Il governo piccolo-borghese e antioperaio degli “amici del popolo”

populismo korovin nel mondo1

L’analisi, dal punto di vista strutturale, contenuta nell’articolo che riporto di seguito, è sicuramente condivisibile e anche demistificatoria, per quanto mi riguarda, tipica di un approccio marxista dialettico rigoroso, qual è quello di Eros Barone.

Tuttavia, proprio la situazione contingente caratterizzata da quella totale assenza di “autonomia di classe” (conseguenza della totale assenza di coscienza di classe da parte dei ceti sociali subordinati) che lo stesso autore sottolinea, imporrebbe forse una maggiore flessibilità (che non ha nulla a che vedere con il trasformismo e l’eclettismo) non tanto nell’analisi (che è sostanzialmente corretta) quanto nell’approccio, nella capacità di entrare in una relazione dialettica con quelle masse popolari che – del tutto “disarmate” ideologicamente e politicamente – hanno indirizzato (come poteva essere altrimenti?…), o meglio, “consegnato”, i loro consensi al M5S e in parte alla Lega. Quest’ultima però, a differenza del M5S, è una forza squisitamente reazionaria e identitaria di destra, onde per cui i margini di “recupero” (termine improprio ma ci capiamo…) di quei settori popolari che ad essa si sono rivolti o dalla quale sono stati egemonizzati, sono relativamente scarsi, anche se nulla deve essere lasciato al nemico e il campo non va mai abbandonato (anche con i residuali settori popolari che ancora rivolgono i loro consensi al PD bisogna avere la capacità di interloquire…).

E’ altresì vero che l’interclassismo dei 5 Stelle ha ben poco a che vedere con la costruzione di quel fronte popolare, cioè l’alleanza fra ceti operai e popolari e piccola (e anche media) borghesia in funzione anticapitalista, di gramsciana memoria. Appunto perché la costruzione di quell’alleanza presupponeva una autonomia di classe (dei lavoratori, della classe operaia, dei ceti popolari) che rendeva la classe operaia e il movimento operaio organizzato politicamente egemoni e trainanti, anche e soprattutto rispetto a quei ceti piccolo e medio borghesi che nella loro tradizionale oscillazione (dovuta alla loro stessa condizione di classe) sceglievano, obotorto collo, di “essere a traino”.  E’ quindi inevitabile, purtroppo, che in totale assenza di autonomia e di coscienza di classe, quell’interclassismo di cui sopra diventi di fatto un minestrone indistinto tenuto insieme da una serie di “valori” (anche in larga parte concettualmente condivisibili…) quali onestà, legalità, lotta al privilegio, trasparenza della cosa pubblica, efficienza (comunque del sistema capitalistico, che ovviamente non viene certo messo in discussione dal M5S…) ma anche, nello stesso tempo, da una legittima richiesta di stato sociale, salario, lavoro, protezione sociale. Spinte e controspinte – come vediamo – che tengono insieme, in mezzo a tante contraddizioni, piccola e media borghesia, piccola e media imprenditoria e ceti popolari, operai, impiegati, lavoratori salariati, precari, disoccupati.

Il collante ideologico di questa forza intrerclassista non è certo la trasformazione in senso socialista della società e del mondo. E però è con questa realtà che dobbiamo fare i conti ed è all’interno di quelle contraddizioni di cui sopra che è necessario “tuffarsi”, proprio per cercare di ricostruire con il tempo una relazione con le masse popolari e ricostruire quell’autonomia di classe che deve essere l’obiettivo strategico principale. La condicio sine qua non per la costruzione di “equilibri più avanzati”, come avremmo detto una volta. Un lavoro estremamente difficile al quale però non ci si può sottrarre, se si ha a cuore la ricostruzione di un nuovo soggetto realmente socialista e di classe

Fabrizio Marchi

 

Di seguito, l’articolo di Eros Barone:

