Sinistre discriminazioni sessiste

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Quanti denti ha il pescecane

e a ciascun li fa veder,

e Macheath, lui ci ha il coltello

ma chi mai lo può saper?

 

Sbrana un uomo il pescecane

ed il sangue si vedrà.

Mackie ha un guanto sulla mano,

nessun segno resterà.

(B. Brecht: L’Opera da tre soldi)

 

Indubbiamente, ognuno può vedere benissimo i denti sulla faccia di quelli che, secondo diciture ormai stereotipate nell’Occidente, vengono definiti “Movimenti populisti di destra” (o estranei agli schieramenti tradizionali).

Ma che dire di chi, invece, non esibendo atteggiamenti “populisti” e mostrandosi invece ligio alle dinamiche democratiche, con tutt’altri modi ti rassicura somministrandoti dichiarazioni di buoni intendimenti che mettono fra le priorità la solidarietà e l’accoglienza verso chi è più debole, più povero, più indifeso, senza discriminazioni di razza, sesso, età, religione, convincimenti politici?

Chi, come me, crede che il cammino verso una società migliore passi attraverso la lotta alle grandi disparità economiche, sociali e culturali, alle discriminazioni, alle impari opportunità, alle prevaricazioni, al razzismo, al sessismo e ai muri, e abbia conservato una certa (ingenua?) fiducia nel fatto che quanto proclamano le forze politiche (e anche gli altri gruppi di potere) corrisponda effettivamente ai propri obbiettivi, probabilmente da un punto di vista politico si orienterà verso partiti o movimenti che, secondo le impostazioni alle quali il Novecento ha dato un forte imprinting, possiamo definire “di sinistra”.

Così anch’io, per tanto tempo, ho dato il mio appoggio e il mio voto a chi dice di voler far tante belle cose con le quali sono pienamente d’accordo. Tra queste belle cose c’è anche il contrasto alla violenza contro le donne e alle tante situazioni nel lavoro, nella famiglia, nella vita, in cui le donne vengono a trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto agli uomini.

Ma la realtà sta davvero in quello che questi nobili paladini della parità ci raccontano?

Ad aprirmi gli occhi e disilludermi pesantemente è stato un evento per me e mia figlia fortemente traumatico, ma estremamente diffuso: sono un padre separato, reduce da una separazione conflittuale. Come centinaia di migliaia di altri uomini con un vissuto simile al mio, ho dovuto subire, da parte di una prassi istituzionale molto appiattita, nella propria matrice culturale, sulla narrazione (corrispondente a quella femminista) che oggi ha praticamente monopolizzato i media in materia di relazione fra i sessi, famiglia,  violenza domestica, ecc., discriminazioni sessiste (misandriche) veramente spudorate, inique, violente, che sono andate ben al di là di ogni ragionevole inclinazione culturale a favorire la madre in materia di riconoscimento di ruoli e funzioni e distribuzione di diritti, doveri e sostanze dopo la separazione.

Non mi soffermerò su questi dettagli: non è qui la sede e ci vorrebbe un lungo romanzo autobiografico.

Romanzo che, per la verità, ho già scritto e (con molte difficoltà) pubblicato, spinto dalla disperazione e dallo sbigottimento per l’inaspettato impatto con un ambiente (la cui ragione di esistere dovrebbe essere proprio la garanzia della giustizia e del rispetto delle regole) nel quale scopri che il buon senso, la giustizia, le disposizioni della legge, il rispetto per le persone, il “supremo interesse dei minori” diventano carta straccia, anzi carta igienica, in favore di un’impostazione astratta e preconcetta. Sentii dunque il bisogno di sfogarmi e di far sapere quello che chi non ha vissuto situazioni di questo tipo neanche si immagina che possa succedere in un Paese civile.

E qui devo segnalare un mio ulteriore sbigottimento: nei miei tentativi di promuovere il mio libro autobiografico attraverso presentazioni faticai molto a trovare interlocutori disponibili. I pochissimi spazi li trovai presso organizzazioni politicamente orientate decisamente a destra: organizzazioni nazionaliste, dichiaratamente ostili alla presenza massiccia di stranieri e all’osmosi profonda con culture lontane, all’omosessualità, alle famiglie alternative, all’aborto, ecc.: persone che non si fanno scrupoli a mostrare i denti.

