C’era una volta l’URSS

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Prefazione

Questa recensione nasce dopo la lettura del testo di Dominique Lapierre Il Était une fois l’U.R.S.S, libro poi pubblicato in lingua italiana dalla casa editrice NET. Perché ho deciso di trattare questo testo, benché non sia un saggio storico, ma un semplice diario di viaggio dell’autore? Perché credo che, nonostante il testo in questione non intenda dare un ritratto storico definitivo sull’URSS1, sia interessante poiché mette in luce aspetti della vita quotidiana sovietica poco noti, e soprattutto credo che siano degni di analisi i pregiudizi (in parte presenti nel libro) del mondo occidentale verso quell’esperienza politica che fu l’URSS. Nonostante qualche preconcetto, l’opera di Lapierre rimane ottima e degna d’essere letta.

 

Chi è Dominique Lapierre? Cosa racconta il suo libro?

Dominique Lapierre è un giornalista, scrittore e filantropo francese2, autore di numerosi testi. Nel 2005 viene pubblicato in francese il suo diario di viaggio in URSS che racconta la sua esperienza nel paese dei Soviet nel 1956, anno particolare nella storia dell’URSS, poiché nel febbraio di quell’anno il segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Nikita Chruščëv, denunciava i crimini di Stalin, mossa strategica per prendere il potere all’interno del gruppo dirigente sovietico, cercando di sminuire il ruolo del predecessore ormai defunto da tre anni. I risultati del XX congresso provocarono un terremoto ideologico all’interno  del mondo comunista, che avrebbe portato poi alla fine di molte esperienze del socialismo reale nel biennio 1989-1991. Lapierre, giornalista di giovane età all’epoca, decise di intraprendere un viaggio in libertà in URSS insieme al collega Jean Pierre Pedrazzini e alle loro consorti. Essi, inizialmente, si recarono da soli in Unione Sovietica per un incontro fra i vari dirigenti sovietici – Nikita Chruščëv, segretario generale del PCUS; Vjaceslav Molotov, ministro degli esteri; Nikolaj Bulganin, primo ministro – e l’ex presidente della Repubblica Francese, Vincent Auriol. Successivamente, grazie all’Inturist, ovvero il ministero del turismo sovietico, poterono visitare l’URSS con estrema facilità nella parte europea, vale a dire le attuali Bielorussia, Ucraina, Russia e Georgia. Durante il viaggio, poterono intervistare e convivere con cittadini sovietici (occasione rara all’epoca), grazie alla loro guida ed interprete Slava Petuchov, giornalista della Komsomol’skaja Pravda3, accompagnato dalla consorte Vera. Lapierre decise di visitare l’URSS per curiosità e per portare ai francesi una visione più obiettiva del paese dei Soviet. Il viaggio di Lapierre iniziò da Parigi, attraversò le Germanie e la Polonia fino alla frontiera polacco-sovietica, onde visitò Brest-Litovsk, Minsk, Mosca, Gorkij, Kiev e altre città per poi ritornare con lo stesso percorso. Il viaggio durò circa 3 mesi. Il diario di viaggio-racconto continua però col rientro di Lapierre e del suo compagno di viaggio Pedrazzini a Parigi assieme anche a Slava, che aveva ricevuto l’autorizzazione per andare in Francia dalle autorità sovietiche, al fine di portare in patria «un’immagine della Francia» da esporre sui giornali sovietici, prima fra tutti la Komsomol’skaja Pravda, per cui scriveva. Il testo di Lapierre si conclude con la tragica morte di Pedrazzini, colpito da una pallottola sovietica mentre era inviato in Ungheria per seguire le vicende dell’Ottobre 1956, e con la morte di Slava, anni più tardi, nel 1995… attribuita al forte attaccamento del giornalista sovietico verso la sua patria, dissolta nel dicembre del 1991.