“Per comprendere l’evoluzione (o l’involuzione) della situazione politica del nostro paese, occorre prendere le mosse dalla ristrutturazione dei ‘vincoli esterni’ (UE, USA e BRICS) che, oggi come non mai, ne condizionano il decorso. Da questo punto di vista, la legge di bilancio del governo per il 2019 e l’uso politico delle variabili economico-finanziarie (lo ‘spread’ e il ‘rating’) sono lo specchio fedele di contraddizioni e conflitti del tutto interni alle diverse frazioni della borghesia capitalistica , legati a contrastanti indirizzi politici concernenti il rapporto con i mercati internazionali e con gli attuali schieramenti imperialisti. La crisi economica mondiale ha infatti acuito le fratture esistenti nel sistema capitalistico sia a livello verticale, tra la grande impresa monopolistica e la piccola e media produzione nazionale, sia a livello orizzontale, tra le diverse frazioni (industriale, finanziaria, commerciale) del grande capitale. Pur con tutte le mediazioni che ancora si interpongono (ma che sono destinate a ridursi via via che lo scontro si inasprisce), la Lega e il Movimento 5 Stelle sono per l’essenziale, in quanto “nomenclatura di classi sociali” (Gramsci), 1 l’espressione di tali contraddizioni.

L’attuale fase politica si situa dunque nel quadro di una “crisi organica” 2 della mediazione istituzionale di tipo tradizionale e segna una nuova tappa dello sforzo che da tempo vede impegnate alcune frazioni del blocco dominante sul terreno della ricerca di un’alternativa endosistemica al l’europeismo, cioè alla subordinazione dell’eurozona all’asse capitalistico franco-tedesco, quale si è espressa attraverso il ‘connubio’ dei due partiti (PD e FI) con cui, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, le classi dominanti, ‘giocando’ sulla regolazione del vincolo europeistico, hanno realizzato una certa unità e difeso i loro interessi economici.

È questa la cifra che contraddistingue la natura di classe del governo M5S-Lega e fa di esso non solo un prodotto meccanico ma, entro certi limiti, un fattore attivo, dotato di una relativa autonomia, dello scontro che è in corso all’interno della borghesia italiana. Le elezioni del 4 marzo, con il voto di protesta che in esse si è manifestato, hanno fornito infatti alle frazioni ‘dissidenti’ del capitalismo italiano, protagoniste di quello sforzo e della conseguente ricerca di un’alternativa di sviluppo e di espansione del capitalismo italiano, l’investitura di massa che sostiene (e sosterrà per un tempo presumibilmente non breve) l’attuale governo. È infatti palese che quest’ultimo, dati i rapporti di forza esistenti, il trasformismo dei suoi esponenti (basti pensare al passaggio repentino della Lega dall’alleanza di centrodestra a quella con il M5S), il livello di consenso popolare e la tendenza internazionale in cui si inserisce (il protezionismo a trazione statunitense), può ricavare il massimo vantaggio sia dalla sua permanenza al vertice del potere esecutivo che dalla sua eventuale fuoriuscita. Su questa base politico-elettorale, che una consultazione anticipata non farebbe che confermare e rafforzare, e sulla percezione, ingannevole ma diffusa, di un ruolo antagonistico nei confronti di quell’‘establishment’ di cui, a livello politico-governativo, il PD e la sinistra opportunista sono stati l’emanazione e lo scudo, poggia l’illusione del “governo del cambiamento”, abilmente alimentata dalla stambureggiante propaganda di Di Maio sulla nascita della cosiddetta “Terza Repubblica”.