Mi ha lasciato allibito la totale chiusura, la totale sordità, la totale indisponibilità a degnarsi di replicare agli argomenti e alle prove da me esibiti, il totale rifiuto a concedermi spazio da parte di quelle organizzazioni che fino a quel momento avevo sempre percepito più vicine alla mia cultura e alla mia sensibilità. Questa frustrazione ho poi dovuto constatare essere ben presente anche in tante altre persone che hanno subito un vissuto paragonabile al mio e che via via ho iniziato a conoscere e frequentare, una volta caduto nella mia nuova condizione esistenziale. Mi è capitato di conoscere anche alcune ragazze che hanno pubblicato studi interessanti e ben documentati che vanno in direzione opposta a quelli main stream: la violenza domestica subita dagli uomini. Ebbene, vedo che anche queste ragazze, ricercatrici scientifiche niente affatto di parte, per la divulgazione dei propri lavori scientifici riescono a trovare ospitalità soltanto presso circoli di padri separati (categoria che ha dovuto subire tanta, tanta violenza sia da parte delle ex che delle istituzioni) o altri contesti similmente reietti.

Soprattutto nelle città tradizionalmente “di sinistra” (dove le questioni di violenza di genere sono spesso pesantemente influenzate dalla presenza di importanti centri antiviolenza) è del tutto impossibile trovare spazi fisici o mediatici in cui raccontare storie di violenza e ingiustizia discordi da quelle prevalenti nel main stream: è in atto un vero e proprio ostracismo.  Consegue che chi non è disposto a ritirarsi nel silenzio sarà forzatamente  incanalato verso ambienti ideologici e culturali che potrebbero non essere i suoi. Chi è portatore di verità scomode deve subire spesso accuse di fascismo, maschilismo, e, se donna, di essere traditrice del sesso di appartenenza, di intelligenza col “nemico” e tante altre brutte cose.

Se apro le pagine internet dei siti gestiti dai centri antiviolenza, che, ovviamente, sono sempre associazioni in difesa della donna vittima contro l’uomo carnefice, trovo quasi sempre una pagina che definisce la violenza domestica in base a varie tipologie di sintomi, al fine di fornire qualche strumento alle potenziali vittime affinché si rendano conto che stanno subendo violenza e si rivolgano quindi al centro per ottenere aiuto. C’è qualche sfumatura di differenza, ma quello che c’è scritto nei vari siti si somiglia molto. Vi si parla di violenza fisica (spintonare, tirare calci e pugni, tirare i capelli, minacciare col coltello, rompere o danneggiare oggetti nella vicinanza della vittima…), violenza psicologica (minacciare, insultare, denigrare, umiliare, attaccare l’identità e l’autostima, ostacolare le relazioni con gli altri, ricattare…), violenza economica (costringere a contrarre debiti per far fronte alle proprie inadempienze economiche, intraprendere iniziative economiche che si ripercuotono sull’altro contro l’altrui volontà), violenza sessuale.

Praticamente tutte le cose elencate in quelle pagine internet io le ho subite quasi quotidianamente nel corso di buona parte della mia vita coniugale (e so bene di non essere affatto il solo uomo). Ma tra gli illuminati riformisti politicamente corretti dell’establishment (esattamente come fra gli operatori della giustizia familiare) nessuno prende in considerazione la violenza che l’uomo subisce; conseguentemente nessuno, fra coloro che hanno il potere di decidere sulla pelle degli altri, si sognerebbe di prendere in considerazione la violenza femminile, anche se comprovata ed evidente, come elemento determinante per le decisioni da disporre. Eppure basta rifletterci un attimo su: un uomo (soprattutto se padre), se non vive su un altro pianeta, sa perfettamente che, qualora decidesse di separarsi dalla compagna aguzzina, molto probabilmente perderà i figli (le statistiche ci dicono che un terzo di padri separati finisce col perdere completamente i contatti con loro; gli altri, se reduci da situazioni conflittuali, vedono comunque la propria relazione paterna ridotta a una larva), la casa e i soldi. Terrorizzati da questa prospettiva, molti uomini si rassegnano a subire angherie, violenze e umiliazioni indegne. Chi, nella propria cerchia di accoppiate conoscenze maschili non saprebbe individuare nessun uomo che dia l’impressione di essere “incastrato”, infelicemente sottomesso e, nel contempo, spaventato dalle conseguenze di una possibile separazione alzi la mano.

