Finanzcapitalismo

Il nuovo totalitarismo del capitalismo finanziario è valutato spesso come totalitarismo implicito, per molti aspetti accostabile ai totalitarismi del Novecento. In realtà è un totalitarismo assolutamente nuovo, in cui il dominio si esplica mediante il condizionamento esteso nel tempo e nello spazio,  in ogni punto del tempo la tensione condizionante si avvale di innumerevoli mezzi tecnici e linguistici fino a corrodere le personalità e a renderle irrilevanti. Il sistema mediatico perennemente attivo sugli individui impedisce la formazione di personalità solide, la precarietà lavorativa  completa l’azione mediatica con una sinergia panificata.

La formazione dell’identità personale e collettiva esige tempo e stabilità, la sua corrosione è, invece, la somma di esperienze che si accumulano senza integrarsi e diventare concetto. Il nuovo totalitarismo ha ben compreso che l’essere umano è  relazione osmotica con la “rete” ambientale nella quale il soggetto vive, per cui penetra nella vita per plasmarla e asservirla. Tutto dev’essere a disposizione del capitale, nulla dev’essere esterno al movimento del capitale. L’inaudito è con noi: il sistema capitale taglia i diritti sociali, le  speranze e  le prospettive, al punto che si può lavorare ed essere poveri, ciò malgrado prolifera a livello globale, al punto da percepirsi come onnipotente. La corrosione del pianeta è speculare alla corrosione delle personalità. Nessun sistema politico ed economico è stato capace di mettere in pericolo ogni forma di vita: il capitalismo assoluto ha superato ogni totalitarismo, non vi è forma di vita che non sia sull’abisso del nulla. Solo la merce invade ogni spazio e tempo fino a sostituire la vita con il plusvalore. La forza del nuovo totalitarismo non è totale, ha le sue falle che consentono una speranza a volte disperata. Il controllo non è assoluto, poiché l’economia che tutto governa si base su una modellistica che prevede poche variabili. La modellistica economica ha avuto come modello i sistemi fisici chiusi, pertanto gli economisti hanno collaborato con fisici e biologi decretando la complementarietà della scienza all’economia.  L’onnipotenza distruttiva si nutre dello scollamento dalla realtà, quest’ultima è sostituita dal reale, direbbe Lacan: l’onirico delirio prevale sulla verità storica. La modellizzazione cancella la realtà storica con le sue variabili e connessioni per inseguire l’illimitato della produzione. Il finanzcapitalismo si espone al pericolo della disintegrazione per la sua irrazionalità intrinseca, per la riduzione della effettualità storica a poche componenti da manipolare:

“Un gruppo formato da fisici, biologi e operatori finanziari, sul cui progetto per rendere piú realistica l’economia si torna piú avanti, ha cosí riassunto i principali presupposti delle teorie economiche dominanti e le loro inadeguatezze:

– L’economia è un sistema fisico, implicante flussi di beni, informazioni ed energia, per cui potrebbe essere utile modellizzare un’economia come un sistema, cosí come fa la  fisica. Tuttavia, mentre la teoria economica neoclassica usa il concetto di equilibrio, il concetto di equilibrio della fisica non è applicabile alle economie, che sono sistemi aperti, perché esso si riferisce soltanto ai sistemi chiusi. Meno che mai i mercati si possono descrivere come sistemi chiusi, per cui non si può applicare ad essi la nozione di equilibrio. – Negli studi dell’economia neoclassica si traggono molte conclusioni dall’analisi di situazioni in cui si confrontano un numero esiguo di fattori (sovente solo due) e un numero parimenti esiguo di beni. Le conclusioni tratte dalla modellizzazione di questi sistemi semplici sono poi applicate a economie reali con milioni di partecipanti e migliaia di beni. Gli aspetti qualitativi delle economie reali non possono venire catturati da simili semplificazioni. La complessità conta. – Conta anche l’eterogeneità. Le teorie economiche presuppongono che ogni attore disponga delle medesime informazioni di ogni altro. Invece nel mondo reale vi sono partecipanti che hanno una conoscenza approfondita dei mercati, e altri che invece ce l’hanno assai incompleta; attori differenti sono a conoscenza di cose differenti, e per di piú ne sono informati in tempi diversi. Attori differenti hanno pure strategie differenti che co-evolvono in modo persistente e cambiano, mentre il mercato, parzialmente generato da queste mutevoli strategie, esso stesso cambia. Ciò rende difficile la valutazione del rischio degli strumenti finanziari[1]”.

