Il PD delle liquidità

Ancora una volta il PD dimostra di essere il partito del mercato, e non solo a difesa del mercato, ma è esso stesso una azienda sul mercato elettorale. L’ideologia politica e il progetto che ne consegue sono stati sostituiti  dalla logica del mercato. Il partito  nelle molte  mutazioni fonetiche con cui ha cambiato nome per garantirsi  visibilità e sopravvivenza in funzione del mercato e del bacino elettorale non ha mai cambiato “la sua sostanza nichilistica”. Il bacino dei votanti PD è ormai costituito da anziani benestanti che vivono nelle zone centrali delle città, pertanto è palese il pericolo di estinzione anagrafica a cui il partito è sottoposto. Bisogna dunque puntare sul bacino giovani e rigorosamente liberal. Il prodotto che ora il partito immette sul mercato del bacino elettorale deve attrarre i giovani, deve sollecitare un processo di identificazione finalizzato a conservare e consolidare il mercato e gli interessi europei.

Elly Schlein risponde a tali requisiti conservatori. Rilascia interviste in cui racconta dei suoi molti amori e della sua “affettività liquida”. La sua biografia è globale, sostiene l’economia verde e la transizione ecologica e nel contempo fa accenni fugaci alla precarietà.  Parla da donna europea, gli interessi nazionali sono un retaggio del passato, il mondo a cui si rivolge è liberal, globale, anglofono, senza vincoli. Insomma sotto il vestito niente. I precari, i lavoratori a tempo determinato e indeterminato sempre più umiliati da un mercato del lavoro verticistico e alienante non possono certo trovare in lei un punto di riferimento. Si rivolge al nuova che avanza…

 Gli imprenditori della transizione ecologica sicuramente  appoggeranno la sua campagna elettorale finalizzata a riportare la liquida gioventù sotto il controllo del PD. Fa appello ai giovani che con i loro venerdì ecologici hanno scioperato per difendere il pianeta senza mettere in discussione il sistema che uccide il pianeta e le culture nazionali sotto la spirale liberale. I diritti sociali sono anch’essi pronunciati da sottofondo nelle varie interviste, mentre dei processi di reificazione del mercato che sospingono molti giovani verso la malattia psichiatrica nessun cenno. L’analisi si ferma al femminismo ormai mitizzato nella formula atomistica e lombrosiana e a alla liberazione LGBT: i lavoratori possono aspettare, i diritti sociali anche, l’Europa diventa un feticcio che serve ad illudere taluni che il rinnovamento è possibile. Il progresso nella formula mercatoordoliberale è ancora da attualizzare, dopo verrà il Paradiso in Terra.

L’Europa  quale fonte di giustizia e speranza per i popoli necessita di uno sforzo mitico per crederci, fino ad ora ha portato guerre, cancellazione dei diritti sociali e aziendalizzazione della vita. Vi è, inoltre, l’astratto che opera in connubio con la liquidità identitaria ad occultare il fatto che l’europeo e gli europei a cui si rivolge sono categorie senza materialità ed esistenza. Elly Schlein fa campagna elettorale ripetendo i “mantra liberal” senza mediazione critica e senza deviare dal cammino degli ultimi decenni:

 

“La sfida della ripresa economica è estremamente legata all’emergenza climatica, e questo ci porta alla seconda parola: ecologismo. L’Unione sta facendo importanti passi avanti in questa direzione. Credi che riusciremo ad arrivare ad una nuova alleanza ecologica che – forse anche con il sostegno della nuova Amministrazione statunitense – ci permetta di immaginare una ripresa autenticamente sostenibile? 