Naturalmente, non mi sogno neppure di negare le tante violenze, oppressioni, discriminazioni, i tanti pregiudizi negativi e svantaggi di ogni tipo che il sesso femminile subisce spesso oggi come ieri.

Ma quello che trovo particolarmente esasperante (come, credo, milioni di altri uomini) da quando le mie sventure personali mi hanno portato ad avere il nervo scoperto e quindi una particolare sensibilità verso certi aspetti della realtà e di come ti viene raccontata, è dover constatare quanto la violenza, le ingiustizie, le discriminazioni, gli svantaggi in genere subiti chi appartiene al sesso maschile vengano rimossi tanto dai media quanto dalle prassi istituzionali, rendendo impraticabile una sana riflessione su queste forme di oppressione. La loro esistenza viene letteralmente cancellata dalle coscienze, come se denunciare l’esistenza di forme di violenza (in misura statisticamente significativa) subita dagli uomini da parte delle donne significasse negare la violenza subita dalle donne.

Così, leggendo le ricerche delle ragazze suddette ed altri studi internazionali pressoché sconosciuti ai più (l’ISTAT, che pubblica ripetute ricerche sulla violenza subita dalle donne si guarda bene dal condurre indagini di questo tipo), vengo a scoprire che, secondo queste statistiche, le donne sono violente tanto quanto gli uomini, anche se con modalità differenti, e che tanti uomini sono vittime. Il mio vissuto mi fa apparire credibili questi dati. Divento pertanto diffidente verso il blabla che mi raccontano giornali e tg: quando una notizia mi lascia perplesso, se riesco a  trovare il tempo, faccio un po’ di ricerca per verificare.

Vengo così a scoprire che i dati spesso diffusi, anche dalle massime cariche istituzionali, sulla violenza sulle donne, sono molto esagerati o interpretati faziosamente per amplificare l’allarmismo. Se non avete nulla di meglio da fare, andate a leggervi una ad una le vicende legate ai casi riportati di “femminicidio” e vi accorgerete, inequivocabilmente, che un’alta percentuale non ha proprio nulla a che vedere con la violenza di genere, nonostante che per tale venga spacciata. Quei casi sono stati semplicemente infilati lì per far numero.

Vedo che a supporto della vulgata sulla condizione perennemente svantaggiata delle donne si introducono tante bugie macroscopiche, che vengono utilizzate finché reggono, poi vengono abbandonate per essere sostituite con altre bugie meno inflazionate.

Così per anni e anni ci siamo sentiti spacciare per verità accertata che anche qui da noi la violenza maschile è la prima causa di morte delle donne, “…più del cancro, dell’inquinamento e degli incidenti stradali…”: una bestialità assurda che non è da imputarsi a qualche isolata fanatica nazifemminista, bensì a tutti i principali organi di informazione.

http://www.corriere.it/cronache/speciali/2012/la-strage-delle-donne/

Sparita quella obtorto collo, si è poi passati a stigmatizzare la pratica tipicamente “maschile” di sfregiare le donne con l’acido. Finché è diventato impossibile continuare ad ignorare che anche le donne ne fanno uso tanto e quanto. Tuttavia, continua ad essere molto evidente lo sbilanciamento nell’informazione e nel comportamento delle istituzioni, del quale un esempio di confronto fra due casi simili di persone sfregiate dall’acido, quello di William Pezzullo e di Lucia Annibali, è davvero emblematico.

