Il nuovo orizzonte critico di Costanzo Preve

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Oggi ho risposto ad un compagno che identificava Costanzo Preve nel campo del rossobrunismo,  esaltandolo per tale motivo. Ho risposto in questo modo, chiarendo in modo netto il mio grande giudizio di valore sul pensiero di Preve :

Se hai letto bene Preve arrivi a comprendere senza particolari difficoltà come con i  cosiddetti “rossobruni” non abbia alcuna attinenza, nè sotto il profilo della  sua analisi  critica, nè sotto il profilo del suo indirizzo programmatico, anche se indubbiamente le sue ultime riflessioni sono intessute di un  rammarico e di una carica polemica fortissima verso una sinistra sempre più  subalterna all’ orizzonte culturale del sistema dominante.

Sono semmai  i cosiddetti ” rossobruni ” ad utilizzarlo come riferimento per darsi una fisionomia più determinata, nel momento in cui hanno, e giustamente, deciso di spostarsi su un campo realmente antimperialista e anticapitalista, scaricando definitivamente l’ esperienza fascista, arrivando finalmente ad interpretarla, dopo decenni di confusione, per quello che è stata, e cioè un  movimento reazionario di massa costruito in tempi di seconda rivoluzione industriale che, nella sostanza, è stato, con la sola eccezione del primo Peronismo, subalterno agli interessi del capitale.

Costanzo Preve sta ben  oltre, in un nuovo orizzonte di critica antropologica, in cui il tema chiave e’ la  presa d’ atto che la coscienza morale collettiva è da considerare come un baluardo reale alla omologazione capitalistica di massa, in cui il vero pensiero forte alternativo all’ individualismo ed al conflitto darwiniano, che il capitalismo alimenta come struttura vitale del suo essere storico, è l’ etica sociale di impronta Cristiana, e la visione esistenziale della spiritualità umana rappresenta il crinale di resistenza ai valori relativistici della logica di mercato.

La resistenza della coscienza interiore diviene per Preve una vera contraddizione reale interna dei processi di omologazione dei comportamenti sociali e dei modelli culturali di massa.

Il nocciolo di approdo di Preve è quindi semmai parallelo alle analisi sociali del concilio Vaticano II, allo spessore etico della teologia della liberazione ed alle ultime  riflessioni sul foro interiore  della coscienza intima degli individui, svolte dal  cardinale Martini come risposta alla vuota luccicanza valoriale liberista, e  non è  certamente roba rossobruna degna di quel cocainomane puttaniere esteta e parassita sociale di D’Annunzio .

Non è la volontà di potenza individualista ma l’imperativo categorico Kantiano come forma interiore dell’ individuo, ad essere al centro della riflessione di Preve, che torna alle radici di un umanesimo Socialista e Cristiano come trincea da cui ripartire per la ricostruzione di un grande pensiero forte alternativo al sistema, ponendo in secondo piano il materialismo dialettico che giustamente considera non essenziale nella critica economica e sociale di Marx .

Non a caso Preve rivaluta  al massimo livello il lavoro preziosissimo di coniugazione filosofica e politica tra Marxismo e Cristianesimo compiuto molti anni prima  da Giulio Gerardi agli albori degli anni 70.

Su Preve purtroppo si fa sempre confusione. Preve è un pensatore serissimo ed utilissimo. Sono i rossobruni che se ne vorrebbero fregiare, che fanno solo casino e finiscono per indebolirne lo spessore.

Preve non rappresenta quindi la fine del marxismo nel suo materialismo storico  ma  una estensione, assolutamente innovativa, del concetto di contraddizione reale  ai processi sovrastrutturali, ed allo sviluppo della coscienza sociale ed etica come fattore strutturale e persistente delle comunità umane

Si tratta di un tentativo titanico fatto da un vecchio innamorato di Karl Korsch.

Franco Bartolomei (Segretario di Risorgimento Socialista)

Il sovranismo filosofico di Costanzo Preve – Appello al Popolo

6 commenti per “Il nuovo orizzonte critico di Costanzo Preve

  1. Gianni Sartori
    7 Luglio 2022 at 22:26

    Sollecitato dall’articolo, ho ripescato (“riesumato”?) questa breve, antica intervista (del 2007) a Costanzo. All’epoca NON l’avevo pubblicata (come autocensura?) e onestamente, soprattutto dopo la sua scomparsa, mi ero sentito un poco il “commissario politico” di me stesso. La butto lì come contributo alla discussione (e comunque mi sembra che ci sia una grossa differenza tra la sofferta parabola di Preve e quelle dei suoi epigoni ed estimatori)

