Sinistra transgenica

Questo articolo ci viene segnalato da un nostro amico e lettore e volentieri lo pubblichiamo
 
 Siccome  la sinistra figlia del ‘900 ha cambiato natura, c’è chi sostiene che sia scomparsa ogni dicotomia destra-sinistra. La tesi implica che al “pensiero unico” dominante corrisponderebbe un “partito unico” però come Giano bifronte.
In verità questa dicotomia c’è. Esiste una linea di confine che separa la neo-sinistra post-liberale, americanizzata e mondialista dalla destra. Se oggi questa linea di demarcazione è sfuggente, è perché quest’ultima non ha ultimato la sua mutazione, quella che la conduce dal neoliberismo a ciò che è destinata a diventare: un mostro reazionario, nazionalista e revanchista. Scopo di questo breve saggio è mostrare che la metamorfosi della sinistra è invece già compiuta, che il suo essere ha già preso la forma che corrisponde alla sua essenza.

Analogia biologicaLa genetica ci insegna che ciò che sta nel Dna è destinato a prevalere in ultima istanza. E qual è questo DNA della sinistra visto che non è più lo stesso di quello originario? La dico in questo modo: la sinistra esistente è un organismo geneticamente modificato. Ma ci sono modificazioni e modificazioni. Ogni organismo vivente le conosce nel tempo. Che tutto sia sottoposto a mutamento incessante, è infatti la legge primaria che regola il cosmo.

La sinistra storica non poteva restare abbarbicata ad un teorema fondazionale che si è rivelato fallace.
Il teorema poggiava su cinque assiomi principali: (1) l’idea di un progresso lineare e incessante dell’umanità; (2) l’apologia dello sviluppo delle forze produttive scatenate dal capitalismo, ed in particolare l’idolatria del progresso tecno-scientifico; (3) la tesi che ad un certo punto proprio il capitalismo sarebbe diventato un freno a questo sviluppo; (4) l’asserzione che da questa “contraddizione” tra forze produttive e rapporti sociali capitalistici sarebbe sorta un’epoca di mutamenti rivoluzionari; (5) quindi l’enunciato per cui la classe operaia industriale, e solo essa, aveva la missione universalistica e internazionalistica di portare l’umanità nel “regno della libertà” prendendo in mano il testimone del progresso abbandonato dalla borghesia.

DNA RICOMBINANTE

In politica, quando un teorema si rivela sbagliato, lo si deve sostituire con uno adeguato. Occorre quindi, per restare alla analogia biologica, intervenire sul proprio DNA. Se non lo fai, i fatti lo faranno al posto tuo. Nella sfera sociale però non funziona come in natura. Essendo questa un campo segnato dai conflitti e dagli antagonismi sociali, parlare di “fatti” chiama in causa soggetti e volontà, significa che il debole soccombe al più forte, che chi non si autodetermina è determinato, che chi non si auto-modifica viene modificato.

In buona sostanza è accaduto che le élite dominanti, che nel frattempo esse per prime si erano auto-trasformate —passaggio al capitalismo casinò sul piano della struttura economico-sociale, all’egemonia del pensiero unico globalista-neoliberista sul quello ideologico—, non solo hanno battuto in breccia i dominati; esse, ricorrendo ai loro ingegneri genetici, sono riuscite a manipolare il DNA della sinistra che organizzava e rappresentava i dominati. Il risultato è che abbiamo una SINISTRA TRANSGENICA, un organismo nel cui patrimonio genetico sono stati inseriti dei geni estranei. DNA ricombinante è chiamata una sequenza di DNA ottenuta artificialmente dall’incrocio di materiale genetico di origini differenti.

Prima di individuare quali sono dunque state queste modificazioni genetiche va segnalato che questi ingegneri non potevano manipolare arbitrariamente, a caso. Essi, ricorrendo a tecniche di manipolazione raffinatissime, dovevano introdurre alcune sequenze artificiali nei posti giusti della catena genetica innestandole su sequenze esistenti che fossero compatibili. Ci torneremo.

