Sulla violazione dei principi costituzionali: regola del concorso pubblico e staffetta generazionale mancata

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Un osservatore attento deve aver notato che quel messaggio ossessivo sul tema dell’occupazione giovanile ed in particolare sul ricambio generazionale nella pubblica amministrazione, che sembrava quasi un dogma mediatico negli anni precedenti, sembra essersi dissolto. Il motivo è piuttosto elementare: il Governo non parla più dei giovani perché sa che potrà garantire loro poco o nulla ed ha già scelto che le limitate risorse economiche saranno destinate altrove.
In un anno di governo Renzi la legislazione sul pubblico impiego e sulla famosa staffetta generazionale, uno dei cavalli di battaglia della Ministra Madia, si è caratterizzata per essere una delle più schizofreniche di sempre.
In premessa, dobbiamo ricordare due dati statistici che non sono molto noti e forse anche lo stesso Governo finge di ignorare. In Italia esiste una delle classi di dipendenti pubblici più anziane d’Europa. Non solo, l’Italia, a differenza di ciò che si può pensare, è uno dei Paesi con meno dipendenti pubblici d’Europa in rapporto al numero di abitanti.
Tale situazione è stata ovviamente causata in larga parte dalla legislazione pregressa che però l’attuale il Governo non ha il coraggio di scalfire minimamente. Il riferimento è alla legge Fornero che ha allungato l’età pensionabile anche nel pubblico impiego e alle riforme degli anni precedenti che hanno bloccato il turn over.
Ma, si diceva, il Governo è responsabile di averci messo del suo e di aver aggravato il problema. Vediamo in che misura.
Legge Fornero. A fronte delle tanto decantata possibilità di flessibilità, nella legge di stabilità viene prevista solo una misura del tutto insignificante che, presumibilmente, avrà un utilizzo scarsissimo. La possibilità cioè che le donne in procinto di raggiungere l’età pensionabile possano ricorrere al part time. La misura è inefficace perché la riduzione dell’orario di lavoro della metà comporterà anche una corrispondente riduzione del salario ed è molto difficile che, di questi tempi, una dipendente possa accettare tale riduzione. Non solo, per la questione in oggetto, la misura è completamente inefficace per favorire il turn over nel pubblico impiego proprio perché a questo settore la stessa misura non si applicherà.
Soglie di turn over. Come anticipato, il Governo Renzi si sta caratterizzando per la schizofrenia normativa. La Riforma Madia aveva progressivamente innalzato le soglie di turn over. Cosa succede ora? Succede che lo stesso Governo li riabbassa. Se nella Riforma Madia le soglie arrivavano al 100% nel 2018 ora, dal testo che si appresta a passare all’esame delle Camere, sembrerebbe che per gli anni 2016, 2017, 2108 le soglie saranno pari al 25%. Ciò significa che ci vorranno 4 dipendenti andati in pensione per fare entrare un giovane. L’articolo che prevede tale norma è intitolato “Giovani eccellenze nella pubblica amministrazione” e, se non altro, va dato atto di una capacità di autoironia del legislatore fuori dal comune (art. 16 bozza ddl stabilità 2016).
Il dato normativo è aggravato da un dato fattuale di grande rilievo. In Italia ci sono circa 4.200 vincitori di concorso pubblico che aspettano l’assunzione da anni per non parlare delle migliaia di idonei collocati in graduatorie. Il dato è agghiacciante e richiama molto il tema degli esodati cioè di quelle persone che hanno investito molti anni della propria vita in un’attività lavorativa ma che non godono di alcun diritto perché esclusi da una legislazione che tuteli le loro posizioni soggettive.
E’ facile cogliere anche un certo disprezzo del legislatore nei confronti della Costituzione, di quell’art. 97 che fissa un principio di grande rilievo: alle amministrazioni pubbliche si accede mediante concorso pubblico.
La Corte Costituzionale ha sempre interpretato tale principio in maniera rigida, essendo pacifico che lo stesso sottende i principi di imparzialità. In sostanza, l’art. 97 esprime l’esigenza che chi lavora in un P.A. non sia sottoposto all’orientamento politico degli organi di governo. Non possono esercitare la funzione propria dei pubblici dipendenti coloro i quali sono scelti da organi politici perché verrebbe meno la garanzia di indipendenza nell’esercizio della funzione pubblica e la separazione tra politica e gestione.
