L’uomo in loden blu

Anno sesto dell’era Covid (ovvero dopo Covid, come mugugnano a bassa voce gli scontenti): a pomeriggio inoltrato il centro cittadino è battuto da un vento impetuoso, ma il cielo limpidissimo è un preannuncio di primavera. Il calendario suggerisce che sia giovedì grasso, ma s’inganna: da tempo oramai le ricorrenze sono ridiventate giorni come gli altri, se non peggiori. Vie e piazze appaiono semivuote: bimbi solitari, guardati a vista da madri inselvatichite, lanciano timide manciate di coriandoli al nulla. Ci pensa la bora a spargere i cerchietti colorati in tutte le direzioni e a farli sparire. Poche le maschere, onnipresenti le mascherine. Vanno di fretta i rari passanti, fissando ingrugniti il lastricato, e non degnano di uno sguardo gli onnipresenti pannelli luminosi che ripetono messaggi mandati a memoria da un pezzo: “Indossate sempre il vostro dispositivo di protezione e mantenete distanze interpersonali di almeno 3 metri: ne va della vostra salute!”
Niente da dire: le regole vengono scrupolosamente rispettate – commenta tra sé un uomo di mezza età, avvolto in un loden blu. Ha il bavero alzato, la sdrucita mascherina azzurra gli protegge un po’ il naso dal freddo pungente. Si ferma ai piedi della vecchia fontana dei continenti per osservare la grande piazza sul mare e l’orizzonte definito da cime biancheggianti. Bello – riflette – ma è quasi uno scialo… Ristà, accendendosi a fatica una sigaretta, indifferente all’occhiataccia rivoltagli da una donna che accelera il passo trascinando le borse della spesa. L’uomo indovina che quei sacchi di nylon contengano prodotti scontati, a poco prezzo. La gente si è impoverita, intristita… ma pure incarognita. Le onde strepitano furiose sul molo, infradiciando le bitte corrose dagli anni: proprio la tempesta perfetta – mormora – ripescando pigramente un’espressione abusata.
Riprende il cammino, diretto verso i vicoli di Cittavecchia. Le facciate sono linde, tirate a nuovo, anche se allo sguardo attento non sfuggono crepe recenti: a mancare è un unico ingrediente – la vita. Innumerevoli le saracinesche abbassate da baristi, ristoratori e negozianti che, dopo una rabbiosa resistenza, si sono arresi. D’altra parte, norme o non norme, la clientela si era man mano diradata fin quasi a svanire nell’aria. “Restate a casa!” – consiglio o comando che fosse (dipendeva dalle stagioni e dai picchi ricorrenti) è stato (e)seguito. “Niente sarà più come prima”: la promessa è stata mantenuta anche se – a ripensarci – si trattava piuttosto di una minaccia. Oggi i lavoratori sono tutti agilissimi: a disposizione dalle otto di mattina alle otto di sera, ma con gli stipendi decurtati dal contributo di solidarietà del 20%. Annunciando la misura quattro anni prima l’allora premier aveva fatto appello al senso di responsabilità dei “garantiti”: «Rinunciamo tutti, di buon grado, ad un po’ di superfluo per assicurare il necessario a chi non ha le nostre stesse tutele». Tutto giusto… ma di introdurre nuove, mirabolanti tutele nessuno si è poi ricordato: nel quotidiano diluvio di leggi e decreti non hanno mai trovato un pertugio libero. Quelle vecchie e residuali, in compenso, sono pian piano scomparse. L’uomo in loden scuro sa di essere descritto come un privilegiato: è un piccolo dirigente pubblico, anche se smagrita la paga mensile gli consente di tirare avanti.
Oggi ha preso ferie: non aveva voglia di starsene seduto per dodici ore filate davanti allo schermo di un computer. Fin dalla giovinezza ha sempre odiato quelle “trappole” a transistor, ma sa di appartenere a una specie in via di estinzione: ormai persino le feste e gli incontri conviviali si svolgono “da remoto”, una locuzione entrata nel lessico comune. L’ultimo Capodanno un conoscente gli ha proposto un party virtuale: ciascuno si sarebbe collegato a mezzanotte meno un quarto con tartina o dolcetto e bottiglia di spumante da stappare. «Un bel modo di festeggiare assieme, in linea con i tempi!», ha soggiunto ammiccante. L’uomo in loden – che per S. Silvestro indossava una tuta – ha respinto schifato l’invito, accolto però con entusiasmo da altri. Gli è toccato perfino giustificarsi: «Ottima pensata, ti ringrazio… ma sai che vado a dormire presto per svegliarmi all’alba, così posso regalarmi una passeggiata quando non c’è in giro anima viva. Ci saranno altre occasioni». Ha fatto mezzanotte da solo, leggendosi un libro e centellinando una bottiglia di rosso.