La storia che adesso va per la maggiore è che le donne, a parità di lavoro, guadagnano meno degli uomini. Anche questa non mi convince per niente, urta decisamente contro quello che mi dicono la mia intelligenza e la mia esperienza di persona decisamente non più giovane, ha tutta l’aria di essere stata confezionata con la solita faziosa grossolanità, e mi aspetto che presto studi un po’ più seri sgomberino il campo anche da questa diceria, che, a quel punto, sarà fatalmente sostituita da una nuova.

Tutto questo in un universo di informazioni dal quale sono sparite completamente, ad esempio, le indagini sulle morti sul lavoro: per averne un’idea chiara occorre perdere tempo in ricerche accurate. Così vieni a sapere che sono circa 6-8 volte più numerose delle vittime del cosiddetto “femminicidio” del quale sentiamo parlare in continuazione con atteggiamento da ecatombe. Perché questo aspetto è sparito? Perché nessuno fornisce più con chiarezza dati complessivi? Non sarà perché riguarda per il 95% gli uomini? Non sarà perché qualcuno trova sconveniente riportare situazioni che evidenziano privilegi femminili e drammi maschili?

Molti altri privilegi, sempre nel mondo del lavoro, sono assegnati alle donne non perché madri o doppiolavoriste, ma semplicemente perché donne. La mia collega single, che nella vita non ha fatto altro che occuparsi di se stessa e della propria carriera, potrà scegliere di andare in pensione con 5 anni di anticipo, opzione negata a me, che ho rinunciato alla carriera per occuparmi di mia figlia e permettere a mia moglie di buttarsi anima e corpo sul lavoro (situazione che, peraltro, non mi ha risparmiato dall’essere sbattuto fuori di casa, massacrato economicamente e ostacolato istituzionalmente in mille modi nella relazione con mia figlia, per la quale al padre, sempre presente fino al momento della separazione è stata poi preferita la cura di una sfilata di baby-sitter). Questa e varie altre opportunità sono riservate, chissà perché, al gentil sesso.

A livello di amministrazione locale, chi ha fatto di più, in Italia, per soccorrere in qualche modo la disperazione di tanti padri separati con alloggi e assistenza è stata la regione Lombardia, per attivo interesse della Lega Nord. Le città “rosse”, specialmente emiliane, sono invece le più sorde a queste iniziative. Sono anche le più decise oppositrici all’adozione del Registro della Bigenitorialità (un protocollo che vorrebbe disporre che gli istituti scolastici e sanitari provvedessero a fornire le informazioni e comunicazioni varie inerenti i figli di coppie separate al duplice indirizzo di entrambi i genitori), spesso con argomentazioni pretestuose e risibili.

Ma perché siamo dovuti arrivare a questo? Perché chi rappresenta il nostro mondo, specialmente se di sinistra, ha totalmente deciso di rinunciare a un’attenta analisi dei fatti e ha preferito, almeno in materia di questioni di genere e di sesso, rinunciare a voler capire chi sia l’oppressore e chi la vittima, chi sia il privilegiato e chi lo svantaggiato, per adagiarsi su una visione preconcetta e stereotipata? Dunque le cose lascerebbero pensare che chi dice di voler difendere i deboli, gli oppressi e gli svantaggiati in realtà non voglia affatto questo; userebbe invece queste impostazioni demagogiche abbinandole a un’etichettatura di proprio comodo nel definire chi siano i deboli, gli oppressi e gli svantaggiati, per distribuire bastonate e carote secondo i propri comodi. E noi maschietti ne usciamo sistematicamente mazziati e cornuti: possiamo tranquillamente subire palesi ingiustizie, violenze e prepotenze atroci, ma guai se osiamo dire la verità e denunciare l’ingiustizia: diventiamo subito dei fascisti maschilisti violenti. Istituzionalmente, in materia di violenza domestica, l’uomo è preso in considerazione soltanto come maltrattante, mai come maltrattato.

Francamente, tutto questo mi ricorda certe dinamiche messe in atto contro altri gruppi sociali nella Germania degli anni ’30 del secolo scorso.

Sarà un caso che quel confronto fra lo squalo che mostra i denti e chi nasconde il coltello e porta i guanti per non mostrare le mani sporche di sangue sia un parto della Repubblica di Weimar?