Quello che invece succede in Italia è che centinaia di migliaia di soggetti entrati nella P.A. per chiamata diretta o con selezioni che non rispettano il principio del concorso pubblico lavorino tuttora nella P.A. con contratti prorogati di anno in anno e vengano poi stabilizzati e, al contrario, circa 4.200 persone che hanno vinto un concorso pubblico (che dovrebbe rappresentare la via maestra di accesso ai ruoli in ogni P.A.) stiano a casa. Si tratta di un vero e proprio ribaltamento dei principi costituzionali dove la regola diventa l’eccezione e l’eccezione la regola. Si ricordano, in proposito, le parole della Corte Costituzionale nella sentenza n. 195/’10 secondo cui il principio del pubblico concorso può andare incontro sì ad eccezioni, ma per ragioni peculiari di interesse pubblico: la giurisprudenza costituzionale richiede «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico», «che consentono al legislatore di derogare al principio costituzionale del concorso pubblico».
Altro aggravio del problema: legge sul riordino delle Province (Legge n. 56 del 2014) Altra scellerata legge renziana. Scellerata per una serie di motivi. Primo perché non c’è alcun risparmio della spesa pubblica dovuta a questa legge. Lo ha certificato a chiare lettere la Corte dei Conti secondo la quale le risorse a disposizione rischino di non bastare a «garantire servizi di primaria importanza». Senza interventi «la forbice tra risorse correnti e fabbisogno» tende a una «profonda divaricazione, difficilmente sostenibile per l’intero comparto».
Ma c’è di più: i provinciali andranno quasi tutti in Regione con un contratto più corposo e, per ciò che riguarda il nostro tema, al fine di favorire il collocamento dei provinciali è stato disposto il blocco totale delle assunzioni in regioni ed enti locali per due anni.
Ecco perché il tema dei giovani e del ricambio generazionale nella pubblica amministrazione è sparito dagli slogan di governo. Ed è curioso come si dibatta sempre della riforma della seconda parte della Costituzione e mai del rispetto dei principi sanciti dalla prima parte. A pensar male viene quasi il sospetto che il dibattito sulla riforma della seconda parte sia una potente arma di distrazione di massa.
Perché, innanzitutto, i risparmi nel pubblico impiego si sarebbero potuti ottenere da un’oculata spending review a partire dalle società pubbliche.
Poche settimane fa il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Cantone dichiarava che «il vero disastro sono le società pubbliche», create dopo Tangentopoli «come vero e proprio escamotage» soffermandosi sul fatto che nella sola Atac romana siano state assunte ben 700 persone senza concorso.
Le parole di Cantone ci inducono a riflettere sullo strettissimo legame tra fenomeni di corruzione ed inefficienza amministrativa da un lato e violazione del principio del concorso pubblico. Non è certo un caso che anche a livello sistematico il principio del concorso pubblico sia collocato subito dopo quei principi di buon andamento ed imparzialità della P.A. di cui al comma 2 dell’art. 97 Costituzione (ed anche dopo il principio dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità introdotto con la novella del 2012) e non è certo un caso che i più grossi fenomeni di cattivo funzionamento della P.A. si siano verificati soprattutto nell’ambito delle società pubbliche dove la regola del concorso pubblico come strada di accesso preferenziale è stata sistematicamente violata nel corso degli anni. D’altra parte, quel comma finale dell’art. 97 rappresenta la logica norma di chiusura del sistema di governo delle pubbliche amministrazioni ed al tempo stesso uno dei tratti definitori di ogni pubblica amministrazione, essendo anche volto a misurare e valutare le professionalità da inserire sulla base di criteri meritocratici. Esso dunque costituisce, in ultima analisi, il presidio migliore ideato dai Costituenti per svincolare le stesse amministrazioni al perseguimento di finalità extraistituzionali o particolari e premiare le professionalità sulla base di criteri oggettivi.
Non solo. Il principio del concorso pubblico ha un ruolo fondamentale anche nell’ambito del circuito politico amministrativo e nella corretta formazione volontà popolare. Difatti, la presenza di una classe burocrate indipendente dalla classe politica di governo è la prima garanzia in termini di fedele rappresentazione dell’efficienza della P.A. agli elettori e, dunque, degli effetti, sul piano amministrativo e gestionale, delle scelte politiche.
