L’incapacità di comprendere il presente: come criticare il M5S

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Foto: www.cliclofrenia.it

Pubblichiamo questa analisi del Collettivo “Militant” sulle elezioni romane, sulla necessità di incrinare l’attuale assetto politico, sulla natura e sul ruolo del M5S:

“Molto, troppo, ha fatto discutere la nostra posizione pubblica riguardo alle prossime elezioni romane, svelando il solito nervo scoperto della sinistra residuale rispetto alle elezioni: da passaggio prettamente tattico vengono sempre affrontate con l’ansia da prestazione data dall’evento, a cui dare la massima rilevanza strategica sia nel caso dei votanti a prescindere sia nel campo dell’astensionismo purista. Niente di nuovo. L’ovvia marea di commenti ha però fatto emergere una questione a suo modo interessante, questa sì imprevista. Nel criticare giustamente le caratteristiche politiche del Movimento 5 Stelle, abbiamo scoperto che il Movimento di Grillo viene concepito nientemeno che partito “fascista” o addirittura “neofascista”.

La questione è di estremo interesse, perché la critica serrata ad un soggetto politico ha un suo valore se viene centrata, se cioè si hanno le capacità interpretative per comprendere i suoi limiti, il suo ruolo sociale, il paesaggio politico nel quale è inserito, le ragioni sociali della sua nascita e della sua forza. Una critica sconclusionata non interessa tanto l’aspetto teorico della vicenda, in questo caso marginale, ma inficia gli strumenti da predisporre per l’agire politico della sinistra nella società.

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Veniamo allora al dunque. Secondo molti, davvero troppi, tastieristi militanti, il partito di Grillo sarebbe un soggetto “neofascista”. Il neofascismo è però un ambiente o area politica contrassegnata da alcuni tratti peculiari: soggettivamente, è un’area estremamente settaria, ideologizzata, filosoficamente elitaria; è una scelta che viene vissuta come “stile di vita” caratterizzata da elementi razziali e spirituali rivendicati e posti alla base di una scelta politica “ideale”. Concretamente, invece, il neofascismo è frutto di un determinato pezzo di borghesia impaurita dalla forza sociale dei movimenti antagonisti dagli anni Sessanta in avanti. E’ infatti in questo tornante storico che avviene il passaggio da “neofascismo regime”, sostanziale continuazione del disciolto Pnf nel Msi, al “neofascismo sociale” che riprende lo “spirito” diciannovista o tardo-repubblichino rompendo a parole con la “destra ufficiale”. Il neofascismo assolve una funzione che in parte recupera il senso del fascismo storico: impedire l’accumulazione di forza del movimento operaio. Se il “fascismo” rappresentava un problema di *potere* per le classi subordinate dell’epoca, il “neofascismo” figura un problema di *agibilità* per la sinistra di classe. Casapound, Forza Nuova e altra merda varia non sono un problema perché possono “andare al potere” o anche solo incidere nelle scelte di potere (ma quando mai, siamo seri), ma perché sottraggono agibilità politica alla sinistra e ai suoi militanti. Stiamo tagliando con l’accetta chiaramente, non è questo il cuore del discorso, quanto piuttosto scovare le presunta analogie tra i due movimenti, per alcune tweetstar addirittura evidenti. Il Movimento 5 Stelle possiede queste stesse caratteristiche? Dice o esprime le stesse idee e/o la stessa visione del mondo del neofascismo? Assolve allo stesso compito storico?

Nel tempo, prima del tempo, ci siamo occupati di svelare la natura intimamente populista-reazionaria del movimento grillino:

http://www.militant-blog.org/?p=9487

http://www.militant-blog.org/?p=9640

http://www.militant-blog.org/?p=11350

Non solo noi peraltro: contestualmente, anche Wu Ming produsse alcune analisi di valore, che reggono ancora nel tempo nonostante il costante mutamento politico imponga alcuni aggiornamenti, che valgono d’altronde pure per quei nostri articoli.