Sennonché, nell’individuare la reale natura di qualsiasi forza politica, occorre distinguere, come insegna il metodo marxista, tra la base di massa e la base sociale. 3 Così, se da un lato il vasto consenso interclassista raccolto dalla Lega e dal M5S non può determinare, di per se stesso, un cambiamento radicale nell’indirizzo politico del paese, dall’altro sono invece i reali interessi di classe, che si sono agglutinati attorno a questo nuovo ‘connubio’ realizzato all’insegna del populismo e del nazionalismo, ciò che imprime al programma e all’azione di governo di queste forze piccolo-borghesi un carattere schiettamente antioperaio. Basti pensare al tema del lavoro e del precariato, relativamente al quale la volontà del governo è quella di non abolire il ‘Jobs Act’, assecondando in tal modo le imperiose richieste della Confindustria, la quale, dal canto suo, ha intimato che non siano toccate le misure del governo Renzi e venga quindi garantita la continuità con le politiche antipopolari degli ultimi decenni (dal pacchetto Treu alla legge Biagi). Al contrario, non solo con il condono si garantisce l’impunità fiscale ai sabotatori dello Stato sociale, ma con la ‘ flat tax’ si opera, in base alla teoria iperliberista dello “sgocciolamento” esplicitamente evocata da Salvini, la drastica riduzione delle tasse per i ricchi, non certo per i lavoratori. Lo stesso reddito di cittadinanza, che la Confindustria si guarda bene dall’osteggiare, si configura come una riforma liberista, cioè come una manovra macroeconomica di sostegno alla domanda che servirà a incentivare il consumo, consentire nuovo deficit e rendere tollerabile proprio quella situazione di precarietà e insicurezza lavorativa che è stata creata dalle riforme di questi anni. In definitiva, considerando anche il modo con cui vengono affrontate le questioni della casa, della scuola, delle pensioni e dell’unità nazionale (è in atto, sotto un governo presuntivamente nazionalista e senza che il fenomeno susciti la benché minima reazione di rilievo nell’opinione pubblica, la secessione di alcune tra le regioni più ricche del nostro paese: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna), 4 non vi è dubbio che al centro dell’azione del “governo del cambiamento” vi siano, conformemente agli interessi di classe che costituiscono la sua base sociale, la riduzione del costo del lavoro e la creazione di margini sempre più ampi per la ricerca del massimo profitto ad opera delle imprese di qualsiasi dimensione.

Se l’intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro è l’obiettivo principale di tale governo, il corollario che ne deriva necessariamente è la duplice volontà di impedire, per un verso, la saldatura tra lavoratori autoctoni e lavoratori immigrati e di isolare, per un altro verso, le comunità degli immigrati con una politica di discriminazione etnica e sociale basata su un ‘mix’ di militarizzazione del territorio, gerarchia razziale, vessazioni amministrative e ideologia securitaria. Come sempre, il massimo sfruttamento della forza-lavoro è indissociabile dal processo galoppante di fascistizzazione, lo richiede e ne è sostenuto, come dimostra lo stesso slogan “prima gli italiani”, che viene utilizzato quale maschera grossolana della vera parola d’ordine: “prima i profitti” (laddove la funzione svolta dai dirigenti del M5S, ‘partito liquido’, rispetto alla Lega, partito pesante, è quella di ‘utili idioti’ del processo di fascistizzazione). 5

Ma veniamo alle vere determinanti dell’avvento e dell’azione del governo Lega-M5S, determinanti che sono di natura internazionale. Da questo punto di vista, occorre innanzitutto osservare che le contraddizioni, di cui Lega e Cinque Stelle sono espressione, non traggono origine solo dai contrasti della piccola e media impresa con i monopoli internazionali, ma anche da una divisione interna alle principali frazioni del grande capitale stesso , che si riflette nella scelta delle alleanze internazionali. In effetti, oltre ai gruppi dominanti che sono saldamente agganciati alla duplice prospettiva del mercato comune europeo e della fedeltà alla NATO vi sono settori che guardano con crescente interesse ad una prospettiva di cooperazione dell’Italia con la Russia, con la Cina e, più in generale, con l’area dei cosiddetti paesi BRICS. D’altra parte, la strategia di attacco frontale contro la Russia e l’Iran, praticata dal presidente nord-americano Trump, incide soprattutto sugli interessi di una parte del capitale europeo, che a causa delle sanzioni contro questi paesi vede posta a repentaglio la possibilità di ingenti profitti. Si tratta di un conflitto di interessi tra i grandi monopoli statunitensi e il capitale italiano ed europeo, che ha per oggetto l’interscambio commerciale e tecnologico con paesi importanti come la Russia, la Cina e l’Iran, e come vincolo costrittivo il “sistema delle sanzioni” . 6 Ciò spiega l’orientamento sempre più deciso di alcuni settori della grande impresa italiana in direzione di mercati diversi da quello statunitense (si pensi al peso assai rilevante dell’interscambio tra Italia e Iran) . Fermo restando che l’alleato politico-militare privilegiato del nostro paese sono gli USA, va comunque rilevato che la scelta di una differente dislocazione sul piano politico-economico rispetto al sistema delle alleanze tradizionali è ancora minoritaria fra i settori dominanti del capitale italiano, ma ha guadagnato molto terreno fra la media e la piccola borghesia le quali, sotto la sferza della crisi e a causa dell’assenza di un movimento operaio capace di esprimere una posizione autonoma, polarizzano e inglobano in questo orientamento anche ampi settori del proletariato.