Sinistra americanizzata

La sequenza di DNA estraneo consiste in un potente segno simbolico sorretto da un dogma metafisico. Questo segno, assurto a vero e proprio nomos della terra ha un nome ed un cognome: globalismo cosmopolitico. Il dogma è la credenza che la globalizzazione avrebbe prevalso poiché essa risponde ad un ordine storico-naturale inesorabile per cui sarebbe non solo vano opporvisi, bensì reazionario. Per questa credenza la globalizzazione sarebbe un fenomeno che non lascia scampo a ciò che ostacola la sua marcia trionfante, esso può solo essere diversamente orientato (“dal basso”, “da sinistra”, “con etica”, “democraticamente”, et similia).

Sorvoliamo su questa concezione fatalistica che scambia la storia con la natura —che è solo un alibi, una foglia di fico per nascondere la propria pornografica resa—, veniamo al segno simbolico, che si è poi imposto come nomos sotto le mentite spoglie di globalismo giuridico.

Come prima cosa va detto che ciò di cui stiamo parlando ha un luogo di nascita: gli Stati Uniti d’America. Una società che per svariate e profonde ragioni (non ultima la weberiana radice calvinista) si è rivelata decisamente refrattaria alle tendenze socialiste in ogni loro declinazione, compresa quella evangelico-fabiana inglese. In questo senso Preve definiva la società nord-americana una ideocrazia. Non è indifferente che il globalismo cosmopolitico sia nato negli USA, per la ragione che nel suo dilagare planetario esso si è manifestato come processo di americanizzazione sociale, quindi dei costumi, delle consuetudini sociali, della psicologia di massa, della coscienza. Il crollo catastrofico dell’URSS ha accelerato questo processo di americanizzazione dell’Occidente, che è consistito nell’innesto, nei corpi sociali nativi, di virus che hanno finito per sradicare, fino a quasi cancellare, memoria di sé dei diversi popoli, tradizioni comunitarie e sociali, identità etniche e nazionali. I risultati di questa colonizzazione sono numerosi. I tradizionali demos nazionali e democratici sono stati vampirizzati da nuove oligarchie, viviamo in società tossiche, segnate dall’individualismo morboso e da un’atomizzazione che ha distrutto i più elementari legami sociali, primo fra tutti la solidarietà di classe.

Ecco spiegato l’apparente paradosso per cui, più le élite stuprano i popoli e le loro tradizioni, più avanza il mostro del nichilismo. “Dio è morto, tutto è possibile”. Più s’avvicina il tramonto della fede globalista, più dall’alto scende la nuova metafisica dei valori cosmopolitici, più nel basso avanza una repulsione di quei valori. Questa repulsione veste i panni del nichilismo, di un anarchico relativismo a-morale. Oggi come ieri questo nichilismo porta in grembo il suo apparente opposto: un moralismo fondamentalista e autoritario. Ci si avvicina ovunque al “momento Polany”: quando l’economia capitalistica deborda fino a straziare la vita comunitaria, la società reagisce domandando protezione contro gli effetti più devastanti del mercato. Giunta a quel punto le società europee ebbero due sole possibili uscite: socialismo o fascismo. Chi è certo che questa alternativa non ricapiti… scagli la prima pietra.

Torniamo a questa americanizzazione. Il capitolo conclusivo è rappresentato dall’ultima patologia di massa, quella che corrisponde alla Nerd Generation. Sintomatico il fatto che questa definizione, inizialmente dispregiativa (qualificava i giovani fissati coi i marchingegni tecnologici, chiusi nel mondo virtuale e con scarsa o nulla propensione alla socialità) sia divenuta in un solo decennio segno benigno di orgoglio e addirittura di identità di una intera generazione. Così, dove più fioriscono i “diritti umani” e quanto più splende l’universalismo occidentalista, più appassiscono gli umani rapporti, le relazioni sociali e comunitarie.

Questo processo di americanizzazione sociale non sarebbe dilagato nel nostro Paese se la sinistra storica non avesse deciso di americanizzarsi sua sponte. L’emblema di questa americanizzazione è stata l’inusitata metamorfosi del più potente Partito Comunista occidentale il quale, tagliati i ponti con l’URSS e come fosse stato vittima della sindrome di Stoccolma, finì per infatuarsi del proprio carceriere. Dall’accettazione della NATO all’approdo al liberalismo a stelle e strisce il percorso fu breve, sacramentato addirittura nel nome Partito Democratico. Questo salto della quaglia ideologico (che non ha coinvolto solo ristrette cupole dirigenti ma la stessa base sociale) ha fatto da apripista all’adesione alle dure politiche sociali neoliberiste. Sempre determinate scelte di campo sociali e politiche sono precedute da svolte nel campo del pensiero.