Il partito di Grillo è tutto tranne che un soggetto “settario”: rivendica anzi con orgoglio il suo essere completamente liquido, destrutturato, aperto, un soggetto contenitore interclassista e post-politico; il partito di Grillo è tutto fuorché un soggetto “ideologico” o “ideologizzato”: è, al contrario, un partito post-moderno, distante da ogni diatriba filosofica strutturale, espressione politica del “pensiero debole” in cui può essere espresso tutto e il contrario di tutto, reclamando la sua rottura col passato e rivendicando il suo tecnicismo anti-politico; il partito di Grillo è tutto tranne che “elitario”: è anzi fieramente populista, non “dirige”, “educa” o “indirizza” pezzi di popolazione, ma dice quello che la gente vuole sentirsi dire. Per essere parte del Movimento non si devono avere competenze particolari, anzi, meno se ne hanno più si è protagonisti del rinnovamento: Rocco Casalino, salito agli onori delle cronache per la sua partecipazione al Grande fratello, è un dirigente del movimento e responsabile del suo ufficio stampa, e questo, speriamo, chiude ogni discorso sul presunto elitismo.

Si può però affermare che il partito di Grillo assolva allo stesso “compito storico” del fascismo o del neofascismo. Niente di più sfocato. Il M5S cresce nel deserto della sinistra, non nel suo momento di massima forza e/o mobilitazione. E’ un soggetto che nasce dalle ceneri della rappresentanza politica del mondo del lavoro, dalle polveri dei movimenti sociali e della partecipazione politica. Non “impedisce” alcunché, colma piuttosto un vuoto. E’ un partito-movimento che raccoglie il bisogno di rottura di pezzi contrapposti della società italiana, e proprio per tale ragione è intrinsecamente e inevitabilmente populista. Non ha un soggetto sociale di riferimento, ne ha almeno due: una parte importante del mondo del lavoro dipendente salariato senza più rappresentanza politica una volta scomparso il Pci e soggetti credibili alla sua sinistra; e un pezzo rilevante di piccola borghesia impoverita dal processo di accentramento europeista determinato da un altro pezzo di borghesia, quella transnazionale globalizzata rappresentata in Italia dal Pd. La mancanza di orizzonte politico delle classi subalterne e l’impoverimento di una piccola borghesia un tempo benestante hanno prodotto una saldatura temporanea attorno al M5S. Ma siccome gli obiettivi del breve periodo e gli orizzonti di lungo periodo sono, tra questi due soggetti sociali, in contraddizione tra loro, questi trovano terreno comune esclusivamente sul piano della critica all’attuale degenerazione politica, sintetizzata nella “lotta alla casta” e nella “lotta alla corruzione”(degli altri). Per il resto, le richieste non potrebbero essere più inconciliabili: un soggetto vuole più Stato, più rappresentanza, maggiore mediazione politica, più democrazia nei posti di lavoro, più diritti sociali, più welfare; l’altro vuole meno Stato, meno tasse, meno politica, meno sindacati, meno mediazioni nel raggiungimento del suo profitto privato. Sono queste determinanti sociali a produrre il Movimento 5 Stelle, e non viceversa: non è il M5S a spostare sul piano del populismo la lotta politica, ma l’attuale panorama politico a lasciare scoperte praterie che vengono colmate da soggetti capaci di intercettare e dare rappresentanza, ancorché alienata, agli umori popolari. Il Movimento 5 Stelle è un soggetto populista di massa, che offre strumenti di rappresentanza a una platea che non sa come esprimere il proprio odio verso una classe politica, e che al momento non viene organizzata su percorsi reali di lotta per k.o. tecnico della sinistra.

Se il fascismo ci diceva paradossalmente della forza della sinistra, il Movimento 5 Stelle ci racconta oggi della sua debolezza. E’ la scomparsa della sinistra che produce Grillo, non è Grillo che impedisce alla sinistra di risorgere. Poi, ma solo secondariamente, il M5S funziona anche come “specchietto per le allodole”, sviando e rimasticando sincere istanze di lotta ricalibrandole su obiettivi feticizzati quali appunto la presunta “casta”. Ma anche qui è il prodotto di una debolezza: la nascita di un movimento di massa spazzerebbe via qualsiasi velleità del M5S di rappresentare quantomeno il mondo del lavoro. Rimarrebbe il partito del rancore proprietario piccolo-borghese, che rifluirebbe prontamente nel qualunquismo prima e nell’insignificanza dopo, perché fagocitato immediatamente dal costituendo “blocco lepenista”, articolazione italiana del Front National francese. Anche qui, bisogna operare uno sforzo di analisi.