Ed ecco infatti la seconda sfida: il Green Deal europeo deve essere centrale nella ripresa. Si tratta di un passo fondamentale, a cui siamo giunti anche grazie alla straordinaria mobilitazione delle nuove generazioni, nelle piazze di tutta Europa. Da Greta Thunberg ai Fridays for Future ed Extinction Rebellion, tali mobilitazioni sono state tanto più incisive quanto hanno saputo fin dall’inizio essere pronte ad attraversare le frontiere. Non abbiamo più tempo, la scienza ce lo sta dicendo molto chiaramente. Questi giovani ci stanno mostrando come cambiare l’Europa alzando il livello delle nostre battaglie: ci stanno mostrando l’urgenza della transizione ecologica, ma anche l’importanza di reagire per fermare dei progetti di legge che – in alcuni paesi europei – avrebbero calpestato i diritti delle donne. Dobbiamo alzare il livello del dibattito europeo, serve un’opinione pubblica più europea, capace di mobilitarsi in modo più trasversale. Servono quindi corpi intermedi più europei, partiti più europei: se falliamo, rischiamo paradossalmente di lasciare l’internazionalismo ai nazionalisti. Sulla base di una stessa retorica fatta di odio, muri e intolleranza, questi ultimi si presentano sempre più come un fronte compatto, sia a livello europeo che internazionale. Proprio quella retorica che li rende nemici gli uni agli altri finisce per rafforzarli, dando sostegno ad argomentazioni che non offrono risposte alle difficoltà concrete dei cittadini e delle cittadine europei, ma raccontano la confortevole illusione per cui si stava meglio quando si stava peggio, quando i confini erano più solidi. 

La realtà, tuttavia, ci dimostra che tutte le sfide di cui sto parlando non possono essere risolte all’interno di stretti confini nazionali: al contrario, richiedono una maggiore integrazione e la predisposizione di strumenti e di risorse comuni, condivisi a livello europeo. 

Il tema, quindi, è come accompagnare una transizione ecologica necessaria e improcrastinabile, per la quale servono sia volontà politica che risorse. È una sfida che nessuno può risolvere da solo. Pare che l’Unione, da parte sua, si stia impegnando in questa direzione: pensiamo al Green Deal, al Just Transition Fund, al Next Generation EU. Quest’ultimo – pur ridimensionato dagli egoismi nazionali – ha permesso di stanziare 750 miliardi per una ripresa fatta di mobilità sostenibile, efficientamento energetico volto alla riduzione delle emissioni, investimenti nelle energie rinnovabili, grandi piani di prevenzione del dissesto idrogeologico e cura del territorio attraverso cui dare alle persone un lavoro di qualità. Lavoro di qualità vuol dire contrasto alle disuguaglianze, significa accompagnare la conversione delle professionalità, per non lasciare indietro nessuno. Significa anche accompagnare le imprese nella transizione con i giusti incentivi, andare sempre più verso un’economia circolare che non solo è necessaria per il clima, ma è anche conveniente. 

Da parte nostra, come Regione, stiamo per firmare un Patto per il Lavoro e per il Clima che intreccia questi obiettivi in un’unica visione del futuro: lo stiamo costruendo coinvolgendo tutte le parti sociali, le organizzazioni datoriali che devono promuovere questa svolta, il mondo agricolo, le organizzazioni sindacali, il terzo settore, i comuni, le università e – per la prima volta – le associazioni che si occupano di clima. Gli stessi obiettivi devono essere perseguiti a livello nazionale, ma sappiamo bene che neppure la migliore strategia di contrasto ai cambiamenti climatici sarebbe efficace se a livello europeo e globale non ci dotassimo di target vincolanti. Da questo punto di vista, l’Europa si è già dotata di strumenti adeguati che puntano ad obiettivi ambiziosi che, al di là dell’importantissimo Accordo di Parigi, mancano invece a livello internazionale. Su questo tema, una buona notizia viene dalla nuova Amministrazione americana, che nelle primissime dichiarazioni ha confermato il ritorno della centralità del multilateralismo, soprattutto su temi legati al clima.

Abbiamo passato in rassegna le principali battaglie del nostro tempo, che tuttavia rischiano spesso di restare aliene le une alle altre. La sfida più complicata di tutte è tessere un dialogo, costruire degli orizzonti comuni che possano articolarsi nella rappresentanza politica. Credi che il discorso sull’intersezionalità possa essere utile a questo scopo?

