In che modo la storia siamo noi?

ingrao

Il compagno Jean Paul Sartre affermava che “il marxismo è l’orizzonte insuperabile del nostro tempo”. (I comunisti e la pace, 1954)

Willy Brand così volle nel 1973 commentare questo concetto: “Il Socialismo è come un marinaio che impara molto presto a fare il marinaio, anche se è un ragazzo e non ha mai visto il mare. Perché, nel suo primo viaggio, il marinaio scopre che l’orizzonte non è una linea di confine. Quando la nave si sposta, anche l’orizzonte si sposta: sempre più in là, sempre più in là, fino a diventare tanti orizzonti sempre nuovi.
Oh, sì. È così che io vedo il Socialismo: come un orizzonte che non raggiungeremo mai e a cui tentiamo di andare sempre più vicino”.

Cosa significa questo continuo riferirsi all’orizzonte irraggiungibile?
Dai tanti testi di Sartre è possibile estrapolare il significato della metafora, la quale non esprime solo una lode al marxismo, inteso come orizzonte finale entro cui si muoverà la storia, ma anche come incitamento a non considerare le finalità del marxismo alla stessa stregua di un orizzonte raggiungibile e superabile, piuttosto come qualcosa di sfuggente e sempre insuperabile. L’interpretazione di Brand è allora giusta: l’orizzonte diventa continuamente “tanti orizzonti sempre nuovi”.
Ed il marxismo è effettivamente come la nave della citazione: esso è lo strumento stabile di navigazione per la corretta interpretazione della realtà, ma la realtà è in continuo mutamento, come il mare.
Nella logica dialettica la dottrina muta la realtà, ma anche la realtà costringe la dottrina a mutamenti per mantenere la rotta della verità, e soprattutto la dottrina della prassi deve necessariamente essere manovrata come un timone per non far perdere la rotta all’intera nave.
Sartre, ad esempio, aveva tentato di correggere la dottrina respingendo il materialismo dialettico sovietico e criticando il marxismo stalinista.
Il materialismo dialettico ha negato il grande bisogno di sapere se esiste qualcosa d’altro oltre questa deludente realtà naturale, essenzialmente il bisogno di sapere che sopravviveremo alla morte.
Non aver tenuto conto di questo naturale bisogno della consapevolezza umana è stato un grande errore del comunismo del passato, inevitabile per l’impianto filosofico materialista di fondo del marxismo.
Non è detto che dobbiamo però rifare lo stesso errore.
Il neocomunismo che rappresentiamo non tenterà più di abbattere la Chiesa asservita al potere di turno (e fonte di potere essa stessa), semplicemente la annichilirà, la svuoterà elaborando un concetto ideologico concorrente già espresso da un premio Nobel italiano poco tempo fa, Dario Fo: “Dio è comunista”.
Non deve essere un battuta per noi, dobbiamo davvero impadronirci dei meccanismi che oggi ci sono avversi.
Dovremo propagandarla davvero l’idea rivoluzionaria che i nuovi comunisti credono in un Dio giusto che sta dalla parte dei deboli e degli oppressi, e se permette l’ingiustizia qua è solo per sbilanciare i malvagi e gli ingiusti, e separare i malvagi dalle persone autenticamente umane e perciò salvabili nel reale regno del “comunismo” che c’è dall’altra parte.
In fondo il cristianesimo primitivo già era molto simile a questo, con la differenza che la fine della storia, come affermava Marx, coincide con il trionfo del comunismo anche da questa parte, questo lo vorremo sempre e lotteremo sempre per questo.
Sartre aveva inoltre compreso che lo stalinismo era un integralismo da “scolastica della totalità”, totalità assolutistica simile a quella religiosa medioevale, pericolosa per l’interiorità dello stesso proletario che veniva spersonalizzato nella totalità collettiva, inteso dal potere non più come un essere umano ma come un essere assoluto, privo di sfaccettature esistenziali e di debolezze, in una parola ancora disumanizzato come lo era già nel materialismo dialettico.
Per Sartre la correzione della rotta marxista passa attraverso un nuovo approccio antropologico in grado di non ridurre tutto alla deiezione sovrastrutturale della struttura economica, una nuova teoria del soggetto umano, insomma, capace di comprendere l’individualità concreta e le aspirazioni più profonde dell’uomo.
La lotta di classe ha come portatori gli individui concreti, non l’astrazione di qualcosa che si chiama classe proletaria, e la storia è la sintesi di molteplici totalizzazioni individuali.
L’individuo è l’unica realtà, il resto è astrazione.
Sartre è stato un profeta, ha saputo scorgere la crisi del “socialismo reale” molto prima che questa esplodesse, ed ha individuato la giusta via per la rivoluzione attraverso una ridondanza culturale che nega il riduttivo schematismo marxista incapace di correggere la rotta per la verità.
Il marxismo potrà tornare ad essere vivo solo quando saprà utilizzare le mediazioni offerte dalle scienze umane, dalla psicoanalisi, dalla microsociologia, dall’esempio concreto della libertà artistica in tutti i campi.
La controprova e che tutti quanti i comunisti sopravvissuti (soprattutto i vetero) continuano a discutere ed accapigliarsi sul nemico, sull'”oggetto” capitalismo, su come abbatterlo, non avendo ancora compreso che è il soggetto che loro stessi sono a richiedere la massima attenzione ed analisi. Nessuno si sofferma sul soggetto che siamo, sulla nostra identità.
Credo che ogni analisi seria debba partire dall’analizzare in primis il soggetto rivoluzionario che vogliamo essere: identità e proprietà, modalità e finalità.