A ciò si aggiunge un altro fattore di tensione che produce crescenti frizioni all’interno dello schieramento atlantico sull’indirizzo economico e politico da perseguire, contribuendo ad aggravare lo scontro fra i monopoli statunitensi e quelli tedeschi. A questo proposito, si pensi alle trattative sul TTIP, bloccate dalla contrarietà della Germania, e alla conseguente introduzione, da parte degli USA, dei dazi doganali per l’acciaio e l’alluminio, che rendono concreta lapossibilità di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea e pongono all’ordine del giorno la realtà di una competizione sempre più dura fra i grandi monopoli dei diversi poli imperialisti con tutte le ripercussioni che ciò non può non determinare sull’indirizzo che prenderanno i governi dei diversi paesi europei. In questo senso, il risorgere di forti pulsioni nazionaliste e imperialiste è strettamente correlato alla posizione che occupano nel quadro internazionale quei settori del capitalismo italiano che cercano di liberarsi dai vincoli sempre più costrittivi imposti dal sistema di alleanze atlantico e a questo scopo utilizzano il nazionalismo come strumento per la costruzione del consenso, puntando, per un verso, a dirottare il malcontento dei lavoratori sul ‘nemico interno’ (gli immigrati) e, per un altro verso, sul ‘nemico esterno’ (tedeschi, francesi ecc.).

In conclusione, sia per i settori dominanti che per i settori ‘dominati’ del blocco capitalistico si pone il problema di un equilibrio dinamico da conseguire mediante un compromesso tale da implicare per i primi la rinuncia, in nome degli “interessi generali” di tale blocco, ad uno scontro frontale con i secondi e quindi una scelta neogiolittiana di ‘addomesticamento’ del populismo sovranista, mentre per i secondi si pone la necessità di un ridimensionamento tattico dell’opzione anti-europeista attraverso una manovra che, correndo il rischio di un ‘effetto-Tsipras’ e giocando sul peso dell’Italia quale terza potenza economica dell’Europa, punti ad estendere i margini per una politica di maggiore autonomia. Quale che sia l’esito dello scontro che è in corso, resta, comunque, fondamentale e vitale per il movimento di classe l’esigenza di preservare la propria autonomia rispetto alle diverse frazioni della borghesia capitalistica, rifiutando di accodarsi all’una o all’altra di esse e perseguendo l’unica politica che meriti di essere perseguita: l’unità di tutti gli sfruttati nella lotta contro il capitalismo, per il socialismo”.


