Venezuela: provare a ragionare fino allo stremo o cedere alla polarizzazione?

Un dubbio amletico sorge dalla disconnessione logico-retorica che si manifesta nel dibattito sul Venezuela: provare a ragionare fino allo stremo oppure cedere alla polarizzazione?

Dinanzi a una situazione di manifesta irrazionalità e dove le minime basi di logica e di linguaggio comuni vengono meno, cosa bisogna fare? Contrapporsi a questa situazione e, quindi, provare a ragionare a oltranza? Oppure è meglio comprendere che la partita è in tal senso persa, che dunque è meglio cedere alla polarizzazione scommettendo che, alla fine, il proprio punto di vista diverrà egemonico a discapito di quello avversario?
La domanda è legittima di fronte a un dato di evidente disconnessione logica con cui la retorica e l’ideologia rendono impossibile, in queste ore, una qualsivoglia discussione sul Venezuela.
Esiste, da tempo, un dibattito politico trasversale sulla natura del socialismo bolivariano: chi lo considera un modello regressivo (sinistra liberale e tutte le destre) e chi invece vi ravvisa elementi di alternativa, parziale ma comunque positiva, al modello liberista (marxisti e poco altro). Ebbene, si dà il caso che suddetto dibattito non abbia NULLA a che vedere con la contraddizione in corso in queste ore e riguardante lo stato venezuelano. In questo momento, il tema oggetto di controversia internazionale è di tutt’altra natura e il giudizio sul chavismo, negativo o positivo che sia, non c’entra assolutamente nulla.
In breve, Cina e Russia sul versante delle nazioni, marxisti, sovranisti e anti-imperialisti sul versante dell’opinione pubblica, stanno in queste ore ponendo il tema del diritto internazionale in contrapposizione al diritto degli Stati Uniti di fare ingerenza attiva sulle vicende di un altro paese.
Un principio che, riguardando per l’appunto la sfera del diritto, prescinde dalla tipologia di modello istituzionale dei singoli paesi, prescinde dalle caratteristiche dei loro governi, prescinde – ovviamente – dal giudizio politico che ciascuno di noi può avere su un certo governo o su un certo modello istituzionale.
D’altro canto, non occorre essere laureati in filosofia del diritto per arrivarci: nel mondo, esistono decine di paesi non democratici, altrettanti paesi in cui la maggioranza della popolazione versa nell’indigenza. Il diritto internazionale serve a impedire che qualcuno scelga un paese manifestante contraddizioni interne, allo scopo di dominarlo e di decretare la legge del più forte. Quando una nazione si arroga il diritto di aggredirne un’altra, infatti, la vigenza del diritto internazionale viene meno e ciò determina un precedente a-giuridico affinché diventi normale la legge di predazione da parte del paese più forte ai danni di quello più debole.
Queste banalità che ho appena descritto, fino a quindici anni fa erano per l’appunto delle banalità. Infatti, quando nel 2003 gli Stati Uniti decisero di aggredire l’Iraq, milioni di persone decisero di scendere in piazza contro l’aggressione americana – quantunque lo stato iracheno fosse evidentemente retto da una dittatura – al fine di far prevalere il principio del diritto internazionale contro il principio di predazione imperiale.
Un decennio dopo, le cose sono cambiate.
Improvvisamente, tutta l’opinione pubblica sedicente progressista si è convertita all’idea che gli Stati Uniti abbiano il diritto di scegliere un paese che, fra i tanti nel mondo, essi considerano dittatura e quindi di utilizzare strumenti di pressione militare diretta o indiretta per abbatterne i relativi governi.
Il punto – e qui veniamo al dibattito odierno – è che questo principio di “diritto imperiale” non viene enunciato dall’opinione pubblica liberale ma, semplicemente, occultato e rimosso.
In queste ore, se poni a un liberale il problema del diritto o meno degli Stati Uniti di far cadere governi di altre nazioni, egli ti risponde parlandoti di quant’è cattivo il governo venezuelano.
Se tu cerchi di spiegargli che il tema è un altro, che i problemi del diritto internazionale riguardano tutti i paesi – poveri e ricchi, totalitari e democratici – ti risponde nuovamente parlandoti di quant’è cattivo il governo venezuelano.
Se, stremato dalla fatica, tu gli dici “senti, va bene, facciamo finta ch’io sia d’accordo con te sul fatto che Maduro è uno stronzo: il diritto internazionale deve valere anche per gli stronzi, altrimenti cessa di essere diritto”, il liberale ti risponde parlandoti di quant’è cattivo il governo venezuelano.
Dunque, ci troviamo di fronte a un piano di disconnessione logico-linguistica che impedisce qualsiasi punto di contatto fra le diverse posizioni e, quindi, impedisce qualsiasi piano di dibattito.
Ecco, quando si arriva a questo punto, uno come me che tenta – talvolta riuscendo, talvolta no – di mantenere civile e razionale, su facebook, il confronto fra posizioni diverse, finsice con l’avere dei dubbi.
Ha senso continuare nel tentativo di ragionare quando i fondamenti e i codici comuni di comunicazione risultano invalidati?

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Fonte foto: Sputnik Italia (da Google)

1 commento per “Venezuela: provare a ragionare fino allo stremo o cedere alla polarizzazione?

  1. ndr60
    28 gennaio 2019 at 11:58

    Caro Sig. Paccosi, l’unica funzione di facebook è mostrare (agli altri ma, soprattutto, a se stessi) quanto le proprie argomentazioni diano fastidio alla (si dice così?) “narrazione preminente”.
    Se viene censurato, vuol dire che dà fastidio. Il resto è fuffa.

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