La sovranità non è uno scandalo ma neppure un feticcio identitario

A sinistra è nato un nuovo appassionante dibattito: sovranisti contro internazionalisti, nazionalisti contro cosmpoliti, rossobruni contro no-borders. Come in molti dibattiti recenti della sinistra italiana, non ci si risparmia: il tono da guerra di religione, l’illusione che il risultato della contesa sarà decisivo per le classi popolari, l’accusa all’interlocutore di essere quinta colonna dell’ideologia degli avversari, l’assenza di una traduzione concreta delle due posizioni.
Si può provare a inserire in questo dibattito un po’ di laicità?

Il ruolo della Nazione è importante nella tradizione della sinistra, anche e soprattutto quando è riuscita a fare rivoluzioni o governare nazioni. Il concetto moderno di nazione nasce con la Rivoluzione francese e le rivoluzioni democratiche dell’Ottocento. La nazione nasce quindi progressista e democratica. Senza la mobilitazione del ‘popolo’ su base nazionale contro potenze pubbliche e private straniere non ci sarebbero state la rivoluzione russa, quella cinese, quella cubana. Più recentemente non ci sarebbero stati il ciclo della decada ganada in America Latina e il socialismo del XXI secolo di Chavez e Morales.

Probabilmente non ci sarebbe stata nemmeno la vittoria elettorale di Tsipras in Grecia, dovuta anche alla capacità di Syriza di declinare il proprio ruolo nei termini di un’alleanza popolare contro un’oligarchia neo-colonizzatrice (la Troika) e la sua rappresentanza nazionale (i vecchi partiti), quindi sulla base delle fratture popolare/oligarchico e nazionale/sovranazionale. Lo stesso discorso lo fa Podemos in Spagna, che parla di patria tutti i giorni. Nessuna di queste esperienze ha scisso la sovranità nazionale-popolare dall’internazionalismo e della solidarietà tra i popoli.

Il conflitto nazionale/sovranazionale può essere compreso, declinato e comunicato in molti modi, e solo alcuni di questi sono reazionari. Questo conflitto richiama, nella situazione odierna, quello tra Stato (politica) e mercato. Può essere una rivendicazione di riequilibrio di forze tra politica e flussi economico-finanziari, così come tra rapporti sociali e individualismo competitivo. Questo conflitto non può essere giocato aggirando l’unico terreno in cui ad oggi (magari noi nolenti) esiste una politica democratica, quello nazionale. La rivendicazione della sovranità popolare non è uno scandalo per la sinistra, e la sovranità ha una dimensione ancora nazionale.

Dall’altro lato, diverse critiche si possono fare a chi pensa che la nazione, la patria e l’opposizione all’euro e all’Unione europea debbano diventare orizzonti ideali autonomi, valori autosufficienti, fonti di senso per la sinistra.

Dire che questi temi non fanno scandalo non significa farli diventare un feticcio o un fondamento identitario, a partire dal quale magari scagliare contro altre sinistre (sociali e politiche) l’accusa di essere elitarie, disinteressate al destino e alle idee del popolo, lontane dal senso comune. Proprio sul terreno del senso comune, da parte dei neo-nazionalisti di sinistra c’è un fraintendimento, lo stesso che ha caratterizzato la sinistra moderata dal 1989: quello di suppore che la gente sia ‘di destra’, sempre e irrimediabilmente, e che “essere popolari” significhi adottare almeno parzialmente discorsi e idee-forza che caratterizzano l’egemonia della destra. Da qui nascono gli inaccettabili scivolamenti di chi attacca la sinistra “immigrazionista e buonista” o definisce chi si mobilita per i rifugiati “foglia di fico del neoliberismo”, magari dopo aver votato, fino a poco tempo fa, diversi provvedimenti neoliberisti.

