programmando delle marce ovunque, fra le quali una gigantesca a Washington il 20 gennaio. Una marcia delle donne, già impantanata nelle polemiche, è programmata per il 21. Dirò qualcosa di più al riguardo in seguito, ma per ora voglio concentrarmi sulla questione relativa all’opportunità di sfilare o non sfilare contro Trump questa settimana, o nei mesi e negli anni a venire.

Motivi di salute e questioni strutturali mi impediscono di unirmi a chi manifesterà il 20; ma se potessi, ci andrei. Questo non significa che io sostenga la marcia.  Sfilerei semplicemente perché penso che farlo, nel giorno dell’insediamento presidenziale, serva a inviare un segnale a un’estrema destra a cui guardano milioni di persone. In verità, non sono molto sicura di altro oltre a questo: non sfilerei per inviare un messaggio, perché non mi è chiaro quale potrebbe essere il “messaggio”. In generale, la posizione di tutte le marce sembra essere che “noi” abbiamo perso un qualche Eden, e che il paese — e il mondo intero — si stia avvicinando pericolosamente alla fine dei tempi.

Troppe persone, fra chi manifesta, sono arrabbiate per il fatto che non sia stata eletta Hillary Clinton, una donna spietata, avida, affamata di potere, che ha contribuito a cancellare il welfare per milioni di persone e i diritti di base per i migranti; che ha allegramente sostenuto guerre brutali contro altri paesi; che ha visto nella Presidenza un’opportunità per incrementare il patrimonio di famiglia attraverso una Fondazione corrotta. Non ho niente in comune con questa gente.

Le marce che sono state programmate sono la prova della grave amnesia politica e culturale che affligge la vita pubblica e la politica americana. Consideriamo, per esempio, una delle principali questioni di cui i manifestanti dicono di preoccuparsi: l’immigrazione.

Trump è stato criticato per la sua xenofobia apertamente professata, per la sua determinazione a deportare chiunque sia clandestina/o nel nostro paese e per il suo infame progetto di costruire un muro lungo 1000 miglia. Quest’ultima proposta gli è valsa la definizione derisoria di “Hitler del nostro tempo”.

Le parole di Trump sull’immigrazione hanno provocato una grande preoccupazione tra gente di sinistra e liberali. “Orrore!” gridano “il nostro paese è stato costruito sull’immigrazione, e non possiamo permettere che i piani anti-immigrazione di Trump diventino realtà”.

Allora, prima di tutto la verità è che questo paese è stato costruito sul genocidio e sulla schiavitù. Inoltre, nel 2006, Hillary Clinton ha votato il Secure Fence Act del 2006, che autorizzava la costruzione di una barriera di 700 miglia tra il Messico e gli Stati Uniti. La mia risposta preferita a questo è la battuta che qualcun* deve aver presumibilmente pronunciato sulla differenza tra la barriera di Clinton e quella di Trump: “Per 300 miglia, lo chiamiamo Hitler?”.

Immagine correlata

Poi, diamo uno sguardo all’immigrazione sotto l’amministrazione democratica.

Il 1996, l’anno in cui Bill e Hillary Clinton hanno temuto di perdere il secondo mandato, ha visto l’approvazione del draconiano Illegal Immigration Reform and Immigrant Responsibility Act (IIRIRA) e dell’Antiterrorism and Effective Death Penalty Act (AEDPA). Come ho scritto altrove, “presi assieme, i due provvedimenti hanno inasprito le sanzioni contro quelle che, in precedenza, erano infrazioni relativamente minori e hanno ampliato il raggio di incidenza del [complesso penitenziario-industriale]…prima del 1996, le persone immigrate illegali arrestate e incarcerate venivano rilasciate dopo aver scontato la pena. Dopo il 1996, sono rimaste in prigione fino al momento della deportazione. Da quel momento in poi reati minori, come la guida in stato di ebbrezza o una falsa dichiarazione dei redditi, sono stati classificati come “reati aggravati” e hanno messo gli/le immigrat* sulla corsia d’emergenza della deportazione”.