Non è utopia se sappiamo correggere la metafora sartriana. Esistono essenzialmente tre tipi di visioni politiche: c’è quella che non crede che l’utopia sia raggiungibile, proprio come l’orizzonte, e colui che la incarna rimane fermo al suo posto rinunciando ad assecondare il cammino della storia, convinto come è che la storia sia una ripetizione ciclica ed immutabile.
Coloro che incarnano questa visione dovrebbero riflettere sul significato del termine utopia, e meditare su tutte le utopie raggiunte ed affermate nel corso dei millenni.
Poi, ci sono quelli fermamente convinti che l’utopia sia raggiungibile, si mettono in cammino verso l’orizzonte, ma ad un certo punto capiscono che non lo raggiungeranno mai in vita loro, allora rimangono delusi, rinunciano ai loro sogni e diventano cinici, persone peggiori rispetto a quelle che erano partite; al limite rimangono intimamente sognatori ma si ritirano dalla scena ed attendono che sia la storia a fare tutto da sola, non comprendendo che la storia è il risultato della microscopica azione quotidiana di ognuno di noi, perché la storia davvero cammina con le nostre gambe e non possiede sue gambe indipendenti ed immateriali.
Costoro sono in gran parte tra le nostre fila, i loro tempi sono corti, ragionano con le categorie del qui ed ora, credono che il cammino della storia si possa accorciare, addirittura asservire ai loro bisogni ed esigenze, non avendo alcuna idea di cosa significhi davvero rivoluzione, sacrificio, diffusione ed affermazione delle idee utopiche che respirano insieme con il lento, regolare e secolare, soffio della storia.
Infine, ci sono coloro che non smettono mai di credere nella realizzazione dell’utopia, e continuano a camminare, ad avanzare, a progredire, anche di un solo metro al giorno, anche se sanno che non otterranno mai alcun vantaggio concreto, fino a che non raggiungono il luogo in cui l’orizzonte era nel momento in cui partivano (ecco la differenza tra i perdenti ed i vincitori, la differenza tra chi si muove solo per interesse, sia pure di classe, e chi si muove nella dimensione immortale dei più alti valori ed ideali).
I vincenti raggiungono quindi il luogo in cui l’orizzonte era nel momento in cui partivano, ed in quel preciso punto si fermeranno a contemplare le loro conquiste, ammireranno la linea lontana tra la terra ed il cielo, e ringrazieranno l’esistenza di un altro orizzonte, poiché utopia non deriva da u-topos, cioè nessun luogo, ma da eu-topos, ossia ricerca del sempre miglior luogo.

La storia è sempre evoluzione e mai involuzione, se in Italia ci ha condotti a questa fase in cui rivoluzionari da burletta avanzano su un palcoscenico politico d’avanspettacolo, mossi dalla regia sapiente dell’equivoco, dell’ignoranza delle leggi dell’economia capitalista e dello stesso contesto generale in cui ci si muove, scambiando addirittura per democrazia la sofisticata dittatura plutocratica che regna sovrana in tutti i paesi occidentali, ebbene, se la storia fa questo è perché conosce ragioni che la ragione politica non conosce, neppure la nostra particolare ragione marxista.
La presunzione di conoscere, da “scienziati” marxisti, tutte le leggi e le ragioni della storia, e di conseguenza la certezza di poter prevedere le sue tappe evolutive che sfoceranno automaticamente per noi in un esito benigno, ci conduce ad un immobilismo d’attesa, il quale contraddice non solo Marx ma la nostra stessa arroganza di aver compreso la storia, poiché la storia siamo noi e nessuna immateriale forza storica si sostituirà alla nostra azione ed al nostro impegno.

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6 commenti per “In che modo la storia siamo noi?

  1. Rosario
    25 ottobre 2014 at 18:09

    Bellissimo! Ogni tanto leggere cose del genere ti tira fuori dal senso di disorientamento e solitudine.

  2. 26 ottobre 2014 at 10:28

    E’ un bel testo.
    Nonostante la mia naturale avversione per ciò che è “comunista”, perchè se è dubbio che Dio sia comunista (??), è invece fuor di ogni dubbio che Marx è un grande cristiano, rimane un bel testo.

    • Anio
      26 ottobre 2014 at 21:15

      Condivido, anche se il tuo nick mi fa sospettare che non sia stato un complimento per Marx…Grazie per i complimenti…

  3. cesare
    26 ottobre 2014 at 16:36

    Davvero un ottimo “vissuto” quello che fai emergere, vitale, responsabile, consapevole, coraggioso e vero. Virtus virile.

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