Sul tema della tossicodipendenza e delle droghe leggere

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Ho trovato l’articolo di F. Marchi la droga, l’ideologia dello “svacco” e la sinistra https://www.linterferenza.info/editoriali/la-droga-lideologia-dello-svacco-la-sinistra/ estremamente puntuale su una questione che ha sempre suscitato in me grandi perplessità. Mi ha riportato nel lontano ’95 quando ho tentato di affrontare con degli incontri nei centri sociali il tema droga. Così ho ripreso gli appunti della traccia su cui avevo organizzato gli incontri e ho pensato che poteva essere un contributo per l’argomento trattato. Ho tagliato la parte riguardante le cosiddette evidenze scientifiche sui danni delle droghe, sia perchè in questi anni si sono arricchite, in maniera contraddittoria e disarmonica, sia perchè, proprio per questo motivo, le ricerche in questo campo risultano poco attendibili. Risentono infatti di orientamenti che le rendono più opinioni che evidenze.
Da allora le cose sono molto cambiate, in peggio, perchè allora non sempre i problemi psicologici dei giovani erano ‘inquinati’ dall’uso di sostanze, il fenomeno era dell’ordine del 20%, oggi possiamo tranquillamente dire che il rapporto si è invertito, ed è presente una cultura che tende a negare come l’ansia e i disturbi percettivi e del pensiero possano essere causati da sostanze esogene.
Questo scritto era una traccia per una discussione, partendo dalla mia esperienza, e niente di più.

 

“Nel sogno la contemplazione della realtà presente è perfetta e persino minuziosa,mentre il nostro stesso campo visivo è molto più limitato… non si da attività spirituale che non si riveli mai attiva insogno:eppure lo svolgimento dello stesso,come il nostro comportamento al suo interno,rivela unastraordinaria mancanza di giudizio e allo stesso tempo…di memoria.”
A.Schopenhauer“Sull’esistenza degli spiriti”

Riguardo l’argomento droga ho molto spesso avvertito un atteggiamento pregiudizievole, sia esso di carattere scientifico, sia di costume, sia di posizione politica, che ha sempre
creato in me un certo disagio. Infatti non avendo nessuna intenzione di schierarmi, su posizioni preconfezionate ho sempre evitato di approfondire pubblicamente un pensiero che anche a me appariva non rigoroso. Nel momento in cui ho deciso che anche la mia era una posizione, ho anche sentito l’esigenza non solamente di un approfondimento
personale, ma anche di una maggiore presenza nel dibattito in corso. Mi è sembrato opportuno fare qualcosa, mettere un punto, pensando come possibili interlocutori proprio
chi fa uso di droghe, e luoghi possibili per discuterne gli stessi in cui l’uso e l’abuso di droghe ha portato negli ultimi venti anni a trasformazioni sociali rilevanti. Nei luoghi dove si incontrano i giovani, nelle associazioni culturali, nei centri sociali e dovunque, se possibile, per proporre il gusto del risveglio e del progetto oltre al gusto del sognare.