Una vetrina vuota, ma lustra gli restituisce il suo avvilente ritratto: occhi cerchiati e acquosi circondati da un intrico di rughe, la maschera pietosa cela alla vista la pappagorgia. Scuote il capo con dolente irritazione: lo specchio, d’altronde, non è annoverato fra gli amici dell’uomo. Lo spettacolo che lo attornia non è meno deprimente: intonaci sgargianti a parte gli sembra di essere tornato negli anni ’80. Quella zona, vivacissima negli ultimi lustri, si è ridotta a un quartiere dormitorio: gatti guardinghi e spelacchiati popolano le stradine. Un unico bar aperto: il tizio entra, sentendosi quasi uno spudorato. Bersi un caffè oppure uno spritz è ancora consentito (non sempre: dipende dai “colori”), ma bisogna farlo in fretta e furia per evitare i famigerati e vietatissimi assembramenti. Lui ordina un calice di sauvignon, che il gestore gli serve con malagrazia: all’interno soltanto due avventori, uno dei quali se ne sta impalato dinanzi a una macchinetta, lo sguardo perso nel vuoto. Il televisore è spento, non vola una mosca. Il funzionario sorbisce la sua bevanda sovrappensiero, estrae due monete dal borsellino ed esce senza salutare.
Il vaccino avrebbe dovuto essere il toccasana: illusione, anche se a Roma – tanti anni prima – lo avevano accolto come un Capo di Stato. Il “miracolo di Natale” veniva da chissà dove, e agli scopritori aveva fatto guadagnare un sacco di milioni (miliardi?): provvidero le mutazioni del virus a renderlo inutile o quasi. Con la variante isontina dovremmo essere già alla centesima – calcola mentalmente il nostro. La vaccinazione però resta obbligatoria: gli scienziati, perennemente attivi in tivù, sostengono diminuisca – seppur di poco – il rischio di contagio. Del venticinque per cento, asseriscono… perlomeno è gratuito, a differenza dell’accesso alle altre cure. Il nuovo Capo del Governo, un acclamato ex (?) banchiere, ha richiamato tutti alla realtà: «Spiace prendere atto che in queste condizioni una sanità pubblica generalizzata non possiamo più permettercela: c’è una montagna di debito da ripagare e i conti devono tornare in ordine. L’Europa ci ha generosamente aiutato – ha soggiunto grave il grand’uomo impeccabilmente vestito – ma ora è venuto il momento di rispettare gli impegni presi. Chi può si faccia un’assicurazione sanitaria, dei poveri ci occuperemo noi… a condizione che si rendano utili alla società svolgendo lavori magari modesti, ma indispensabili. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità», come sempre.
Pur tentato da mille, suadenti profferte telefoniche il nostro funzionario ha tenuto duro, non stipulando alcun vantaggiosissimo contratto: è una questione di principio, ama ripetere a colleghi che lo guardano come se fosse un marziano, un folle. «Il mondo va così, è essenziale adeguarsi rapidamente e senza fare troppe storie. Abbiamo vissuto tutti al di sopra delle nostre possibilità, oggidì bisogna mostrare… resilienza. Per noi, in fondo, è un modesto sacrificio ed è anzi doveroso dare il buon esempio…» l’ha rimbrottato con una certa severità il suo capo, che malgrado il taglio stipendiale si mette in tasca centocinquantamila euro l’anno. I lockdown a intermittenza fanno meno paura se si abita una villa con piscina.
Lui comunque non ha ribattuto, non gli pareva il caso: è conscio che, se dovesse capitargli qualcosa di serio, potrebbe solamente rivolgersi a un dio in cui manco crede. Accetta il prezzo: dopotutto gli anni migliori – quelli sopportabili – sono alle spalle, non ritorneranno mai più. Timbra il cartellino e aspetta che giornata e proiezione finiscano. E’ subentrata la rassegnazione, che condivide con l’infinità di persone che, rinserrate tra quattro mura anguste, attendono apatiche che il destino o la depressione abbiano il sopravvento.
In una viuzza scorge finalmente qualche presenza umana: un vigile di pattuglia sta scrutando, con cipiglio severo, i permessi di soggiorno di due mediorientali, che non esibiscono un’aria granché preoccupata. Uno degli stranieri ha un sorriso strafottente dipinto in faccia: la mascherina l’avrà dimenticata da qualche parte. L’ultracinquantenne non sa se indignarsi o simpatizzare per lui: saranno pure pecorai in cerca di fortuna, ma noi siam pecore e basta. Oltrepassa il capannello, sbuca sulle rive: anche qui locali vuoti e porte sprangate, un’auto della polizia sta in agguato accanto a un semaforo. Dai colli istriani si è levata argentea una falce di luna.
L’uomo in loden calpesta senza volerlo una stella filante di colore viola, poi si incammina lentamente verso il molo, incurante degli spruzzi sollevati dalla bora: nessuno ad ostacolargli il passo, nemmeno il virus.

QUANDO LA FOTOGRAFIA ERA IN BIANCO E NERO

Fonte foto: La panchina di Mariella – ForumFree (da Google)

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