Povera sinistra.

10 commenti per “Sinistre discriminazioni sessiste

  1. SilvanoS
    22 marzo 2017 at 10:25

    L’avvocata Annibali, quella che dopo un attacco all’acido si è prestata a calarsi nel ruolo di donna-simbolo vittima oscurando altri che hanno subito molto di peggio, è stata nominata Consigliere Giuridico della Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il femminismo paga.
    Nel frattempo William ha dovuto vendere il bar per pagarsi le cure ed ha bisogno che la gente per bene lo aiuti con donazioni

  2. Rino DV
    22 marzo 2017 at 14:04

    Testimonianza serena e dolentissima al tempo stesso, profilo esemplare, breve ma più che significativo di una condizione che colpisce in occidente milioni di UU.
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    Descrizione esatta del muro che trova a Sx (tutte le Snx) chiunque intenda porre sul tavolo la questione dei separati (ed ovviamente quella maschile in senso ampio).
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    Eppure tra i padri dannati dal sistema, quelli di Sx non sono né in proporzione né in senso assoluto in numero inferiore a quelli di altri orientamenti. Semmai il contrario. Dunque la Sx è piena di separati che hanno provato sulla loro stessa pelle le lacerazioni provocate dal un sistema di radicale discriminazione, dove il sopruso è la regola, la rapina il metodo, la devastazione di anime e corpi l’obiettivo. Ciò ha dell’incredibile.
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    Come da sempre amaramente notiamo, se si trovano interlocutori sul tema, sono tutti (singoli o associati) su posizioni cattoliche o di Dx. Nessuno a Sx si avvede di questo fatto, nessuno ricorda il (banale) avviso di Machiavelli “Mai lasciare ai nemici una buona ragione politica, perché su questa essi fonderanno il loro successo.”
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    Quanto a me, che non sono né padre né separato, sono padre-separato al pari degli altri. Sono anche stato sfregiato, accusato di ogni abuso di ogni violenza e di ogni crimine antifemminile. Ho subito tutto ciò che non ho mai subito.
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    Con una sola differenza rispetto agli altri milioni: se la graticola mi avesse segnato, sarei ora tra coloro (quei pochissimi) che hanno commesso una strage (io però avrei realizzato una carneficina) e mi sarei suicidato.
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    Sono vivo perché la mia carne non ha patito la somma degli oltraggi che voi avete fattualmente subito. Dove avete trovato la forza di resistere? Mi apparite dei superuomini.
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    Ci sono tanti motivi per i quali la Sx è in rovina. La mia opinione è che la sua posizione antipaterna-antimaschile sia una delle cause. E non la più piccola.
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    Quando i defraudati non trovano ascolto ad est, non c’è da stupirsi se, uno dopo l’altro, prima o poi, dichiaratamente o in silenzio, si rivolgano ad ovest.

  3. ARMANDO
    24 marzo 2017 at 23:25

    Caro Rino, rimane da capire il perché la sx, tranne rarissime e meritevolissime eccezioni è antipaterna e antimaschile. Solo contingenza o qualcosa di più profondo?