Droga

Termine che deriva dall’inglese drug che significa farmaco, rimedio farmacologico. Nella lingua italiana ha due accezioni, una quale sinonimo di spezie, l’altra come sostanza stupefacente o meglio come sostanza capace di alterare le percezioni.
Vediamo ora il significato della parola farmaco: dal greco pharmacon: rimedio, medicamento, cura, balsamo, linimento, sollievo. Da quanto detto possiamo considerare
una qualche vicinanza tra i due vocaboli. Le spezie, infatti, sono un rimedio usato in cucina per coprire, modificare, alterare le proprietà organolettiche di alcuni cibi, per
alterarne il gusto. Ogni farmaco, d’altro canto, provoca alterazioni percettive. Si pensi allealterazioni del gusto provocate dagli antibiotici la cui conseguenza può essere anche una severa inappetenza, così come al benessere che porta il cortisone o alla diversa percezione del caldo e del freddo determinato dall’iper o dall’ipofunzionafunzionamento
degli ormoni tiroidei e da una loro eventuale assunzione esogena. D’altra parte è noto come la morfina sia un ottimo analgesico, usata anche nella pratica medica. E’ anche
noto da sempre, recentemente anche dimostrato scientificamente come il pepe sia dannoso per il fegato e lo stomaco: l’uso eccessivo può indurre gastriti croniche e ulcere,
mentre sembra essere utile, secondo studi recenti, ad una regolarizzazione delle varie frazioni del colesterolo favorendo la formazione dell’hdl, fattore protettivo dall’aterosclerosi.
Questo discorso per dire che qualsiasi sostanza può avere per l’organismo effetti molteplici, alcuni benefici, altri dannosi. D’altra parte nessuno si permetterebbe di proporre
il proibizionismo del pepe ovvero l’uso per diete dimagranti degli antibiotici (almeno me lo
auguro).
A questo punto vorrei porre l’attenzione su quanto sia fittizia la distinzione tra droghe leggere e pesanti e tra droghe e farmaci.
Negare gli effetti nocivi che hanno anche la marijuana e l’hashish, sarebbe come negare la gastrotossicità del pepe, come proporre ai nostri figli piatti pieni di pepe dallo
svezzamento in poi. Il pepe non ha leggi proibizioniste, ogni genitore sa come regolarsi. Il pepe, il peperoncino ed altre spezie più familiari alla nostra civiltà, sono abbastanza
conosciute nei loro effetti e sono altresì gestibili individualmente e collettivamente senza necessariamente prevedere una qualche legislazione, proprio come accade per la
cannhabis nei luoghi dove è abitualmente usata come spezia. Le foglie e i fiori di cannhabis, infatti, possono essere usati per preparare dolci e cibi, per aromatizzare
bevande, così come da noi si fa con il rosmarino o con la salvia. L’uso che noi facciamo della cannhabis è molto distante da questo in quanto non veniamo attratti dalla poliedricità delle sue caratteristiche, quanto dal suo specifico effetto psicotropo determinato da un suo componente: il tetraidrocannabinolo, non presente in natura allo stato puro. Nelle civiltà occidentali l’uso e gli effetti somigliano molto di più all’uso e agli effetti che ebbe l’alcool sui pellerossa. Questa fu una delle armi più potenti usate contro di loro. Furono rese dipendenti dall’alcool intere popolazioni, allo stesso modo almeno tre generazioni hanno subito gli effetti devastanti delle sostanze stupefacenti in genere. Tutto questo per dire semplicemente come solamente l’informazione corretta ed esaustiva può essere la base d’ogni scelta. Per questo motivo ritengo pericolosa l’attuale tendenza culturale di scindere le sostanze psicotrope in farmaci ed in droghe, e le droghe in leggere e pesanti. Non esiste nessun criterio scientifico che possa giustificare tale separazione. I rimedi della medicina: i farmaci, sono sia sintetici che naturali, estratti di piante o coltivazione di particolari muffe (antibiotici), così come le cosiddette droghe, possono essere anche sintetizzate in laboratorio. Questa tendenza alla separazione si è andata negli ultimi anni accentuando.