La Lega Nord di Salvini è tutto tranne che un soggetto neofascista. E’ piuttosto un blocco reazionario di massa, che è cosa ben diversa e ben più grave. Salvini non è neofascista, e neanche fascista, sebbene la polemica politica può portare a certe riduzioni, e sicuramente può essere insultato anche dandogli del pezzente fascista, figuriamoci. Ma in ambiti di ragionamento, bisogna discernere il grano dal loglio, perché un’analisi sbagliata porta poi a elaborare soluzioni sbagliate al problema. Salvini rappresenta politicamente quel pezzo di borghesia sconfitta dall’europeismo, in fase di progressiva pauperizzazione, che però non si trasforma in “proletarizzazione”, non diventa cioè dipendente dal salario, e in questo senso è il diretto competitore con il Movimento di Grillo. E’ proprio questo scontro tra due forme di rappresentanza che impedisce al momento una crescita ben più larga e pericolosa del blocco reazionario lepenista: in assenza di Grillo e vista l’attuale mutazione genetica di Forza Italia e della destra “moderata” (qui occorrerebbero decine di virgolette: in realtà non esiste più alcuna ipotesi “centrodestra” o “centrosinistra”, quanto un unico partito liberista articolato in due ceti politici concorrenti), Salvini&co raccoglierebbero oggi cifre elettorali ben sopra il 20%, difficilissime oggi da raggiungere su scala nazionale nonostante il vuoto lasciato dal berlusconismo decadente.

Tutto questo per dire cosa? Che bisogna conoscere il nemico, cogliendone materialisticamente ruolo e funzioni nella società. Oggi il famigerato “corso della storia” di hegeliana memoria (stiamo qui parlando dell’Europa, non di altri contesti) va in direzione della progressiva snazionalizzazione della politica, non verso rigurgiti reazionari-nazionalistici. La forza dei nazionalismi xenofobi non è data da loro intrinseche qualità/capacità di raccogliere il dissenso, ma dalla scomparsa della sinistra in Europa. Senza più strumenti per esprimere la propria naturale avversione allo stato di cose presenti, i ceti popolari del continente trovano in questi soggetti una forma di rifiuto verso la politica. Non è un caso che tali partiti fondano la propria forza, almeno elettorale, sulle classi impoverite: Trump negli Usa, Salvini e Grillo in Italia, il Front National in Francia, e via dicendo, insediano temporaneamente la propria base elettorale nel mondo del lavoro, tanto dipendente quanto proprietario impoverito. Questo non significa che “i lavoratori si sono spostati a destra”, ma che i lavoratori sono orfani di una rappresentanza, di un movimento reale, di un orizzonte di senso, e colmano questo vuoto optando, in forma ovviamente alienata e reazionaria, verso chi esprime, almeno a parole e attraverso atteggiamenti muscolari, questo rifiuto. Sono partiti che “vengono usati” per esprimere un bisogno di rottura, non perchè se ne condividono i punti di vista.

E questo, col “neofascismo”, non c’entra davvero un cazzo. Perché la base sociale neofascista non esiste, e laddove avesse una qualche marginale rilevanza, sarebbe materialisticamente e ontologicamente nemica degli interessi di classe: verso il neofascismo non ci può essere allora pietà, perché non dobbiamo “recuperare” nessun pezzo di società fuggito di senno e sedotto da quelle proposte politiche; la base sociale dei fenomeni reazionari di massa di cui sopra è invece *proprio quella* che dovremmo tentare di ri-organizzare, re-intercettando i suoi umori di classe, le sue istintive nemicità, le sue forme di resistenza esplicita e implicita, il suo rifiuto dello stato di cose presenti.

Ed è qui che vanno dispiegati gli strumenti politici adeguati al recupero potenziale: perché si possono e si devono combattere i soggetti reazionari, senza però con questo favorire quel “corso della storia” ordoliberista incarnato oggi dal Pd. Ed ecco, infine, perché il Partito democratico oggi è il principaleproblema oggi in Italia: perché la sua affermazione non sedimenta solo l’egemonia politica di un soggetto avverso agli interessi di classe, ma anche perché lavora in funzione di un rafforzamento delle ipotesi politiche reazionarie descritte come “unica opposizione” possibile all’ordine economico vigente. Un avvitamento da cui non se ne uscirà se non scardinando la normalizzazione politica, ricostruendo le ragioni della nostra esistenza politica.