Il senso comune, le idee che sono prevalenti – o che lo sembrano: siamo sicuri che immigrazione, sicurezza e Unione europea siano temi prioritari per la maggioranza degli italiani? – non sono dei ‘pacchetti’ confezionati, sono elementi eterogenei e temporanei frutto anche dell’iniziativa politica, quindi modificabili. Egemonia non è stabilirsi sul terreno simbolico avversario, ma disarticolare il suo discorso anche portando alcuni dei suoi temi (in questo caso, la ‘difesa del popolo italiano’) sul proprio terreno simbolico.

Alcuni toni della sinistra neo-nazionalista sono anche inutili dal punto di vista elettorale. Qualsiasi formazione di sinistra sarà sempre votata in prevalenza da persone di sinistra: non è frustrando i principi di umanità del proprio elettorato che si raccoglie consenso.

La sinistra italiana è inefficace da così tanto tempo che sembra convinta che i discorsi che fa allo specchio siano seguiti in mondovisione. Scambia il mondo interno con quello esterno. Non è dicendo “nazione” ogni quarto d’ora che ‘il popolo’ accorrerà a votare una nuova sinistra. I principi politici non sono efficaci se declamati, ma se sono agiti, tradotti in discorsi coerenti e politiche concrete, e se chi li agisce appare credibile e abbastanza forte da supportarli realmente.

Parole come nazione, patria e sovranità non sono quindi uno scandalo per la sinistra, ma non possono costituire un orizzonte di valori. Non sono il socialismo del XXI secolo.

Fonte: https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/13566-loris-caruso-la-sovranita-non-e-uno-scandalo-ma-neppure-un-feticcio-identitario.html

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Foto: Senso Comune (da Google)

2 commenti per “La sovranità non è uno scandalo ma neppure un feticcio identitario

  1. armando
    29 ottobre 2018 at 19:22

    tenere insieme sovranità nazionale e popolare e solidarietà con gli altri popoli declinata come internazionalismo, oggi significa 1. riconoscere a tutti i popoli identico diritto alla propria sovranità e identità culturale.2.sviluppare con tali popoli accordi economici equi e non di rapina. 3.fare di tutto perché quelle genti non siano indotte a emigrare sperando, e spesso sbagliando, di migliorare la propria realtà, come si loro falsamente credere . Quei popoli hanno bisogno in loco dei loro giovani
    . Allora si inquadra anche il tema immigrazione che prioritariamente non è securitario, ma esiste. Esiste come problema culturale, perché già la nostra identità ce la siamo dimenticata a causa dei processi economici culturali disgreganti del capitale, ma ancor più lo sarebbe causa una troppo massiccia è veloce presenza di soggetti con abitudini, consuetudini, modi di pensare diversi, e che fra l’altro vanno a risiedere in quartieri popolari già ampiamente problematici, con ciò alimentando forme di xenofobia che la sx al caviale stigmatizza senza averne alcun titolo.Se non si afferra la complessita del fenomeno o si inveisce alla Salvini o si fanno i buonisti che in nome di una malintesi solidarietà vogliono accettare tutti indiscriminatamente, ma che così fanno, come sempre, il gioco del capitale che ha interesse preciso sia alla deculturazikne identitaria, sia a trovare un forte esercito industriale di riserva con cui abbassare j salari.

  2. gian marco martignoni.
    1 novembre 2018 at 22:22

    Tra il campo di lotta nazionale e quello internazionale vi è sempre una relazione inscindibile.Penso che la confusione e il disorientamento che si sono determinati recentemente dipendano – dopo l’89 – dalla vittoria del ” mostro “, per usare un vocabolo caro ad Alain Badiou, e dalla mancanza di una visione alternativa, pur che crescano la diseguaglianze in un contesto de- emancipatorio ( Losurdo ).Trovo la riflessione di Caruso pertinente ed efficace .Mi spiace che le divisioni e la frammentazione prevalgano sulla necessità di organizzare una formazione radicale e comunista, come invece è avvenuto in giro per l’Europa, senza per questo mortificare il legittimo confronto sui tanti nodi teorico-pratici aperti da tempo nella discussione collettiva.gG

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