L’IIRIRA ha istituito anche i divieti di ingresso triennali e decennali. Questo ha voluto dire che, da quel momento, alle persone immigrate presenti sul territorio degli Stati Uniti per un periodo che superasse di sei mesi o di un anno, o di oltre un anno, il tempo accordato, sarebbe stato impedito di rientrare, rispettivamente, per tre e per dieci anni. Queste modifiche legislative sono largamente responsabili dell’enorme bacino di persone senza documenti che oggi rimangono nell’ombra dentro gli Stati Uniti piuttosto che arrischiare la partenza, persino per presenziare ai funerali dei loro cari o per verificare se possono fare domanda di re-ingresso legale dai loro paesi di origine.

E forse l’occasione è buona per ricordarvi che Obama ha deportato un numero di persone da record e non ha mai avanzato una sola proposta che imprimesse una svolta decisiva alle politiche migratorie. La DAPA [n.d.t.:  Deferred Action for Parents of Americans and Lawful Permanent Residents: provvedimento che permette ai migranti illegali che vivono negli Stati Uniti dal 2010 e che hanno figli che possiedono la cittadinanza statunitense o lo status di residenti legali permanenti di beneficiare di un’esenzione dall’espulsione] e la DACA [n.d.t.: Deferred Action for Childhood Arrivals: provvedimento che permette ai migranti illegali entrati negli Stati Uniti da minorenni di beneficiare di una dilazione di due anni delle misure di espulsione e di ottenere un permesso di lavoro] sono misure puramente esecutive, non legislazione vera e propria. Oh, e quel criticatissimo Registro Musulmano che vi ha riempiti di orrore? Esiste già.

Potrei fare una lunga lista di tutte le cose a cui le/i manifestanti dicono di opporsi — l’incarcerazione di massa, la brutalità poliziesca, l’influenza sempre più ampia e profonda di Wall Street sulla politica, i tagli alla pubblica istruzione e molto, molto altro — e mostrarvi che nessuna di queste cose è nuova, ma semplicemente parte di una lunga storia in cui i Democratici sono stati qualcosa di più che complici.  Come ha sintetizzato Arpi Kupelian in un commento su facebook: “Donald Trump è la parte visibile, non la storia”.

Per dirla senza mezzi termini: tutto quello che vi proponete di prevenire sfilando, care/i manifestanti, si è già realizzato. Donald Trump deve ancora fare una qualsiasi delle cose che vi sgomentano; i suoi predecessori, specialmente i Democratici, gli hanno spianato la strada, e tutto quello che lui deve fare è proseguire su quella via.

Le marce che sono state proposte sono intrise di ipocrisia. Ciò di cui i/le manifestanti sembrano lamentarsi è semplicemente il fatto che Trump non sia altrettanto garbato nel suo odio per le persone più vulnerabili, che non abbia avvolto le sue politiche infami nella retorica edificante dell’impero (“sì, li abbiamo distrutti, ma abbiamo insegnato loro così tanto”) o scherzato sui droni. Il vostro sfilare ha l’effetto di creare l’illusione di una rottura radicale nella storia. Di fatto, siete semplicemente la sutura tra un periodo terribile e un altro, e finché vi aggrappate alla fantasia che le cose stiano cambiando — invece di riconoscere la verità, cioè che le cose sono esattamente le stesse, solo con meno garbo — la vostra agenda politica, qualunque sia, è destinata a fallire e merita di fallire.

Detto questo, penso che dovreste marciare.

Continuo, a costo di sembrare condiscendente, ma è necessario dire alcune cose. Molti/e di voi hanno conosciuto soltanto gli anni di Obama; quasi tutta la vostra vita si è svolta all’ombra del primo presidente nero e questa, per molte ragioni, è una cosa meravigliosa, piena di gloria. Ma è anche vero che molti/e di voi non sono mai stati implicati/e nell’attività politica reale, fisica, preferendo piuttosto lanciare minacce e aggredire sui social media, un misero surrogato dell’impegno politico. Se avete sfilato o protestato, questo molto probabilmente è avvenuto negli ambienti amichevoli dei vostri college o delle vostre università, tra persone che erano d’accordo con voi. Sfilare con migliaia, forse milioni, di persone che vi sono completamente estranee può essere entusiasmante, può addirittura cambiare la vita.