Fonte: http://www.militant-blog.org/?p=13195

6 commenti per “L’incapacità di comprendere il presente: come criticare il M5S

  1. armando
    30 maggio 2016 at 13:58

    Lo sforzo d’analisi è encomiabile, e coglie anche nel segno su alcuni punti. Però:
    1) Perché la sx non riesce più a intercettare gli umori di classe? Solo x il tradimento dei “chierici” o vi sono ragioni strutturali ben oltre l’opportunismo politico?
    2)Sulla composizione sociale del S stelle osservo che i due soggetti: <> non è che confluiscano “ideologicamente” nel movimento da posizioni opposte, ma tendono sempre più a coincidere anche concretamente. Quanti ex dipendenti licenziati sono ora Partite Iva’ e quanti ex commercianti o artigiani sono anch’essi P. Iva, forme cioè di falsa imprenditorialità di se stessi? Tanti, credo.

  2. Rino DV
    30 maggio 2016 at 22:47

    Si dice (in filosofia della scienza) che la cosa più importante è porsi le domande giuste (=produttive di nuove ipotesi, modelli etc.). Ma ciò vale anche altrove. In sociologia e in scienza della politica, per esempio.
    La domanda di Armando è davvero una di quelle giuste.
    Perché la sinistra non cattura più il consenso delle classi inferiori?
    Il mio modello di spiegazione poggia su due assi:
    1- la liquidazione (=riduzione + frantumazione + disarticolazione), della sua base sociale storica: il proletariato urbano. Evento strutturale derivante dai nuovi sviluppi della tecnoscienza cui si è sommata la globalizzazione liberista, (fatto politico).
    2- l’evaporazione di ogni credibile ipotesi di trasformazione, di una qualsiasi forma pensabile di società alternativa. Fatto da imputarsi al fallimento/sconfitta del socialismo reale. Fine dell’utopia.
    .
    Ciò spiega perché nessun nucleo politico di sinistra riesca ad agglutinare attorno a sé più che microscopici manipoli di attivisti, cmq tutti membri dell’intelligentsia (de facto, nessun operaio/disoccupato).
    .
    Sono venuti meno i due fondamenti della sinistra.
    Il “tradimento dei chierici” è, ancora una volta, un’apparenza.
    .
    (Scomparsa del proletariato urbano) x (Fine dell’utopia) = Decesso della sinistra storica. Cioè della sinistra.
    Requiem aeternam.
    .
    …in estremissima – e provocatoria – sintesi.