    • Fabrizio Marchi
      25 marzo 2017 at 5:36

      Se parliamo di “sinistra”, intendendo con questa l’ “evoluzione” della sinistra occidentale dal ’68 in poi, certamente è come dici tu. Ma sappiamo che si tratta di una sinistra radical poste sessantottina e femminista che ha reciso nella sostanza, e per sua stessa ammissione, ogni legame con la Sinistra storica. Non a caso, in un dibattito organizzato presso la sede di Sel (incredibilmente…) da un compagno vicino alle nostre posizioni, una dirigente di Sel mi ha “accusato” (e mi ha detto benissimo..) di “vetero marxismo”, cosa non vera ma comunque è un super complimento rispetto a quello che normalmente ci viene detto.
      Non dobbiamo però dimenticare che noi viviamo in questa fase storica dove esiste solo questa “sinistra” e naturalmente siamo condizionati da questo e potrebbe sembrarci che le cose siano andate sempre in questo modo, ma così non era. Nella tradizione del movimento comunista mondiale questo odio quasi genetico per il maschile e per il paterno non c’è mai stato, e non si sapeva neanche cosa fosse. Anche simbolicamente parlando (e sappiamo che i simboli hanno la loro importanza), i grandi leader comunisti, da Lenin a Stalin, da Mao a Castro, erano uomini dotati anche di notevole carisma e quindi anche di una certa virilità (concetto ormai declinato come sciovinista, maschilista ecc.). Sempre simbolicamente parlando ricordo che Stalin era soprannominato “piccolo padre”…
      Insomma, che il femminismo sia figlio dell’attuale “sinistra”, liberal, radical, sessantottina e postsessantottina (ma anche di settori culturali prettamente borghesi come è stato soprattutto in America e nel mondo anglosassone) non c’è dubbio. Però non sono affatto d’accordo sul fatto che il femminismo (cioè quello che si è storicamente e concretamente determinato e affermato nel mondo occidentale da una trentina di anni a questa parte) affondi le sue radici nel movimento comunista. Non a caso, il femminismo comincia ad affermarsi proprio quando il movimento comunista comincia a sgretolarsi. Che poi i comunisti residui abbiano scelto, come abbiamo visto anche in questi giorni, di adeguarsi, è tutt’altro discorso che riguarda la condizione di questi ultimi nella fase attuale…

  4. Michele Serra
    25 marzo 2017 at 8:56

    Purtroppo, la sinistra occidentale moderna, o almeno quella più visibile e rappresenta, non è più il partito dei proletari: è diventata il partito della classe media protetta e tutelata di età medio-avanzata, dei lavoratori dipendenti, per lo più nel pubblico impiego, che si contentano del loro stipendiuccio garantito, che nel corso della loro esistenza non hanno mai vissuto problemi particolarmente drammatici e che faticano molto a capire davvero le difficoltà e le necessità di chi non ha il pane garantito o è stato privato di quella dignità a cui ogni essere umano dovrebbe aver diritto. Questi e quei sapientoni che di questa ampia (ma in via di estinzione, e con loro, credo, queste narrazioni femministe) categoria si fanno portavoce sono i principali rappresentanti della sinistra politically correct.
    Eterni adolescenti, lo Stato lo concepiscono un po’ come la mamma, che si prende cura di te sempre e comunque. Il papà, che ti premia e ti punisce a seconda di come ti comporti, e che un giorno ti butterà sulla strada affinché impari a cavartela da solo, è percepito come una figura inquietante e ne hanno paura.

