La madre è il potere, la puttana è la potenza

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
All’interno dei rapporti erotico-sentimentali, sono in molti a confondere il ruolo della madre con quello della partner sessuale. Da parte di alcuni, infatti, si suppone che l’origine del desiderio si racchiuda nel grande archetipo dell’utero di una grande madre da sempre e per sempre inseguito dal desiderio del maschio. Non è così: in realtà, gli uomini nelle donne cercano la madre ma desiderano la puttana! L’investimento emotivo dell’uomo nei confronti della madre si trova di fronte l’interdetto dell’incesto ed è da questo inibito: con la puttana ciò evidentemente non avviene… Va precisato, tuttavia, onde evitare equivoci, che la figura della puttana può essere magnificamente incarnata dalla moglie o dalla fidanzata e non è necessariamente identificabile con una donna che vende sesso. Va puntualizzato, altresì, che qui si intende per puttana, lungi da qualsiasi accezione moralisticamente colpevolizzante, colei che desidera il piacere per nessun’altra ragione che non sia il mero godimento, al di là ed oltre (e prima) le componenti emozionali non meramente sessuali. La madre inibisce perché è potere sulla vita. La puttana è desiderata perché è il potere della vita; il potere della madre inibisce poiché è potere in atto. Il desiderio della puttana invece eccita perché è mera potenza, ossia possibilità vuota di senso e libera da condizionamenti di pensiero. Le inibizioni, dunque, bloccano le fantasie incestuose nei confronti della donna/madre e le trasformano in senso di colpa (che cosa, se non il senso di colpa, permette al potere di essere se stesso?), interdicendole, ossia cancellandole in quanto desiderio. Si potrebbero, tuttavia, evocare le fantasie inconsapevoli che, in quanto tali, sarebbero libere dal controllo. No, è evidente che queste tutto possono essere meno che desiderio indirizzato verso una precisa meta libidica. Il desiderio per la puttana è desiderio di incontrare colei che detiene la sovranità assoluta sulla vita in quanto nascita. Nulla al mondo è eguagliabile a tale potere, dal punto di vista della forza e dell’intensità. L’unica maniera di incontrare quel potere, però, senza essere vinti dall’inibizione improduttiva, consiste nel detronizzarlo in quanto potere femminile indirizzandolo verso l’altro da sé, e cioè rendendolo in-potente. È a causa di tutto ciò che il maschio, diversamente da ciò che avviene con la madre, alla puttana non chiede affatto un utero entro cui rifugiarsi, né seni da suggere, bensì una vagina da penetrare. Dal punto di vista meramente sessuale, in definitiva, l’uomo preferisce e preferirà sempre Circe a Penelope. Eppure, Penelope rimane. Nessun uomo potrà mai dirsi immune dalla seduzione operata dal simbolo di una donna/utero che offra le garanzie della nascita biologica e, in quanto tale, capace di riportare all’interno della libido maschile l’idea archetipica di un luogo originario protetto e privo di conflitti. In questo senso, Penelope può ben identificarsi come colei che difende lo spazio della casa – con la sua stabilità fisica e metafisica –, costituendo così l’asilo capace di porsi come ultimo rifugio dai marosi della vita. Ecco, dunque, grazie al simbolo di Penelope, perfettamente realizzata la figura della madre. La madre della vita uterina. La madre che dà, nello stesso tempo, nutrimento e vita senza che la vita stessa sia sospesa sul ciglio doloroso della coscienza. Questa donna, che è madre nella sua infinita capacità di accoglienza, rappresenta così l’altro lato della vita individualizzata: essa costituisce la notte aorgica nella quale l’indistinto ignora la propria identità e la vita è soltanto un eterno pulsare cosmico. Effettivamente, un obiettivo pulsionale di questo tipo somiglia tanto ad un desiderio di morte, poiché in nessun