    • Fabrizio Marchi
      31 maggio 2016 at 13:36

      Rispondo sia ad Armando che a Rino (il cui commento è successivo e conseguente a quello di Armando), con la necessaria premessa che stiamo affrontando in poche battute un tema che richiederebbe ben altro approfondimento.
      Armando chiede:” Perché la sx non riesce più a intercettare gli umori di classe? Solo x il tradimento dei “chierici” o vi sono ragioni strutturali ben oltre l’opportunismo politico?”
      Risposta. Naturalmente il tradimento dei “chierici” c’è stato ma non è quella la ragione principale.
      La Sinistra non riesce più ad intercettare gli umori di classe (delle classi subalterne) perché la Sinistra (S maiuscola e senza virgolette), in tutte le sue articolazioni ideologiche e politiche, semplicemente non esiste più. E cioè non esiste più quella Sinistra (sia essa comunista, socialista, socialdemocratica e anarchica, in tutte le loro articolazioni, correnti e sottocorrenti) che era il prodotto del Movimento Operaio.
      E non esiste più per le ragioni che ha molto sinteticamente ma puntualmente spiegato Rino, e cioè perché è venuta a mancare, in seguito ai processi di trasformazione da lui stesso accennati, la sua classe di riferimento, cioè il proletariato, e con esso il Movimento Operaio di cui la Sinistra stessa era figlia.
      Ciò non significa che la divisione in classi sia stata superata e che sia stata raggiunta l’eguaglianza universale. Tutt’altro. La divisione in classi (e relativa contraddizione di classe con relativo e strutturale conflitto, anche se oggi non espresso o addirittura negato o considerato un anticaglia del passato) è più viva e vegeta che mai, soltanto che il processo di frantumazione, disgregazione, disarticolazione, atomizzazione delle classi subalterne è stato talmente profondo e ampio al punto di scompaginare la “classe” e di disperderla in centomila rivoli, al punto di non avere la possibilità sia materiale che immateriale, sia fisica che psicologica, di riconoscersi in quanto classe (la famosa “classe per se”…). A tutto ciò bisogna aggiungere la potentissima offensiva ideologica che ha portato le persone appartenenti alle classi subalterne a smarrire completamente la loro soggettività, la loro coscienza e la loro identità di classe, finendo inevitabilmente per aderire al modello dominante che è quello capitalista, neo liberale e neoliberista. Mi esprimo in modo del tutto improprio ma sono certo che ci capiamo; potremmo dire che abbiamo assistito in questi ultimi decenni ad un processo di “imborghesimento” o di “borghesizzazione” di massa, non solo sociale ma culturale e piscologico, anche se l’utilizzo di questi termini è improprio, perché sappiamo che viviamo in una società ultracapitalistica e definita da alcuni postborghese, ma quello che ci interessa ora è capire la sostanza del discorso. Questa perdita di coscienza e identità di classe non deve stupirci più di tanto dal momento che l’offensiva ideologica (culturale, psicologica, mediatica ecc.) è stata potente al punto tale che non solo la grande massa delle persone ma anche tanti intellettuali, pensatori autorevoli, tanti ex militanti e dirigenti (parlo di quelli in buona fede non degli opportunisti) hanno finito con lo smarrire la bussola, per abbandonare la barca e per finire poi ad approdi diversi ma comunque innocui per il sistema dominante.
      Ora il problema qual è? Che è estremamente difficile, oggi, per le ragioni di cui sopra, cercare di ricostruire un punto di vista critico e di classe adeguato ai tempi. E non è un caso che l’assenza di questo punto di vista e quindi di un soggetto politico dotato di una “weltanschaung” credibile, spalanchi le porte al populismo, ai nazionalismi, ai particolarismi, agli “etnicismi”, a ideologie reazionarie, interclassiste, “vetero o neo borghesi” e molto spesso apertamente reazionarie, xenofobe, razziste e/o neo-fasciste. Ideologie che per ragioni che abbiamo spesso analizzato, fanno breccia proprio fra le classi popolari.
      Per cui ci troviamo in una situazione paradossale, e cioè che la “sinistra” attuale (che nulla ha a che vedere con la Sinistra o le Sinistre figlie del Movimento Operaio) è quella ritenuta – non a torto – più omogenea e funzionale all’attuale dominio capitalista, mentre la destra viene vista – a torto – da larghe masse popolari, come quella in opposizione al sistema, quando entrambe nulla altro sono se non un’espressione politica dello stesso dominio capitalista che si serve sia dell’una che dell’altra. Insomma, due piccioni, con una stessa fava. Si depistano e si disorientano le masse e le si riconducono più o meno docilmente nei diversi ovili dove sono controllabili e gestibili.
      Ora, il compito – immane – che abbiamo nel nostro piccolo anche noi – è quello di lavorare per ricostruire quel famoso punto di vista critico e di classe a cui facevo cenno sopra, e non per ragioni ideologiche, bensì perché se c’è la possibilità (e secondo me ci sarà, non so quando e come ma ci sarà) di andare verso un superamento dell’attuale dominio sociale, sarà solo e soltanto partendo dalle sue contraddizioni reali (la prassi) e non da astratte elaborazioni intellettuali.
      Un’ultima considerazione che voglio fare a voi due in particolare. Cari amici, per millenni masse umane sterminate sono venute al mondo e hanno vissuto sprofondate nell’oscurità abissale della loro condizione, senza un passato e senza il barlume di un futuro anche minimamente diverso dalla loro miserabile condizione, sprofondate in un eterno presente dove la loro condizione di subalternità assumeva la dimensione di una vera e propria condizione ontologica, e dove questa condizione, considerata eterna e immutabile, era interiorizzata a livello psicologico profondo (anche a causa di ideologie e/o religioni preposte a tale scopo). Noi siamo infinitamente più avvantaggiati rispetto a quelle masse sterminate e oscure, perché abbiamo, rispetto a loro che non avevano nulla, un grande precedente alle nostre spalle, in parte sconfitto e in parte fallito, è vero, ma l’abbiamo. E non è stato roba da poco.
      Quindi, non lasciamoci travolgere dal pessimismo radicale, dall’ideologia della fine della storia. Quel grande tentativo è fallito, è vero, ma cosa sono trenta o quaranta o cinquant’anni rispetto ai tempi della storia? Nulla. I contadini guidati da Muntzer e ancor più gli schiavi guidati da Spartaco non avevano nulla alle loro spalle eppure hanno fatto quello che hanno fatto. E noi che facciamo? Ci facciamo irretire o paralizzare psicologicamente (e politicamente) da una trentina d’anni di offensiva ideologica neocapitalista?