    • ARMANDO
      26 marzo 2017 at 17:03

      Caro Michele, questo tuo ultimo commento si presta a molte considerazioni, accennando a tematiche suscettibili di essere lette o declinate in modi diversi, anche opposti. Provo a spiegarmi.
      1)Sulla classe media protetta. Nessun dubbio che quel ceto non riesca, o non voglia capire i problemi di chi garantito non è, e per questo sono i campioni del politically correct. Ma quando scrivi che “si contentano del loro stipendiuccio garantito”, allora trovo in ciò un problema. Che vuol dire ” si accontenano” detto in tono quasi dispregiativo come fossero soggetti con orizzonti ristretti e senza ambizioni ? Sarebbe quello di contentarsi il problema? Non credo proprio. Anzi, credo che non avere ambizioni di grandi guadagni, per i quali essere disposti a tutto e contro tutti, sia piuttosto una potenziale virtù. Virtù perchè significa porsi fuori dal meccanismo infernale della competizione a cui spinge il capitale, rifiutare la sua logica della guerra di tutti contro tutti per la supremazia economica e per il successo. Potenziale perchè, ed è ovvio, a questo rifiuto dovrebbe unirsi l’aspirazione a dedicare il proprio tempo a ideali, progetti, modi di vivere e di essere, che vadano oltre la lotta per la sopravvivenza. Un po’ quello che diceva Aristotele quando affermava la disgrazia speculare di essere o troppo ricchi o troppo poveri , situazioni entrambe che per motivi opposti (è inutile dire che è meglio la prima della seconda) allontanano da quelle che individua come le virtù del buon cittadino della polis: l’attenzione al bene comune, la ricerca della “vita buona”, la partecipazione alla vita democratica della comunità. Il problema non è quello di contentarsi, ma è che i soggetti che tu individui non riescono ad apprezzare la fortuna di cui godono, non si rendono conto di essere quasi dei privilegiati nell’attuale deserto e non sanno o non vogliono “restituire” agli altri qualcosa della fortuna che li ha toccati.
      2) Sullo Stato mamma e sul padre che butta sulla strada per imparare a cavarsela da soli: anche quì ci può essere una lettura contraddittoria. Il padre che butta il figlio in strada può essere immagine del padre che favorisce la crescita psichica del figlio, lo fa diventare adulto e responsabile, lo apre alla vita sociale, ma anche quella del padre che incita il figlio a gettarsi nella competizione di tutti contro tutti per conquistare il successo e la ricchezza. Inutile dire che quest’ultima immagine è perfettamente dentro la logica del capitale che riduce la vita a pura competizione individuale, oltre ogni principio etico, oltre ogni ideale di vita comunitaria, di obblighi sociali, di responsabilità verso gli altri. Stesso discorso vale per lo Stato mamma. Un tempo esistevano le corporazioni dei mestieri, le comunità parziali (i corpi intermedi) vicine ai propri membri ed in cui oguno si riconosceva, riconosceva il proprio posto nel mondo con gli obblighi che ne derivavano e dalle quali traeva quelle “garanzie” concrete che gli permettevano di non sentirsi mai sradicato, gettato in un mondo sensa senso, in piena solitudine davanti alle difficoltà della vita, quello situazione insomma che induce a diventare lupo in mezzo ai lupi ed a pensare che qualsiasi mezzo sia valido per assicurarsi la sopravvivenza. Anche questo fa parte della logica del capitale e non credo sia il tuo pensiero. Il punto, secondo me, è che il capitalismo, per sua natura e logica profonda, è individualista e anticomunitario ma niente affatto antistalista. Anzi, lo Stato, nel momento in cui ha eliminato ogni comunità reale, diventa l’unico referente possibile per l’individuo lasciato a se stesso e che tende quindi a reclamare da esso i propri diritti considerarti sempre a livello individuale come realizzazione di qualsiasi desiderio.
      Alla fine anche la discussione sul welfare e sul suo inevitabile fallimento è frutto di questo stato di cose. Lo Stato diventa una mamma a cui rivolgersi ma che è impossibilitato a garantire ciò che si richiede, anzichè un padre che, nell’ambito di forme volontarie di mutua assistenza e garanzie minime che assicurino a tutti una vita attiva e dignitosa, spinge i figli a crescere e trovare la propria strada, certo anche con un sistema di premi/punizioni (si parla ovviamente in senso metaforico) che scoraggino l’indolenza e l’approfittamento. Oguno, poi, sarà davvero libero di scegliere, col limite di non rompere la coesione comunitaria, bene da preservare primariamente in quanto produttrice di senso. Io credo che anche l’esperienza delle rivoluzioni comuniste chiusesi in modo drammatico e fallimentare sia stata macchiata da questa sottovalutazione. Lo Stato, in quei casi definito proletario, ambiva a rappresentare lui solo dapprima la classe proletaria ma potenzialmente tutto il popolo. C’era il singolo (il cittadino) e di fronte ad esso lo Stato che ambiva rissumere in sè tutta la ricchezza della vita sociale precedente. Non ha funzionato, ma questo è anche il modello dello Stato nazonale giacobino, il quale per firza di cose è destinato a cangiare rapidamente da Stato Mamma buona e provvidenziale in Mamma Cattiva e disinteressata alla sorte dei suoi figli, oppure ma non fa grande differenza, in padre terribile che come Crons divora i propri figli. Entrambe queste immagini sono, a mio avviso, figure del capitale in momenti diversi del suo continuo divenire.