L’economia nella modellizzazione è solo transazione, cartolarizzazione, derivati e pareggio di bilancio. Il finanzcapitalismo come Luciano Gallino e non pochi studiosi hanno soprannominato il modo di produzione capitalistico nell’attuale fase totalitaria spinge i guadagni verso le classi privilegiate transnazionali, le quali  producono denaro, anziché merci. Il finanzcapitalismo riduce l’economia a semplice quantità, astrae dall’economia l’esperienza dello Spirito, ovvero dell’autoriconoscimento quale bisogno umano che si esplica nell’economia come Hegel ha mostrato nella Fenomenologia dello Spirito. La barbarie è nella esemplificazione dell’economia a solo aumento del PIL senza senso e fine. La competizione globale e la sostituzione dei lavoratori con le macchine sono uno degli elementi di debolezza del finanzcapitalismo. Una folla sempre più numerosa di disoccupati e di lavoratori poveri costretti, in nome della flessibilità, alla migrazione perenne può costituire l’architrave del contromovimento costituito da operai, impiegati, tecnici, artigiani e docenti, ovvero dalla classe media e i ceti precarizzati che potrebbero incrinare il capitalismo:

“La disoccupazione costituisce di per sé un costo personale e sociale rilevante, ma la crisi tende a provocare anche il progressivo degrado delle condizioni in cui operano coloro che un qualche tipo di lavoro ancora ce l’hanno. Il degrado delle condizioni di lavoro è riscontrabile in tre ambiti: lo sviluppo dell’economia e dell’occupazione informale; l’aumento dei lavoratori precari con contratti atipici e il peggioramento della qualità del lavoro nell’economia formale; l’aumento del numero dei lavoratori poveri. L’occupazione informale rappresenta in tutto il mondo il regno della totale assenza di contratti scritti in base a una legge, da cui deriva la mancanza di diritti, regole, criteri pubblici per la determinazione di retribuzioni e orari di lavoro, per non parlare di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro[1]”.

La rabbia e lo scandalo dei lavoratori possono bruciare in qualsiasi momento, si assiste al taglio dei diritti sociali e nel contempo si alleggeriscono le tasse dei nuovi magnati della finanza che accumulano un’immensa quantità di liquidità che diviene il mezzo con cui dominano i governi e rendono  i popoli, plebi senza prospettiva, in nome del pareggio di bilancio; è un sistema bancocentrico che condiziona la politica e la usa per legiferare a favore dei privilegiati:

“Ora, è incontestabile che il deterioramento dei bilanci pubblici sia un dato reale. Ma appare politicamente ed economicamente scorretto utilizzarlo contro i sistemi pubblici di protezione sociale, ove si consideri che esso è stato generato in massima parte proprio dalle politiche economiche e fiscali del neoliberalismo. Nell’Unione Europea a 15, tra il 1995 e il 2006, l’aliquota dell’imposta sulle imprese – quella nominale, che in genere è assai piú alta di quella effettivamente pagata – è stata ridotta dal 38 al 29 per cento, e nella Ue a 10, di cui fa parte l’Italia, dal 31 al 21 per cento[2]”.

 