 

L’utilità storiografica del testo di Lapierre

Come dicevo in precedenza, Lapierre illustra il suo viaggio in URSS con estrema semplicità e, come lui stesso ha affermato anche in precedenza, non ha interesse nel dare un giudizio positivo o meno sull’URSS, ciò è da considerare positivamente dal mio punto di vista. Il libro riporta fonti interessanti e inedite per il lettore, ma anche pregiudizi tipici dell’Occidente verso l’Unione Sovietica. Lapierre, durante il suo viaggio, descrive l’atteggiamento dei sovietici verso

1 D. Lapierre C’era una volta l’URSS, NET, Milano 2007 [1a ediz. 2005] cit. p.9

2 Per ulteriori informazioni sulla biografia dell’autore: http://amicidilapierre.ch/?page_id=20

3 Quotidiano sovietico fondato nel 1925 come organo della gioventù comunista. Dopo la dissoluzione dell’URSS ha continuato ad essere pubblicato e venduto nell’attuale Federazione Russa. Il sito internet del giornale: https://www.kp.ru/

il processo di destalinizzazione avviato da Chruščëv. Questo non viene visto in maniera acritica come avveniva spesso all’epoca, ma ne mette in luce molti lati negativi. Il processo di destalinizzazione viene visto negativamente da molti cittadini, poiché Stalin veniva fino a poco tempo prima ammirato come «padre dei popoli» che costituivano l’URSS. D’altra parte Chruščëv, demolendo il mito di Stalin, denunciando i suoi crimini e di aver manomesso la teoria marxista-leninista col culto della personalità, non rappresenta una mossa “benefica” sul lungo periodo, ma l’inizio della burocratizzazione, della fine dell’unità politica del campo socialista, e soprattutto la presa di potere da parte di Nikita con la criminalizzazione del passato e dei suoi oppositori. Insomma, la destalinizzazione è stata una mossa politica ben escogitata, primo segno di frattura nel campo socialista, e inizio dell’ascesa del “revisionismo” della dottrina marxista-leninista nel campo socialista, come avrebbero affermato Enver Hoxha e Mao Zedong, ed in parte anche altri statisti del blocco socialista4. Lapierre cita inizialmente nel suo libro la rivolta studentesca contro la destalinizzazione kruscioviana, dedicandovi anche un capitolo, in Georgia tra il 4 ed 10 Marzo 1956. Dalle parole di Lapierre: «Il mondo stupefatto aveva saputo che l’8 Marzo si erano svolte manifestazioni a Tbilisi e in altre città della Georgia, terra natale di Stalin, per condannare la requisitoria del XX Congresso contro quello che fino a prima era il «padre dei popoli». Egli poi continua parlando della repressione di Chruščëv: «Carri armati e camion carichi di soldati […] stavano andando a soffocare la ribellione dei georgiani contro il nuovo padrone dell’URSS».5 Interessante è vedere la poca attenzione prestata dai mass-media occidentali e dalla grande stampa sul tema e come tutt’oggi questo evento risulti sconosciuto; lo storico tedesco Gossweiler ne parla anche lui nel suo testo “Contro il revisionismo” ove cita il Times e la visione data da alcuni diplomatici occidentali che osservano l’attaccamento della popolazione al leader sovietico (circa 150.00 attivisti) e vogliono far comprendere che l’atteggiamento nei confronti di Stalin non è per tutti uguale67. Le manifestazioni, come citato nella nota numero 7 si erano diffuse non solo a Tbilisi, ma anche a Gori, Suchumi e Batumi. Successivamente alla repressione delle proteste pro-Stalin ci furono molti arresti da parte del KGB8 e l’accensione di un sentimento nazionalistico da parte di molti georgiani. La repressione di Chruščëv in Georgia fu un’azione per consolidare il potere che il