    Intervista con COSTANZO PREVE, un filosofo “fuori dal coro” o un caso di disgregazione della Sinistra?
    (Gianni Sartori da Torino, 2007)
    Costanzo Preve, filosofo e autore di decine di libri, è nato a Torino nel 1943. Ha studiato in Francia (“con una borsa di studio”, sottolinea) e si è laureato nel 1967. Racconta di “essere diventato un socialista, un comunista utopista a venti anni, anche per reazione alla famiglia piccolo-borghese, impiegatizia, legata allo spirito-Fiat e al conservatorismo sociale del tempo”. Molteplici le esperienze politiche: la gioventù comunista francese, il PCF, la partecipazione alla Resistenza greca dal 1967 al 1974 (anche se, precisa, “in maniera subalterna”). E poi, in Italia, il PCI, Lotta continua, Democrazia proletaria.
    Questa è stata la sua ultima “esperienza di partecipazione organizzata”. Dal ’92 “compagno di strada” per qualche anno di Rifondazione (ma non iscritto) e poi la scelta attuale del “non voto”, di considerarsi “un allievo indipendente di Marx e un libero ricercatore”.
    Uno studioso, quindi e come tale vorrebbe essere conosciuto e ricordato. E non solo di Marx perché “naturalmente non è l’unico mio maestro”. Un intellettuale “non gramsciano, perché l’intellettuale non deve essere organico a priori”. L’intellettuale, secondo Preve, dovrebbe “ produrre ciò che ritiene essere vero nella sua ricerca”. Marx ha scritto il Capitale “per suo piacere, perché non poteva non farlo. Se quello che ha scritto è poi servito al proletariato, meglio così. Allo stesso modo Pasteur non ha fatto le sue ricerche perché voleva essere utile; lo ha fatto spinto dal desiderio della scienza; successivamente le sue ricerche sono servite a milioni di persone…”. Naturalmente “la mia stima personale e morale per Gramsci rimane inalterata, pur avendo un dissenso di carattere filosofico nei suoi confronti”.
    Costanzo Preve è ben conosciuto anche nel vicentino dove, insieme all’economista Gianfranco La Grassa, ha partecipato a numerosi incontri e dibattiti organizzati dal “Collettivo Spartakus” e da “Punto Rosso”.
    Il filosofo torinese rivendica (v. un’intervista su “Indipendenza”, agosto 2007) la sua recente collaborazione con alcune riviste della “destra radicale” (“Eurasia”, “Comunitarismo”, “Edizioni all’insegna del Veltro, Edizioni Settimo Sigillo…) come una scelta di libertà per l’espressione delle sue idee a prescindere dai luoghi.
    Soprattutto perché “nel frattempo qualcosa è cambiato. C’è stata la guerra Usa contro l’Iraq del 2003. Chi non ha capito che da allora qualcosa di strategico è veramente cambiato nel mondo, e crede di lavarsene le mani denunciando il feticcio di un presunto “anti-americanismo” da cui tenersi virtuosamente lontani, non coglie e non può cogliere, a mio avviso, i dati storici nuovi del problema. Nel mio piccolo, io credo invece di averli colti”.
    Da questo nuovo scenario deriverebbe la sua “adesione a due concetti di fondo. Primo, al concetto di legittimità della questione della geopolitica. Secondo, ad una versione puramente difensiva della geopolitica eurasiatica, cui personalmente non aggiungo nessuna componente etnico-culturale sovrapposta alle singole nazionalità”.
    Per quanto riguarda il comunitarismo, il suo riferimento non sarebbero le correnti di destra che si ispirano a Jean Thiriart (fondatore di Jeaune Europe a cui aderì anche Claudio Mutti) ma piuttosto i “communitarians” americani come Mc Intyre (peraltro giudicato troppo “liberale”).
    Personalmente rispetto le posizioni di Preve, anche se leggendo alcuni articoli pubblicati dalla stampa comunitarista ho provato un certo disagio.
    Sembrava di risentire certi proclami di Terza Posizione o dei “nazional-popolari” del Fronte Nazionale di Tilgher (poi diventati “Fronte Sociale Nazionale”, se non sbaglio). Mi riferisco in particolare a “Comunità e Resistenza”, organo di “Comunità politica di avanguardia” che distribuisce in rete gli adesivi in onore dello sceicco Ahmed Yassin, fondatore di Hamas.
    D. In quanto esponente di “Iraq Libero” e del “Campo antimperialista”, cosa pensa della guerra in Iraq? Come giudica il ruolo dei movimenti occidentali (pacifisti, No-global…) che si oppongono al “nuovo ordine mondiale” imposto con le armi?
    R. Intanto voglio precisare che considero “Iraq Libero” un esempio di solidarietà antimperialista, ma non un’esperienza organizzativa o un tentativo di costituire un nuovo partito comunista.
    La guerra contro l’Iraq del 2003 è la quarta guerra dopo la fine del bipolarismo; anche questa, come la prima del ’91, la guerra contro la Yugoslavia e quella in Afghanistan è stata resa possibile dalla fine del vecchio ordine bipolare Usa-Urss. Il vecchio ordine non aveva certo impedito le guerre (Corea, Vietnam…), ma sempre dentro ad un preciso confronto ideologico oltre che geopolitico. Per questo ero favorevole all’Urss (anche se con Marx non c’entrava niente), per il ruolo che svolgeva sul piano geopolitico.