Note
1 La definizione è presente in vari passi dei testi gramsciani. Si veda, ad es., il testo riportato al seguente indirizzo: https://www.marxists.org/italiano/gramsci/20/partitocomunista.htm .
2 Per il concetto di “crisi organica” cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1977, pp. 1602-1604.
3 Questa distinzione concettuale è il cardine dell’analisi svolta da Palmiro Togliatti nelle ormai classiche Lezioni sul fascismodel 1935 tenute alla “Scuola leninista” di Mosca (cfr. Idem, Corso sugli avversari. Lezioni sul fascismo, Einaudi, Torino 2010).
4 Mi si consenta di rinviare all’articolo in cui, su questo stesso sito, ho analizzato l’inquietante processo disgregativo che, sia al Nord sia al Sud, sta destrutturando il nostro paese: https://www.sinistrainrete.info/storia/10407-eros-barone-le-pulsioni-antirisorgimentali-dei-nostalgici-del-regime-borbonico-e-di-quello-austriaco.html.
5 Da tempo segnalo nei miei interventi pubblici, per usare una famosa metafora, la maturazione dell’uovo nel ventre del serpente, ossia il galoppante processo di fascistizzazione dell’Europa, che si sta compiendo sotto l’apparente involucro democratico. D’altronde, i coefficienti e gli ingredienti della fascistizzazione ci sono tutti: dissolta l’ URSS, nel mondo ormai c’è solo una potenza egemone, gli Stati Uniti d’America, che accentuano sempre più il loro dominio; l’oggettiva debolezza della classe operaia, connessa alla disoccupazione e al precariato diffuso, smorza qualsiasi tentativo di opporsi ai disegni padronali (solo in Italia i lavoratori precari sono quasi tre milioni, senza contare il ‘continente sommerso’ del lavoro nero); la marginalità della sinistra; la mobilitazione reazionaria della piccola borghesia e del sottoproletariato. È cosa nota che, quando i lavoratori sono deboli nei luoghi di lavoro, è più facile l’affermarsi di un movimento/regime apertamente autoritario, la cui sostanza è simil-fascista, anche se non si fregia di svastiche e di gagliardetti. Il fascismo non è un incidente di percorso della storia, esauritosi con la fine di Hitler e di Mussolini, né un semplice strumento delle classi dominanti, ma è un dèmone ìnsito nella natura stessa del capitalismo, e quando e dove ci sono le condizioni si ripresenta puntualmente. Diversamente, i colonnelli della Grecia del 1967, la dittatura di Videla nell’Argentina del 1972 e il Cile di Pinochet del 1973, oltre agli altri regimi sanguinari del Sudamerica di quegli anni, non ci hanno insegnato nulla. E nulla ci ha insegnato il colpo di Stato nazifascista avvenuto in Ucraina nel 2014. Lo Stato di diritto, la Costituzione e la stessa democrazia borghese non sono affatto irreversibili. Forze potenti lavorano per creare “le condizioni della guerra e del fascismo”.
6 Vale la pena di rammentare che l’Italia è il primo ‘partner’ commerciale dell’Iran in Europa e che il volume dell’interscambio con questo paese mediorientale assomma a 1,2 miliardi di euro all’anno: un dato da cui nessun governo può prescindere .

Fonte: https://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/13625-eros-barone-il-governo-piccolo-borghese-e-antioperaio-degli-amici-del-popolo.html

 

8 commenti per “Il governo piccolo-borghese e antioperaio degli “amici del popolo”

  1. Alessandro
    7 novembre 2018 at 15:35

    ” l’illusione del “governo del cambiamento”, abilmente alimentata dalla stambureggiante propaganda di Di Maio sulla nascita della cosiddetta “Terza Repubblica”.”

    Se lei per cambiamento intendeva la nascita di una società di stampo comunista nel mare del turbocapitalismo, chiaramente pecca assai d’ingenuità.
    La coalizione di governo ha due anime che sono praticamente alternative: una è conservatrice, l’altra spinge per un cambiamento evidente, che poi non sia in linea con i suoi desiderata, non significa che non si configuri come cambiamento.
    sono tenute insieme, per il momento, dall’avversione nei confronti delle politiche UE.
    Rimane il fatto che chi non vede il cambiamento, pur sempre temperato dalla ragione di cui sopra, non è perchè non ci sia, ma perchè non lo vuol vedere. A quanto pare invece i Draghi lo vedono bene.

    “Basti pensare al tema del lavoro e del precariato, relativamente al quale la volontà del governo è quella di non abolire il ‘Jobs Act’, assecondando in tal modo le imperiose richieste della Confindustria, la quale, dal canto suo, ha intimato che non siano toccate le misure del governo Renzi e venga quindi garantita la continuità con le politiche antipopolari degli ultimi decenni (dal pacchetto Treu alla legge Biagi). Al contrario, non solo con il condono si garantisce l’impunità fiscale ai sabotatori dello Stato sociale, ma con la ‘ flat tax’ si opera, in base alla teoria iperliberista dello “sgocciolamento” esplicitamente evocata da Salvini, la drastica riduzione delle tasse per i ricchi, non certo per i lavoratori. ”