Esperienza clinica

I dati qui riportati sono stati raccolti dal lavoro svolto presso un CSM; non ho infatti mai lavorato presso strutture che si occupano di tossicodipendenza. L’importanza di questa
premessa sta nel fatto che il punto di osservazione, per i due servizi è diverso. La richiesta di aiuto, all’interno di un CIM è certamente più genuina, sia che essa provenga da un
familiare, sia che sia una richiesta individuale, non mediata cioè da problemi legali né dalle problematiche strettamente legate all’assunzione di sostanze. Infatti, anche se nel lavoro di psichiatra può capitare di avere a che fare con aspetti legali, questi sono notevolmente più sfumati rispetto al controllo diretto, soprattutto se lo psichiatra si pone criticamente nei confronti di quegli aspetti per così dire normativi della sua professione, risultando più marcati gli aspetti terapeutici. Le richieste di aiuto spesso non vengono nemmeno messe in relazione con l’assunzione di sostanze, vengono riportati problemi d’insonnia, modificazioni comportamentali, difficoltà nello studio, problemi relazionali etc.
I dati riportati di seguito saranno la traccia delle riflessioni sugli effetti psicologici dell’hashish e della marijuana.
In psicologia ed in psichiatria è molto difficile, se non impossibile stabilire una connessione definita tra una certa causa ed un effetto perchè le variabili da considerare sono sempre molteplici. Purtuttavia alcuni dati, seppure scientificamente non certi, risultano essere veri. Faccio l’esempio del lutto. Se incontriamo una persona che ha perduto una persona cara, non ci aspettiamo certo che sia sorridente, ci aspettiamo invece di trovarla triste e
piangente, così se vediamo una persona triste pensiamo che potrebbe aver subito un grave lutto. L’esperienza umana, il vissuto comune ci dicono qualcosa di certo sugli stati
d’animo, di per se, difficilmente quantificabili e riproducibili; eppure può accadere che una persona che ha vissuto un lutto possa ridere o non mostrare tristezza. Di fronte a ciò
possiamo anche non stupirci. Certamente noi sappiamo che la perdita di una persona cara ci fa soffrire e ci rende tristi. Non credo sia necessario aggiungere altro per indicare la
difficoltà insita nell’indagine psicologica.