  3. Rino DV
    31 maggio 2016 at 17:14

    E’ vero che l’assenza di una prospettiva di mutamento può risultare accasciante.
    D’altra parte, non si può evitare di descrivere ciò che di fatto si vede, o almeno, ciò che par di vedere. Va ammesso infatti che ci si può sbagliare e in ogni caso che il futuro è aperto.
    Seguiamo dunque la regola aurea: mai fare previsioni …sul futuro.

  4. armando
    1 giugno 2016 at 13:13

    Oltre il pessimismo e gli accasciamenti, che pure nascono dalla realtà in atto, oltre il fatto inoppugnabile del frazionamento/spappolamento sociologico del proletariato, occorre capire se e in che misura quello spappolamento è solo sociologico e ideologico, o anche strutturale, nel senso anche di classe in sé. Il punto è che il proletariato urbano di Marx era tale in quanto legato alla fabbrica, alla produzione materiale, al pluslavoro che produceva plusvalore. E, come il proletariato, anche il capitale era legato ad identica determinazione. Se oggi il lavoro vivo (è quello e non il lavoro morto cristallizzazione del lavoro vivo passato) è sempre in quota minore in ogni prodotto, se il capitale è essenzialmente capitale circolante, che principalmente nella circolazione si riproduce, si allarga e produce profitto (il capitale finanziario, carta ma ormai segno virtuale con tutta la sua immane superfetazione che cresce su stesso ma non su basi reali) , se il capitale ha conservato la sua propria forma ma non la sua propria sostanza, per dirla in altri termini si è autonomizzato da se stesso, allora qualcosa è davvero mutato in profondità, strutturalmente e non solo come autopercezione (perseità). tanto nel proletariato (ex) quanto nella borghesia (ex). Se non se ne afferrano tutte le implicazioni sui diversi piani, da quello della lotta di classe concreta (x cosa la lotta?) a quello ideologica (impossibilità di una vera controcultura operaria, e non per caso sono di gran moda gli indignati a-ideologici tipo 5 stelle), per finire ai rapporti internazionali e addirittura alla necessità di ridefinizione del capitalismo in quanto tale (e sia chiaro non in meglio), allora proprio non ne usciremo. Per procedere a questa difficile opera di studio e di riclassificazione, penso che le vecchie categorie della politica se non debbano essere dimenticate (per la loro storia e per ciò che hanno voluto dire nell’analisi del capitale), tuttavia vadano riaggiornate profondamente, e con esse il modo di approccio proprio alla politica. Mi fermo per cause di forza maggiore, ma riprenderemo l’argomento con un esempio storico “scandaloso”.