    Beh che Salvini sia un conservatore tout court non ci piove. I “grillini” prima si sono offerti alla “sinistra liberal” che ha rifiutato il corteggiamento, poi, per non scomparire dalla scena politica, sono stati costretti a mettersi d’accordo con chi fino a pochi giorni prima consideravano, giustamente, un avanzo della “Seconda Repubblica”. In politica, bisogna, per ottener qualche risultato tangibile per il proprio elettorato, ingoiare qualche rospo, vedasi flax tax, non reintroduzione dell’articolo 18 e così via.
    L’alternativa era già pronta e si chiamava Cottarelli.
    Non è affatto vero che si mantenga inalterato il pacchetto Treu-Biagi, visto il tentativo, comunque in controtendenza rispetto agli ultimi 25 anni, di limitare i contratti a termine.

    ” Lo stesso reddito di cittadinanza, che la Confindustria si guarda bene dall’osteggiare, si configura come una riforma liberista, cioè come una manovra macroeconomica di sostegno alla domanda che servirà a incentivare il consumo, consentire nuovo deficit e rendere tollerabile proprio quella situazione di precarietà e insicurezza lavorativa che è stata creata dalle riforme di questi anni. ”

    Il reddito di cittadinanza non si configura come una riforma liberista, ma come una riforma socialdemocratica all’interno di uno scenario liberista; c’è quindi una differenza evidente.
    Confindustria avrebbe voluto che i soldi venissero dati, come già fatto negli ultimi 25 anni, agli imprenditori per creare lavoro, con i risultati che sappiamo bene. Per la prima volta si danno direttamente a chi ha le tasche vuote o semivuote. E poi il reddito di cittadinanza, o come vogliamo chiamarlo, è sempre stato un cavallo di battaglia della sinistra, anche comunista nei Paesi capitalisti, perchè se non c’è lavoro, si cerca almeno di dare una mano a chi è in difficoltà. Diciamo che è l’estensione a tutti di una certa cassa integrazione( con in più la richiesta di darsi un minimo da fare e di formarsi) che non mi pare i partiti comunisti abbiano mai boicottato. A meno che non si pensi che lasciare la gente morire di fame favorisca la rivoluzione comunista. Il che può essere anche vero, ma mi sembra una via un po’ troppo sadica da percorrere.
    Comunque i soldi andranno anche al panettiere sotto casa, che non è proprio una grande multinazionale.

    “(è in atto, sotto un governo presuntivamente nazionalista e senza che il fenomeno susciti la benché minima reazione di rilievo nell’opinione pubblica, la secessione di alcune tra le regioni più ricche del nostro paese: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna”

    Purtroppo con la Lega al governo e con trent’anni di Bossi alle spalle dobbiamo concedere qualcosa per mantenere in piedi la baracca.

    “Come sempre, il massimo sfruttamento della forza-lavoro è indissociabile dal processo galoppante di fascistizzazione, lo richiede e ne è sostenuto, come dimostra lo stesso slogan “prima gli italiani”, che viene utilizzato quale maschera grossolana della vera parola d’ordine: “prima i profitti” (laddove la funzione svolta dai dirigenti del M5S, ‘partito liquido’, rispetto alla Lega, partito pesante, è quella di ‘utili idioti’ del processo di fascistizzazione). ”

    Lo slogan è sbagliato perchè dovrebbe essere “prima gli italiani che mi hanno votato”, poi a seguire “gli altri italiani”, e infine “i non italiani”. Viviamo in una democrazia rappresentativa, di conseguenza chi voto dovrebbe fare i miei interessi. E siccome a votare sono gli italiani, ergo…
    Che poi espresso dai leghisti faccia ridere, quello è senz’altro vero.
    Sulla fascistizzazione mi sono già espresso ieri.

    “D’altra parte, la strategia di attacco frontale contro la Russia e l’Iran, praticata dal presidente nord-americano Trump, incide soprattutto sugli interessi di una parte del capitale europeo, che a causa delle sanzioni contro questi paesi vede posta a repentaglio la possibilità di ingenti profitti. ”

    Con l’Iran sì, però con la Russia è un’esagerazione. Trump è un attore, d’altronde faceva anche il wrestler, però se dovesse davvero attaccare frontalmente la Russia chiuderebbe velocemente la sua esperienza al governo della potenza guerrafondaia, perchè se vuotano il sacco i russi per lui sarebbero dolori. Deve barcamenarsi facendo credere ai suoi avversari in patria che “attacca frontalmente” la Russia, ma è tutta una messinscena per la ragione di cui sopra.