altro modo si può intendere una vita libera dal conflitto che la caratterizza essenzialmente. Essa è morte poiché la vita è imprevedibilità e conflitto nella sua essenza. Proprio per questo, come abbiamo visto, gli uomini pur desiderando la madre, identificano la forza pulsionale erotica più grande, non tanto nell’utero, quanto nella vagina. Essi, cioè, sono ben consapevoli che l’”utero di Penelope”, la grande tessitrice (l’idea della tessitura costituisce una delle immagini del potere di ogni tempo), colei che detiene il potere assoluto sulla casa, non attraverso l’uso della forza, ma con le arti sottili e irresistibili della propria femminilità, colei che inganna e combatte i proci senza mai utilizzare energia materiale, dispone di un potere tale da inglobare qualsiasi resistenza dentro di sé, metabolizzandola. Il suo potere è immenso tanto quanto la sua promessa: la deresponsabilizzazione rispetto a se stessi in un ricongiungimento ad una vita prenatale libera dalla tensione drammatica della coscienza. Non riusciranno mai, gli uomini, a sottrarsi a questo richiamo metafisico. Soltanto in maniera apparente e provvisoria essi potranno rinunciare a questa pulsione antica e sempre nuova. In contraltare metafisico necessario rispetto all’investimento pulsionale nell’utero, e qui ritorniamo al punto di partenza, si pone giustappunto l’immagine della vagina. E qui ritorna prepotente il mito di Circe e della sua magia. La sessualità orientata verso la vagina esplode, infatti, in tutta la sua sconvolgente intensità, in maniera tale che il pittore Cournot, a buon diritto, poteva ben identificarla con “L’origine del mondo”. Di fronte al potere da tessitrice/manipolatrice di Penelope, dunque, si pone un’altra forma di potere, quello costituito dall’attrazione estrema della vagina. Ed è esattamente questa pulsione che si attiva quando si risveglia il desiderio del corpo di una donna: è evidente che, come il potere esercitato dal richiamo dell’utero, anche quello emanato dalla vagina presenta un forte contatto con dimensioni di morte. Gli uomini sbarcano sull’isola di Circe inconsapevoli di penetrare all’interno di un pericolo mortale. Del resto, non è affatto un caso che il significato etimologico del nome della maga sia incerto: anche l’incertezza si pone come una privazione di qualsiasi ancoraggio ad una forma identitaria. Se etimologia c’è, essa va ricondotta all’idea del cerchio – ciò che costituisce appunto un vortice emozionale, un ciclone in grado di inglobarti all’interno di sé fino alla completa e perfetta dissoluzione. E d’altra parte, che cos’è se non la morte ciò che taglia il respiro quando, davanti allo sguardo dell’uomo, emerge l'”oscuro oggetto del desiderio”. Nella vagina, gli uomini cercano appunto una cavità da occupare: in essa, la sessualità maschile invoca quel vuoto assoluto (senza alcuna ironia) che non è altro che un’emozione di morte! Gli uomini dunque, all’interno di questo orizzonte, si trovano confitti fra due opposte e complementari forme di potere: il potere governamentale di Penelope e quello sovrano, “potenziale”, vuoto di identità e di scopi, direi perfino sabatico, esercitato da Circe. È chiaro che gli uomini medesimi, dal loro canto, lungi dall’essere degli oggetti meramente passivi del potere femminile, costituiscono essi stessi la polarità opposta e complementare di quest’ultimo: tutto ciò che è umano e che è vivo non può essere, infatti, che potere. Analizzare lo specifico del potere maschile non è obiettivo di questo saggio. In conclusione, però, posso soltanto sottolineare con forza che trovare un equilibrio fra le forme di potere esercitate dalle donne sugli uomini (Penelope e Circe) e fra il potere delle donne e quello degli uomini costituisce l’unica maniera davvero umana di vivere degnamente gli anni che siamo destinati a consumare su questa terra.