    • Fabrizio Marchi
      1 giugno 2016 at 17:00

      Non sono d’accordo. Il capitalismo è comunque estorsione di plusvalore. Il fatto che oggi, in questa fase storica, il capitalismo finanziario abbia un peso e un ruolo maggiore rispetto al capitalismo cosiddetto “produttivo” (fondato comunque strutturalmente sull’estorsione di plusvalore) non comporta nel modo più assoluto la fine delle contraddizioni, e quindi del conflitto, di classe (a parte il fatto che questo e quelle esistevano anche prima dell’avvento del capitalismo…).
      Certo, oggi molti capitalisti si arricchiscono sul denaro, attraverso la speculazione finanziaria, cioè comprando e vendendo denaro, che finisce nelle loro tasche, non viene certo redistribuito e molto spesso neanche reinvestito in attività produttive ma in beni, proprietà oppure ancora in altro denaro ecc. Ma ce ne sono molti altri, penso alle grandi multinazionali che continuano ad estorcere plusvalore nei modi “tradizionali”, cioè sfruttando la manodopera in tutto il globo, delocalizzando e aprendo fabbriche e aziende di ogni genere dove il costo del lavoro è molto basso o comunque infinitamente più basso rispetto a quello delle “metropoli”, e dove governi “amici” consentono loro di arricchirsi oltre misura, grazie a tassazioni irrisorie o addirittura, come spesso accade, aggirando completamente il fisco, e naturalmente reprimendo in modo molto duro la conflittualità sociale. E che dire poi dell’enorme sfruttamento delle risorse non solo umane ma di materie prime, che quelle stesse multinazionali, grazie alle loro braccia armate (leggi apparati e stati imperialisti) operano in tutto il mondo?
      Ciò detto, il fatto che il lavoro vivo sia in quota minore o molto minore rispetto al prodotto in confronto al passato, non modifica di una virgola il meccanismo di estorsione di plusvalore. La differenza è che rispetto a prima ci sono molti meno occupati, e infatti stiamo andando, anche abbastanza velocemente, verso una società dei due terzi (inoccupati, sotto occupati o precari, più o meno qualificati) e di un terzo (occupati) e naturalmente di una minoranza di ricchi e/ricchissimi. Ma questo non cambia assolutamente nulla. Il fatto che oggi il plusvalore relativo prevalga su quello assoluto non cambia di una virgola il meccanismo. Si riduce in modo impressionante la massa dei lavoratori occupati, grazie o a causa delle trasformazioni tecnologiche che hanno portato ai processi di automazione e ristrutturazione del lavoro che hanno creato a loro volta un esercito di precari-disoccupati-sottooccupati, comunque sfruttati. Ma non è che il profitto ricavato dalla “nuova” organizzazione capitalista del lavoro viene redistribuito fra questi ultimi. Al contrario. Quello che è avvenuto è che questi profondi processi di ristrutturazione del capitalismo hanno portato alla distruzione della classe operaia della grande fabbrica (anche se non del tutto, ma diciamo che ha perso la sua centralità rispetto a prima) come tradizionalmente la intendevamo, e alla costruzione di un corpo sociale ultra frammentato, composito, variegato, ma comunque subalterno e sfruttato. Anzi, da un certo punto di vista questa sorta di gigantesca “marmellata” sociale se la passa anche peggio di come se la passano gli operai di fabbrica perché per lo meno questi mantengono in linea teorica la possibilità di organizzarsi (anche se l’offensiva padronale è stata durissima anche sotto questo profilo), se non altro perchè stanno a contatto gli uni con gli altri nello stesso luogo di lavoro. Quegli altri invece sono veramente alla mercè del mercato e se ancora la contraddizione non è esplosa in maniera dirompente, è anche e forse soprattutto perché le famiglie fanno da ammortizzatore sociale. Se non ci fosse il sostegno familiare che va a sopperire alle carenze di uno stato sociale sempre più in via di smantellamento e alla mancanza di un lavoro decente e stabile, la situazione potrebbe diventare esplosiva, comunque assai preoccupante.
      Poi che l’attuale società capitalista abbia creato nuove contraddizioni (e sappiamo di cosa stiamo parlando…) non c’è alcun dubbio, ma la sua natura profonda, non si modifica di un millimetro. Il problema oggi, fra gli altri, è come riuscire a ricomporre questa massa di subordinati occupati o inoccupati, questa melassa all’interno della quale c’è un po’ di tutto, che ha smarrito completamente la propria identità a tutti i livelli (non solo di classe, a mio parere la questione è ancora più profonda, figuriamoci un pò…) e che versa in una condizione di abbrutimento complessivo, anche se il più delle volte non ne è neanche cosciente. Come abbiamo già detto, da questo punto di vista, il “lavoro ideologico” fatto dal sistema dominante attraverso una serie di strumenti è stato fenomenale.
      In conclusione, attenzione a non confondere le trasformazioni sociali avvenute con un presunto cambiamento strutturale del sistema capitalista. Sono due aspetti differenti. Il capitalismo non potrà mai essere qualcosa di diverso, per definizione, dall’estorsione di plusvalore e quindi dall’accumulazione di capitale nella mani di alcuni a discapito di altri. Che poi questa estorsione avvenga con modalità e forme parzialmente diverse rispetto a come avveniva quaranta anni fa, è un altro discorso. Poi, come ben sappiamo, ci sono contraddizioni nuove che nessuno oggi, men che meno l’attuale “sinistra”, vede o vuole vedere. Ma questo è un altro discorso ancora. Il capitalismo crea le sue contraddizioni, vecchie e nuove, ed è da quelle che bisogna partire o ripartire per criticarlo.

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