4 K. Gossweiler Contro il revisionismo, Zambon Editore, Francoforte sul Meno-Verona, 2009 [I ediz. 2009]. Lo storico Kurt Gossweiler, della Repubblica Democratica Tedesca, scrive che svariati capi di stato e di partiti comunisti si opposero al XX congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Tra questi, quelli più espliciti a rigettare completamente le «calunnie di Chruščëv» furono Enver Hoxha, presidente albanese e Mao Zedong, presidente cinese. Hoxha scrive nelle sue memorie I Kruscioviani [edizioni 8 Nentori, Tirana, 1980] aspre critiche alla dirigenza sovietica post-staliniana, accusata di aver introdotto il revisionismo nel paese. Mao fece lo stesso, come citato anche dallo stesso Gossweiler (p. 294-295), ove affermò, in merito alla visita del primo ministro cinese Zhou Enlai in Asia ed in Europa del 29 Novembre 1956, come una visita che porterà ad una “nuova spinta creativa” di cui il marxismo aveva bisogno. Questa spinta venne lanciata da Mao Zedong in Cina dal 1956 in poi, ma soprattutto dal 1958 cominciò un lento allontanamento fino ad un distaccamento definitivo dalle politiche sovietiche. Gossweiler cita, come esempio di lotta alle idee del XX congresso, il leader del Partito Socialista Unitario di Germania (SED), Walter Ulbricht, visto come un “peso” da Chruščëv, il quale intendeva allontanarlo ad ogni costo dalla dirigenza, sfruttando l’influenza sovietica in DDR: « Chruščëv ha tentato di cacciare dalla dirigenza della SED i marxisti-leninisti più saldi, prima di tutto Walter Ulbricht e Hermann Mater, poiché la direzione di Ulbricht si sforzò di tener lontane dalla DDR le conseguenze della “politica di sabotaggio” kruscioviana o quanto meno di limitarne per quel che fosse possibile; di fatto la dirigenza della Germania Orientale ha espulso le forze considerate anti- leniniste e vicine al PCUS» [cit. p. 194-195 ed in K. Schiderwan, Aufstand gegen Ulbricht, [Rivolta contro Ulbricht], Berlin, 1994, cit. p. 122 sgg. e p.128 sgg.] Infine l’autore rivaluta in chiave di “lotta al revisionismo” la figura del segretario del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, e di Maurice Thorez, segretario generale del Partito Comunista Francese. Togliatti, uomo controverso se preso in considerazione sotto questo aspetto della lotta al XX Congresso viene descritto dallo storico tedesco come «uomo che non si è limitato a parlare degli errori di Stalin, ma ne ha dato atto insieme alle radici soggettive, anche delle cause storiche ed oggettive di tali errori» [cit. p.247].

5 D. Lapierre, C’era una volta l’URSS, NET, Milano 2007 [1^ediz.2005] cit. p.22-23

6 K. Gossweiler, Contro il revisionismo, Zambon editore, Francoforte sul Meno-Verona, 2009 [1^ediz.2009] cit.

7 B. Nahajlo, D. Nahajlo, V. Svoboda, Soviet Disunion: A History of Nationalities Problem in USSR, Free Press, New York, 1990 [1^ediz.1990] cit. p.120-121, consultabile gratuitamente: https://books.google.it/books/about/Soviet_Disunion.html?id=ZrG7vrPue4wC&redir_esc=y

8 Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti (comitato della sicurezza dello stato)

nuovo leader sovietico prese in considerazione, anche se questa repressione finì col consolidarsi di tendenze nazionalistiche nella popolazione georgiana. L’ex presidente della Georgia post-sovietica, Eduard A. Ševardnadze, che al tempo era leader della gioventù comunista a Kutaisi, la seconda città più popolosa della Georgia disse che «Il comportamento di Chruščëv al XX congresso, ove egli avrebbe anche [preso di mira] oltre che Stalin la stessa popolazione georgiana con battute (ironiche) era inaccettabile per la popolazione sovietica»9. La repressione in Georgia attualmente viene ricordata dal governo filo-occidentale georgiano non come una repressione antisovietica e antirussa e neanche come un gesto studentesco per difendere la memoria di Stalin. La manifestazione pro-Stalin sarebbe anzi sfociata anche in un nazionalismo disperato ed in forti violenze di strada come saccheggi. La sommossa era iniziata, citando il resoconto dello stesso Lapierre, «con una manifestazione studentesca in favore di Stalin»10 contro le calunnie del XX congresso, successivamente è sfociata in repressione da parte delle autorità sovietiche e in manifestazioni di nazionalismo ed isteria da parte di molti georgiani. Lapierre carpì dal viaggio in Georgia interessanti dettagli, che secondo il mio parere sono utili per comprendere la vita durante l’epoca sovietica. Egli scrive che i sovietici georgiani ascoltavano anche musiche occidentali fra cui il jazz americano, ballavano  il boogie e il cheek to cheek.11 Visitando la casa di un chirurgo georgiano fortemente comunista, apprese che il popolo sovietico non era isolato dal mondo; lui ad esempio aveva «una potente radio con la quale è possibile captare Parigi, Londra, Madrid e Roma, salvo quando le stazioni sono disturbate». Inoltre, notò che la libreria del chirurgo Georgij possedeva libri di Balzac, Victor Hugo, Flaubert accanto a quelli di Lenin.12 Il signor Georgij disse a Lapierre parole commoventi su di un paese che s’incamminava ogni giorno nella costruzione di una società nuova, quella socialista, dal suo punto di vista di medico: «La scienza ha dimostrato che Dio non esiste, infatti tutti gli esseri nascono, crescono e muoiono e la vita è solo una delle forme di esistenza della materia». Aggiunse «che il mio scopo è quello di creare con il mio lavoro, condizioni umane migliori per oggi e per il domani», concludendo che «nell’ambiente comunista l’uomo può raggiungere la massima felicità a differenza dell’uomo in un ambiente capitalista».13