La forza nei sudditi

Il totalitarismo della finanza è il quotidiano di ogni suddito globale, ciò malgrado la storia non è conclusa, è multilineare.  Il punto di forza del sistema sono coloro che potenzialmente potrebbero rovesciarlo: i precari e i dannati della globalizzazione. Essi sono oggetto di un condizionamento profondo, fin nelle più profonde pulsioni, per cui l’individualismo e l’atomistica dell’utile trovano in loro consenso irriflesso.  Nessun sistema totalitario aveva trasformato le vittime in folle gaudenti e misere assoggettate ai sottoprodotti della società dello spettacolo, esse  applaudono i vincitori e usano il linguaggio della nuova finanza. Sono all’interno di una caverna distopica, sono stati relegati al ruolo di semplici comparse, poiché credono nella ipostatizzazione del sistema. La nuova sfida è nel dare voce al disagio sociale e psichico che scorre carsico e non trova parole per esprimersi e programmare l’emancipazione. Una nuova sinistra per darsi  forma progettuale deve attraversare l’ostacolo più grande: deve concettualizzare l’homo oeconomicus che il financapitalismo ha  infuso in ogni essere umano per impedire la critica germinatrice di nuove posture politiche. Con l’homo oeconomicus siamo di fronte all’idiotismo sociale. L’idiotismo come il significato della parola comporta (“idiota” deriva dal greco, indica colui che bada solo ai suoi interessi privati)   riproduce il nuovo totalitarismo mediante le vittime. L’idiotismo è la forza del dominio, ha mutilato la capacità di donarsi e impegnarsi gratuitamente in nome degli interessi comunitari. Il nuovo totalitarismo sembra non usare mezzi coercitivi, evita il conflitto autoritario e palese, per dominare allenta ogni vincolo etico e sociale, ma  nello stesso tempo usa le tecnologie per il tracciamento perpetuo e inconsapevole,  è la verità con cui ci si deve confrontare. Adulti, giovani e bambini sono alle prese con il pervertimento pianificato delle relazioni sostituite dal narcisismo che continua ad essere presente, come fosse un veleno a lunga durata, anche nei soggetti che criticano il sistema. Narcisisti che usano la postura antisistema sono giudicati come la conferma del sistema, e quindi la loro parola non attraversa lo spazio e il tempo per favorire nuove forme di comunità resistenti, di conseguenza non produce prassi divergente. Il leader antisistema alla ricerca di successo e soddisfazione del proprio narcisismo non solo è divisorio, ma è sempre pronto al compromesso col potere. È parte del linguaggio del potere, del frame liberista con l’effetto di rafforzare la sfiducia nella prassi.  La critica effettuata da intellettuali di plastica non porta alla prassi ma alla chiacchiera colta da salotto. Disintossicarsi dal veleno della società dello spettacolo è  il primo passo nel percorso dell’emancipazione. Costanzo Preve ha avuto la chiarezza di questo veleno che tutto inquina, non a caso definiva il nazifascismo e il comunismo reale forme di dispotismo, mentre il capitalismo assoluto o finanzcapitalismo l’unico vero totalitarismo realizzato nella storia dell’umanità. Il capitalismo assoluto è totalitario, perché illimitato, deve produrre plusvalore rompendo ogni vincolo antropologico ed ecologico. Tale regime introiettato è la tragedia del presente, i dominati sono lo sgabello del sistema. Si può ipotizzare che malgrado la manipolazione profonda delle emozioni il principio di realtà si mostrerà presto nella sua crudezza, e ci si dovrà confrontare con esso. La precarietà, la povertà e  il taglio dei diritti sociali schiacciano le vite verso l’umiliazione perenne. I sommovimenti dei nostri giorni  potrebbero essere l’alba di una nuova politica, se la protesta si traduce in pensiero e progetto non estemporaneo. Le grandi promesse del neoliberismo sono ormai evidenti nella loro verità, l’apparir del vero è difficilmente aggirabile. Il finanzcapitalismo esige il controllo e lo sfruttamento totale, deve estrarre plusvalore dalla vita e dalla morte, ogni vivente è simile ai “pezzi” che arrivavano nei campi di concentramento da cui bisognava estrarre energia per il plusvalore. Il totalitarismo neoliberista ha realizzato la sua perversa concezione di uguaglianza, si è tutti egualmente materiale che contribuisce all’illimitata vitalità del modo di produzione capitalistico. Il suo schierarsi per le differenze e per le donne, in particolare, ha lo scopo di assoggettare e usare “i deboli” nella guerra del consenso contro eventuali resistenze. Solo la condivisione comunitaria può essere d’ausilio a liberarsi dal dominio introiettato e questo non può che avvenire nelle piazze e in ogni vera agorà, dove ci si incontra per essere accolti nella propria verità biografica e storica. Le piazze devono respingere le divisioni causate dagli infiltrati del potere con la forza della verità, con la chiarezza dei valori e degli obiettivi politici. L’egemonia culturale del finanzcapitalismo è sostenuta dall’accumulo di plusvalore con cui la piovra assimila i mezzi mediatici e intellettuali pronti al vassallaggio e alla propaganda battente. La disparità economica tra l’aristocrazia finanziaria e la restante parte della popolazione è evidente, ciò malgrado il ritorno nelle piazze dei manifestanti è il segno che l’egemonia culturale della nuova aristocrazia condiziona, ma non determina le coscienze, per cui ci sono i margini, perché la lotta di classe possa riprendere il suo sentiero interrotto da decenni di egemonia dei dominatori. Si può aggirare l’informazione di plastica con la forza dei piccoli editori e delle riviste in rete che sfuggono all’egemonia culturale e possono diventare varchi per la riorganizzazione della lotta. Oggi più di sempre contro il Golia della finanza dobbiamo comportarci come tanti “DAVIDE” pronti ad usare la fionda dell’intelligenza e della prassi contro le oligarchie e gli spin doctor connessi: il futuro è una partita aperta.

 

[1] Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, Einaudi Torino 2011, pag. 81

[2] Ibidem pp. 107 108

[3] Ibidem pag. 98

Prosekar, ovvero Golia vuol mangiarsi Davide? - WineSurf

Fonte foto: Winesurf (da Google)

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