      • Fabrizio Marchi
        27 marzo 2017 at 7:58

        Armando, credo che ci sia un fraintendimento da parte tua delle parole di Michele, perchè non credo che egli volesse dire “che si accontentano del loro stipendiuccio” invece di impegnarsi nella corsa al successo economico e all’accumulazione di denaro. Penso che volesse più sottolineare quel risvolto un po’ più meschino e opportunista di un certo ceto piccolo medio borghese che una volta raggiunta una certa stabilità e sicurezza economica, è preoccupato solo di mantenerle e resta indifferente di fronte alla condizione di chi quella sicurezza e quella stabilità non ha. Penso proprio che la sua critica fosse in quella direzione, non in quella da te indicata. Poi naturalmente sarà lui stesso a spiegarlo meglio, se lo riterrà opportuno (può darsi che non abbia ancora letto il tuo commento…) Del resto conosco personalmente e stimo Michele e penso proprio di non aver sbagliato a dare quell’interpretazione che ho dato delle sue parole.

  5. Michele Serra
    27 marzo 2017 at 8:53

    Non hai sbagliato affatto, Fabrizio, grazie dell’intervento chiarificatore.
    Caro Armando, dal tono del tuo commento sembrerebbe che tu abbia letto solo il mio commento e non l’articolo che lo precede (so che non è così, ma da quest’ultima tua risposta lo sembrerebbe). I commenti sono, appunto, commenti, e trovano il proprio senso in relazione con quanto precede: mi pare di esser stato chiaro sul fatto che non auspico affatto una società fatta di persone che ambiscono a guadagnare sempre di più, e mi pare di essere stato chiaro che i grandi dislivelli sociali siano per me una delle piaghe peggiori, forse la peggiore. L’idea di “contentarsi economicamente” è in questo caso da interpretarsi a 360 gradi: non avere ambizioni di nessun tipo, ma semplicemente cercarsi il proprio posticino fisso, e, una volta raggiunto, non preoccuparsi d’altro, se non in maniera modaiola o opportunistica, quindi aderendo alle posizioni più “sexy” senza approfondire troppo, per non essere costretti a rivedere pesantemente le proprie posizioni fondamentali.
    Questa mentalità così diffusa qui da noi, questa logica dell’o francia o spagna basta che se magna, questa mancanza di ambizioni di qualsiasi tipo, sì, la giudico molto negativamente, non certo la sola mancanza di ambizioni economiche (che però in certi casi potrebbe anche essere un sintomo della mancanza di ambizioni tout court). Purtroppo gli “orizzonti ristretti e senza ambizioni” sono una realtà diffusa in questo ambiente. O, almeno, così pare a me.
    Quanto al punto 2 e al sesso delle istituzioni, mi pare che il discorso sia più o meno lo stesso. Mi limito qui a dire che è ovvio che c’è mamma e mamma e papà e papà ed è ovvio che io non auspico le versioni peggiori dei due ruoli genitoriali ma quelle migliori.
    Chiarisco anche che io sono un convinto sostenitore della bigenitorialità, della necessità di una buona e ben articolata presenza materna e paterna, e penso che oggi molti mali nascano dall’estromissione del ruolo paterno (quello positivo che aiuta a crescere, ovviamente, non quello negativo che divora i figli, c’è davvero bisogno di chiarirlo?) sia dalla vita privata (famiglia, scuola) che da quella pubblica.

  6. Michele Serra
    27 marzo 2017 at 8:56

    Io stesso mi sono sempre contentato del mio stipendiuccio fisso, del resto, e non me ne pento. Ma proprio per questo ho visto tanti colleghi che…

  7. armando
    27 marzo 2017 at 13:38

    ok Michele, i miei appunti erano volti a farti chiarire meglio il tuo pensiero ed evitare possibili fraintendimenti. Rimane naturalmente da capire , ma non è questo il luogo per farlo. cosa significa il termine “ambizione”, anch’esso suscettibile più accezioni ed al quale possono corrispondere contenuti diversi nonché i limiti che ogni soggetti pone o non pone a se stesso nel tentativo di raggiungere i propri obbiettivi. E’ la questione dell’etica, anch’essa declinabile in termini individuali o comunitari.

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