Dati clinici

Ho preso in considerazione 20 persone da me seguite per più di un anno,nella fascia di età compresa tra i venti e i trenta anni, per problemi psichici di varia natura.
11 di loro hanno avuto esperienza di assunzione dei derivati della cannhabis; 6 hanno fatto un uso regolare solamente di hashish e marijuana; 3 un uso costante per periodi molto lunghi con associate altre sostanze, eroina, cocaina.
Tra queste, 2 persone raccontano di un’esperienza iniziale di assunzione di una sostanza non ben identificata, di cui 1 ha proseguito con un uso sporadico dei prodotti della
cannhabis. Questa persona riferisce che l’effetto della prima assunzione di hashish ha causato uno stato di eccitamento con presenza di alterazioni della percezione simili a
quelle avute durante nell’esperienza con la sostanza sconosciuta. Questa persona, durante il periodo dei suoi colloqui con me, continuava ad assumere periodicamente
del fumo ed ho potuto osservare che ogni successiva assunzione portava alla comparsa di un delirio persecutorio, non giustificato da altre possibili relazioni causali. La
consapevolezza acquisita di causa ed effetto ha portato nel tempo ad una sospensione totale del fumo.
Com’è facilmente documentabile ed intuitivamente comprensibile, la modifica delle percezioni comporta un certo grado variabile d’interpretazione della realtà, a prescindere
della natura e dal tipo di percezioni, il pensiero è quindi disturbato tanto da condurre a veri e propri deliri. Per lo più non sono deliri sistematizzati, quanto piuttosto dei deliri di riferimento, molto legati quindi a sensazioni indefinite, a volte confuse, più legate alla sfera affettiva che non alla costruzione logica. Questo dato anche se difficilmente dimostrabile in termini scientifici, è per me vero. A prescindere infatti dal tipo di problema presentato e dal quadro riconducibile a particolari nosografie. Questo aspetto, apparentemente caratteriale, l’ ho riscontrato nella quasi totalità dei casi.
Altra osservazione, questa confermata da altri autori e quindi accettata scientificamente, è la perdita della memoria a breve termine, ossia la difficoltà a fissare i ricordi. Questa
caratteristica si riscontra nelle atrofie cerebrali, soprattutto nella patologia cerebrale legataall’aterosclerosi e all’alcolismo. Alcuni autori hanno rilevato un’ atrofia cerebrale in alcuni giovani assuntori di cannhabis. Ciò che vorrei qui rilevare è l’aspetto funzionale del dato, non avendo a disposizione dati sperimentali e strumentali. Una costante alterazione del normale processo di fissazione della memoria non può, a mio parere, ma gradirei che posizioni critiche entrassero nel merito, non portare nel tempo a gravi turbe cognitive.
J.H.Jaffè scrive: ” Alcuni soldati dell’esercito USA che usano regolarmente alte dosi di hascisc, mostrano apatia, indolenza, alterazioni del giudizio, della concentrazione della memoria, insieme a perdita d’interesse per la propria persona. Con l’interruzione dell’assunzione, memoria, vigilanza, concentrazione e capacità di calcolo tornano normali entro 2-4 settimane ma alcuni continuano ad avere sintomi residui intermittenti (perdite di memoria confusioni ecc), simili a quelli di portatori di malattie organiche del cervello. Questo uso cronico di alte dosi non è comune negli Stati Uniti, ma alcuni medici hanno descritto lievi alterazioni della memoria e diminuito interesse nel raggiungimento e nel perseguimento di scopi convenzionali.(sindrome amotivazionale), nei giovani consumatori di marijuana che fumano qualche sigaretta al giorno.”
Questo breve scritto di una mia paziente testimonia la complessità del problema esposto in maniera estremamente lineare, nonostante tutta la complessità. Mi è sembrata una
buona traccia da seguire per esporre le conclusioni.
“Smisi di fumare prima dei diciotto anni. Il fumo era un mezzo di socializzazione, tutti fumavano e si facevano un sacco d’amicizie attorno ad una canna. Si creavano sempre situazioni piacevoli, era più facile parlare e dividere le proprie emozioni con gli altri. Nei primi anni 80 il fumo non mi dava più sballo, mi creava pensieri paranoici ed avevo problemi a stare con gli altri. Per quel poco che ho potuto constatare gli amici e conoscenti che non resistevano neanche un
giorno senza fumo, sono poi passati all’eroina. Sono quasi tutti morti. Altri storici fumatori sono passati alla cocaina e all’alcol. Quasi tutti ormai sono fuori di testa. Qualcun altro si è ridimensionato. Gli attuali fumatori, qualcuno ex tossico, non fumano più molto frequentemente, una volta a settimana ed anche meno. Anche chi lo usava per studiare,non lo usa quasi più. Fra il lavoro ed altre cose da fare da lucidi resta solo il week-end. Sono pochi quelli che lavorano bene da fumati, a meno che il tipo di erba non ti dia uno sballo tipo anfetamine: uno sballo attivo e lucido. Raro. A me non capita più di due o tre volte l’anno, poi evito. Se trovassi erba in giro credo che fumerei di più…forse la userei come sonnifero, ma non esagerei. L’ideale sarebbe che tornasse ad essere un mezzo di socializzazione, anche se comprandolo in
tabaccheria non avrebbe più il gusto del proibito.” (Margherita)
Considerando che i dati riportati da varie ricerche sperimentali risultano incerti, anche perché le dosi di sostanze utilizzate nella sperimentazione sull’uomo sono relativamente
basse in rapporto ai quantitativi usati comunemente, le conclusioni saranno tratte dall’ esperienza clinica diretta, accettando l’incompletezza insita nel dato esperienziale.