    La resistenza del popolo iracheno sta impedendo la 5° guerra del nuovo ordine mondiale (un riferimento all’Iran ndr). Considero quindi insufficienti le posizioni dei vari pacifisti, cossuttiani, bertinottiani, No-global…A mio avviso bisogna riconoscere che la lotta del popolo iracheno è legittima e storicamente positiva, proprio perché finora ha impedito agli Usa di intraprendere nuove guerre.
    D. Le elezioni palestinesi nel 2006, la vittoria di Hamas, gli scontri tra fazioni palestinesi… hanno rimesso in discussione l’ipotesi di uno “stato palestinese”. La ritiene ancora plausibile o si profila la nascita di un sistema di “bantustans”, analoghi a quelli dell’apartheid sudafricano?
    R. Resto del parere che Israele intenda espellere il popolo palestinese dai territori occupati, trasformando la Giordania in Palestina.
    Ma questo è il “programma massimo”, al momento non realizzabile per ragioni sia internazionali che demografiche. E’ un progetto che riguarda tutti gli schieramenti israeliani, sia i laburisti che il Likud, con l’eccezione di alcuni gruppi pacifisti minoritari.
    Quindi la strategia alternativa è quella di fare i bantustans con i Palestinesi che vivono di lavoro nero (in Israele) per poi svuotarli gradualmente con pressioni di carattere economico. Non mi sembra che questo governo intenda realizzare la “Road map” per ritornare alla situazione del 1967, altrimenti l’avrebbe già fatto con Abu Mazen. Quello previsto per i Palestinesi è il 30-40% della vecchia West Bank (di prima del ’67), ossia il 15% di quella che era originariamente la Palestina. E con i muri che rosicchiano altro territorio.
    D. A questo punto qualcuno potrebbe fare l’equazione antisionismo uguale antisemitismo…
    R. Considero l’antisemitismo un fenomeno volgare, barbarico, tribale…E’ talmente ovvio che mi sembra quasi vergognoso doverlo dire.
    Tornando alla domanda, avevo giudicato positivamente la vittoria di Hamas. Si tratta di un movimento socialmente sano in cui il fondamentalismo religioso è un aspetto del tutto secondario rispetto a quello popolare. Hamas rappresenta il rifiuto del popolo palestinese di farsi cancellare.
    Inoltre porta avanti un modello solidaristico, non individualistico. Poco importa se questo modello scaturisce da una matrice religiosa e non laica.
    D. Pensando alla sua collaborazione con i comunitaristi e con la rivista “Eurasia”, qualche considerazione sull’ipotesi di un’Europa unita (da Dublino a Vladivostok…) in alternativa agli Usa. Non c’è il rischio di alimentare un imperialismo europeo?
    R. Ho collaborato con la rivista, “Eurasia”, che viene infangata come “di estrema destra”. In effetti è stata fondata da alcuni intellettuali di destra (come Claudio Mutti), ma io vi scrivo perché considero molto importante definire una geopolitica europea non subalterna agli Usa. Naturalmente vorremmo un’Europa federale e democratica che lasciasse spazio ai piccoli popoli (baschi, bretoni, catalani…) e non un imperialismo europeo. Ma non vorrei che la paura dell’eventualità di essere imperialisti ci paralizzasse al punto tale di non volere nemmeno un’Europa indipendente. Oscillanti tra due mali, come l’asino di Buridano, rischiamo di non scegliere. In Europa gli imperialisti attualmente sono filoamericani; tutte le forze economiche, politiche, ideologiche che sostengono la globalizzazione sono filoamericane. Al momento attuale il problema di una eventuale Europa non filoamericana ma imperialista è astrattamente possibile, ma concretamente improbabile.
    D. Quale Paese rappresenterebbe maggiormente la volontà di indipendenza europea?
    R. Sicuramente la Francia. E’ quasi l’unico paese europeo con un minimo di dignità nazionale (anche se in maniera talvolta incerta, contorta), indipendente dagli Usa sul piano culturale e spirituale. Pensiamo alla posizione di Chirac nel 2003, al momento della guerra contro l’Iraq.
    In seguito (per esempio sulla questione della Siria e del Libano) anche la Francia si è allineata con gli Usa, confermando che talvolta i francesi non osano essere all’altezza di quello che vorrebbero fare.
    L’altro Paese europeo che giudico relativamente indipendente è la Grecia ma è piccola, marginale e conta poco.
    D. Cambiamo argomento. Lei è un profondo conoscitore del marxismo e di altre “visioni del mondo” legate alla lotta di classe. Una sua opinione sull’anarchismo?
    R. Il mio giudizio filosofico sull’anarchismo è sostanzialmente molto positivo. Esprime una tendenza umana all’autogoverno, all’autogestione al di fuori degli apparati di stato. Personalmente non sono anarchico perché mi accontenterei di uno stato autenticamente democratico. Ritengo che il potere sia sempre un male, ma talvolta è un “male necessario”, come le medicine. Spesso fanno anche male, ma talvolta sono necessarie per sopravvivere. Non credo ad uno stato completamente senza legge, alla possibilità umana di autogestirsi integralmente, al di fuori di un apparato normativo. Non condivido quindi l’utopia anarchica, ma l’anarchismo rimane ovviamente una delle utopie migliori. La definirei un’idea regolativa, nel senso kantiano.
    Gianni Sartori (2007)