Vorrei distaccarmi un attimo dalla visione dei russi e dalle ripercussioni del XX congresso, per vedere se effettivamente in URSS c’era un afflusso di informazioni occidentali e senso critico da parte della popolazione, ed effettivamente c’era: i cittadini sovietici erano spesso  interessati alla letteratura straniera e molto colti. Come notava lo stesso autore all’inizio del suo viaggio, presso una famiglia della Bielorussia osservò libri francesi molto conosciuti come Papa Goriot e Madame Bovary ed i romanzi gialli di provenienza tedesco orientale;14 inoltre i cittadini sovietici chiedevano sempre giornali stranieri quando notavano rari turisti, anche se non conoscevano la lingua di un determinato giornale.15 Questo smonta un pregiudizio occidentale molto diffuso sia in passato che oggi nei confronti del socialismo reale: quello secondo cui i cittadini dello stato socialista sarebbero “indottrinati” esclusivamente dalla propaganda e non avrebbero avuto conoscenza della cultura estera. Ciò è dimostrato anche dall’esperienza di Lapierre come fuorviante. Mi viene in mente a tal proposito una frase del segretario del Partito Socialista Operaio d’Ungheria, János Kádár: «La cultura socialista abbraccia tutti i veri valori della cultura umana. In Ungheria i classici della letteratura mondiale escono a forte tiratura. Ricordiamo a titolo di esempio, che i classici francesi vengono pubblicati qui da noi con una tiratura superiore rispetto alla stessa Francia». Il leader ungherese proseguiva il suo elogio della cultura e lo spazio che uno stato socialista, come era l’Ungheria, dovrebbe riservarle: «La tiratura annua di libri supera i settanta milioni di copie, con

9 Lur’e, Lev; Maljarova, Irina (2007), 1956 год. Середина века [1956. The mid-century], libro in lingua russa pubblicato nel 2007 da Olma Media Group; consultabile ed acquistabile: https://russia-on- line.com/ru/istoriya/502511-1956-god-seredina-veka-9785765449615.html

10 D. Lapierre, op. cit., p. 103 11 D. Lapierre, op. cit., p. 105 12 D. Lapierre, op. cit., p. 107 13 D. Lapierre, op. cit., p. 110

14 D. Lapierre, op. cit., pp 48, 52

15 D. Lapierre, op. cit., p. 88

un aumento cioè di otto volte rispetto agli anni precedenti», aggiungendo poi che era aumentato anche l’interesse e la possibilità dei cittadini di recarsi al cinema, al teatro, concludendo: «Al tempo spesso, però non vogliamo che con il pretesto di uno scambio di valori spirituali, penetri tra noi la propaganda nemica, alla quale anzi sbarreremo decisamente la strada».16 Egli tirò le somme affermando che lo stato socialista è interessato alla cultura, ma combatte la propaganda culturale nemica. Non mi dilungherò eccessivamente sulle tecniche che l’imperialismo occidentale usa a livello culturale per sabotare un paese nemico, citerò sul tema Il Totalitarismo Liberale scritto dal Prof. A. Pascale.17

Ritornando al sentimento della destalinizzazione, Lapierre cita due interessanti episodi: il primo è una conversazione con una ragazza moscovita, di nome Zenja Gregorieva, che canta all’autore una ninna nanna con un significato implicito sulla natura controversa del XX congresso:

Dormi bambina, dormi, dormi bambina, dormi.

Ti narrerò una storia: Lenin era buono?

Buono, bambina, buono, dormi bambina, dormi.

Ti narrerò una storia: Stalin era buono? Cattivo, bambina, cattivo… molto cattivo, Dormi bambina, dormi.

Ti narrerò una storia: Chruščëv è buono?