Globalismo cosmopolitico

Dopo le tremende turbolenze rivoluzionarie che hanno segnato il ‘900, i dominanti avevano un’esigenza primaria, neutralizzare la potenza del loro principale e più temibile avversario: il marxismo. Per farlo si doveva demolire il suo paradigma: l’idea dell’antagonismo tra capitale e lavoro salariato. Si doveva insomma cacciare dalla testa di milioni di proletari l’idea che la loro lotta di classe fosse giustificata, dunque legittima perché universalistica la loro missione storica. Riesumare il corpo morto del corporativismo reazionario fascista non era pensabile. Era del resto necessaria una narrazione “progressista”, diversa da quella brutalmente neoliberista, cavallo di battaglia della moderna destra. Era necessario che la zecca ideologica liberale mettesse in circolazione una moneta di nuovo conio.

Sono almeno quattro i capisaldi ideologici in forza dei quali il post-liberalismo nord-americano è riuscito a colonizzare l’immaginario collettivo occidentale, vampirizzando la sinistra italiana.

(1) Al materialismo storico marxista (centralità dei rapporti sociali di produzione) ed al realismo politico di matrice leniniana veniva opposta una “metafisica dei valori morali”, certo di radice cristiana, ma che aveva in Immanuel Kant la sua musa ispiratrice. Sulla scia della massima kantiana «dal valore all’essere, non già dall’essere al valore», l’etica veniva disconnessa da ogni fondamento storico-sociale. Alla teleologia marxista che concepiva il comunismo come destino ultimo e

necessario dell’umanità, si opponeva una teologia provvidenzialistica, l’idea della “progressiva realizzazione dei valori della ragione come processo della realtà” (Wilhelm Windelband). Il più classico ideologismo proto-borghese opportunamente riverniciato, che non si sarebbe propagato tanto velocemente se i nuovi potentissimi miliardari californiani di Google, Apple, Amazon e Microsoft, non fossero diventati guru e testimonial di questo pensiero post-liberale.

(2) Scendendo dal cielo dell’etica all’inferno della politica questo ha significato che il discorso marxista —priorità degli interessi sociali, conflitto di classe come motore della dinamica sociale— veniva rimpiazzato dalla “religione dei diritti”. La metafisica dei valori morali figliava così l’idolatria dei “diritti umani”. Al vincolo solidale basato sul far parte di un fronte di lotta contro un comune nemico, subentravano uno sdolcinato filantropismo umanitario (vedi la fiaba immigrazionista) e l’etica della tolleranza (di qui l’idea che il nuovo soggetto portatore di libertà e liberazione fosse non più l’hegeliano servo, bensì la costellazione delle minoranze a vario titolo discriminate). Non più il socialismo ma la “società multietnica”, non l’eguaglianza sociale come sommo bene ma il melting pot, la contaminazione, venivano considerati i fini supremi. Determinante nella conformazione di questo discorso era la commistione tra la tradizione del ruvido libertarismo nord-americano intrecciato ai modi di vedere e le pratiche della beat generation, poi quella hippie. Legittimi sono stati considerati tutti i desideri (senza distinzione tra quelli genuini e quelli alienanti e/o indotti, artificialmente fabbricati dal sistema) dell’individuo, considerato però non come un “animale politico” comunitario, ma come essere auto-centrato, chiuso nella sua assoluta singolarità.

Iraq: tortura nel carcere americano di Abu Ghraib

(3) La sinistra post-liberale americana importava dal neo-kantismo europeo (primo su tutti il grande giurista austriaco Hans Kelsen), anche il terzo e più potente suo tratto: la concezione del mondo cosmopolitica, di qui l’anatema contro la figura dello Stato-nazione. Ma in questa importazione avveniva una trasmutazione, così che la merce, come americanata, veniva a sua volta esportata massicciamente in Europa. Clintonism, do you remember?
Si imponeva la dottrina del globalismo giudiziario o internazionalismo giuridico. Uno sciame di giuristi europei (J. Habermas e N. Bobbio in prima fila) snocciolava per l’Impero i nuovi dogmi della dottrina: “ingerenza umanitaria”, “polizia internazionale”, “corte penale mondiale”, “crimini contro l’umanità”, “genocidio”.