Se è evidente che ogni azione politica, benché libera nei fini, produce effetti in termini amministrativi, di essa deve essere data una rappresentazione dai funzionari sia sul piano del bilancio sia più in generale sul rispetto delle norme, dell’efficienza complessiva delle misure adottate. Ma tutto ciò diventa chiaramente più complicato nel caso di una classe di dipendenti pubblici nominata dalla classe politica di turno nella misura in cui la stessa attività gestionale ed in particolar modo le funzioni di verifica che a queste sono assegnate per legge rischiano di condurre a rappresentazioni poco fedeli dell’efficacia dell’azione di governo ed delle sue ricadute sul piano amministrativo, oscurando i principi di trasparenza e legalità.
Ciò, come si diceva, presenta dei rischi di grossa portata con riferimento alla corretta formazione della volontà popolare che si potrebbe scontrare con una certa difficoltà a trovare veritieri elementi di verifica per quello che dovrà essere il giudizio dell’apparato politico-amministrativo nel suo complesso. In sostanza, anche le forme di precariato nella pubblica amministrazione possono fornire il loro discreto contributo a quella crisi dei circuiti di rappresentanza che sembra essere uno dei tratti distintivi della nostra società.
Ed è innegabile che il contratto a tempo determinato nella pubblica amministrazione condivida molto spesso gli stessi potenziali rischi che abbiamo delineato con riferimento alle procedure di accesso non basate sul concorso ad evidenza pubblica, in quanto in grado, potenzialmente, di esporre i titolari del contratto a termine a condizionamenti nel loro operato in vista del rinnovo dei contratti, che possono influire sulla capacità di indipendenza ed autodeterminazione nell’esercizio della funzione.
Appare infatti innegabile che ci sia sovente un rapporto molto stretto tra procedure selettive non rispettose del pubblico concorso da un lato ed instaurazione di rapporti a tempo determinato dall’altro, per quanto i due fenomeni vadano tenuti distinti in quanto uno investe la fase genetica del rapporto di lavoro, l’altro la fase dinamica.
Entrambi i fenomeni si prestano poi a contenziosi di rilevante impatto politico/amministrativo. Si ricordano in questa sede la “sentenza Mascolo” della Corte di Giustizia con cui è stato condannato l’abuso dei contratti precari nel settore della scuola o al caso, di forte attualità, dei 767 dirigenti dell’agenzia delle entrate decaduti dal loro incarico a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale proprio in virtù della mancanza a monte di un concorso pubblico.
Le ultime modifiche presenti nella legge di stabilità, che prevedono una sostanziale erosione dei margini per la staffetta generazionale nel pubblico impiego limitandola al 25%, avrà come suo inevitabile effetto quello di contribuire ad innalzare, al contrario, le percentuali di personale a tempo determinato (che non rientrano nelle assunzioni sottoposte ai vincoli di turn over) le cui modalità di accesso, come si è detto, molto spesso non garantiscono il rispetto delle procedure di evidenza pubblica.
Non basta, infatti, un avviso pubblico per garantire il rispetto dell’art. 97 ma sono necessari altri requisiti che possono senza dubbio provare che ogni tipo di selezione sia effettivamente orientata all’esterno e sia caratterizzata dalla presenza di prove selettive secondo quanto prescrivono le norme del D.P.R. 487/1994. E non è certo negata qui la competenza del personale precario o entrato in amministrazione tramite selezioni ed avvisi che non corrispondono alla regola del concorso pubblico ma, piuttosto, il fine di queste brevi riflessioni è quello di mettere in luce alcune tra le più significative criticità giuridiche che questo modo di atteggiarsi del lavoro dipendente pubblico può presentare.
Nonostante che questi indicatori testimonino la sostanziale problematicità dell’esperienza del precariato nell’ambito del pubblico impiego e dei contratti in cui a monte difettano procedure di concorso pubblico, sembra che dalle recenti modifiche normative, ancora una volta, sia proprio la regola del concorso pubblico e dei principi ad essa sottesi a pagare il prezzo di scelte che non tengono conto in alcun modo del rispetto delle prescrizioni costituzionali e delle indicazioni della Corte.
Forse in molti dimenticano come le norme costituzionali contenute nella prima parte della Costituzione abbiano una valenza “precettiva” e non solo “programmatica” e siano quindi in grado di vincolare direttamente tutte le fonti del diritto di rango inferiore, dalle leggi ai regolamenti fino agli avvisi pubblici, alla Costituzione stessa ed alle prescrizioni in esse contenute.
Questo carattere di precettività immediata è proprio quello sancito dalla Corte Costituzionale nella sua prima e storica sentenza: la n. 1 del 1956.