    ” perseguendo l’unica politica che meriti di essere perseguita: l’unità di tutti gli sfruttati nella lotta contro il capitalismo, per il socialismo”.”

    Bello, soltanto vorrei sapere come l’otteniamo: potremmo magari distribuire il Capitale ai beneficiari del reddito di cittadinanza.

    Qui la bella canzone di Fossati. Per la serie: quando la parola “populismo” era figa.
    Sicuramente in tanti se la ricorderanno bene.

    https://www.youtube.com/watch?v=wGpIn0AyiRY

  2. Gian Marco Martignoni
    9 novembre 2018 at 21:54

    Sono dell’avviso che la criminalizzazione dei migranti da parte del governo giallo-verde sia funzionale a quella ” fascistizzazione del senso comune ” su cui punta la Lega di Salvini, da un lato per acuire la divisione all’interno delle disorientate e depoliticizzate masse proletarie, dall’altro – con le recenti misure del pacchetto sicurezza – per incrementare a dismisura il lavoro informale , sostanzialmente sommerso e in nero , per quella pseudo- imprenditoria che reclama da sempre riduzioni del costo del lavoro in tutte le forme poossibili ( flat tax e condoni fiscali compresi ).Sulla natura anti-operaia e reazionaria dell’attuale governo, auto- proclamatosi del cambiamento, credo non ci siano dubbi, a meno di non sposare le improbabili tesi sostenute dai compagni e dalle compagne di Sollevazione.Se è evidente che il governo risponde agli interessi della cosidetta frazione del “capitalismo molecolare “, si tratta di comprendere perchè questa frazione è riuscita ad egemonizzare settori consistenti del lavoro dipendente, considerato che in questa fase politica il mondo del lavoro, per processi disgregativi accentuati dalla vicende risalenti all’89, è privo da troppo tempo di una sua degna rappresentanza politica.Il perchè di questo vuoto politico lo ha ben segnalato lo storico Luciano Canfora nel suo ultimo libro ” La Scopa di Don Abbondio “, ove rintraccia le sue cause ” nell’abdicazione della sinistra ai compiti e ai fini per cui è sorta “, al punto che si è generato un evidente baratro tra sinistra e popolo.E’ questo il punto dolente su cui vale la pena di incentrare la nostra riflessione – cioè la necessità di ragionare sul tema dell’organizzazione politica della classe – poichè non ritengo che la giusta indicazione della ricostruzione dell’autonomia di classe , avanzata da Fabrizio Marchi,possa avvenire per via spontanea.

    • gino
      10 novembre 2018 at 13:47

      “si tratta di comprendere perchè questa frazione è riuscita ad egemonizzare settori consistenti del lavoro dipendente”

      secondo me non è solo per l’abdicazione di cui parli, ovvero il totale appoggio della falsa-sx alle elite, ma anche perchè gli stessi lavoratori non ne possono più di sentire vecchi mantra come “proletari, capitale, rivoluzione, comunismo, marxismo” ecc.

  3. Alessandro
    10 novembre 2018 at 12:51

    “Luciano Canfora nel suo ultimo libro ” La Scopa di Don Abbondio “, ove rintraccia le sue cause ” nell’abdicazione della sinistra ai compiti e ai fini per cui è sorta “, al punto che si è generato un evidente baratro tra sinistra e popolo.E’ questo il punto dolente su cui vale la pena di incentrare la nostra riflessione – cioè la necessità di ragionare sul tema dell’organizzazione politica della classe – poichè non ritengo che la giusta indicazione della ricostruzione dell’autonomia di classe , avanzata da Fabrizio Marchi,possa avvenire per via spontanea.”