Lo sapremo quando sarà morto, Perciò dormi, bambina, dormi.18

L’altro episodio è una conversazione con dei georgiani: dopo aver parcheggiato la propria auto vicino a una statua di Stalin, l’autore disse ai georgiani, indicando il dito verso la statua: «Che grand’uomo!»

E loro «Ah sì! Grande uomo davvero!». «E Chruščëv?». A questa domanda i volti dei paesani s’incupirono, alcuni sputarono, e altri risposero: «Chruščëv net!»19

Quest’ultimo episodio è una testimonianza soggettiva, ma curiosa, poiché illustra l’atteggiamento di normali contadini ed operai georgiani dell’epoca.

Lapierre cita nel suo testo interessanti note riguardanti la vita sessuale nell’Unione Sovietica, ad esempio come, a partire dall’epoca breve di Malenkov in poi, le donne furono invogliate nel conquistare un’ulteriore femminilità grazie al consumo, sempre più in voga, di cosmetici, ciprie e prodotti simili.20 Inoltre, cita interessanti esempi circa il rapporto di coppia in URSS: esso era strettamente intimo e molto pudico, le donne e gli uomini russi avevano una vita sessuale molto chiusa tanto che dei semplici baci sulle labbra destavano freni morali. Quando l’amore era troppo intenso, spesso si scherzava dicendo che a volte «l’amore sbocciava come nei film decadenti occidentali».21 L’autore conversando col suo accompagnatore, il giornalista Slava, lo provocò parlando di “libero amore e di prostituzione”22;  Slava rispose confuso, dal momento che non conosceva il tema, e la prostituzione era considerata altamente immorale in URSS come forma esemplare di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Prima di giungere alle mie conclusioni, devo citare le critiche sia giuste che errate che Lapierre produce nei confronti dello stato sovietico. Molte derivano da pregiudizi tipici della mentalità occidentale dell’epoca e anche attuale, ma altre sono complessivamente serie. Ad esempio, in una conversazione con Slava polemizzava riguardo ai cartelli di propaganda piantati dai contadini che recitavano slogan per aumentare la produttività agricola del tipo «Coltiviamo bene l’URSS». Lapierre paragona la propaganda del lavoro in URSS a quella dei campi di sterminio nazisti ove v’era affisso il cartello “Arbeit macht frei” cioè “il lavoro rende liberi” e continua

16 J. Kádár, Edificazione socialista solidarietà internazionale, Edizioni Notizieungheresi, Roma, 1977, cit. p.26-27

17 A. Pascale, Il Totalitarismo Liberale. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli, 2018 [I ed. 2018]

18 Ibidem, cit. p. 63

19 Ibidem, cit. pp. 98-99

20 Ibidem, cit. pp. 58-59

21 Ibidem, cit. p. 61

22 Ibidem, cit. pp. 122-123

 

argomentando la sua tesi secondo cui nello stato capitalista «fra cinque, dieci anni non si lavorerà che tre giorni alla settimana, e ciò sarà il raggiungimento della felicità».23 L’ipotesi di Lapierre si è rilevata errata, attualmente nel capitalismo non si lavora tre giorni alla settimana; al contrario, si lavora sempre di più e con un alto tasso di sfruttamento. In merito citerei le parole di Alain Badiou, filosofo francese, che in un’intervista per il duecentesimo anniversario della nascita di Karl Marx rilasciata alla stampa italiana, dice: «Il capitalismo non può vivere senza lavoro, poiché il profitto risiede nell’estorsione del plusvalore rispetto al valore reale. Un tempo di lavoro di 20 ore settimanali, [oppure a 3-4 giorni di 24 ore al mese] ridurrebbe il plusvalore a ciò che è necessario per gli investimenti produttivi, e non lascerebbe nulla al puro profitto degli azionisti».24 Ciò è insostenibile per il sistema capitalista soprattutto nella nostra epoca del neoliberismo trionfante e della globalizzazione come dogma assoluto.