Questa probabilmente sarà una cosa nuova per molti/e di voi, che magari vi fa anche un po’ paura — non ci sono “spazi sicuri”, come li avete conosciuti fino a oggi, nelle sfilate pubbliche.

Andate a sfilare per provare quel senso di connessione, o mancanza dello stesso, con le persone reali, anche quelle che v’infastidiranno pestandovi i piedi, letteralmente e metaforicamente. Imparate la gioia di gridare e mettere a tacere quelli con cui non siete d’accordo — la sinistra ha bisogno di litigare di più, non di meno — perché provare a formulare un discorso in tempo reale, senza la sicurezza del taglia-e-incolla, è un’esperienza completamente nuova. Se ve la sentite, rimorchiate per fare sesso con persone che potreste non conoscere e che potreste non vedere mai più (ma ricordate di non sentirvi mai obbligate/i a farlo; il sesso non è intrinsecamente radicale, come ho sottolineato altrove).

Cercate di non essere deluse/i se le persone con cui sfilate non dovessero rivelarsi esattamente come voi — o simili a voi — nelle settimane o nei mesi o negli anni a venire. La politica come realtà vissuta non è mai statica, e non dovrebbe esserlo.

Mentre sfilate, date un’occhiata a come funziona il potere: chi sta prendendo le decisioni, e perché?

Chi sta definendo le priorità? Per quale motivo pensate le persone stiano sfilando? Parlateci.

Se qualcuno vi sembra un babbeo che sta cercando di mettersi in mostra, probabilmente lo è.

Fidatevi del vostro istinto.

Siate prudenti, con alcune modalità importanti.

Non cercate di sfilare senza almeno due amic* al seguito perché, credetemi, non dovete mai avere fiducia nel fatto che grandi folle di persone vi proteggeranno. Tenete gli occhi aperti sui servizi d’ordine che scorteranno i manifestanti (se non ce ne sono preoccupatevi, e fate ancora più attenzione). I fondamentali sono importanti — portatevi dell’acqua e degli snack (molti suggeriscono di indossare pannolini — potreste essere arrestati/e e non trovare un bagno al momento del bisogno, in tutto quel casino).

Abbiate un occhio di riguardo per le persone più vulnerabili — non alla maniera di un Salvatore Glorioso, ma semplicemente come una persona che potrebbe essere abile di corpo e forse fruire dei relativi privilegi di pelle e di cittadinanza e che può proteggere e avvertire altri/e che hanno più probabilità di essere presi/e di mira dalla polizia.

L’ACLU [n.d.t.: American Civil Liberties Union] ha questo, sui vostri diritti legali. 

Anche la DC Trans Coalition dispone di informazioni utili. Su facebook, Elijah Edelman avvisa che “le persone dovrebbero sapere che, a seconda di dove si viene arrestati nel Distretto di Columbia, entra in vigore o la giurisdizione federale o quella del Distretto. Le leggi distrettuali relative alla polizia e alle prigioni sfortunatamente non si applicano alla USPP [United States Park Police] o ad altre giurisdizioni di polizia che tecnicamente si trovano in territorio federale”.

A quanti/e fra voi si considerano veterani/e di queste marce: lascerò a voi il compito di spiegare come mai non avete sfilato durante tutti gli anni in cui Obama ha impunemente bombardato di droni altri paesi.

Perciò sì, sfilate, perché è necessario e perché molto probabilmente sarà un’esperienza straordinaria.

Ma sfilate con un senso della storia; promettete a voi stessi/e che, andando avanti, non muoverete una critica a Trump su una qualsiasi questione senza esservi prima chiesti/e: “Dove e quando questa cosa è già accaduta?”.

Risultati immagini per muro al confine tra Messico e USA immagini

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.