Conclusioni

Il tipo di sostanze utilizzate, il loro uso ed abuso, di qualsiasi natura esse siano, le modalità, fanno parte della cultura osservata, anche se trattasi di farmaci all’interno di un
contesto terapeutico. L’osservazione epidemiologica (l’analisi dell’incidenza in una popolazione di un determinato fenomeno morboso), non può essere pensata al di fuori di
un’osservazione che tenga conto della complessità della società tutta. Abitudini, stili di vita, riti, convenzioni sociali, ed usi, hanno un’importanza rilevante
sull’incidenza delle malattie infettive. Allo stesso tempo risulta rilevante il tipo di economia considerato (società rurale, industriale ecc.).
A mio parere risulta altrettanto importante, riguardo l’argomento qui trattato, conoscere il punto di vista dell’osservatore che propone la riflessione. Un’appartenenza dichiarata
probabilmente sarebbe di grande aiuto alla stessa ricerca scientifica, piuttosto che posizioni discutibili di pseudo-equidistanza, che favoriscono in maniera più o meno
consapevole, in modo più o meno onesto, la manipolazione dei dati. Non credo infatti sia possibile avanzare un’ipotesi qualunque da un punto di vista legislativo se non all’interno di scelte globali, di natura quindi politiche ed economiche, all’interno di una visione del mondo che, come tale, non può essere occultata, in quanto dall’analisi critica delle posizioni prese potrebbe essere svelata.
Ritengo pertanto che il problema del proibizionismo e dell’antiproibizionismo sia un problema non di competenza scientifica: l’arsenico e la stricnina sono venduti
comunemente come veleno per topi, chiunque può comprarli a tale scopo o farne l’uso che vuole. La scienza deve però informare sui dati certi e non può confonderli.
Riportandoli in toto nella loro complessità e contraddittorietà e anche nell’incompletezza dovuta a conoscenze non raggiunte. Certo è che il mercato delle droghe in genere è una fetta dell’economia mondiale, e questo un buon scienziato non può ignorarlo, nel nome di nessuna libertà scientifica.