  2. Panda
    9 Luglio 2022 at 16:09

    Concordo che l’accusa di rossobrunismo sia una fesseria, ma Preve cristiano kantiano direi proprio di no: era ateo e i suoi autori erano Hegel, Marx, Lukacs, Kosik, Bloch, Aristotele, certamente non Kant, per cui aveva parole molto (per me fin troppo) dure.

    • Fabrizio Marchi
      9 Luglio 2022 at 16:30

      Sono d’accordo, Preve era un hegelo-marxiano e lucacciano ma con Kant non c’azzeccava nulla o quasi. E’ un’interpretazione forzata di Preve. Comunque va bene così.

    • Silvio Andreucci
      10 Luglio 2022 at 15:22

      Ritengo che il termine ” rossobruno” sia oltreche’ generico, dispregiativo, un termine fabbricato dalla sinistra liquida radicalchic per gettare fango sui socialisti e comunisti che non vogliono dissociare l’ internazionalismo socialista dal concetto di patria e sovranità nazionale.
      Così Costanzo Preve, Diego Fusaro suo allievo, Marco Rizzo, Fulvio Grimaldi hanno subito e subiscono l’ accusa di essere ” rossobruni”.
      Preve da antifascista convinto aveva rifiutato una vacua retorica ” antifa” una volta defunto il fascismo storico, mentre riteneva che l’ avversario geopolitico principale ad un ordine multipolare fossero gli Usa; l’ euroasianesimo come ordine geopolitico ideale per co trastare lo strapotere Usa e garantire un pluriversum cioè un ordine multipolare

      • Panda
        11 Luglio 2022 at 21:22

        Sei perfino troppo generoso, Silvio: l’insulto è riservato a chiunque rifiuti di considerare internazionalismo il cosmopolitismo borghese. Uno di questi soggetti mi faceva l’elogio di Spinelli, “vero rivoluzionario”: uno che nei suoi diari racconta di essere andato col cappello in mano alla CIA. E da allora, direi, come sempre, su influsso americano, dove c’è gente pronta a darti del “literal nazi” se non usi i pronomi scelti dall’interlocutore, la situazione è solo peggiorata.

        Presupposto fondamentale dell’odierno “antifascismo”, oltre ovviamente a una sua grottesca banalizzazione (i fascisti non “misgenderavano” la gente: la pestavano e ammazzavano), è la rimozione del legame strutturale tra fascismo e capitalismo.

        Insomma, di certi accusatori e dei loro insulti mi preoccuperei poco.

  3. Giuseppe Casamassima
    27 Novembre 2023 at 9:23

    Rossobruno è un’etichetta farlocca come gli ambienti che l’hanno inventata.
    Tuttavia, nella sua operazione politico-culturale, Preve finisce per essere reazionario, perché oppone all’ idea-guida marxista e progressista del Comunismo quella utopistica e premoderna del “comunitarismo”. È un’idea che già nell’ Europa preindustriale fu formulata dalle forze sociali che volevano arrestare il movimento della Storia. E queste forze edulcoravano il “comunitarismo” con i tratti della filantropia, dell’amore cristiano ecc. Quindi Preve ripropose solo una vecchia idea reazionaria, di stampo proudhonista.

    Preve snaturò il marxismo separandolo dalla sua linfa vitale che è la dialettica logico-storica (non materialistica/idealistica !). Fusaro tentò di dar prosieguo all’ operazione reazionaria di Preve, manipolando il marxismo.

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