Lapierre, a differenza di molti altri giornalisti e scrittori occidentali, non fa molti riferimenti riguardo ai campi di rieducazione sovietici, afferma solo che Slava sarebbe finito in «esilio in Siberia» per aver pubblicato una foto in cui egli stesso scavalcava una recinzione a Jalta; tuttavia tre anni dopo, andò a lavorare per la rinomata Ria Novosti25 e rimase profondamente aderente agli ideali del socialismo fino alla sua morte nel 1995. Per quanto non si abbia la certezza che Slava non abbia patito sofferenze in una prigione in Siberia, il fatto che abbia continuato a scrivere come giornalista e addirittura promosso ad un’emittente più prestigiosa, è un indicatore del fatto che la prigionia nell’Unione Sovietica non era necessariamente infernale come spesso viene definita. Egli inoltre riprende l’esempio di un armeno di origini francesi trasferitosi in URSS, Georges Manoukian, finito per varie ragioni in un gulag per circa 3 anni26 da cui poi ne uscì. Questa è un’ulteriore conferma del fatto che il sistema di prigionia sovietico non era l’inferno in terra; naturalmente non tratterò in questa sede del sistema di prigionia e giustizia sovietico. Lapierre esprime nel libro inoltre dubbi e preoccupazioni riguardanti la vicenda di Manoukian poiché, nonostante il suo passato nel gulag, riuscì ad ottenere un visto per la Francia dove fu fermato dalle autorità locali accusato di essere una spia del KGB.27 Durante la guerra fredda, il turismo occidentale nei paesi socialisti e l’afflusso di cittadini socialisti nei paesi occidentali era limitato, ma non vietato. Di certo, la fatica per districarsi nella burocrazia sovietica al fine di vedersi concedere un visto d’espatrio dall’URSS era ingente, ma comunque recarsi all’estero non era impossibile.28 L’autore inoltre considera i salari di un medio cittadino sovietico bassi, ma tuttavia in crescita rispetto al periodo zarista e prebellico, mentre per ciò che concerne la crisi degli alloggi29, è un serio problema dal punto di vista dell’autore, dal momento che la popolazione sovietica era in continua crescita e ciò comportava la crisi abitativa, e questa faceva sì che più famiglie condividessero una stessa casa (la cosiddetta kommunalka).

 

Conclusione

Cosa si può dire di questo testo? Secondo il mio modesto parere, esso merita una lettura critica, dal momento che è ben scritto e soprattutto fa luce su aspetti interessanti della vita quotidiana in URSS, benché talvolta ripeta pregiudizi tipici della visione occidentale dell’Unione Sovietica e del socialismo reale. In Francia, Lapierre, è uno scrittore di successo, attualmente seriamente malato.30 Da parte mia, spero che Lapierre possa riprendersi lottando, come ha sempre fatto nella sua vita, contro la malattia che lo sta sfinendo. Spero inoltre di leggere altri diari scritti dei suoi viaggi come quello sull’indipendenza dell’India dall’Impero Britannico e sulla nascita dello stato d’Israele. Buona fortuna Dominique!

23 Ibidem, cit. p. 67

24 AAVV a cura di A. Carioti, Karl Marx Vivo o morto? Il profeta del comunismo duecento anni dopo, Solferino, Milano, 2018, paragrafo di A. Badiou, Lenin e Mao i suoi migliori eredi, cit. p.106-107

25 Agenzia di stampa sovietica nata nel 1941 e chiusa nel 2013 a causa della sua rinomina in Russia News. Il sito web: https://ria.ru/

26 Ibidem, cit. p. 116

27 Ibidem, cit. p. 140

28 Si rimanda all’articolo della testata giornalistica russa Russia Beyond: https://it.rbth.com/storia/79670- cittadino-sovietico-poteva-viaggiare

29 Si rimanda all’articolo sulla questione abitativa in URSS di Resistenze.org: http://www.resistenze.org/sito/te/cu/ur/cuurhb07-018843.htm

30 Si rimanda all’articolo de La Stampa: https://www.lastampa.it/vatican- insider/it/2014/06/19/news/neanche-la-malattia-ferma-la-lotta-di-lapierre-per-la-citta-della-gioia- 1.35745808

 

Per approfondire:

  • Presentazione del         libro         C’era        una         volta         l’URSS       dell’autore (https://youtube.com/watch?v=cS8TA8DKLOo)
  • Articolo de          El          Paìs          sull’autore          ed          il          suo          libro

(https://elpais.com/diario/2006/01/19/cultura/1137625206_850215.html

Risultato immagini per C'era una volta l'URSS immagini"

 

1 commento per “C’era una volta l’URSS

  1. Giulio larosa
    7 Gennaio 2020 at 8:28

    Molto interessante. L urss è ancora un pianeta da esplorare.

Rispondi a Giulio larosa Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.