Torno ora a quanto è di mia specifica competenza, lasciando ad altri l’approfondimento dei temi appena esposti.
Probabilmente la sindrome amotivazionale descritta sopra non è specifica né per la cannhabis, né per l’uso di altre droghe quali l’eroina. Il vedere troppo la tv sembra crei lo
stesso tipo di problema. Questa civiltà delle immagini e del sogno ci costringe comunque a dormire, le tensioni sciolte, l’ansia sedata, non lascia spazio, come dicevo all’inizio, al
progetto e alla sua realizzazione perché come scrive Margherita: sono pochi quelli che riescono a lavorare bene da fumati.
La ricerca del piacere è stato un elemento costante in tutta la storia dell’umanità che ha considerato l’assoluto quale perfetto equilibrio tra benessere, conoscenza, verità ed
amore. Ciò è considerato irraggiungibile dalla cultura ebraico-cristiana dominante la civiltà occidentale, seppure costantemente desiderato. La forza espiativa della nostra cultura
pone, a tutt’oggi, come peccaminosa la ricerca di questa armonia, ponendo costantemente l’opposizione tra dovere e piacere. Su questo e sulla possibilità di immaginare non
l’opposizione piacere o dovere, ma la congiunzione di piacere e dovere, si potrebbe discutere a lungo. Nelle parole di Margherita traspare proprio l’opposizione piacere/dovere,
piuttosto che la congiunzione. Infatti, nell’immaginare la possibilità di provare piacere nello svolgimento di un compito, altrimenti considerato dovere, si eviterebbe tutto
ciò che potrebbe comportare una disattenzione e ritardo al suo compimento, proprio per il gusto ed il piacere di portarlo a termine.
L’idea che molti hanno che la cannhabis favorisca la socializzazione è un’idea inesatta perché disinibisce temporaneamente, allentando le difese psicologiche nei confronti
dell’altro, diminuisce l’ansia presente nell’incontro. L’ansia però è un’emozione essenziale alla sopravvivenza, è la manifestazione emotiva di un complesso meccanismo
di adattamento. I neurofisiologi studiando lo stress, lo definiscono, infatti ‘sindrome generale di adattamento’, l’ansia è l’emozione che mette in moto la reazione da stress
come reazione aspecifica e specifica di fronte ad uno stimolo nuovo. L’adolescenza è l’età in cui ogni stimolo è nuovo, perché il giovane è sconosciuto a se stesso. L’osservazione di se è già fonte di stimoli potenti, il proprio corpo propositivo di tensioni, d’impulsi, i sentimenti e le sensazioni acquistano importanza, per la necessità di definizione con cui si propongono. Oltre agli stimoli generati dalle trasformazioni fisiche, e/o proprio per queste, avviene la necessità del confronto con l’altro. Ciò è utile alla costruzione dell’identità personale ma anche base della relazionalità adulta (socializzazione).Tutto ciò è fonte di ansia, intesa nel senso di tensione necessaria a trovare soluzioni possibili per la costituzione dei limiti me-altro da me, sia all’interno della famiglia che fuori di essa; per costruire il senso di appartenenza ad un gruppo, sia al gruppo familiare che sociale; per formulare il proprio progetto di vita. Ansiose sono le prime esperienze amorose, immagini vitali, fisse nella memoria per tutta una vita. L’ansia quindi è l’emozione necessaria a mettere in moto tutto il nostro essere per la sua stessa realizzazione. Per questo motivo è presente anche nelle situazioni di pericolo e là dove non troviamo soluzioni può diventare paura o penosa angoscia.
Stress è una parola inglese che ricopre diversi significati: spinta -pressione -costrizione – tensione -impulso -enfasi -importanza -insistenza. Nella grammatica ha il significato di accento tonico. Nella scienza delle costruzioni tensione -sforzo, comprendente il concetto di sollecitazione e resistenza alla rottura.
Questa introduzione linguistica per amplificare, semmai ce ne fosse il bisogno, la definizione che diede Selye nel 1936 di stress:”reazionestress” “reazione aspecifica
dell’organismo ad ogni richiesta operata su di esso”. Questo autore fu il primo a notare che gli animali da esperimento reagivano con una comune reazione di difesa a stimoli di
qualsiasi natura, caratterizzata da un’attivazione dell’asse ipofisi-corticosurrene.
L’attivazione corticosurrenalica crea variazioni biologiche e funzionali su altri apparati (ipertrofia del timo e delle ghiandole linfatiche).
E stato quindi rilevato come la sollecitazione costante del corticosurrene potesse essere causa di patologia organica. Studi successivi confermarono come l’emozione fosse il
motore della attivazione della sostanza corticale del S.N.C., da questo partirebbe l’attivazione del sistema limbico che modula direttamente ed indirettamente il sistema
endocrino in maniera sia specifica che aspecifica a seconda dei diversi stimoli vitali di adattamento. Tra le reazioni specifiche vitali di stress ci sono quelle legate alla sessualità,
alla gravidanza, all’allattamento. Così come la eccessiva sollecitazione di alcuni organi per uno stress prolungato provoca alterazioni fisiopatologiche, altrettanto possiamo
pensare possa accadere nel caso in cui siano assenti le risposte vitali in presenza di stimoli (perché se la cannhabis altera le percezioni, non può certo abolire lo stimolo).La
diminuzione della risposta immunitaria potrebbe esserne un esempio. Vorrei però andare oltre e vedere nella reazione da stress fisiologica un aspetto strettamente legato alla relazionalità propria dell’essere umano.
