Potere e linguaggio

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Il potere ha il suo linguaggio, le sue metamorfosi linguistiche, per poter imporre il controllo deve sperimentare linguaggi, deve tastare reazioni e creare nuove abitudini, ma specialmente deve sperimentare le reazioni. Il linguaggio del potere ha la sua complessità negli slittamenti graduali da un codice linguistico ad un altro. Si lasciano convivere più codici linguistici dopo aver sperimentato che anche l’impossibile è possibile, quando si constata che non vi sono reazioni, perché l’abitudine all’obbedienza s è trasformata in esecuzione irriflessa.

Si è passati dalla parola “lockdown”, alla parola “coprifuoco” per confinare e determinare i limiti entro cui la popolazione può muoversi. Tra le due parole vi è stata l’estate in cui in nome dell’economia si era allentata la presa. La prima parola lockdown sulla bocca di tutti per mesi, mai tradotta in italiano dai media, ripetuta in modo ossessivo significava di fatto il confinamento, la serrata generalizzata, la sospensione delle libertà democratiche. L’anglo-italiano è stato usato per mascherare tale realtà. Un popolo senza lingua, che utilizza la lingua altrui per significare la propria condizione, non la può comprendere, la percezione giunge a se stesso distorta, in quanto mediata da una lingua altra, che in questi decenni è stata utilizzata per modernizzare la nazione, renderla più europea. Dietro l’inglese degli slogan la verità non si può cambiare, si sono sottratti i diritti alle persone: liberi di consumare e comprare tutto, ma con meno diritti sociali, con meno formazione, ma sempre più controllati.

 

Coprifuoco

La nuova parola utilizzata dai media è “coprifuoco”, lessico che ricorda i regimi autoritari. Il coprifuoco ricorda la sospensione della libertà di circolare e d’incontro. Con il coprifuoco la verità è svelata, ma dopo aver constatato che non vi è stata reazione critica al lockdown, il popolo ha assorbito tale parola con i suoi effetti senza problemi, il passo successivo è la parola “coprifuoco”. Non si cela la verità dei provvedimenti dietro una parola di altra lingua, nel nostro caso “l’inglese”, la lingua dei giovani, imposta ai giovani che non possono scegliere la lingua da studiare, ma dalle scuole medie inferiori fino all’università è la lingua che si “deve studiare”, perché lingua del capitale globale. La scelta è sempre unidirezionale, ma orwellianamente è definita “scelta”.  Con la parola “coprifuoco” si lancia il messaggio che siamo in guerra, in quanto la parola ricorda nella seconda guerra mondiale  le luci che si abbassano per evitare che il nemico possa identificare l’obiettivo e  bombardare. Se si è in guerra contro il virus, la cui origine è dubbia, è lecito restringere le libertà democratiche, sperimentare, ancora una volta, che è possibile procedere pur nell’evidenza del significato della parola.

 

Paura

Heidegger in Essere e Tempo ha analizzato i due sentimenti che strutturano l’esserci la paura (Furcht) e l’angoscia (Angst). La pandemia consente di puntare su entrambe e di restringere le capacità razionali a strumenti per la difesa della propria vita: l’altro non è solo un competitore economico, l’altro è potenzialmente veicolo di infezione e di morte. Il dopo della pandemia potrebbe essere funzionale ad un capitalismo sempre più  esiziale, in quanto le nuove generazioni sono state formate alla divisione, allo sguardo che si posa sull’altro per misurarne la minaccia, la solidarietà è sostituita dal taglio nella carne dell’individualismo. Si formano nuovi tipi psicologici che vivono oscillando tra la paura e l’angoscia. La paura è il timore di un pericolo specifico, gli altri sono causa della nostra paura, sono veicolo fin nelle famiglie, nelle case, di malattia e morte, sono competitori biologici. L’angoscia è paura generalizzata, si struttura un “io” che si sente virtualmente minacciato sempre, la minaccia costante destruttura il pensiero e la vita emotiva, la logora fino a rendere le personalità instabili, deboli, controllabili. La copertura perenne del volto neutralizza la capacità di leggere le emozioni, è un mondo autistico, in cui l’altro è senza volto, senza spirito, è solo corpo virtualmente minaccioso. Ogni comunità sana vive della relazione, della capacità di ascoltare l’altro attraverso il viso, il quale non è solo  struttura anatomica, ma è  lo svelarsi dello spirito, per cui necessita di essere accolto ed interpretato. Il volto è un testo che se nascosto occulta la persona nella sua totalità per farla essere corpo meccanico.

Nei decenni che verranno dovremo confrontarci con gli effetti all’esposizione continua alla paura ed all’angoscia. Il pensiero desocializzato non può che ragionare sull’immediato, non può che orientare la sua attenzione solo sulla sopravvivenza. Al declino del concetto si deve agire e reagire “inoculando” nel tessuto sociale pensieri complessi, bisogna riportare la discussione dove vige il silenzio della paura. Le scuole possono essere un presidio di democrazia e salubrità relazionale. E’ necessario rimarcare  il valore comunitario della parola, del logos che insegna a rendere il reale razionale, altrimenti assisteremo a processi di derealizzazione patologica che toccheranno specialmente le nuove generazioni. Il futuro non è in una mascherina, ma nella parola mediata dal logos.

Deleuze – Il linguaggio è potere – l'arte dei pazzi

Fonte foto: l’arte dei pazzi (da Google)

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