Dalla teoria alla pratica il passo fu breve: venivano ingaggiate le cosiddette “guerre umanitarie”, prima per squartare la Iugoslavia —con il governo di Massimo D’Alema in prima fila nell’aggressione— poi per annichilire l’Iraq. Seguendo le orme del nazismo i combattenti che resistevano erano bollati come “ribelli”, quindi privati dello status e delle protezioni spettanti ai combattenti nemici. Abu Ghraib e Guantanamo sono testimonianza imperitura che il pacifismo cosmpolitico era ed è la nuova maschera del vecchio mostro imperialistico e della reale natura del suo disegno: gli unici Stati-nazione cui era consentito sopravvivere erano quelli che accettavano di cedere la loro sovranità mentre chi si fosse opposto, bollato come “stato canaglia”, doveva essere spazzato via. Il paradigma imperiale neo-con della  “guerra di civiltà” non  era forse il figlio legittimo del clintonismo?

(4) Il quarto caposaldo ideologico di questo pensiero globalista post-liberale è il culto dello sviluppo tecnologico considerato univocamente come vettore di progresso sociale e civile. Un culto che diventa in molti casi vera e propria adorazione della scienza e delle sue applicazioni tecniche. Due sono in particolare i precipitati di questo approccio fideistico: da una parte, l’apologia della rete (World Wide Web) quindi di Internet, dall’altra l’esaltazione dell’intelligenza artificiale e la sua utilizzazione nei più disparati campi della società. Qui la convergenza tra le élite mondialiste post-liberali e la sinistra nelle sue più svariate articolazioni diventava pressoché totale.
La rete veniva gradita, anzi amata, in quanto potenza dissolutrice di identità nazionali, delle peculiari tradizioni sociali (considerati ostacoli del progresso), la rete quindi strumento di “contaminazione” e commistione tra le diverse culture, dove l’obbiettivo è una nuova, unica e “superiore” identità universale —melting pot appunto, ma ovunque crogiuolo fallito, visto che le etnie non si mescolano, coabitano ma non convivono e stanno anzi in cagnesco.

Che questa furia distruttrice di tradizioni e identità storiche sia in verità una forma coatta di occidentalizzazione, che per questo si traduca nella realtà in un apartheid imperialistico su scala globale, nel dare vita a nuove divisioni comunitarie e confessionali, non fa problema a questi apologeti della mondializzazione. Si tratterebbe di resistenze reazionarie destinate a soccombere.

Come non fa problema che l’intelligenza artificiale, in quanto promossa e utilizzata da gigantesche multinazionali, lungi dall’essere neutrale, porti in fronte spavaldamente, il suo segno tirannico e di classe.
“Prima delle automobili c’erano le carrozze trainate da cavalli. E’ il progresso bellezza!”. Quante volte, vestendo i panni di veri vate della splendente “civiltà del progresso perpetuo”, abbiamo sentito questo mantra uscire dalla bocca dei portavoce della cupola plutocratica…

Sinistra transgenica

Avendo fatto suoi questi quattro capisaldi, la sinistra storica europea, sia di origine socialdemocratica che comunista, ha finito per diventare un fac-simile del post-liberalismo globalista e oligarchico americano. Uno soltanto il tratto che consente di distinguere la sinistra liberale europea da quella madre: da noi il mondialismo, col suo sacrificio delle sovranità popolari, è avvenuto in nome di un radicale fondamentalismo europeista. Quando la traballante Unione, sotto i colpi della storia, passerà a miglior vita, saranno celebrati i funerali di questa neo-sinistra sistemica.
Quella “radicale”, quella che non sarà capace di voltare per tempo le spalle della distopia del globalismo cosmopolitico, in quanto sinistra estrema della costellazione sistemica, è condannata alla stessa sorte. Tsipras, con la sua umiliante capitolazione, ha cominciato a scavare la tomba dove sarà seppellito il suo cadavere.

In cosa è infatti radicale la sinistra che annaspa ai bordi di quella sistemica? Cosa abbiamo al netto dei piagnistei catto-socialdemocratici contro il neoliberismo?
Stessa convinta accettazione della globalizzazione (“dal basso”); dell’Unione europea (“dei popoli”); stessa apologia della nuova tratta degli schiavi” ( “accoglienza”); medesimo rifiuto dello Stato-nazione (“internazionalismo-no-border”); identico “estremismo dei diritti umani”; stessa fede nelle nuove tecnologie considerate addirittura mezzo di liberazione (esaltazione del  “lavoro cognitivo” e del connesso “nomadismo sociale”).