    Infatti la questione decisiva è quella. Stiamo parlando di un mondo, quello potenzialmente intercettabile, che non ripone più fiducia nella sinistra, perchè si è sentito tradito da un’area politica che, nonostante le sconfitte ripetute in tutta Europa, continua a riproporre i medesimi mantra “anti-popolari”, a cantarsela e a suonarsela, per poi darsi una pacca reciproca sulla spalla e complimentarsi per quanto si è bravi a citare Marx.
    Se non si sarà in grado di essere realmente radicali in quella riflessione, e quindi a rivedere questi mantra, la sinistra è destinata a scomparire, perchè oramai il popolo ha individuato in forze diverse i suoi punti di riferimento, che sono lontani dalla rivoluzione comunista( la quale, almeno come e dove si è manifestata storicamente, visto che nel precedente intervento viene citata la questione dell’immigrazione, è sempre stata votata a “sigillare” i confini in entrata e in uscita, cosa che comunque non condivido) ma che danno “pane” subito e risposte chiare, benchè ovviamente non condivisibili nella maggior parte dei casi.
    Se s’iniziasse ad ascoltare cosa si dice nei mercati rionali, a discutere con quelle persone senza quell’aria di superiorità che spesso caratterizza gli uomini e le donne di sinistra, che sanno già tutto e devono solamente indicare la via da percorrere, forse s’inizierebbe a imboccare la strada giusta.

    • gino
      10 novembre 2018 at 13:41

      nei mercati rionali di “capitalismo, rivoluzione, comunismo, marxismo” e tutte le solite parole d’ordine come queste non vuol sentir parlare nessuno.
      ecco perchè la sx doppiamente perde: da un lato troppo asservita alle elites, dall’altro troppo irreale e attaccata a irrazionali mantra estremisti.

      • Alessandro
        10 novembre 2018 at 15:07

        Sì, anche se In verità non facevo tanto riferimento a quei mantra lì, che sono inefficaci solo se “astrazioni”, solo se discorsi per addetti ai lavori, ma se invece li cali nel presente, se li rendi “divulgativi” conservano a oggi la loro validità, e anzi sono strumenti imprescindibili se non sono fine a se stessi.
        Facevo riferimento a mantra simili: non esistono più i lavoratori/lavoratrici, ma esistono le donne, gli uomini, che sono il “male” e vanno colpevolizzati-criminalizzati,e chi non si attiene al diktat è un maschilista-misogino, i migranti, che vanno accolti sempre e comunque e chi non si attiene al diktat è un razzista, e quindi vai con lo ius soli come la nuova bandiera dell’avvenire, tutte le fecondazioni varie, che sono semplici menate borghesi di chi non ha altro a cui pensare, la retorica europeista-internazionalista, e chi non si attiene è uno sciovinista-nazionalista, il “capiamo tutto noi” e gli altri sono dei zoticoni, ecc.ecc..

        • Alessandro
          10 novembre 2018 at 17:02

          Certamente la proposta non si riduce a questo, ma quanto sopra è talmente “rumoroso” che finisce per rendere inascoltabile il resto, anche ciò che vi è di valido.
          Bisogna ripartire da alcuni punti programmatici chiari che incontrino il favore popolare e che siano chiaramente di sinistra e che diventino i nuovi “cavalli di battaglia”, che uniscano l’elettorato, invece di dividerlo e/o criminalizzarlo. E su questo si dovrebbe aprire un vero dibattito. Prima però si dovrebbe fare pulizia da tutte le fesserie politicamente corrette che hanno inquinato tutta quest’area politica.
          Il resto in secondo piano. Un passo alla volta.
          E’ sempre doloroso ammettere di essersi sbagliati. Costa sempre una grande fatica la vera autocritica. Tante/i faranno resistenza, anche perchè non a tutti interessa ritornare a contare qualcosa politicamente; a
          molti va bene far gruppetto, sentirsi i “migliori ma incompresi”, commuoversi ascoltando “Bella Ciao” e sentirsi rivoluzionari mostrando il pugno chiuso.
          Tutto legittimo, ma se l’aspirazione è quella di incidere nella vita politica, allora non è sufficiente.

          • gino
            10 novembre 2018 at 23:30

            concordo.
            bisogna agire nel senso che dici tu ma ricordandosi di non usare MAI le paroline che ho elencato sopra

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