Vorrei ora fermarmi per un momento sull’immagine biblica del peccato originale. Il gesto di Eva di offrire ad Adamo il frutto dell’albero della conoscenza, non è rappresentativo della ribellione, della trasgressione in se e per se; Eva offre il frutto, si pone in maniera relazionante, e Adamo accetta la relazionalità proposta, sceglie di partecipare. Eva non
se ne appropria da sola, Adamo lo restituisce ad Eva, ripropone la relazionalità come elemento fondante la conoscenza stessa, la comunicazione e la condivisione dell’esperienza sono essi stessi trasgressivi per la cultura occidentale fondata su questo mito. La ricerca del piacere assoluto, benessere, amore e conoscenza non può
certo prescindere dalla comunicazione, anch’essa a questo punto peccaminosa e trasgressiva. Trasgressione e relazionalità con l’altro sono, quindi, nella cultura
occidentale strettamente collegate tra loro e con la ricerca del piacere assoluto. Sono altresì necessità psicobiologiche in quanto la trasgressione è generata dalla necessità di
sperimentare soluzioni individuative nei confronti di un ordine stabilito vissuto come dato di natura (la famiglia, il gruppo sociale di appartenenza della famiglia);la socializzazione ha il significato di un allargamento della dipendenza verso un gruppo, all’interno del quale possa completarsi la costituzione di un’identità personale tendente versus la realizzazione del piacere assoluto, attraverso la scoperta delle proprie caratteristiche personali e la costruzione di proprie modalità espressive e comunicative attraverso cui queste possano essere realizzate.
Scrive appunto Margherita:“Smisi di fumare a diciotto anni. Il fumo era un mezzo di socializzazione, tutti fumavano e si facevano un sacco d’amicizie attorno ad una canna. Si creavano sempre situazioni piacevoli, era più facile parlare e dividere le proprie emozioni con gli altri.”
Mi è capitato di ascoltare alcune affermazioni secondo cui l’uso di sostanze quali i derivati della cannhabis, alcuni addirittura l’LSD, sarebbero ottimi strumenti per liberare le nostre potenzialità più nascoste. Utilizzando la potenza evocatrice di un mito millenario, senza peraltro dichiararlo, propongono l’ uso di sostanze psicotrope come nuovi frutti di
conoscenza, riducendo ad una vile letteralizzazione un mito da cui l’umanità potrebbe forse liberarsi solamente con la creazione di un mito diverso di uguale potenza.
“Nei primi anni ottanta il fumo non mi dava più sballo, mi creava pensieri paranoici ed avevo problemi a stare con gli altri.”
Il racconto del vissuto di Margherita è simile ad altri da me ascoltati, soprattutto di persone che ne hanno iniziato l’uso in giovanissima età (13, 14, anni13,14,anni). L’uso
precoce è più frequente di quel che si creda (13, 14 anni) perché in effetti fa parte della ritualità di gruppo propria dell’adolescenza. Viene messo in evidenza come da una
migliore relazionalità si passi in breve ad una difficoltà esasperata a stare con gli altri; vediamo ora se il discorso sullo stress può rappresentare la base di una possibile
interpretazione del fenomeno. Riferendomi alle osservazioni precedenti, vorrei qui rilevare come l’uso di cannhabis, o di qualsiasi altra sostanza simbolo di trasgressione, favorendo l’incontro, non permette di affrontare la difficoltà dell’incontro stesso. Il fatto di non sperimentare questa difficoltà, annullata od affievolita dall’uso di sostanze, nell’età dello sviluppo psicofisico, il fatto che le prime esperienze adolescenziali vengano vissute in uno stato sognante, prive, quindi, di memoria, crea inevitabilmente una mancanza di esperienza psicobiologica, forse addirittura una inibizione dei meccanismo adattativi da stress. L’incertezza di se delle proprie capacità progettuali, può indurre l’attivazione di meccanismi fortemente proiettivi, (pensieri paranoici, Margherita li definisce giustamene tali, perché pensava costantemente che le persone più care potessero farle del male, che non la stimavano). La reazione di adattamento di gruppo, lo stress gruppale generato dall’essere trasgressivi insieme ad altri, è in qualche modo attivato dalla presenza di sostanze illegali, vorrei però puntualizzare come, con l’uso di sostanze che tendono ad annullare l’ansia e a ridurre la memoria di fissazione, probabilmente a livello individuale, non favoriscono l’acquisizione di esperienza personale. Qualcuno potrebbe obiettare che problemi del genere Margheriata li avrebbe avuti comunque.Possibile, d’altro canto è altrettanto dimostrato che non esistono né gruppi sociali, né categorie particolari di persone, né classi sociali che possano essere classificate come più frequenti assuntori di cannhabis. Mentre oltre ad alcuni studi, anche l’esperienza di vita conferma il dato di una caratterialità in cui prevalgono meccanismi proiettivi.
Un altro punto è proprio il cosiddetto gusto del proibito e l’uso legalizzato: “Se trovassi erba in giro credo che fumerei di più…anche se comprandola in tabaccheria
non avrebbe più il gusto del proibito.”
Su questo punto non penso utile aggiungere altro che ribadire come il problema della legalizzazione e del proibizionismo siano le due facce di una medaglia infuocata dal
mercato che gestisce gli spazi commerciali, e questo per me non avrebbe alcun interesse se non impedisse la corretta informazione sia riguardo alla cannhabis che di altre
sostanze.

 

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