5 commenti per “Sulla violazione dei principi costituzionali: regola del concorso pubblico e staffetta generazionale mancata

  1. ARMANDO
    28 ottobre 2015 at 12:51

    Tutto sommato, alla fin fine, è più onesto il brutale sistema USA dello spoil sistem. Chi vince nomina persone di propria fiducia, gli altri a casa, e poi ci sarà il giudizio politico complessivo del popolo, con tutte le riserve del caso, naturalmente. Qui in Italia, è tutto bello sulla carta, tutto ipocrita nella pratica. Degli altri prendiamo i difetti.

    • Francesco
      28 ottobre 2015 at 19:53

      Certo Armando, condivido le tue perplessità. Se c’è una regola costituzionale andrebbe rispettata altrimenti è carta straccia. Il mio timore è che a quel sistema americano si arriverà prima o poi. Lo spoyl sistem di fatto esiste già in Italia anche a livello normativo per le figure dirigenziali apicali ed anche qui è dovuta intervenire la Corte per fissarne i paletti.

      • Francesco
        29 ottobre 2015 at 16:04

        *spoil system ovviamente o “sistema delle spoglie”

  2. Alessandro
    28 ottobre 2015 at 18:50

    Molto interessante la considerazione secondo cui il turn over nel pubblico impiego non verrebbe attuato anche per favorire l’utilizzo dei contratti a termine, con i quali si riesce più facilmente ad aggirare le procedure concorsuali, a favore di un reclutamento che in sostanza si configura come chiamata diretta et similia.
    Ritengo che da sempre uno dei mali di questo Paese sia proprio la procedura paramafiosa con cui in passato, e anche nel presente, si reclutavano i dipendenti pubblici. L’idea che l’ente pubblico venga occupato, nel senso più ampio del termine, dalla politica a tutti i suoi livelli, è dura a morire, e viene messa in pratica ancora quasi ovunque, benchè con gli escamotage di cui sopra. Riuscire a portare in questo specifico ambito serietà, trasparenza, pubblicità, merito, sarebbe qualcosa davvero di rivoluzionario per questo Paese e avrebbe ricadute positive assai importanti, ma è la stessa politica a non voler rinunciare al potere di costruirsi gli organigrammi secondo i suoi desiderata.

  3. Francesco
    29 ottobre 2015 at 16:17

    Ovviamente per esigenze di sintesi non ho potuto inserire tutti gli aspetti normativi nell’articolo. Ma in Italia, secondo le stime, sono ben 130000 i precari nel pubblico impiego, un numero di gran lunga superiore ai giovani entrati in PA con concorso pubblico negli ultimi anni. Questo già la dice lunga su come si sia ribaltato il dettato costituzionale. Per gran parte di loro sono state studiate procedure di stabilizzazione e questo avrà l’effetto di chiudere le porte a molti giovani che vorranno entrare con concorso pubblico.

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