Avevamo affermato che gli stregoni della genetica politica non potevano introdurre random sequenze artificiali nella catena genetica della sinistra, che dovevano invece innestarle riampiazzando sequenze esistenti che fossero compatibili.

Torniamo dunque ai cinque assiomi del teorema fondazionale del DNA della sinistra e vediamo in cosa è consistita la manipolazione genetica.

Primo assioma.
L’idea di un progresso lineare e incessante dell’umanità. Se prima l’eguaglianza sostanziale e l’eliminazione della divisione in classi antagoniste erano le due pietre angolari per giudicare la qualità del progresso, gli ingegneri del pensiero hanno inserito al loro posto quella che abbiamo chiamato “metafisica dei valori morali”, quindi i “diritti umani e civili”.

Secondo assioma.
L’apologia dello sviluppo delle forze produttive scatenate dal capitalismo, ed in particolare l’idolatria del progresso tecno-scientifico. Qui gli ingegneri non hanno avuto particolari difficoltà nella manipolazione. La “quarta rivoluzione industriale” —il digitale e l’informatica (supercomputer, robot intelligenti, fino alla neuro-tecnologia e alla ri-scrittura del codice genetico)— modificherà radicalmente il modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo. Il nuovo mondo sarà magnifico.

Terzo assioma.
La tesi che ad un certo punto proprio il capitalismo sarebbe diventato un freno a questo sviluppo. Anche qui l’innesto non ha creato particolari criticità. Le nuove élite dominanti hanno apertamente accolto le spinte della rivolta sociale e generazionale degli anni ’60 e ’70 contro il capitalismo fordista e la società patriarcale coi suoi residui bacchettoni e puritani. La fede nella scienza al posto di quella religiosa, l’innovazione al posto della tradizione, l’etica individualistica al posto di quella sociale.

Quarto assioma.
L’asserzione che dalla “contraddizione” tra forze produttive e rapporti sociali capitalistici sarebbe sorta un’epoca di mutamenti rivoluzionari. Gli ingegneri han dovuto rimuovere il concetto dialettico di “contraddizione”, quindi quello della rivoluzione sociale, rimpiazzandoli con quelli di evoluzione e di riforma, fondendoli in quello della “crescita” —vero e proprio mantra che ci riporta al primo assioma.

Quinto assioma.
L’enunciato per cui la classe operaia industriale, e solo essa, aveva la missione universalistica e internazionalistica di portare l’umanità nel “regno della libertà” prendendo in mano il testimone del progresso abbandonato dalla borghesia. L’internazionalismo proletario proposto da Marx era figlio della sua epoca, ovvero saliva sulle spalle dell’universalismo di matrice cristiana e di quello illuminista, non è stato difficile cancellarlo e sostituirlo con il cosmpolitismo globalista. Ma non è il proletariato, qui la manipolazione è stata audace, il soggetto che raccoglie il testimone del progresso ma, appunto, l’ élite aristocratica e visionaria degli ottimati, di cui la Silicon Valley è tempio supremo. E’ così che la marxiana “libertà universale” (e qui entra in gioco l’orwelliana neo-lingua) è divenuta oppressione generale, erga omnes.

E’ possibile che questa sinistra, davanti al tracollo della globalizzazione, ritorni sui suoi passi? Noi pensiamo che no, non è possibile. Al contrario, più avanzeranno le nuove destre nazionaliste e autoritarie, più essa sarà sotto minaccia, più si aggrapperà al corpo moribondo del globalismo cosmopolitico. Gli ultimi mohicani aderenti alle sette della sinistra antica si attaccheranno a loro volta alla sua sottana.

Non occorre essere profeti per immaginare che solo una sinistra patriottica e democratica potrà domani arginare e vincere il pericolo di un nuovo fascismo. Che questa sinistra patriottica possa in futuro svolgere questa sua missione dipende da molti fattori, ma tutti dipendono dalla decisione con cui i suoi minoritari nuclei attuali sono capaci di recidere per sempre ogni legame con la neo-sinistra mondialista suonandogli il memento mori.

Fonte: http://sollevazione.blogspot.it/2017/08/sinistra-transgenica-di-moreno.html

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