L’intersezionalità è fondamentale perché ci insegna che i diversi livelli di discriminazione non si elidono a vicenda, ma si sommano. Pensiamo alla condizione delle donne rifugiate, a cui il Parlamento europeo ha dedicato un’apposita risoluzione: ci sono almeno tre livelli di discriminazione che rischiano di intrecciarsi, economica, razziale e di genere. I diversi livelli di discriminazione sono infatti spesso frutto della stessa matrice oppressiva: è per cambiare questo modello  che è necessario unire le lotte. Si tratta di un passaggio fondamentale[1]

Credo – e spero – che le nuove generazioni stiano maturando una sensibilità in grado di andare in questa direzione. Partecipando in punta di piedi alle straordinarie mobilitazioni che – prima del Covid – gremivano le piazze per difendere la parità di genere, per rispondere all’emergenza climatica, per mostrare solidarietà ai migranti e lottare per un lavoro degno, ho visto importanti aree di sovrapposizione. Di fronte a tali sovrapposizioni mi chiedo perché la politica sia così in ritardo, perché continui a cercare di dividere ciò che nella società, sempre più spesso, marcia insieme. Non si può chiedere a quelle piazze se si sentono più vicine a Greta Thunberg o a Carola Rackete. Poco dopo l’insediamento di Trump, alla LondonWomen’s March le femministe marciavano fianco a fianco con i movimenti ambientalisti, con i movimenti di seconda generazione che si battono per la piena eguaglianza dei diritti, con i movimenti LGBT+: tutto questo, insieme, ci servirà a scrivere una pagina migliore[2]”.

 

La politica è stata sostituita dai prodotti accuratamente confezionati nelle sedi dei partiti, è necessario lottare per riportare i processi di razionalità e realtà dove vigono i processi di derealizzazione. Si urla all’Europa e all’ecologia, mentre uomini e donne muoiono sul lavoro, il territorio è devastato dalla logica del mercato che trasforma ogni zolla di terra  in investimento e valore di scambio e  gli esseri umani in strumenti proteiformi che devono adattarsi all’Europa liberal. Siamo sempre più soli e indifesi, ma come Marx rispondeva alle figlie quando giocava con loro e gli chiedevano che cosa fosse per lui la felicità, rispondeva in modo bronzeo:

“Lottare”

Non resta che lottare, affinché  si possa riportare nella politica la verità storica e materiale dei tanti che sono senza voce e sono subissati dal mondo liquido che avanza e annega la condizione reale di tanti.

[1] Intervista a Elly Schlein su  https://legrandcontinent.eu/it/2020/12/21/le-cinque-sfide-di-elly-schlein-conversazione-con-laoc-emiliana/

[2] Ibidem

Elly Schlein scende 'ufficiosamente' in campo per il congresso PD:  "Parteciperò, dobbiamo rimettere in discussione tutto" - Il Riformista

Fonte foto: Il Riformista (da Google)

3 commenti per “Il PD delle liquidità

  1. Piero
    11 Dicembre 2022 at 12:05

    Nel frattempo che i boccaloni abbocchino, i socialisti e i comunisti redenti come Kaili (le donne cambieranno il modo di fare politica) o i Panzeri (e taciamo della suocera di Soumahoro) fanno scorta di contante che non si sa mai cosa riserva il futuro.

    • Fosco
      11 Dicembre 2022 at 13:37

      Una grassa risata di fronte questi caccole affamate. Ladri all’avanguardia che se ne fottono dei limiti al contante per i gonzi.

  2. Giulio Bonali
    12 Dicembre 2022 at 9:13

    Una risposta lapidaria a tutta questa indigeribile, nauseabonda retorica europeistica della Schlein:

    “L’ europeismo é un aborto del colonialismo”
    (Rosa Luxemburg)

Rispondi a Giulio Bonali Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.