Risultati immagini per Circe immagini
Fonte foto: Circrce’s Funhouse (da Google)

7 commenti per “La madre è il potere, la puttana è la potenza

  1. ARMANDO
    16 maggio 2017 at 19:18

    Qualcosa mi sfugge: ad esempio cosa significa “Le inibizioni, dunque, bloccano le fantasie incestuose nei confronti della donna/madre e le trasformano in senso di colpa (che cosa, se non il senso di colpa, permette al potere di essere se stesso?), cancellandole in quanto desiderio.”? Le inibizioni verso la madre che fanno nascere il senso di colpa di cui si nutre il potere, sono qualcosa di positivo o no? Non è chiaro, almeno per me.
    Sono d’accordo che il modo per incontrare il potere femminile sulla vita, indubbiamente fortissimo e, aggiungo, originario, è di “detronizzarlo in quanto potere femminile”.
    In ogni caso manca in tutto l’articolo il terzo incomodo, ossia il padre. Perchè le fantasie incestuose, che fra madre e figlio sono reciproche e forti, possono essere interrotte solo dal padre. Massimo Recalcati, uno psicanalista che si dichiara di sinistra, stranamente assai, nel suo libro Cosa resta del Padre (Cortina editore 2011) scrive “Il padre è colui che pronuncia due distinti moniti che interdicono il reciproco desiderio incestuoso fra madre e bambino. A lei dice: “Non puoi divorare il tuo frutto” , mentre a lui: “Non puoi ritornare da dove sei venuto”.
    La condizione strutturale per accedere al desiderio implica un divieto di accedere al godimento assoluto della Cosa materna (pag. 55), e quindi la Legge si configura non come pura interdizione ma come dono della facoltà del desiderio (pag. 56).
    E prosegue (traggo dalla recensione che ne feci a suo tempo e che, volendo, potrei riproporre perchè il libro è bello e insieme contraddittorio)
    “In mancanza della Legge paterna, del suo limite, non può esistere neanche desiderio autentico, ma solo la tendenza ad un godimento immediato, caotico, smarrito, assoluto, privo di ancoraggi simbolici e di carattere, appunto, incestuoso.
    E’ questa la condizione dell’ipermodernità, dove si realizza la “paradossale” convergenza fra la contestazione giovanile antipatriarcale (antipaterna) e l’affermarsi del discorso del capitalista, che sfrutta la convinzione che “il soggetto sia libero, senza limiti, senza vincoli, agitato solo dalla sua volontà di godimento”, per illuderlo di poter trovare soddisfazione nel consumo avido di oggetti, quando in realtà, “liberato” dal limite imposto dalla Legge e perciò dal desiderio autentico, ciò che lo spinge è la ricerca della Cosa assoluta del godimento (l’incesto materno).”
    Mi sembra di esemplaqre chiarezza: senza il limite paterno si afferma la legge del capitale. La mancanza di limite, il desiderio caotico e smarrito, equivale al capitalismo assoluto che nessun limite tollera al pieno e fluido scorrimento delle merci e del godimento immediato e caotico, l’opposto del desiderio autentico. E’ questo il meccanismo psicologico su cui si fonda il capitalismo assoluto, e il terribile inganno/fraintendimento di una sinistra antipaterma/antipatriarcale che è diventata il veicolo privilegiato ed essenziale per l’affermarsi incondizionato, come scrive Recalcati, del “discorso del capitalista”. Poi possiamo fare tutte le critiche possibili ad una forma di paternità divenuta autoritarismo, possiamo criticare quanto vogliamo molti padri concreti, ma rimane che senza il padre e senza la sua legge che apre al desiderio autentico, si consuma una vera tragedia: per i maschi in primo luogo, perchè rimangono fissi sul desiderio incestuoso quantunque mascherato in molti modi. Anche l’incapacità a sopportare la perdita di una donna ne è segno, appunto perchè quel maschio non è riuscito a “detronizzare” quel fortissimo potere femminile/materno e ne è rimasto impigliato come un bambino, ma anche per le femmine che non riescono ad uscire dalla tenaglia costituita dalla confusione fra donna/madre e donna/femmina. Confusione che da un lato è gratificante in quanto conferisce loro grande potere, ma al fondo le lascia insoddisfatte perchè prive di un contraltare maschile autentico; ed infatti, assai iporcritamente, si lamentano e vorrebbero tutto e il suo contrario, ossia l’impossibile. Esattamente quello che predica il femminismo nella sua totale confusione psicologica. ma tant’è, questa è la modernità figlia del progressismo e della lotta al padre che annienta e distrugge le differenze in nome dell’indistinzione e dell’omologazione in una poltiglia micidiale. Quella stessa poltiglia che ha fatto si, la notizia è di ieri, che un altro psicanalista, Giancarlo Ricci, autore del libro “Il padre dov’era?” sia sotto inchiesta da parte dell’ordine degli “piscologi” (metto le virgolette perchè non tali sono ma solo l’espressione della degenerazione totalitaria in cui ci tocca vivere), perchè ha osato sostenere che padre e madre sono entrambi indispensabili alla crescita equilibrata dei figli. Sono cose semplicemente inaudite. La verità e l’evidenza sono messe al bando, inibite, punite, vietate. Neanche il fascismo avrebbe osato tanto quanto osa il capitalismo senza limiti di cui la sinistra è diventata culturalmente paladina, appena appena mascherata dietro qualche penosa foglia di fico buonista, materna, e falsamente inclusiva, in realtò castrante.

    • Antonio Martone
      22 maggio 2017 at 16:41

      Caro Armando,
      ti ringrazio di questa interpretazione tanto attenta ed informata del mio articolo. E ti sono grato anche della lettura comparata che ne hai fatto con i lavori di Recalcati. Quanto alla mancanza della figura paterna, la mia è stata una scelta: quella di concentrarmi sulle polarità Penelope/Circe (ovviamente, queste di possono presentate anche compresenti nella femminilità.
      Hai molto opportunamente notato che il compito “ontologico” del potere dell’uomo, su cui ripeto ho lavorato autonomamente rispetto all’articolo, consiste nella “detronizzazione” del potere femminile.
      Il senso di colpa nato dall’interdizione dell’incesto è un bene o un male, mi chiedi? Non lo so: so solo che è proprio su questo che si fonda una qualsiasi comunità, se è vero ciò che affermava Nietzsche secondo cui il senso di colpa stesso è all’origine della morale insita in ogni forma di potere,
      D’accordo su tutto il resto: ossia il fatto che l'”evaporazione del padre” abbia reso possibile nel nostro tempo l’illusione di un piacere immediato ed assoluto. Evidentemente. tutto ciò, parte integrante dell’ideologia femminista, in ciò singolarmente e strettamente alleata del “discorso del capitalista” rappresenta, a mio modo di vedere, un vero e proprio delirio, pregno di conseguenze che soltanto ora stiamo cominciando a misurare.
      Ti ringrazio e… a presto.

  2. Luciano poli
    17 maggio 2017 at 0:38

    Resta il fatto che sei fratelli maschi , pressoché privati della figura paterna, hanno avuto comportamenti parecchio differenti nelle relazioni con le rispettive donne. Parlo di esperienza vissuta.

  3. Maya
    22 maggio 2017 at 14:07

    Articolo scritto in modo superficiale e con una visione dualista.
    La puttana fa parte della madre e la madre fa parte della puttana.
    Smettiamo queste separazioni inutili!

  4. armando
    23 maggio 2017 at 15:05

    Caro Antonio, quello che dici sul senso di colpa come fondamento di qualsiasi comunità è molto importante. La postmodernità capitalistica ha troppo spesso criminalizzato il senso di colpa, anche con la “complicità” di una certa psicanalisi. Intendiamoci, come ogni cosa al mondo, il senso di colpa ha una valenza duplice. Può diventare paralizzante e autocastrante fino a promuovere frustrazone e odio di sé, ma ha anche la funzione positiva di “avvertire” il soggetto che forse sta oltrepassando un limite, forse esiste qualcosa da rivedere in se stesso e nei rapporti cogli altri. Poi, certo, occorre il vaglio razionale, anche l’introspezione, per afferrarne meglio il senso e. infine, decidere. Nietzsche afferma che è all’origine della morale insita in ogni potere, e non trovo scandalosa questa affermazione. Ogni potere non può non nutrirsi, oltre che della forza, anche di una visione morale per tenere insieme la società. Anche il nazismo pretendeva di fondarsi su una morale, ovviamente aberrante, ma non ha mai proclamato di essere “immorale” come in effetti era, perché non avrebbe trascinato a sé il popolo tedesco. Dunque dipende dai contenuti e dai giudizi di valore che ne diamo. Si può considerare quella visione giusta o sbagliata, conformarsi o ribellarsi, ma non può non esistere. E’ solo negli ultimi decenni che si è andata affermando un’altra concezione, solo apparentemente opposta. Non esiste una morale e quindi non esiste (non deve esistere) il senso di colpa. Ciò produce però non l’immoralità (che si può riconoscere e combattere in nome di un senso morale più alto ) ma l’amoralità, ossia l’assenza di ogni punto di riferimento. E’ la società liquida, la cui tragedia è non aver nulla da trasgredire, nulla contro cui lottare, nulla da cui emanciparsi, nessun limite a cui, eventualmente, ribellarsi. Per un giovane credo sia devastante, la peggior condizione possibile. Dietro il nichilismo permissivo della modernità si staglia, come dice appunto Recalcati, il “discorso del capitalista”, o meglio, secondo me, la logica del capitale come rapporto e processo impersonale che risponde solo a se stesso ed alla sua esigenza incondizionata di valorizzazione. In fin dei conti, la vecchia borghesia, una sua morale la aveva, giusta o sbagliata che fosse, la si voglia definire coscienza infelice o falsa coscienza. Entro la logica profonda del capitale tutto ciò non può e non deve esistere, perché l’unica cosa che conta è, ripeto, la sua propria valorizzazione per la quale la pulsione al “godimento” caotico è, direi, ,la molla e lo stimolo principale. E’ per questo, credo, che la “sinistra” libertaria, passata rapidamente dalla giusta ribellione contro l’autoritarismo alla ribellione contro il concetto stesso di autorità, è diventata sciaguratamente il veicolo principale della riproduzione culturale della logica del capitale, beninteso in pieno accordo con quello che sul piano strettamente economico predicava la destra liberista. Miscela evidentemente esplosiva perché si presenta con le sembianze accattivanti della libertà e dell’autodeterminazione soggettiva, come se ciascuno di noi non fosse quello che è perché cresciuto in una famiglia, in una società, in una parrocchia o in una casa del popolo, che gli hanno offerto dei punti di riferimento con cui confrontarsi. Ciò che non è per i moderni centri commerciali divenuti i nuovi spazi di “aggregazione”. Ma non voglio andare fuori tema e torno a bomba dicendo che il mondo femminile/femminista ha grandi responsabilità in tal senso. Maya scrive che il tuo articolo è permeato di dualismo e che la madre e la puttana convivono nella stessa donna. E’ esattamente così, così come nello stesso uomo esiste il predatore rapace e il padre di famiglia. Non si tratta di negare o criminalizzare in se stesse l’esistenza di pulsioni contraddittorie , ma di conoscerle in noi stessi e riconoscerle nell’altro/altra. E, se mi si permette, anche di giudicarle , cercando di giocare coi tempi e le modalità delle loro manifestazioni. Le quali, visto l’impasto di cui siamo fatti, possono anche far piacere all’altro/a. Quale donna può dire di non aver mai sentito una certa eccitazione, magari non confessandola fino in fondo neanche a se stessa, di fronte al maschio predatore? E quale uomo, anche il cattolico più integerrimo, può dire di preferire sempre la “moglie” donna madre alla puttana? Come dicevo sopra la scommessa è riuscire a far convivere in sé queste spinte contraddittorie e riuscire a rapportarsi con quelle altrui, ma certo sapendo bene ciò che significano e la loro potenziale negatività, sia sul piano etico che morale.

    • Antonio Martone
      23 maggio 2017 at 16:01

      Caro Armando,
      ti ringrazio della tua splendida controreplica.
      Sul presunto dualismo del mio articolo: sono sicuro che non ti sarà sfuggito, attento come sei al valore dei simboli, e immagino profondo conoscitore della psicoanalisi, che ciò che indicavo come “madre” e “puttana” non sono altro che mere immagini mitiche. Sorta di polarità distinguibili solo per ragioni espositive e che, come tu giustamente osservi, “co-esistono” nella psiche umana e femminile nella fattispecie.
      Del resto, se rileggi, vedi bene che nel mio testo c’è un preciso riferimento a tale, inevitabile compresenza, laddove parlo della possibilità che la moglie e la fidanzata (canonizzate alla grossa nel ruolo della madre) possano ben ricoprire, a volte con successo insperato, quello della puttana.
      Per quanto riguarda il resto, ossia la tua bellissima disamina del senso politico della colpa, hai scritto delle cose che avrei potuto scrivere io, tanta empatia vi ho visto.
      È chiaro che noi ci inscriviamo in una corrente ancora minoritaria del pensiero contemporaneo che ha visto i limiti enormi dei pensatori anti-edipici (Deleuze, ad esempio), e che cerca strade diverse.
      Su questi temi ho scritto molto in cartaceo: se vuoi, grazie all’amico comune Fabrizio Marchi, e sperando di farti cosa gradita, posso inviati, dimmi tu come, il PDF.
      Grazie a te…

      • armando
        23 maggio 2017 at 21:29

        con molto piacere. scrivo a Fabrizio

Rispondi a armando Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.